Il bambino Alberto
Milano, Bompiani 1986
Intervista con Alberto Moravia e le sue sorelle -Adriana ed Elena - sulla sua infanzia e adolescenza. « Il destino di ogni intervista. L’intervistato è come un pianoforte. Il merito del suono è del pianista. Dacia mi ha suonato bene” Ha commentato Moravia
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D. A te bambino piaceva pi첫 la prima o la seconda casa?
A. Nessuna delle due. Non mi piacevano perch챕 non mi piaceva la vita familiare.
D. Per챵 ci sei vissuto fino al 1941 mi pare, in famiglia. Non 챔 una contraddizione? odiare la famiglia e restarci dentro fino al matrimonio?
A. Non avevo la forza di guadagnarmi da vivere. E neppure lo volevo. Mi premeva potermi dedicare completamente alla letteratura.
D. La tua antipatia per la famiglia comincia prestissimo. Ti ricordi in che momento 챔 cominciata e come?
A. È innata. Non sopportavo le dipendenze.
D. Economiche o psicologiche?
A. Psicologiche. Dei soldi non me ne importava niente. Per anni e armi sono stato povero. Mio padre non mi dava quasi niente. A me bastava sopravvivere. Detestavo stare a tavola con loro, sentire le prediche di mia madre, gli urli di mio padre.
D. Ma la tua antipatia va al di là dell' esperienza personale. Lo dici sempre. Cos'è per te la famiglia ora da adulto?
A. La famiglia è un nucleo sociale nel quale coabitano persone di sesso diverso nel fiore dell' età con la proibizione di desiderarsi.
D. E per te c'챔 stato un desiderio inappagato?
A. No, te l'ho detto, io ero completamente estraneo ai membri della mia famiglia.
D. Per챵 tu dici che la famiglia 챔 basata sul tab첫 dell'incesto.
A. Lo dico sempre. La famiglia 챔 basata sul tab첫 dell'incesto. E questo tab첫 pu챵 essere risolto in due modi: o con una specie di sublimazione e si ha la famiglia affettuosa in cui tutti si vogliono bene; o con la nevrosi, cio챔 la famiglia in cui tutti si vogliono male come 챔 stata rappresentata da Pirandello e dalla Compton Burnett.
D. La tua famiglia era del tipo che sublimava o che diventava nevrotica?
A. La mia famiglia non era n챕 sublimata n챕 nevrotica. Curiosamente dava soprattutto il senso del provvisorio. Pencolava semmai verso il genere nevrotico.
D. Tuo padre non dà certo l'idea di una persona felice in famiglia. E neanche tu, con la estraneità di cui parli.
A. Mio padre parlava poco, ma non credere che fosse molto diverso dagli altri padri.
D. Credi che questa estraneità fosse più comune nelle famiglie di allora o di adesso?
A. Più o meno lo stesso. La famiglia non è molto cambiata da cinquanta anni a questa parte. È cambiata dal Settecento quando i figli davano del voi ai genitori e gli baciavano la mano. La grande rivoluzione della famiglia l'ha fatta la borghesia creando il ruolo affettivo dei genitori e dei figli. Prima della borghesia i figli erano o una fonte di guadagno oppure praticamente degli estranei. Comunque quale che fosse l'età, erano considerati sempre degli adulti.
D. Ma nonostante questo silenzio e questo malessere tu eri attaccato a tuo padre. Gli volevi bene?
A. Lui non aveva rapporti con me perch챕 avrei dovuto averne io con lui? Lo guardavo. Ma non ci parlavamo che raramente.
D. E tua madre?
A. Ancora peggio. Non avevo niente in comune con lei. Con mio padre forse avrei potuto parlare, ma con lei no.
D. Quindi tu rimproveravi a tuo padre di non comunicare con te e lo ripagavi della stessa moneta. Ma era cos챙 "rustico" solo con te o con tutti?
A. Con tutti. Era brusco, impaziente, insofferente e al tempo stesso timido, incapace di esprimersi. Se la prendeva coi vetturini, con la cameriera, con mia madre, con le mie sorelle, coi clienti, con me.
D. Anche tu qualche volta sei brusco e impaziente. Ti riconosci un poco in lui?
A. Per niente. Io sono una persona sociale, che ama parlare. Lui sbuffava e basta. Io ho un rapporto di economia col tempo: faccio le cose con rapidità. Lui aveva un rapporto non di velocità ma di impazienza con la realtà. Per questo non era molto felice.
D. E non ti faceva tenerezza qualche volta questa sua infelicità?
A. Ma forse non era infelice. Io l'ho conosciuto che era già fossilizzato nelle sue abitudini. A cinquant' anni un uomo allora era già sistemato. Oltretutto a quell'epoca non si viveva così a lungo come ora. Alla sua età un uomo era già vecchio. Nel suo isolamento mio padre aveva trovato una sistemazione che gli si confaceva: viveva in famiglia ma non comunicava coi figli e con la moglie, aveva i suoi amici, il suo caffè, le sue passeggiate, i suoi quadri. Era pieno di abitudini, anche mentali. Mio padre però non soffriva dei cosiddetti mali del secolo. Era decisamente un uomo dell'Ottocento. Parlava in dialetto, e questo dimostrava una certa stabilità. Oggi soffriamo dei dolori del mondo. Mio padre, se doveva soffrire, soffriva di qualcosa di preciso, qualcosa che riguardava la sua vita quotidiana.
D. Vuoi dire che non conosceva l'angoscia?
A. Non credo. Aveva paura degli altri, questo s챙. Scappava continuamente. Cos챙 come io sono curioso degli altri, lui era schivo e impaziente con tutti. Anche con chi gli dava lavoro, non riusciva neanche a essere cortese.
D. Quindi tu sei d'accordo con tua madre che le ragioni della sua uscita dal mondo del lavoro erano dovute soprattutto al suo carattere.
A. Forse si era anche stufato di lavorare. In vita sua ha disegnato pi첫 di cento case. Allora per챵 un architetto guadagnava poco. Veniva pagato una tantum per il disegno della pianta e della facciata. Chi guadagnava veramente era il costruttore. Coi risparmi mio padre si fece quattro case che furono spartite fra di noi quando mor챙.
D. A che età è morto tuo padre?
A. A ottantadue anni, nel 1944.
D. Quando sei nato tu lui aveva quarantaquattro anni. Quando tu ne avevi dieci lui ne aveva già cinquantaquattro. Praticamente era più un nonno che un padre come età.
A. S챙, me lo ricordo sempre coi capelli bianchi. Era stato biondo. Aveva gli occhi azzurri. Ma io lo ricordo sempre bianco. E col cappello. E col bastone. Aveva tanti bastoni. Bei bastoni col manico di rinoceronte, di avorio, di pietra dura. Col bastone batteva per terra camminando, faceva volare le cicche.
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D. Hai detto che le tue materie preferite erano la storia e la geografia. Studiavi queste materie solo sui libri di scuola o imparavi anche da altre fonti?
A. Imparavo da tutti i libri che potevo leggere. Passavo delle giornate a guardare gli atlanti. Anche la collezione dei francobolli era un modo per avvicinarsi alla geografia. Le carte geografiche mi facevano sognare: quei paesi dipinti di rosa, di giallo, di verde.
D. La geografia per te significava soprattutto desiderio di viaggio o era anche curiosità politica e antropologica?
A. Era amore per i viaggi come dice Baudelaire: "Pour l'enfant amoureux des cartes et des estampes, l'univers est égal à son vaste appétit." "Ah, que le monde est grand à la clarté des lampes! aux yeux des souvenirs que le monde est petit!" (Per il bambino innamorato delle carte e delle stampe l'universo è uguale al suo vasto appetito. Ah, quanto è grande il mondo alla luce delle lampade! E com' è piccolo agli occhi del ricordo! ") Questa era la geografia per me, un sogno di viaggi infiniti.
D. Che poi hai messo in pratica perch챕 hai viaggiato sempre. Hanno conservato per te i viaggi quel sapore che avevano sognati sulle carte o sono diventati un' altra cosa?
A. Il viaggio ha conservato il suo fascino di allora. Quando parto, per qualsiasi viaggio, mi sento subito meglio.
D. E la storia che senso aveva per te da bambino? Perch챕 la amavi tanto?
A. Fino ai diciotto anni ho avuto una passione per la storia. Poi mi 챔 passata. Ero affascinato dal passato, ma un po' come oggi un ragazzino pu챵 essere incantato dai film in tecnicolor. Mi piacevano i costumi, le battaglie. Ricordo che riempivo i miei quaderni di pupazzi e questi pupazzi erano sempre vestiti in abiti Cinquecento. Non era certo una visione storica alla Manzoni. D. E il latino? Eri bravo? Cosa ti piaceva del latino?
A. Mi piaceva in maniera sensuale, la sonorità della lingua, la sua solennità. Non ero fatto per le astrazioni come la geometria e la matematica.
D. E quel Crescimanno che veniva a insegnarti il latino a casa 챔 stato importante per la tua formazione?
A. Crescimanno diceva di essere un nobile, principe di Lampedusa. Chissà se era vero. Veniva, cominciava a passeggiare su e giù per la stanza con le mani in tasca parlando rapidamente e io dovevo scrivere quello che lui diceva.
Un giorno mi fa: "Ha conservato gli appunti? Sa, potrei fame un libro." Sembrava un personaggio di Pirandello. Parlava di Sallustio, di Cesare. Si entusiasmava, non era pedestre, qualche idea originale ce l'aveva.
D. E quanta parte hanno avuto le governanti in questo tuo rapporto da autodidatta con lo studio?
A. La Durand mi ha insegnato il francese, nient'altro. Non era una donna colta.
D. E le altre?
A. In generale nessuna delle governanti era colta o si interessava particolarmente alla letteratura. Erano donne semplici, con una istruzione limitata.
D. Anche la governante polacca?
A. Anche lei. Ho provato dell'attrazione per lei ma per un tempo brevissimo, durante la convalescenza.
D. Una costante: le donne che iniziano i ragazzi all' amore nei tuoi primi libri sono donne mature e hanno molti tratti in comune con la madre.
A. Per il motivo semplice che ero talmente giovane che le mie prime esperienze amorose sono avvenute per forza con delle donne pi첫 vecchie di me. So che oggi non 챔 pi첫 cos챙 ma allora era molto difficile per non dire impossibile che un ragazzino di tredici anni trovasse una coetanea per farci l'amore.
D. Nella Disubbidienza Luca parla del corpo femminile adulto come di "una carne immensa dal succo delizioso". Ma dice anche che "ebbe il senso preciso che lei lo prendesse per mano e lo introducesse riverente in una misteriosa caverna dedicata a un rito." Anche nell'ultimo libro, L'uomo che guarda, ritorna il tema del sesso femminile visto come una divinità arcaica, minacciosa e attraente nello stesso tempo. Quasi che, come dici nella Disubbidienza: "L'amplesso gli aveva fatto provare a un tratto il desiderio forte di entrare tutto intero nel ventre della donna e rannicchiarsi in quelle tenebre calde e ricche con tutto il corpo come vi si era rannicchiato prima di nascere." E finisci col dire che la vita stessa è una "buia caverna stillante di carne materna e amorosa"... Ma la buia caverna è anche la morte. A cui Luca ha avuto paura di abbandonarsi. E solo nel momento in cui, con un atto di coraggio, decide di lasciarsi andare, ne esce vivo, pronto a rinascere. Insomma il corpo della madre ritorna sempre, come tentazione e orrore da cui fuggire. Tu dICi che tutto questo è pura invenzione di fantasia?
A. Certo. lo sono portato per talento naturale a esplorare tutti i meandri della sessualità, compresi quelli di cui non ho alcuna esperienza personale.
D. Ora passiamo alla tua malattia. Come 챔 cominciata?
A. Un giorno sono andato a una fiera di beneficenza e ho preso freddo. Quando sono tornato a casa avevo la febbre alta. Era una polmonite. Dopo qualche tempo mi alzai e ripresi la vita normale. Ma non stavo bene. Avevo dei dolori ricorrenti all' anca. E poi ogni tanto cadevo. La gamba non mi reggeva e i dolori al femore crescevano.
D. Il medico che diceva?
A. Quello 챔 il punto debole, proprio il medico, anzi i medici, perch챕 mio padre li ha consultati ma nessuno ha capito che era una forma tubercolare.
D. E tu continuavi a fare la vita normale, in casa, coi tuoi fratelli?
A. S챙, anche se da menomato. Un giorno poi stavo con mio padre in via Po e sono stato assalito da un dolore lancinante. Le gambe non mi hanno retto. Sono caduto. Mio padre mi ha lasciato l챙 su uno scalino ed 챔 corso a chiamare qualcuno che lo aiutasse a trasportarmi a casa. In quell'occasione mi fecero le lastre. Fui portato da uno specialista, un noto ortopedico. Mi disse di stare a letto che avevo il bacino storto.
D. In che modo ti curava? Solo con l'immobilità?
A. S챙, dovevo stare a letto, fermo. Ignorava il sistema della trazione che era il solo capace di guarire un caso come il mio. Una mattina poi arrivarono tre infermieri, mi torsero in fuori la gamba e me la ingessarono. La gamba si girava nel gesso provocando dolori atroci e febbre alta. Forse, il medico lo faceva apposta a prolungare la malattia per continuare a guadagnare i suoi soldi. Ma non lo so. Era un tipo all'antica, col pizzo.
D. Ma il medico di famiglia era d'accordo con lo specialista? Che diceva?
A. Il medico di famiglia si chiamava Moglie. Era un vecchio rubicondo con un vocione di catarro da gran fumatore. Ricordo il suo orecchio freddo sul petto quando mi faceva dire "trentatr챕". Aveva al massimo cinquant'anni ma a me sembrava un signore molto vecchio. Lui capiva meno ancora dello specialista. O forse non osava contraddirlo.
D. Perci챵 l'intervento della zia Amelia fu una salvezza per te.
A. Lei venne, mi vide conciato da fare pietà. Disse a mio padre che doveva liberarsi di quel torturatore e mandarmi al Codivilla. Così fu. Vennero a prendermi in autoambulanza a casa. Mi portarono alla stazione Termini. Mi introdussero tutto ingessato com' ero nel vagone letto dal finestrino. Fu una cosa che mi mise a disagio. Mio padre che non capiva niente, invece di aiutarmi, essere gentile, affettuoso, se la prendeva con gli infermieri, gridava e mi faceva stare ancora peggio.
D. Venne con te a Cortina?
A. S챙, sempre sbuffando e mostrandosi impaziente e nervoso. Viaggiare per lui era una rottura fastidiosa con le abitudini quotidiane. Fuori dalla vita di tutti i giorni diventava intollerante. Non riusciva a dominare le situazioni. Insomma era tutt'altro che paterno e protettivo. D. E poi?
A. Arrivammo a Calalzo la mattina. L챙 c'era una macchina che mi port챵 fino a Cortina d'Ampezzo. Dove mi presero, mi portarono in sala operatoria, mi tagliarono l'ingessatura e mi misero la trazione. Il dolore spar챙 immediatamente. Se l'avessi fatto all'inizio della malattia, cio챔 tre anni prima, sarei guarito subito.
D. E quanto ci sei rimasto in sanatorio?
A. Sono entrato nel marzo del 1924 e ne sono uscito nell'ottobre del 1925, un anno e mezzo dopo. A letto, con la trazione alla gamba. Al piede avevo otto chili, e due al ginocchio. Da questa trazione non potevo liberarmi, neanche per un attimo, perci챵 una delle mie paure era di morire in un incendio, bruciato vivo.
D. C'erano delle ragioni reali per questa paura, incendi vicini e possibili, materiale infiammatorio nelle vicinanze o era una fobia che veniva pi첫 da lontano?
A. C'erano eccome delle ragioni reali: il sanatorio che era stato originariamente un albergo, l'Hotel des Alpes, aveva tutte le balconate di legno.
D. Ed 챔 mai successo mentre tu eri l챙 che ci sia stato un incendio?
A. Sì, una notte è scoppiato un incendio in un cascinale proprio davanti al sanatorio. Tutti sono corsi a vedere. La gente si precipitava giù per le scale di legno. Credevo che scappassero. Sentivo i passi sulle scale e pensavo: ora il fuoco arriverà fin qui e io morirò arrosto come un tordo. Ma poi ho capito che non era il sanatorio che bruciava ma un' altra casa.
D. E come si svolgeva la vita in sanatorio?
A. C'erano tre classi al Codivilla. In prima classe si aveva la stanza da soli. In seconda si era in due e in terza si divideva la camera con molti altri. C'erano fino a dieci letti insieme.
D. Tu stavi in prima classe?
A. S챙. Pagavo di pi첫 e stavo in prima. Mio padre aveva pensato di fare bene cos챙. Ma forse sarebbe stato meglio che mi avesse messo in terza perch챕 in prima si stava soli come cani. Da principio siccome non c'era una stanza libera tutta per me, mi hanno messo per qualche tempo in seconda con un altro.
D. E chi era questo altro? Hai fatto amicizia con lui?
A. Era un viaggiatore di commercio. Volgarissimo. Che mi fece soffrire più della solitudine. D. È lui il Brambilla di cui parli in Inverno di malato?
A. S챙, 챔 lui.
D. E il personaggio di Polly, la ragazza malata di cui Girolamo si invaghisce e da cui si fa portare con il letto a rotelle, c'era nel sanatorio o 챔 una pura invenzione?
A. Polly non 챔 mai esistita. La persona da cui l'infermiere mi portava col letto 챔 un triestino col quale feci amicizia. Ho fatto un travestimento letterario.
D. "Così evidente era il disprezzo del Brambilla, così profondo il suo senso d'umiliazione che a un tratto, per la prima volta da quando era nel sanatorio, gli parve di distinguere chiaramente tutta la deformità viziata della propria persona e delle cose che faceva... quello stesso fatto di essersi abituato a considerare la malattia come uno stato normale, come un'atmosfera respirabile, gli sembrò una prova di più della propria irreparabile anormalità... Queste considerazioni lo convinsero definitivamente di essere guasto, senza rimedio..." L 'hai provato veramente questo senso di guasto irreparabile?
A. Assolutamente no. Il viaggiatore di commercio voleva sapere se avevo avuto delle esperienze sessuali e io gli raccontavo delle frottole. Ma non soffrivo affatto.
D. Inverno di malato è la storia di un cedimento alla volgarità, di un progressivo abdicare all' autostima per adeguarsi volontariamente, stoicamente all'idea spregevole che l'altro ha costruito di sé. Tu dici che Girolamo si umiliava volontariamente per non essere umiliato. Era un sentimento che chiaramente il sanatorio ti ha ispirato. Ma che parte ha avuto nella tua vita?
A. Nessuna. Erano considerazioni che facevo sulla carta su quello che avrebbe potuto essere un rapporto di mortificazione. Ma era tutto inventato.
D. In Inverno di malato c'챔 una descrizione molto precisa della vita in sanatorio. C'챔 l'incendio, la visita del professore, il rapporto con gli altri malati, l'episodio del vassoio sbattuto per terra. Un particolare: tu racconti nel breve romanzo che quando vi mettevano in terrazza a prendere il sole nudi, vi davano degli occhiali affumicati e un "pannolino per il ventre". Erano cose inventate o vere?
A. Erano cose vere, ma personaggi e situazioni erano inventati.
D. Girolamo come tu dici, "nonostante la disistima in cui lo teneva per una di quelle frequenti smentite che dà la sensibilità alla ragione sentiva per il suo compagno di stanza una profonda attrazione, quale nessun'altra persona aveva mai saputo ispirargli". Questo tema, del ribrezzo-attrazione ritorna ancora una volta, come una ossessione. Ci hai mai riflettuto?
A. No. Parafrasando Picasso dir챵: "Io non rifletto, trovo." Con questo voglio dire che l'inconscio nei miei romanzi ha molta importanza. Ma, appunto l'inconscio 챔 inconscio.
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