| Saggi
La bionda, la bruna e l'asino Milano, Rizzoli 1987
Raccolta di articoli degli anni ’70 e ’80 in cui Dacia Maraini parla dei temi del mondo femminile attraverso fatti di cronaca, libri letti, fatti della vita quotidiana.
Prefazione di Dacia Maraini
Riflessioni sui corpi logici e illogici delle mie compaesane di sesso di Dacia Maraini
Sono in campagna. In una casa senza telefono. A cinque chilometri dal paese pi첫 vicino. In un punto che si chiama Cava del Bruciore. In effetti qualcosa che brucia c'챔: un odore di erbe secche, un crepiti o dell'aria troppo tesa quasi sul punto di incrinarsi e sbriciolarsi.
Ho con me lo scartafaccio degli scritti da selezionare: un insieme di testi sulla violenza, sulla famiglia, sulla prostituzione, sulla maternità, sull'amore usciti su giornali e riviste «Paese Sera», «Il Messaggero», «La Stampa», «L'Espresso», «Panorama» e altri) fra gli anni settanta e ottanta.Rileggendoli mi accorgo che alcuni temi tornano con la cocciutaggine mulesca di un pensiero che conosce i suoi pascoli, ama le stesse erbe e gli stessi odori. Molti articoli mi trovo a scartarli perché troppo legati alla notizia del giorno, alla polemica del momento. E non mi interessa tanto un libro documento quanto un discorso che metta le radici nel passato ma possa riconoscersi, fatto foglia e ramo, nella realtà di oggi. Molti interventi sull'aborto cadono così nel calderone delle cose mangiate e digerite. Riguardavano quasi tutti il «prima della legge». Ora la legge c'è, anche se funziona male come tutte le buone leggi di questo nostro Paese.Ho scartato anche le polemiche coi grandi personaggi perché a rileggerli mi sono sembrate lontane: ci si accapigliava per qualche frase infelice che oggi probabilmente non scapperebbe più fuori (Sciascia aveva scritto che in Sicilia c'è il matriarcato e io lo rimbeccavo; Bocca aveva detto su un giornale che le femministe sono tutte lesbiche che vogliono sedurre le operaie e io lo prendevo in giro; Parise aveva parlato dei sessi come di razze diverse e io lo attaccavo; Carmelo Bene aveva messo in un suo spettacolo teatrale delle donne nude che non dicevano una parola e io gli davo del «ruffiano» ecc.). Sono rimasti i grandi temi che sono validi ancora oggi: la prostituzione come metafora della condizione femminile; le molte facce di un commercio che mescola le regole del mercato alle regole della morale. Una questione che passa attraverso le spine della convivenza civile ma si porta dietro cento domande sull'uso del corpo, sul senso del piacere, sul concetto di libertà ecc. La violenza. Non solo come catastrofe maligna che capita fra capo e collo ma come abitudine, pratica quotidiana che provoca calli, ferite che rimarginano malamente e che a volte vengono riaperte con le proprie mani quali segni tangibili del consenso al proprio strazio. Quel tanto di pena fisica che si mescola alle prime gioie della crescita disordinata dei sensi in un mondo di crudeltà travestite da desiderio. E ancora: il rapporto fra padre e figlia, fra madre e figlio, con quel tanto di cannibalesco che si porta dietro in un accavallarsi di attese, dolori, paure, deliri, nevrastenie, dipendenze e mitizzazioni. La famiglia pu챵 uccidere? I suoi guai dipendono solo dal forzoso e difficile passaggio dal mondo contadino a quello tecnologico o c'챔 un vizio di fondo, qualcosa che non torna nel conto dei sentimenti familiari? E poi il lavoro casalingo e l'adulterio come ritrovamento di sé, e la vecchiaia come perdita del corpo e l'onanismo e la castità. Alcune riflessioni prendono spunto da libri letti. Non sono recensioni ma occasioni per scandagli, immersioni nell'acqua torbida del nostro vivere comune. Altre vengono fuori da ritratti di donne che in qualche modo scappano da se stesse, si impegolano in rapporti rischiosi, accendono zolfanelli credendo che siano fuochi d'artificio, prendono a testate il mondo e ne escono scornate o vincenti avendo coltivato il fiore sulfureo della memoria. Ma ora sono qui a mollo dentro un paesaggio verde smorto che all'orizzonte trema come fosse un miraggio. Mi rendo conto che sono chiusa dentro un silenzio sconosciuto, con le mie idee e le mie carte, quasi in allarme per un ritmo quieto che sento incalzarmi. A pensarci bene non 챔 neanche un silenzio. Ci sono molti suoni che si accumulano nella conchiglia dell'orecchio, ma hanno qualcosa di diverso dai soliti suoni. Questi sono legati gli uni agli altri come i puntidi uno stesso cucito. In città i suoni sono isolati, senza connessione fra di loro e colpiscono prima gli occhi che le orecchie. Se è possibile sentire dei suoni con gli occhi, ecco che in città ogni rumore ha il nitore di una immagine quotidiana, lustra e priva di mistero. Mentre in campagna i rumori si fondono l'uno nell'altro e formano una corrente, un'onda che entra ed esce dalla finestra con un movimento pigro e ossessivo. È un silenzio a cui sono così poco abituata che mi appare doloroso, inquietante. Le mie dita vanno alla piccola radio a pila, color menta che tengo sul tavolo. Cerco un bandolo, una cima che mi ridia in mano il filo delle cose. Sento una voce baldanzosa, solerte e ottimista, di un ottimismo melenso e volgare. Richiudo subito. Ma qualcuno da lontano mi incalza: «Cos'è la volgarità signora Maraini?». Assomiglia alla voce di tanti interlocutori che mi trovo davanti nei dibattiti, negli incontri pubblici in giro per l'Italia. È quella voce che ha preso la forma di una accusa in ben cinque processi per oscenità da cui per fortuna alla fine sono stata assolta, ma dopo quanti attacchi e noie! «Come fa a parlare di volgarità lei che usa in continuazione parolacce, argomenti nudi e crudi?»È il solito grillo che salta su quando si parla di pornografia e di sesso. Come spiegare che non ci sono parole nobili e parole ignobili, parole pure e parole impure, parole belle e parole brutte? Volgarità è semplificazione, vogliamo metterla così?, quando si taglia la realtà con l'accetta, quando si divide la persona in parti utili e non utili, quando si riduce la complessità di un pensiero a una minestra da cacciare in gola agli ingordi. Quando si falsifica, si agghinda, si consola, si abbellisce, si bamboleggia. Quando si prendono le distanze con sussiego, quando si decide a priori cosa è giusto e cosa no. Quando si edulcora, si ingentilisce per togliere peso, per rassicurare, quando si calcifica lo sguardo, quando... mi accorgo che sto dando un senso morale alla volgarità. Non ne faccio più una questione di gusto. Ma chi l'ha detto che il gusto non sia una faccenda che mette in moto le domande sul fare e non fare? gli scrittori, a ben leggerli, hanno sempre cominciato il ballo per essere stati morsi dalla tarantola. La tanto discussa letteratura di evasione, osservandola bene, non è affatto evasiva. I rosa più rosa grondano di moralità, insegnamenti, messaggi, divieti, codici, esortazioni. Il loro successo viene da lì. I romanzi d'amore alla Harmony vogliono insegnare, non distrarre. I romanzi commerciali vogliono prima di tutto forgiare il pensiero informe, vogliono intervenire nel ventre del mondo con le loro idee, le loro suggestioni morali. La furbizia consiste nel combinare le loro certezze ideologiche con il gusto per l'avventura, l'esotismo, il folklore psicologico. I loro personaggi cadranno preda di grandi sentimenti, faranno continuamente succedere delle cose succose, si agiteranno molto per dimostrare che ci sono. E alla fine i loro tracciati riveleranno un disegno ben definito, riconoscibile, dalla morale sicura. L'autore non commerciale non si preoccupa di fare continuamente 짬agire쨩 i suoi personaggi ma li segue stupito quasi chiedendosi che cosa stanno combinando. A volte non combinano proprio niente, semplicemente girano intorno. La volgarità della cosiddetta letteratura di evasione sta proprio nella sua proposta di una distrazione che non c'è. Sta nel promettere ciò che non darà mai: consolazione, bellezza, amore, gioia di vivere, piacere. Volgarità quindi, caro signore, per me non è altro che una delle tante forme di intervento volontaristico sulla immaginazione altrui. Che questo intervento sia ammantato da pretese di ricreazione, di consolazione, di vacanza della mente affaticata, fa lo stesso. Rimane un atto di autorità rate, che vola come una zanzara a pungere la pelle dell'aria: «Ma esiste una differenza fra scrivere donna e scrivere uomo? e se sì in che cosa consiste?». Ho visto che Nadia Fusini nel suo ultimo bel libro (짬Nomi쨩) sulle grandi scrittrici ha eluso la domanda. L 'ha spinta leggermente da parte con un moto leggero del polso. Da fine letterata, come di una domanda inopportuna e vagamente fuori tempo. Mi piace il suo modo ellittico di procedere, tutto incastri e sapienza verbale. Solo mi dispiace che abbia guardato al di là delle Alpi secondo un vecchio insegnamento di Arbasino, dimenticando ingiustamente le grandi madri al di qua delle montagne, quelle donne straordinarie che, come Anna Maria Ortese, EIsa Morante, Lalla Romano, Anna Banti, Fausta Cialente e Natalia Ginzburg ci hanno insegnato a scrivere da donne. Siamo cos챙 attenti a quello che scrivono i cugini e le cugine di Paesi lontani che non ci accorgiamo di costruire tutto un apprendistato letterario su delle lingue in traduzione. Fra poco saremo invitati a scrivere direttamente in inglese o in francese. Tanto poco vale per i critici il lavoro che si fa su questo neonato faticosamente allattato, questo bambino rachitico che 챔 l'italiano.Nadia Fusini non risponde alla questione sulla scrittura al femminile eppure sceglie un gruppo di autrici, non di autori, quasi a suggerire che la differenza c'챔 ma 챔 data per scontata. Di solito per scrittura al femminile si intende o si intendeva qualcosa di sentimentale, di delicato, di fumoso e di crepuscolare. Una trama fatta di 짬sensibleries쨩 fragranti e leziose, un vorticare di lucciole e di spore che il vento della critica avrebbe pensato a spazzare via dal mondo della letteratura. In fatto di volgarità poi gli eufemismi sono spesso peggiori delle cose dette col loro nome. Come dice bene Nora Galli de' Paratesi nel suo libro Le brutte parole gli eufemismi appartengono soprattutto a quei gruppi sociali che meno vogliono esporsi, che più tengono al decoro e a un'apparente stabilità dei rapporti di convivenza. Quasi sempre l'idea di volgarità riguarda l'uso dialcune parole cosiddette oscene. Ma il margine di questa oscenità cambia di momento in momento, di zona in zona. È difficile tenergli dietro. Libri che erano considerati proibitissimi fino a ieri, vengono di colpo letti come innocui.Ma l'accusa di oscenità non riguarda solo le parole «brutte». Spesso si appiglia al modo crudo e impietoso che molti autori hanno di considerare le cose. Per cattive abitudini prese dalla letteratura «in ghingheri», e per un'innata paura di ciò che si nasconde dietro la porta, i lettori più semplici e incolti chiedono una sistematica edulcorazione della realtà. La vogliono ingraziosita, purgata, ingentilita, resa innocua. La crudezza insospettisce anche se può attirare. Verso gli scrittori considerati pornografici c'è sempre stato un atteggiamento ambivalente: di attrazione, curiosità morbosa e repulsione, condanna. Pensiamo a Henry Miller, a Bataille, e andando indietro a Lawrence e più indietro ancora al Belli, a Boccaccio. Nel caso di una donna però pochissimi sono disposti ad accettare l'oscenità. Né l'uso delle parole proibite né una visione troppo cruda del mondo. Dove vanno a finire il sorridente garbo, l'innata dolcezza seduttiva, il pudore femminile? E qui, altra voce, altra domanda sul pelo delle se È chiaro che di fronte a una visione così limitativa della scrittura al femminile molte romanziere abbiano negato di essere scrittrici. Si sono definite «scrittori» e basta, ribadendo l'asessualità rituale della letteratura. 짬Ma la scrittura 챔 davvero asessuata?쨩 altra voce assillante, altri occhi lucenti che mi guardano da una sala gremita cercando addosso a me il senso dell'essere donna e scrivere, essere donna e utilizzare strumenti per tradizione maschili. La scrittura con le sue radici che pigramente si allungano nel terreno profondo dell'immaginazione collettiva si nutre di antiche abitudini di pensiero, di aspirazioni segrete, di paure dilatate, di desideri inconsapevoli. Ma quasi sempre questi desideri, queste aspirazioni, queste abitudini nel loro farsi trama comune hanno caratterizzato gli interessi dell'uomo senza la donna e spesso perfino contro la donna. Basta dare uno sguardo ai simboli pi첫 comuni delle favole, dei miti, alle cosmogonie antiche e moderne. Il fatto 챔 che per accedere alla scrittura si devono imparare a manovrare tre tipi di strumenti: l) quelli pi첫 meccanici come la macchina da scrivere, il computer, le stampatrici a cui la mano maschile viene guidata fin dalla prima infanzia, amorevolmente, da insegnanti, padri, tutori. 2) Gli strumenti determinati dagli eventi particolari di un Paese, di un popolo, come la lingua con il suo corredo di frasi idiomatiche, forme dialettali, gerghi, modi di dire eccetera. 3) Infine gli strumenti pi첫 delicati e profondi che si pretendono uguali per tutti come la filosofia, la psicoanalisi, la religione, la politica, l'antropologia, la letteratura. Insomma tutta la storia del pensiero della sua epoca a cui lo scrittore in qualche modo fa riferimento. Si suole ripetere che la letteratura è pura immaginazione e l'immaginazione non può avere sesso. Essa è per definizione libera, insofferente di costrizioni, lacci, corsetti, cinture che la stringano e la limitino. Chi impara a manipolarla la farà sua, uomo o donna che sia. Questo è quello che tradizionalmente viene detto alle ragazze ingenue che chinano la testa sui libri di studio e si macchiano le dita di inchiostro. L'immaginazione è tua, la scrittura si impara come un qualsiasi altro mestiere, spetta solo a te, alla tua volontà, al tuo talento. Nessuno le dice che l'immaginazione non 챔 affatto quel gabbiano dalle grandi ali bianche che solca innocente un cielo vuoto. Nessuno le rammenta che essa nasce carica di archetipi, di stratificazioni emotive, di luoghi ricorrenti dello spirito, di ritrovi verbali, di mitologie che la escludono come soggetto fantasticante. Ma l'illusione di stare sulla stessa barca è fortissima. Basta sfogliare i tanti libri usciti di recente sull'immaginazione erotica delle donne per intendere la profondità della lacerazione. Proprio come un prigioniero il quale, dopo una vita di segregazione, non sa più distinguere la libertà dalla costrizione, essa finisce per innamorarsi torbidamente della sua prigionia e delle sue tribolazioni. L'immaginazione, pi첫 ancora che l'ideologia, 챔 totalizzante. La parte affidata all'estro personale 챔 piccola. Per il resto essa fa parte di un qui e ora di profonda immediatezza storica. L'immaginazione di un Paese, di un popolo, di un ambiente, di un'epoca, di una situazione pretende l'adesione piena alle sue pi첫 ardite costruzioni, ai suoi progetti per l'avvenire, ai suoi slanci, alle sue limitazioni. Tutte imprese che contengono un carattere androcentrico. Noi diamo ascolto, senza neanche rendercene conto, soprattutto a quella voce che ci parla, anche nel segreto della coscienza, con tono basso e forte, carico di antica autorità. L'altra voce, quella leggera, acuta, saltellante, la voce che sa di cucina, di camera da letto, non convince neanche le donne stesse, per la sua totale mancanza di prestigio e di autorità. La scrittura 챔 lingua e la lingua non si limita a muoversi in bocca producendo come per miracolo suoni pi첫 o meno belli, pi첫 o meno arditi. Ci sono lingue che hanno giaciuto come morticini nelle tombe delle loro bocche e se si vuole credere che i morti pensano, si pu챵 immaginare un pensiero fatto di stracciati fantasmi, di desideri sepolti e incancreniti. Alla fin fine risulta che si scrive col corpo e il corpo ha un sesso e il sesso ha una storia di separazioni, allontanamenti, segregazioni, soprusi, violenze, afasie, paure, mortificazioni di cui conserva una memoria atavica. Allora che fare? rinnegare le fantasie da segregate oppure 짬bagnare il panuzzo쨩 come si dice in Sicilia in quella minestra ormai diventata nostra per lunga pratica e amore, di cui conosciamo a fondo il profumo e il sapore? Credo che a questo punto 챔 impossibile distinguere ci챵 che 챔 nostro da ci챵 che abbiamo ingollato con la benedizione paterna. Non 챔 forse neanche importante. Chi pesca dentro di s챕 trova di tutto e non 챔 il caso di scandalizzarsi. Per questo molte donne hanno afferrato la tromba. Per farsi sentire nonostante la consegna del silenzio. Con una baldanza a volte strepitosa che rendeva sospettose le altre. La maggioranza delle scrittrici per superare questi fossati si sono fatte acrobate finissime, equilibriste del pensiero e dei sensi. Hanno camminato con grazia sul filo della divisione, non curandosi del pericolo di precipitare nella schizofrenia; spesso disamorate di s챕, qualche volta fino al punto di desiderare la propria rovina. Il suicidio di tante scrittrici non fa forse la spia a una lacerazione profonda, come di un cuore pi첫 volte incrinato dalle pene che alla fine cede tutto d'un colpo? C'era nel malessere di queste donne artigiane, di queste dragonesse della mente, la consapevolezza di usare strumenti non propri su cui gravavano dei tab첫 rigorosi, antichissimi.Sembra facile violarli questi tab첫. La ragione lo richiede e tutti in teoria sono d'accordo che si faccia. Ma quella parte di noi che si prolunga nel passato, quei fantasmi leggeri che continuano ad abitare gli angoli bui dei nostri cervelli, si rivoltano, chiedono giustizia contro chi infrange le preistoriche regole di un dio barbuto e intollerante a cui abbiamo promesso obbedienza. Nella loro passione per l'invenzione letteraria non si sono accorte le nostre madri romanziere e poetesse che scrivere significa tenere in mano non una penna ma uno scettro, non una matita ma una spada. Lo scettro e la spada li tengono in pugno i re e i guerrieri. Quando mai le donne sono state re e guerrieri? S챙, c'챔 stata Giovanna d'Arco. Ma non per niente si diceva guidata dalla voce di Dio. Lei stessa si considerava una esecutrice. La confusione delle confusioni la crea per챵 quella faccenda curiosa che le lettrici sono sempre state pi첫 dei lettori, che gli scrittori sapevano di aprire le loro piume di pavone per un mondo di occhi languidi che decifravano con amore fino all'ultimo segno nero della pagina, chine sotto una lampada a petrolio, dentro una stanza silenziosa. Curioso, no? lettrici sempre, scrittrici mai o quasi mai. Passive anche nel luogo dello scambio intellettuale. Si gettavano loro i bocconi speziati, le eterne storie dell'amore tradito, delle gelosie, delle passioni straziate, i bisticci della vita quotidiana, tenendo per s챕 i segreti ultimi e il significato finale. È l'architetto che decide come sarà fatta la casa in cui poi abiteranno, prigioniere a vita, le madri e le figlie che si strozzeranno a vicenda con amore. Così nel mondo della letteratura chi scrive è il padre che amorevolmente porge da bere alla figlia amata i succhi della verità, della bellezza, del desiderio. Da quella testa di Giove impaziente e irsuta, abitata da solenni capricci divini e genialità creative, sono uscite le Saffo, le Austen, le Sand, le Brontë. Un piccolo corteo di donne che hanno avuto l'ardire, con la compiacenza del padre, di dire in proprio, di prendere in mano la penna, lo scettro, la lancia per buttarsi nella battaglia della sopravvivenza artistica. Ma cosa pu챵 dire di s챕, delle esperienze che ha in comune con le sorelle, le cugine, le amiche, questa donna dall'elmo che le copre la faccia, il braccio armato di scudo, la spada chiusa nel pugno? In effetti molte intellettuali hanno sentito così. L'orgoglio della propria diversità le ha spinte verso una società letteraria arrogante, condividendo spesso i suoi atteggiamenti misogini.Solo nel momento in cui si sono chinate sull'orto di casa, queste guerriere hanno istintivamente abbandonato l'elmo, la corazza, la spada. Si sono trovate, per amore di verità, a fare i conti con le proprie fantasie infantili, gli stupori e le amarezze di una adolescenza femminile, l'amore per il padre, gli scontri con la madre, l'invidia delle libertà maschili, la comune abitudine a guardare il mondo dalla finestra anziché scendere in strada ad affrontare il nemico o semplicemente a bighellonare. Che poi la scrittura, con il suo vagabondare nelle minuzie quotidiane, il suo accanirsi sulle insensatezze sempre nuove dell'amore, il suo sentimento della lingua come nutrimento, i suoi eroi di tutti i giorni, 챔 profondamente femminile e materna. Soprattutto il romanzo, legato com'챔 al senso del divenire. Non per niente Roland Barthes dice: 짬Scrivere vuol dire giocare col corpo della madre쨩. Per corpo della madre s'intende la carne e il latte di ogni lingua parlata. Ma, e qui avviene il fatto sorprendente: il linguaggio nato femmina, crescendo diventa, per un repentino rovesciamento delle parti, maschio. Mette su muscoli e peli e pretende la priorità assoluta dei suoi interessi spirituali. Così il corpo della madre che dà nutrimento e carezze si trasforma nel corpo del padre che richiede ubbidienza in cambio di sicurezza, chiede fedeltà in cambio di grandezza.A questo punto è inutile fingersi diversi, mettersi i baffi, dire che ormai tutto è cambiato, sbarazzarsi delle differenze con un'alzata di spalle. lo non ci casco, io non ci casco, diceva lei mentre era già dentro alla trappola fino ai capelli. Ma i suoi occhi guardavano fieramente lontano.I travestimenti fra l'altro servono solo per ingannare se stessi. Il mondo non si lascia imbrogliare. Tanto meno i critici. Nel mondo delle lettere nessuno mai prenderà una donna che scrive per uno «scrittore». Lo si capisce andando a cercare del materiale critico nelle biblioteche. Articoli s챙, quanti se ne vuole, ma veri e propri saggi impegnativi, veri studi approfonditi, pochissimi. Il fatto è che scrivere un saggio è come innamorarsi, anzi come prendere moglie. È difficile che un critico di prestigio voglia maritarsi con il mondo immaginario di una donna. Lo riterrebbe un matrimonio sbagliato, una mesalliance, qualcosa di cui vergognarsi. La discriminazione infatti non avviene n챕 al momento della scrittura (nessuno impedisce a una donna di scrivere salvo lei stessa), n챕 al momento del rapporto col mercato (sappiamo che le lettrici sono la maggioranza e gli editori non fanno censure, vogliono solo vendere). Il momento cruciale della selezione, il grande setaccio che si mette in moto per separare il grano dal loglio avviene dopo e sancisce il passaggio da una generazione all'altra. Saranno le antologie per le scuole, le raccolte degli scritti critici pi첫 autorevoli; saranno gli ordinamenti che mano mano vanno facendo i Grandi Sistematori che ogni generazione si sceglie a tutela dei suoi beni letterari. Saranno i professori universitari, i bibliotecari, gli storici della letteratura, i critici specializzati nelle 짬oggettive vedute d'insieme쨩 delle lettere nazionali, saranno coloro che stabiliscono le graduatorie, le rassegne, gli elenchi, le tendenze, le scuole. In questo modo ogni generazione perderà le sue intellettuali, le sue poetesse, le sue romanziere. Libere in un mercato libero sono sopportate finché sono in vita ma è difficile che siano ammesse, una volta morte, fra i grandi da onorare, da studIare, da prendere a modello. Anche quando sono presenti nelle antologie, non sono mai al centro del quadro. Il loro 챔 sempre 짬un caso쨩, 짬una eccezione쨩, 짬un fenomeno쨩 che, si suggerisce, ha dell'eccezionale. Ricordo che Pasolini credendo di farmi un complimento diceva: 짬tu non sei una donna, sei un uomo, hai la testa e il carattere di un uomo쨩. lo cercavo di fargli capire che era offensivo, ma lui non se ne convinceva. In genere insomma le scrittrici, anche le pi첫 geniali, muoiono quando muore il loro corpo. Le pochissime che si salveranno, saranno tenute l챙 come delle belle bandiere proprio per dimostrare che non esiste una discriminazione letteraria. Ma per una che sopravvive quante scompaiono ingiustamente. Alle volte bastano solo venti, trent'anni. Non si erano già perse le tracce di Anals Nin tanto per dirne una, tirata fuori per i capelli dall'oblio dalle case editrici delle donne? Cos챙 챔 successo da noi con Sibilla Aleramo, con Cristina Belgioioso, con Veronica Franco. E perfino Grazia Deledda che ha avuto il premio Nobel in vita, sta scivolando gentilmente fuori dal quadro. Chi si occupa pi첫 di lei? Una scrittrice può essere molto venduta, molto amata dalle sue lettrici, può anche ricevere qualche elogio dalla critica. Quello che le viene negato è quel prestigio che accompagna ogni grande scrittore e che provoca imitatori, scuole, tendenze e soprattutto un corpo critico con cui ogni studente dovrà poi fare i conti.
Dalla finestra mi raggiunge un mugolio prolungato. Deve essere Mulino, il cane che da quindici anni vive con me. Da giorni giace fuori dalla porta di casa sopra un cuscino verde bottiglia. Le mosche gli si posano insistenti sul muso, ma lui non le caccia nemmeno. Tiene gli occhi aperti, ma non vede. Ogni tanto si alza, cammina in tondo inseguendo una luce, un odore. È doloroso vederlo fermo immobile davanti a una parete con gli occhi sgranati, bui, come se si stesse chiedendo se quelli sono i confini ultimi del mondo. Non posso farlo entrare perch챕 챔 diventato incontinente. Fa i suoi bisogni ovunque si trovi. A Roma negli ultimi mesi mi ha fatto ammattire: passavo le giornate a pulire dove lui sporcava.Avevo finito per relegarlo nell'ingresso, coprendo il pavimento con un telo di plastica ma comunque bisognava pulire. E lui si 챔 molto offeso che l'ho escluso dalla camera da letto, da quella cuccia sotto il comodino su cui ha dormito per anni. Ho anche provato a mettergli i pannolini per i neonati, ma lui coi denti se li strappava. Gli amici mi dicono: «Perché non lo fai abbattere?». Non so perché, di una mucca, di un cane, di un orso – che pena quella orsa dello zoo che muore di infezione perché il veterinario è in ferie! – si dice abbattere. Suona alla maniera della "soluzione finale" nazista: un eufemismo che cerca di ingentilire le cose. Si dice abbattere per non dire uccidere. Un'abitudine che sta dilagando. Non si dice "operatore ecologico"per dire spazzino? non si dice "collaboratrice domestica" per dire cameriera? non si dice "non vedente" per dire cieco? Modi pretenziosi per camuffare la realtà, mascherarla e farla apparire più gradevole. Ma non per questo i ciechi smetteranno di essere ciechi, gli spazzini smetteranno di spazzare le strade, le cameriere smetteranno di pulire le case. In quanto a Mulino non lo farò abbattere. Morirà quando deve morire, da solo. Perché togliergli l'esperienza dell'agonia? Il corpo ha un modo suo, lento, profondo, di avvicinarsi alla morte. Troncare a metà questo processo mi sembra un peccato di impazienza tecnologica di fronte alle lentezze capricciose della malattia. Solo nel caso di sofferenze terribili che spingono il malato stesso a chiedere di essere «aiutato a morire» posso capirlo. Ma in quel caso ci sarà qualcuno capace di parlare, di esprimere la sua volontà, cosa che un cane non può fare. Mentre Mulino si avvia faticosamente verso la morte, un gattino minuscolo, nero come un'ala di corvo, si avvia faticosamente verso la vita. L 'ho chiamato Carbonello per il suo colore notturno. Appena nato era stato buttato nel sacco dell'immondizia. Da l챙 una mano amica l'ha tirato fuori e nutrito. Ma è rimasto un gatto minuto, dal collo di gallina, le orecchie a sventola, gli occhi gialli avidi di vita. Sa già di dovere contare solo sulle sue forze. I giochi che fa sono animati da una specie di festosa disperazione. Avendo perduto il corpo della madre, cerca calore di qua e di là cacciando la testa sotto la zampa del cane o strusciandosi contro una caviglia umana. Ma non si lascia mai andare. È vigile, comicamente vigile, con quelle orecchie protese in fuori, il collino misero, gli occhi che frugano diabolici negli angoli più nascosti. Le giornate in campagna sono scandite da tempi circolari: si sente molto di pi첫 l'alternarsi della notte e del giorno, del freddo e del caldo. Ogni evento si ripete con dolcissima monotonia, accompagnato dal canto ininterrotto, maniacale delle cicale di giorno e dei grilli di notte.La ripetizione 챔 interrotta da brevi fulminanti eventi di morte: il pastore ha ucciso un cane perch챕 abbaiava alle sue pecore, il vaccaro ha macellato tre vacche per venderne la carne, una volpe ha divorato sei galline nella casa dei vicini, il ragno dietro la finestra ha acchiappato stanotte un calabrone e ora lo avvolge nelle sue bave immobilizzandolo come una mummia. Anch'io mi sento parte di questo mangiamento generale. Non inghiotto la carne di quelle belle mucche dalle corna ampie m forma di lira che incontro nelle mie passeggiate per i boschi? Stamattina ho avuto la sorpresa di trovare un mio racconto stampato sul 짬Corriere della Sera쨩, pagina romana. Mi ha fatto uno strano effetto. Anni fa, molti, forse quindici, ricordo che avevo spedito un racconto al 짬Corriere쨩 e il direttore di allora aveva risposto: 짬Sul mio giornale non voglio n챕 froci n챕 donne쨩, Non lo disse direttamente a me ma me lo fece riferire, senza vergogna. Il racconto uscito oggi si chiama Il cavallo di A m, paro. E si ispira alla storia vera di un vecchio cavallo da circo che doveva essere 짬abbattuto쨩 e che mi 챔 stato regalato. Il testo è accompagnato da un commento critico di Antonio De Benedetti. È lui che ha fatto questa scelta di novelle per la pagina romana mescolando con intelligenza giornalistica scrittori conosciuti con intellettuali e politici che non avevano mai scritto di fantasia. De Benedetti sostiene che sono una scrittrice 짬naturalistica쨩 . «In Dacia c'è un consapevole deliberato rifiuto di quanto risulta astratto, complicato e inesplicabile. La sua prosa piana sfugge come fossero peccati le preziosità e gli arcaismi. Rifiuto assoluto e totale poi è il suo no ad ogni lirismo.» «Ma perché tutto questo?» si chiede De Benedetti. «Dietro quanto Dacia scrive c'è evidente un progetto: quello di esprimersi letteralmente esprimendo la realtà. Ma quale realtà?» E qui ripete una mia frase detta a proposito di 짬Isolina쨩, il mio ultimo libro: 짬Per me scrivere significa mettermi prima di tutto nei panni delle donne쨩. Da questo De Benedetti deduce che 짬l'affermazione vale come indicazione di metodo e di poetica: mettersi nei panni degli altri, donne e anche uomini storicamente esistenti significa accettare un'idea tutto sommato naturalistica del raccontare... significa raccontare per raccontare, appunto, attraverso delle esperienze vissute, cio챔 delle denunce, tutto quanto nel mondo non va o potrebbe andare meglio쨩. Continua....
|