Dacia Maraini

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view post Posted on 24/5/2009, 20:12

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Piera e gli assassini
Milano, Rizzoli,2003



Intervista con Piera Degli Espositi
 
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Ho sognato una stazione
Milano, Laterza,2006



Conversazione con Paolo di Paolo

L'infanzia segnata dalla guerra, il desiderio di vivere ascoltando e raccontando storie, il teatro, gli incontri, i viaggi attraverso i cinque continenti, di stazione in stazione. E poi l'impegno civile, lo sguardo attento alle ingiustizie del presente: la guerra, il terrorismo, le offese ai bambini, alle donne, alla natura. Dacia Maraini parla di sé, delle tappe e delle ragioni di un lungo percorso di scrittura e di vita. Con la passione e la sensibilità che mette in gioco nei suoi romanzi e nel dialogo generoso con migliaia di lettori in tutto il mondo
 
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icon5  view post Posted on 24/5/2009, 21:13

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Crudeltà all'aria aperta


Milano, Feltrinelli 1968





Raccolta di poesie

leggi poesie....Kobe
"Chi ama la vita, passa di morte in morte," la
voce mattiniera del monaco amaranto s'insinuava
fra pareti mobili di carta e legno chiaro, in
un campo di concentramento giapponese, tu bianco
io bianca, le risaie congelate, i merli del mattino
saltellanti, "non ti chinare a ghermire il convolvolo,
esso fiorisce solo un'ora," Kobe a sud di Tokio,
fra le acque calme, le serpi grigie, il fragore
dei ranocchi, l'orizzonte intinto d'olio, noi
scivolavamo lungo la scarpata frugando, le mani
attente, fra garze insanguinate, bottiglie vuote,
carte bruciacchiate, interiora d'animali morti,
"il tempo 챔 un blocco di nubi inconsistenti,"
la voce verde opaca, minacciosa ci toccava le
orecchie nude e intirizzite, "il passato e il
presente e il futuro non sono che deboli invenzioni
di menti pragmatiste," il monaco si sollevava sui
talloni, strisciava col petto sulle stuoie, e
il nostro riso? levava gli occhi al soffitto
scolorato, le forti dita intrecciate sulle cosce,
la bocca socchiusa e arcuata, "la fame vi avrà
come la morte," la fronte bronzea, pulita, raggrinzita
le ginocchia aguzze e gelide, "finch챕 non vi
scioglierete dall' inganno dei sensi, voi," dal
ragazzo appena morto le cimici in colonna fuggivano
ordinate, bianco riso d'argento e rape gialle
ingoiate in fretta, lavavi i panni in un mastello
tu sterile mangiatore di topinambur, le mani
gonfie, il corpo rinsecchito, "tutto il male
챔 illusorio, " egli mormora, "solo le rose della
gioia contemplativa sono immobili e perfette,"
il monaco levigato e leggero ci indicava le forme
buie e simmetriche dei simulacri d'oro da cui esalava
odore di riso fermentato, di pesci secchi, di vino
di canna, era un liquido stupore il mio, e la tua
una oscura timida pena, "è vanità la vita, noi
ombre di neve sulla neve, la voce sottile usata,
le gambe incrociate, il petto vuoto e cartaceo del
monaco digiunatore, chiedevamo ad alta voce del riso
per le nostre bocche raffreddate, il corpo
dell'uomo in preghiera si sollevava sui cuscini
rossi, la faccia estasiata, "ma non sapete rinunciare,
la vita è fango, meditate, " la volontà di ribellarci
era svanita, umiliati e svuotati, della pace aspettando
il suono lento, rivolgevamo al cielo cavo e duro
uno sguardo lento e stolido, senza amore

Il Circolo Chaplin
Il Circolo Chaplin, al Biondo di via Roma
mi accompagnavi qualche volta nel buio
germogliante, a vedere Pudovkin e Renoir
poi te ne andavi, scendevi gli scalini della
Vuccer챙a, calpestando l'acqua d'olive e l'orina
c'erano lunghe discussioni se cinema 챔 arte
oppure no, tu mi stringevi il braccio e
l'aria tiepida scorreva sotto i talloni, mangiavo
una pagnotta imbottita di pesce fritto, ma
ansante e fervido lui era già li, parlo
del tuo amico Hans, sedeva accanto a me, nel buio,
i soldati bianchi sparavano sulla folla, c'era una
lunga scalinata e una donna accecata, una nera
carrozzina rotolante, Hans era un amico d'infanzia
quante volte siete andati in barca insieme
mi strisciava il ginocchio sulla coscia
a quell'ora, alle sette, l'odore del mercato
vicinissima, struggente e tribolata la infingarda
città, camminavamo noi tre, il vento palmare
africano ci ungeva di sabbia rossa, percorrevamo
tutta via Roma, fino alle Palme e poi su per
via Amerigo Amari, ti fermavi a guardare i cavalli
di bronzo del Politeama, le zampe prese nel vuoto
le criniere frangia te, ormai verdi, bucherellate
uno studente si alzava, tossiva, impallidiva
cominciava dai fratelli Lumi챔re per esporre,
ma se il cinema non 챔 arte, signori, io dico
le scarpe aguzze, fragili, le guance sudaticce
gli occhi bui, Hans aveva appoggiato una mano
sulla mia mano aperta, i soldati della corazzata
si affollavano attorno ad una coscia di maiale
esangue, vizza, brulicante di vermi, ma
tu non vedevi quello che, Hans era bello, come te
sollevava gli occhi torbidi sullo studente ingenuo
la sua mano pesante, dolce, ma tu dov'eri quando ci,
tu e io e lui passeggiavamo lungo il porto, indicavi
col dito le navi americane, ciondolanti colombe di
ferro e di vernice, il mare amoroso, macchiato di
petrolio, denso infiammato e immoto, a destra il
monte Pellegrino, mostravi a Hans la sagoma
ingombrante, funerea e dietro, là dietro, vedi
la molle poverissima città di Palermo, Hans
guardava il mio collo, io guardavo il tuo ciuffo
biondo e tu, una folla di marinai come pecore
bianche, sorde, brulicanti, fummo sparpagliati
ti ricordi? anche se sei figlia di un amico e ancora
bambina, ma cos'챔 l'amicizia, io non ci credo, era Hans
potevo contare i pori del suo naso, delicati, umidi
come boccioli, ma tu dov'eri quando, indicavi ancora
col tuo dito corto e piatto una sagoma sul mare
un gabbiano credo che strideva e poi di nuovo
Palermo sciolta e salina, lo scintillio
dei gerani rossi sui balconi, le sue labbra montagnose
di Hans voglio dire, mi succhiarono il viso, lo studente
aveva smesso di parlare, era già tardi, Hans e io
le nostre gambe accostate, tu sparivi gi첫 per le
scale viscide scansando i rifiuti del mercato
olive fradice e foglie di lattuga e baccalà
a brandelli, un persistente odore di cacio e di,
passavi sotto il cuore di Ecce Homo, esposto
e ristorato, i tuoi occhi ciechi e fulgidi
ma dov'eri quando, ti piaceva girovagare laggi첫
nel ghetto e poi lungo via Maqueda, piazza
Massimo, prendiamo un altro caff챔 Hans?
mi mettevi in mano un cannolo gonfio di ricotta
e di canditi, Hans beveva acqua pura, storceva
la bocca ai dolci, non era friulano lui? di madre
tedesca? aveva un odore fra il mento e il collo
di permanganato, adesso un altro studente si era
alzato, bruno, gracile, i mocassini di cuoio
all'inglese, l'impermeabile gettato su una spalla
se arte uguale mimesi e mimesi pi첫 catarsi
uguale rappresentazione, cinema dunque uguale
Hans rideva, avevo il polpaccio indolenzito
ma tu dov'eri, sempre a passeggiare e additare
la bellezza un po' malata del barocco siciliano?
il Serpotta, guarda, ma guarda i manierismi del,
la folla di marinai lattescenti, euforici
ci prese turbinando, mescolandosi, vociando, nel porto
palpitava la colomba USA candida, ferrigna, Hans e io
ci accoppiammo a ridosso della porta del bagno
verso l'una, l'odore del suo collo amaro e lo
sfregare della carne sulla carne, ma tu dov'eri quando
Hans e io, la paura fonda, zuccherina ti rendeva sordo
e muto, al circolo Chaplin si discuteva ancora
se cinema 챔 arte, il pesce fritto scricchiolava
sotto i denti, Hans hai fame? Palermo morbida
cariatide di gesso, reggeva sulla testa, le mani
a ombrello, un mondo inarticolato, feroce e libidinoso
tu lasciavi scorrere lo sguardo su quel corpo in parte
già disfatto, sulle sue forme tenere, agghindate a festa e ti,
Hans e io ci accoppiammo una seconda volta sul divano
del soggiorno nel pomeriggio di una domenica gommosa
tu, la faccia asciutta riflessiva, indicavi
i biancori sonnolenti, le rosse cupole, vedi
ecco l'eredità degli arabi, guarda la perfetta
simmetria di quelle forme, gli studenti adesso
battevano le mani, si aprivano le porte del Biondo
su via Roma, ma tu dov' eri e cosa guardavi con i tuoi
occhi acquosi che si posano e scivolano e non vedono
Hans e io, ma la notte era arrivata, calda, ventosa
gettai l'ultimo boccone di pesce fritto e infilai un
braccio sotto il tuo, Hans ti parlava con voce colpevole
ma tu non lo ascoltavi, tu eri già sparito, lontano
dagli inganni e dalle assurde verità umane
su una terrazza limpida e ariosa dove tutto 챔 immobile
e indolore, gli uomini sono forme pure, leggere
regolate da armoniose leggi matematiche

Villa Valguarnera
Tu credevi che la violenza fosse forza
saltellavi a piedi nudi sul pavimento di mattonelle
gialle, tu credevi che, ma 챔 fragile, labile il tuo,
inventavi giochi verbali per nascondere la paura
la tua anima di feltro, mussolina, seta cruda
nell'assolato cortile della coscienza ci siamo guardati
noi due, il caff챔 amaro indigesto del bar di via
Ruggero Settimo sul palato, tu verrai da Napoli domattina
i bianchi corpi disfatti dei libri sotto il braccio
seduto su uno scalino, le mani in tasca, non ti accorgevi
che era finita la benzina, l'inesperienza covava, ero
già pronta alla scissione, ti porterò via di qui, a Roma
ti chinavi a guardare le melanzane tagliate come fiori
e cucinate come uccelli, abbiamo abitato sul mare
a Santa Flavia e a Bagheria, culla materna, erna
don't be silly, mangia, ti mostravo le gambe tonde
muscolose, la nonna entrava molle fulgente, il cane
bianco in braccio e gli smeraldi al collo, ti prometto
che andremo tu ed io a Roma, le vene sclerotiche della
memoria indurite ostruite, lunghe mucche di sangue
ho imparato su una macchina da scrivere, te lo giuro
le spampinate rose, i gelsomini di villa Valguarnera
mi pare che forse un giorno andremo a Roma, dove la vita
챔 forma ed 챔 calore, avevi la faccia avara allora e pudica
e docile, ti divertivi con giochi venefici sofistici
adulterati, la nonna spiritualista tu la odiavi, per
la sua dieta al latte, il cagnolino bianco sul lenzuolo
gli smeraldi nelle pieghe della carne, tu spiavi la presenza
ossuta, rossastra della villa fra i carrubi di cuoio e
i limoni d'argento, c'erano dei disegni metafisici in un
cassetto, are you coming tomorrow, orrow? il trionfante contorto
albero genealogico da cui tu sparuto cavallo mongolo
eri escluso, l'avvocato Carnevale, candidato liberale
la nonna in millecento, l'ermellino digestivo sulle
spalle, la grottesca disperazione aristocratica di chi
non saprà mai di sé né dell'unguento che tinge
di nero la punta delle dita, l'avvocato 챔 entrato
ha salutato, con la mano e col petto, cara duchessa
dice, si allunga, smuore, il prezzo 챔 stato stabilito
tu verrai da Napoli domattina, Bagheria 챔 sfiatata
non sai, con i mobili dentro e l'argenteria? chiede
gli smeraldi incappucciati, la villa ora 챔 venduta, pezzo
a pezzo, i marmi, le sedie arricciolate, i quadri antichi
e noi vittime una volta dopo avere tanto, l'avvocato
Carnevale procurava voti alla DC, tu lo sapevi e
fingevi, la Sicilia ti era estranea e i suoi intrighi
ce ne andremo a Roma, dove la vita è libertà di vita
l'orgoglio furibondo e la vile passività spagnola
forestieri per te, li ignoravi, la nonna ha ottenuto
un vitalizio, tu guardavi il mare d'onice pulito
la schiena rivolta contro i morti giardini dissacrati
domattina tu verrai da Napoli e partiremo insieme

Zinnie
all' astrazione, ecco siamo arrivati
moderno padre di biscotto, non dovremmo
mai dimenticare, minuto per minuto che,
non erano zinnie quei fiori alti e ruvidi
i petali di carta, tu fumavi foglie di
ciliegio, era novembre, intorno a noi il
recinto, all'astrazione noi per paura
della verità che è nei ricordi, abbiamo
provato a mangiare anche le ghiande, i
serpenti bolliti, una sera, ti ricordi,
l'incendio della fabbrica e le bombe
di coppale contro il cielo chiaro e
consumato, a testa china sotto un tetto
di rami secchi e terra nera, avevi rubato
una cipolla, cerca di non distrarti,
la fierezza gelida ti incanta i
lineamenti, una cipolla cotta fra le
ceneri, sbarbata, trasparente, tiepida
credo che l'abbiamo divisa in due, una
metà marmorea mi riempiva il palmo
rovesciato, la guerra finirà, dicono
e la vittoria dei tedeschi, noi muti
increduli, le gambe esulcerate, i petti
cavi, noi che lo scorbuto, il vento
portava puzza di bruciato, le finestre
battevano, occhiaie senza bulbo, in una
mistica comunità giapponese, dove le
colline di giada e i sentieri di miglio,
tu non ami ripetere con me il cammino
verso il fondo dell'infanzia, lo so
che sei timido e sbadato, che chiudi
gli occhi al grido delle iene in amore
fra le risaie impellicciate, noi chini sulle
cimici, i dolci pavimenti di rafia
imputridita, se tu, se noi, una volta
liberi dalla vergogna di ricordare
erano zinnie quelle corolle aspre, dai
colori tersi e l'occhio poteva contare
i campi bianchi e gli abeti viola dietro
il filo di ferro attorcigliato, dicono che
gli alleati, in volo su Tokio e Kobe,
i vetri rotti mi caddero sulla schiena,
credevo che il mondo e io fossimo una
cosa sola, lo sfavillio delle zinnie
fin챙 con la fine dell'estate e
nell'oscurità del mio ventre assopito
una volontà d'amore, tu raccoglievi i
funghi velenosi e li bruciavi sui carboni
accesi, dicono che il Giappone 챔 vinto
che gli aerei inglesi e americani, io
continuavo a credere, come il baco nella
sua seta, come il pisello nel suo guscio
che il mondo e io in una lunga solidarietà
amorosa, ma rotti i voti e rotte le scorze
dell'uovo protettore, ero improvvisamente
sola e nuda e vergognosa di me, gli dei
dorati, l'odore dolce e acido degli
escrementi umani, intorno al tempio dove
noi, imprigionati, aspettavamo la fine
della guerra, non so se erano veramente
zinnie quei fiori irti e secchi, il mio
occhio di bambina si spalancava muto e acceso,
senza poter vedere ma pur vedendo
ciò che poi non potrà più non vedere

Non
Credevi di essere te e non badavi
che il tuo essere te era già fatto
un tondo destino sprigionatosi
dai riti e dalle giostre dei tuoi avi
credevi di inventare la tua storia
ma le ampie piazze e i vicoli affollati
del tuo chiuso carattere di uomo
le goffe costruzioni razionali
che coprono edifici medioevali
le macchine, i giardini, le terrazze
i vasti uffici, le calde vetrine,
prefabbricato mondo del tuo ceto,
tu credevi di agire ed eri agito
credevi di parlare e la tua bocca
di marmo cipollino ripeteva
nozioni e fatti e idee ricevute
le ciglia nere e il naso arricciolato
non ti appartengono perch챕, di te
non sai di non essere mai stato che
una falsa imitazione di te stesso.

Dacia Maraini - da "Crudeltà all'aria aperta"

 
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Donne mie
Torino, Einaudi 1974

Raccolta di poesie e tre poemetti


leggi poesie.....Maria
Maria non pesta i piedi degli altri
perch챕 Maria 챔 una bionda selvaggia
che venne dall'isola di Sicilia a
compiere il suo dovere maritale.
Maria fa oggi ventisette anni compiuti
e nel suo animo girondoloso c'챔 molto
vento e molto orgoglio accigliato.
Quando ero nella mia Sicilia ogni
giorno mi lavavo i capelli che ho
bellissimi e poi li stendevo sulla
finestra per essere baciati dal sole
e chi passava diceva: onore alla bellezza!
Ma io cantavo per la gloria mia e
non volevo n챕 maestri n챕 dottori,
volevo sposare Dio in persona per
ricoprire le sue nudità con la mia capigliatura.
Ma anzich챕 Dio venne il diavolo in
forma di tappezziere e voleva che
diventavo tappezziera e cucivo il
feltro e mi bucavo le dita coi suoi
aghi mortali. C'erano delle rose
nei suoi occhi e quando rideva fiorivano
allegramente, ma io non sono traditora,
e l'ho mandato via dicendo: diavolo
scatenato, anche se odori di rosa,
hai l'anima di porco e tu non sei
affatto degno dei miei capelli d'oro.
Mia madre la santa pecorara 챔 morta
come una vipera schiacciata sulla
testa dalla ruota pi첫 grande di un
autocarro americano. Mio padre che
챔 schizzinoso non volle pia mangiare.
Piangeva, ma no con gli occhi, dentro
i pantaloni, diventava magro di dolore
che perfino le galline gli beccavano
sulle scarpe senza rispetto e i vicini
lo adducevano malamente. Finalmente
lavorai nei servizi e mangiavo pane
e fiele per l'orgoglio mio che supplicava.
Potevo servire Dio, non gli usurai di Palermo
nelle loro famiglie ammantate di cannella.
L'orgoglio mio nasceva nei capelli che
a crocchia o a treccia scoppiavano sempre
come stelle filanti e al mercato dicevano:
guarda Maria la fata come si inzeppa
e morirà scannata. Proprio in quei
giorni il mio padrone sal챙 nella
camera per impossessarmi e io non
volendo and챵 a spiaccicare il seme
suo sui vetri della finestra chiusa
con bestemmie d'amore e di struggimenti.
Il giorno dopo venne su la padrona
e mi disse: spogliati Maria che
voglio confrontare il tuo corpo con
il mio. Mi spogliai per ubbidienza
e perch챕 io pensai che le donne non
hanno malintenzionamento del sesso.
E invece quanno fummo spogliate
la bella orchidea mi tocc챵 il petto
con le mani e mi disse: guarda questo
챔 miele di Dio, strisciando un dito
lungo la dolcezza del mio ventre.
Pregai il Signore in ginocchio
piangendo e scappai via di casa la
mattina dopo con un sacco bianco
di penitenza pieno di gioielli e
argenteria trafugata: forse fu il
diavolo forse fu il Signore, non
lo seppi allora e non lo so ancora,
mi disse in un orecchio: porta via
ogni bene loro per punizione, Maria per
punizione della loro lubricità. Vissi
di nascosto da una amica a Marsala. vendetti
pezzo a pezzo tutte le mie ricchezze
guadagnate col disprezzo della lussuria.
La sera al tramonto mi lavavo i capelli
e li stendevo al balcone, goccia a goccia
perch챕 tutti dicessero: Maria la bella!
Ma Marsala 챔 lenta e sciocca e nessuno
mi guardava n챕 mi parlava e la mia amica
poi mor챙 di crepacuore per un
cretino dalle gambe corte e il naso
gonfio e mi lasci챵 per strada senza
amicizia e senza soldi, con tanti dolori.
Fu proprio alla stazione che incontrai
l'Arcangelo Gabriele. Era vestito a
lutto e sopra gli occhi teneva un paio
di lenti affumicate dietro a cui le pupille
erano di fuoco. Aveva pure un bell'anello
d'oro al dito e due scarpe lustre e nuove,
che camminando facevano patatrac. Mi innamorai
di botto e caddi ai suoi piedi e gli bagnai
di lagrime la scarpa specchiante e fredda
e lui forse ebbe pena forse amore, mi disse:
chi sei tu bionda sicilia e dove vuoi partire?
Gli detti subito il mio cuore in donazione
ardente e lui, da gran signore, lo butt챵 via,
sorridendo graziosamente coi suoi cento denti
d'argento. Ma io glielo lasciai e pronta ero a
seguirlo a quattro zampe per tutta l'Italia
il mio arcangelo Gabriele dalle lenti affumicate.
Ci amammo per una notte di gioia in un
albergo accanto a cortei di principi e di
dragoni, con magnolie sul letto e grappoli
d'uva che gli schiacciavo sulle palpebre.
Il mio arcangelo, il mio regale consorte
era ebbro di noia e io deliravo selvaggia
senza pudore n챕 onore sopra un lenzuolo
di anice, astringendo il suo corpo
inviolato e puro come una statua di
cera indurita dal gelo dei miei baci impauriti.
L'indomani mattina era già finito e
l'arcangelo vol챵 nei suoi candori
e io affacciai i miei capelli attorcigliati
perch챕 respirassero un poco al sole,
ma la pace era finita e adesso dopo la
contentezza veniva la tristezza nera.
Solo quell'arcangelo Iddio mi mand챵
per assaporare cos'챔 il fulgore e
poi dannarmi tutta la vita e ricercarlo.
Venni a Roma dietro invito di una
dama altolocata come serviziante a
domicilio e dormii e mangiai tre anni
smarriti di cui ricordo solo il sapore
del rabarbaro contro la costipazione.
Venne un isolano, un cane rognoso, nero
ispido, robusto. Mi seguiva di giorno,
mi aspettava di notte, per mesi e mesi.
Non vedevo che il suo corpo tozzo e le
sue mani da scimmia aspettarmi pazienti.
Mi piaceva di lui che non parlava; mi
guardava soltanto e faceva parlare gli
occhi di lupo affamato e quelle mani nere
che volevano carezzarmi e poi affogarmi.
Quel silenzio mi fece comprendere che
non era un servo del diavolo e neanche
un impostore. Un siciliano come me, senza
talento ma pieno di orgoglio e vendicativo
che aspettava un cenno di Dio per buttarsi
a mangiare carne d'uomo o per placarsi per
sempre come un pesce morto, tranquillissimo
e puzzolente. Con questo barbaro mi sono
unita nella santità del matrimonio per
ubbidienza al Signore senza amore alcuno.
Mi furono regalati: un frigorifero da venti
litri, un com챵 francese di legno stagionato,
un televisore a tredici pollici, un servizio
di cristalleria di Standa e un letto a due piazze.
Mi fu dato il benservito e pure la buonuscita,
perch챕 ero stata una donna onesta e fiera
e i signori mi tenevano in palmo di mano,
come una figlia. La bocca mia ringraziava
allietata e vana. Solo i capelli miei
piangevano e si coprivano di ragni
polverosi. L'oro dei miei capelli 챔 morto
con questo matrimonio, in una notte sola
di tormento. Il marito mio non accett챵
che io ero stata con un altro e mi cacci챵
come un cane dentro la strada piovosa.
Camminai, mi ammalai, fui messa in ospedale
e per un mese feci sogni di giardini d'acqua
dove io galleggiavo serenamente mentre che
i miei capelli si riempivano di scintille
e volavano verso l'amore mio il quale avanzava
a passi di cammello. Era vestito a lutto
e portava gli occhiali scuri; lo vedevo
nell'atto di spezzarmi il cuore con due
dita per poi gettarlo via con noncuranza
assassina. Quando mi svegliai nella fleboclisi
mi trovai accanto quel grugno barbaro
di mio marito l'avaro e ci sputai in
faccia per concepimento di odio giusto.
Ma pi첫 io l'odiavo e pi첫 lui mi amava
e lavorava mattina e sera e notte per
potermi comprare la carne tenera e il
prosciutto di porco giovane e il burro di latte
e il vino di Barbera. Mi lavava i capelli
in una tinozza con le sue lagrime e poi
li asciugava col suo fiato e finch챕
tornai a fiorire e ingrossare non mi
torment챵 mai un istante. Poi nacque il
figlio nostro che si chiama Salvato
perché fu salvato dalla malvagità del
mondo facendogli una fattura di erbe
gialle e fegato di rana e olio santo
poco dopo che nacque sul ventre nudo
di sua madre da una mammana che per
questo si prese otto mila lire sane.
Il marito mio non 챔 cattivo, quando
trova lavoro fa pure il suo dovere e mi
ama veramente come una moglie ma 챔 scontroso
e quando mi vede ridere mi abbastona.
Io credo che morir챵 presto perch챕 quando
mi hanno aperto il petto hanno trovato
le mie viscere che buttavano boccioli
allegramente e perci챵 credo che ho
la vita segnata, forse qualche anno forse
di pi첫. Non mi dispiace di lasciate il
figlio e neanche mio marito. Mi dispiace
per il mondo che è profondo e dà
molto da pensare. Mi addolora di portare
questi miei capelli belli dentro una tomba.
Perci챵 anzi ho pensato di farmeli tagliare
come un soldato e di venderli, forse anche
una diecina di mila lire ne sarei contenta.
L'unico dubbio 챔: se poi finisce il mondo
e suonano le trombe fiammanti nella
valle di Gerico, potr챵 andare incontro
al mio arcangelo Gabriele dagli occhiali
affumicati con i capelli rapati a tavolaccio?

Dacia Maraini - Da "Donne mie"

 
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Mangiami pure
Torino, Einaudi 1978


Raccolta di poesie


leggi poesie.......va bene, mangiami pure
va bene, mangiami pure 챔 troppo
lungo il tempo della resurrezione
intanto la gioia invecchia
siamo andati a teatro
mi sono disamorata delle parole
quante volte abbiamo sceso le scale
per raggiungere il palcoscenico-tana
le impennate delle luci il guizzo degli
occhi stanchi, come vuoi strozzami pure
챔 buio dentro la stanza dei baci
la polizia ha sparato candelotti infuocati
Ci siamo messe a correre
donne dalle gonne lunghe le calze
colorate i denti allegri
non posso pi첫 sbucciare patate
la mia lingua 챔 marcita dentro la bocca,
va bene strappami pure le viscere, 챔 velenoso
il fungo che mi dai ogni mattina
per colazione ci vediamo al bar
usa il telefono per chiamarmi
non metter ti le calze corte
rifatti il letto tira su le coperte
mi amerai ancora domani?
le tue mani diventano pi첫 lente
pi첫 in sicure ora ci sdraiamo
hai già ingoiato il caffelatte
che sa di cloro, la polizia
carica le donne che affollano la piazza
hai mai provato il dolore di una testa
di figlio che ti squarcia l'utero
due mani di gomma che tirano la vita
dal tuo grembo sanguinante?
ci abbracciamo furiose sotto le stelle nude
figlie con figlie il giorno dell'impero americano
ho finito il caffelatte, ti sei addormentato?
sei il mio amante nemico da cui attingo
il succo della sessualità settembrina
sul sedile di plastica abbracciati
le maglie arrotolate contro la schiena nuda
non ho altro che questi occhi per guardare
te e il mondo fuori dal finestrino appannato
andiamo a teatro mi duole il fianco
forse stasera le parole prenderanno fuoco
l'uccello notturno che sguscia dalla giacca
di feltro marrone so già che il vino
diventerà aceto nella tua bocca gelosa,
facciamo un giro tondo di sfida mentre
la gente alla finestra ci urla improperi
stiamo pestando sotto gli zoccoli le teste
delle mamme che ci aspettano spiando
dietro le persiane stiamo pestando i cuori
dei padri che ci prendono sulle ginocchia e
ci cantano la canzone dell'amore eterno
mangiamo pane e salsiccia sotto un
cielo denso e bruno che ci promette
ottocento colpi di manganello va bene
ingoiami pure ti dico grazie addio

ti ho ucciso venti volte
a che pensi le ciglia spiegazzate
il sorriso di creta agli angoli della bocca
togliti le scarpe mettiti a sedere
sul letto domani ci saluteremo
abbiamo fatto un giro sui tetti
allegramente bevendo Pernod
in quelle calde mattinate tropicali
ma perch챕 i sentimenti muoiono
e la carne diventa flaccida
ti ho ucciso venti volte
dentro il letto di notte
senza scalfire i tuoi sogni laboriosi
il tuo russare quieto mi dava pace
ora leggiamo il giornale
c'챔 un terremoto in Romania
dei deputati si ficcano le
dita negli occhi per una corruzione
che li lega mani e piedi
vecchie volgarità di santi bardati a festa
occhi mafiosi lingue nere serafiche
l'ostia scintilla sopra le giacche a doppiopetto
non hai pi첫 tenerezza
ma la tenerezza 챔 delle donne mi dici
la maternità la pace il latte la terra
luoghi comuni che ci portiamo in spalle
come bisacce cariche di buonsenso contadino
prestami sorella i fiori della tua gonna
lasciati toccare i capelli di fuoco
sei cos챙 bionda e gioiosa
il corpo delle donne 챔 fatto di sangue di impulsi di ira
non 챔 vero che sa solo cantare tristemente
e fasciare ferite e allattare bambini
sa anche piantare un coltello
fra le costole con mano di ghiaccio
e sputare parole di pietra
e intrecciare le liane dei pensieri
e scavare un buco nella terra del potere
per piantarci una bomba di puro ossigeno
il mio amore ha la bocca piena di parole ragionevoli
mi posa una mano sull' occhio
per fermare il mio sguardo nemico
a che pensi? non ho pi첫 fiato nella testa
togliamoci le scarpe stendiamoci
sulle coperte hai un buon odore
di rose secche e capelli lavati
pieghi meticolosamente i pantaloni
sullo schienale della sedia
forse ti uccider챵 ancora
una notte vilmente di spalle
ascoltando il ronzio delle vespe
contro il vetro della finestra socchiusa.

ricamare, tu dici
챔 il mio modo di essere donna
stringere una cipolla cruda
nel palmo della mano
sentire col filo delle dita
l'orlo della tavola
i contorni della stanza
in cui sono chiusa da secoli
ricamo nella quiete della mia testa ariosa
i fili dei pensieri
e ne faccio delle foglie aguzze
dei fiori rotondi
filtro le idee attraverso
la tela di ragno
che mi avvolge il cervello
fino a che punto
la magia della sottomissione
l'incanto del silenzio
mi fanno forte e furiosa
fino a che punto mi fanno debole
ed esposta,
vogliamo ricamare insieme?

챔 durato poco
챔 durato cos챙 poco
ti ricordi
la tovaglia a fiori rossi
il bicchiere che sapeva d'uovo
l'acquazzone improvviso
i campi arruffati e vetrosi
gli archi di pietra serena
il giornale sulla testa
ingoiavi frutti di mare gonfi di pomodoro
il fango dentro le scarpe di tela
l'odore aspro di menta pestata
il nostro abbracciarci insaziabile
la lite nell'ascensore
la buccia di cocomero sul davanzale
ti ricordi
il fresco delle lenzuola
la finestra aveva una cresta di stelle arancioni
soffrivo di mal di pancia
la tua testa di ragazzo mi pesava sul petto
ti ricordi
챔 durato cos챙 poco
ma dura ancora

corre il cuore
corre il cuore senza amore
brucia la pancia senza fuoco
piangono gli occhi senza lagrime
camminano le scarpe senza piedi
mi lego una bella cintura alla vita
mangio ciliegie stesa su una stuoia
una fila di mattonelle bianche
e le impronte di un gatto
se ti amassi ancora non correrei
se avessi mal di pancia non brucerei
se piangessi non lagrimerei
se camminassi non starei ferma
mangio ciliegie seduta su un gradino
e penso a te che non pensi a me

una testa di medusa
una testa di medusa
il seno mutilato la giacca sulla sedia
una piatto sporco nel lavello
un libro aperto le cinque dita unte di grasso
chiudo gli occhi
immagino di nuotare
la veranda butterata le aiole deserte
l'intoppo 챔 qui in questo piatto sporco
nello scaffale laccato
una fila di bicchieri diseguali
tredici anni di abitudini casalinghe
le vene gonfie di esperienze callose appiccicose
una testa di medusa la giacca sulla sedia
ho mangiato troppi falli di zucchero
ho bevuto troppe gassose di sangue
ho camminato lungo mattonelle spaiate
in quiete giornate di lampadine nude
ho scritto migliaia di parole senza coda
il mio passato di cruda vivanda
챔 tutto qui in questo piatto fondo
che affoga lentamente nel lavello di ghisa
bianco cielo contro bianco sapone
immagino di nuotare
voglio tornare indietro
verso l'allegria del futuro
la mia faccia 챔 segnata dalle
ombre fonde della memoria
la mia passione si riflette storta
in questo piatto immerso
nei liquidi acrilici inquinati dal vuoto

Dacia Maraini - Da "Donne mie"





Edited by birillino8 - 25/5/2009, 23:47
 
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view post Posted on 25/5/2009, 13:26

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Il bambino Alberto
Milano, Bompiani 1986



Intervista con Alberto Moravia e le sue sorelle -Adriana ed Elena - sulla sua infanzia e adolescenza. « Il destino di ogni intervista. L’intervistato è come un pianoforte. Il merito del suono è del pianista. Dacia mi ha suonato bene” Ha commentato Moravia

leggi brano....[…]

D. A te bambino piaceva pi첫 la prima o la seconda casa?
A. Nessuna delle due. Non mi piacevano perch챕 non mi piaceva la vita familiare.
D. Per챵 ci sei vissuto fino al 1941 mi pare, in famiglia. Non 챔 una contraddizione? odiare la famiglia e restarci dentro fino al matrimonio?
A. Non avevo la forza di guadagnarmi da vivere. E neppure lo volevo. Mi premeva potermi dedicare completamente alla letteratura.
D. La tua antipatia per la famiglia comincia prestissimo. Ti ricordi in che momento 챔 cominciata e come?
A. È innata. Non sopportavo le dipendenze.
D. Economiche o psicologiche?
A. Psicologiche. Dei soldi non me ne importava niente. Per anni e armi sono stato povero. Mio padre non mi dava quasi niente. A me bastava sopravvivere. Detestavo stare a tavola con loro, sentire le prediche di mia madre, gli urli di mio padre.
D. Ma la tua antipatia va al di là dell' esperienza personale. Lo dici sempre. Cos'è per te la famiglia ora da adulto?
A. La famiglia è un nucleo sociale nel quale coabitano persone di sesso diverso nel fiore dell' età con la proibizione di desiderarsi.
D. E per te c'챔 stato un desiderio inappagato?
A. No, te l'ho detto, io ero completamente estraneo ai membri della mia famiglia.
D. Per챵 tu dici che la famiglia 챔 basata sul tab첫 dell'incesto.
A. Lo dico sempre. La famiglia 챔 basata sul tab첫 dell'incesto. E questo tab첫 pu챵 essere risolto in due modi: o con una specie di sublimazione e si ha la famiglia affettuosa in cui tutti si vogliono bene; o con la nevrosi, cio챔 la famiglia in cui tutti si vogliono male come 챔 stata rappresentata da Pirandello e dalla Compton Burnett.
D. La tua famiglia era del tipo che sublimava o che diventava nevrotica?
A. La mia famiglia non era n챕 sublimata n챕 nevrotica. Curiosamente dava soprattutto il senso del provvisorio. Pencolava semmai verso il genere nevrotico.
D. Tuo padre non dà certo l'idea di una persona felice in famiglia. E neanche tu, con la estraneità di cui parli.
A. Mio padre parlava poco, ma non credere che fosse molto diverso dagli altri padri.
D. Credi che questa estraneità fosse più comune nelle famiglie di allora o di adesso?
A. Più o meno lo stesso. La famiglia non è molto cambiata da cinquanta anni a questa parte. È cambiata dal Settecento quando i figli davano del voi ai genitori e gli baciavano la mano. La grande rivoluzione della famiglia l'ha fatta la borghesia creando il ruolo affettivo dei genitori e dei figli. Prima della borghesia i figli erano o una fonte di guadagno oppure praticamente degli estranei. Comunque quale che fosse l'età, erano considerati sempre degli adulti.
D. Ma nonostante questo silenzio e questo malessere tu eri attaccato a tuo padre. Gli volevi bene?
A. Lui non aveva rapporti con me perch챕 avrei dovuto averne io con lui? Lo guardavo. Ma non ci parlavamo che raramente.
D. E tua madre?
A. Ancora peggio. Non avevo niente in comune con lei. Con mio padre forse avrei potuto parlare, ma con lei no.
D. Quindi tu rimproveravi a tuo padre di non comunicare con te e lo ripagavi della stessa moneta. Ma era cos챙 "rustico" solo con te o con tutti?
A. Con tutti. Era brusco, impaziente, insofferente e al tempo stesso timido, incapace di esprimersi. Se la prendeva coi vetturini, con la cameriera, con mia madre, con le mie sorelle, coi clienti, con me.
D. Anche tu qualche volta sei brusco e impaziente. Ti riconosci un poco in lui?
A. Per niente. Io sono una persona sociale, che ama parlare. Lui sbuffava e basta. Io ho un rapporto di economia col tempo: faccio le cose con rapidità. Lui aveva un rapporto non di velocità ma di impazienza con la realtà. Per questo non era molto felice.
D. E non ti faceva tenerezza qualche volta questa sua infelicità?
A. Ma forse non era infelice. Io l'ho conosciuto che era già fossilizzato nelle sue abitudini. A cinquant' anni un uomo allora era già sistemato. Oltretutto a quell'epoca non si viveva così a lungo come ora. Alla sua età un uomo era già vecchio. Nel suo isolamento mio padre aveva trovato una sistemazione che gli si confaceva: viveva in famiglia ma non comunicava coi figli e con la moglie, aveva i suoi amici, il suo caffè, le sue passeggiate, i suoi quadri. Era pieno di abitudini, anche mentali. Mio padre però non soffriva dei cosiddetti mali del secolo. Era decisamente un uomo dell'Ottocento. Parlava in dialetto, e questo dimostrava una certa stabilità. Oggi soffriamo dei dolori del mondo. Mio padre, se doveva soffrire, soffriva di qualcosa di preciso, qualcosa che riguardava la sua vita quotidiana.
D. Vuoi dire che non conosceva l'angoscia?
A. Non credo. Aveva paura degli altri, questo s챙. Scappava continuamente. Cos챙 come io sono curioso degli altri, lui era schivo e impaziente con tutti. Anche con chi gli dava lavoro, non riusciva neanche a essere cortese.
D. Quindi tu sei d'accordo con tua madre che le ragioni della sua uscita dal mondo del lavoro erano dovute soprattutto al suo carattere.
A. Forse si era anche stufato di lavorare. In vita sua ha disegnato pi첫 di cento case. Allora per챵 un architetto guadagnava poco. Veniva pagato una tantum per il disegno della pianta e della facciata. Chi guadagnava veramente era il costruttore. Coi risparmi mio padre si fece quattro case che furono spartite fra di noi quando mor챙.
D. A che età è morto tuo padre?
A. A ottantadue anni, nel 1944.
D. Quando sei nato tu lui aveva quarantaquattro anni. Quando tu ne avevi dieci lui ne aveva già cinquantaquattro. Praticamente era più un nonno che un padre come età.
A. S챙, me lo ricordo sempre coi capelli bianchi. Era stato biondo. Aveva gli occhi azzurri. Ma io lo ricordo sempre bianco. E col cappello. E col bastone. Aveva tanti bastoni. Bei bastoni col manico di rinoceronte, di avorio, di pietra dura. Col bastone batteva per terra camminando, faceva volare le cicche.

[…]

D. Hai detto che le tue materie preferite erano la storia e la geografia. Studiavi queste materie solo sui libri di scuola o imparavi anche da altre fonti?
A. Imparavo da tutti i libri che potevo leggere. Passavo delle giornate a guardare gli atlanti. Anche la collezione dei francobolli era un modo per avvicinarsi alla geografia. Le carte geografiche mi facevano sognare: quei paesi dipinti di rosa, di giallo, di verde.
D. La geografia per te significava soprattutto desiderio di viaggio o era anche curiosità politica e antropologica?
A. Era amore per i viaggi come dice Baudelaire: "Pour l'enfant amoureux des cartes et des estampes, l'univers est égal à son vaste appétit." "Ah, que le monde est grand à la clarté des lampes! aux yeux des souvenirs que le monde est petit!" (Per il bambino innamorato delle carte e delle stampe l'universo è uguale al suo vasto appetito. Ah, quanto è grande il mondo alla luce delle lampade! E com' è piccolo agli occhi del ricordo! ") Questa era la geografia per me, un sogno di viaggi infiniti.
D. Che poi hai messo in pratica perch챕 hai viaggiato sempre. Hanno conservato per te i viaggi quel sapore che avevano sognati sulle carte o sono diventati un' altra cosa?
A. Il viaggio ha conservato il suo fascino di allora. Quando parto, per qualsiasi viaggio, mi sento subito meglio.
D. E la storia che senso aveva per te da bambino? Perch챕 la amavi tanto?
A. Fino ai diciotto anni ho avuto una passione per la storia. Poi mi 챔 passata. Ero affascinato dal passato, ma un po' come oggi un ragazzino pu챵 essere incantato dai film in tecnicolor. Mi piacevano i costumi, le battaglie. Ricordo che riempivo i miei quaderni di pupazzi e questi pupazzi erano sempre vestiti in abiti Cinquecento. Non era certo una visione storica alla Manzoni. D. E il latino? Eri bravo? Cosa ti piaceva del latino?
A. Mi piaceva in maniera sensuale, la sonorità della lingua, la sua solennità. Non ero fatto per le astrazioni come la geometria e la matematica.
D. E quel Crescimanno che veniva a insegnarti il latino a casa 챔 stato importante per la tua formazione?
A. Crescimanno diceva di essere un nobile, principe di Lampedusa. Chissà se era vero. Veniva, cominciava a passeggiare su e giù per la stanza con le mani in tasca parlando rapidamente e io dovevo scrivere quello che lui diceva.
Un giorno mi fa: "Ha conservato gli appunti? Sa, potrei fame un libro." Sembrava un personaggio di Pirandello. Parlava di Sallustio, di Cesare. Si entusiasmava, non era pedestre, qualche idea originale ce l'aveva.
D. E quanta parte hanno avuto le governanti in questo tuo rapporto da autodidatta con lo studio?
A. La Durand mi ha insegnato il francese, nient'altro. Non era una donna colta.
D. E le altre?
A. In generale nessuna delle governanti era colta o si interessava particolarmente alla letteratura. Erano donne semplici, con una istruzione limitata.
D. Anche la governante polacca?
A. Anche lei. Ho provato dell'attrazione per lei ma per un tempo brevissimo, durante la convalescenza.
D. Una costante: le donne che iniziano i ragazzi all' amore nei tuoi primi libri sono donne mature e hanno molti tratti in comune con la madre.
A. Per il motivo semplice che ero talmente giovane che le mie prime esperienze amorose sono avvenute per forza con delle donne pi첫 vecchie di me. So che oggi non 챔 pi첫 cos챙 ma allora era molto difficile per non dire impossibile che un ragazzino di tredici anni trovasse una coetanea per farci l'amore.
D. Nella Disubbidienza Luca parla del corpo femminile adulto come di "una carne immensa dal succo delizioso". Ma dice anche che "ebbe il senso preciso che lei lo prendesse per mano e lo introducesse riverente in una misteriosa caverna dedicata a un rito." Anche nell'ultimo libro, L'uomo che guarda, ritorna il tema del sesso femminile visto come una divinità arcaica, minacciosa e attraente nello stesso tempo. Quasi che, come dici nella Disubbidienza: "L'amplesso gli aveva fatto provare a un tratto il desiderio forte di entrare tutto intero nel ventre della donna e rannicchiarsi in quelle tenebre calde e ricche con tutto il corpo come vi si era rannicchiato prima di nascere." E finisci col dire che la vita stessa è una "buia caverna stillante di carne materna e amorosa"... Ma la buia caverna è anche la morte. A cui Luca ha avuto paura di abbandonarsi. E solo nel momento in cui, con un atto di coraggio, decide di lasciarsi andare, ne esce vivo, pronto a rinascere. Insomma il corpo della madre ritorna sempre, come tentazione e orrore da cui fuggire. Tu dICi che tutto questo è pura invenzione di fantasia?
A. Certo. lo sono portato per talento naturale a esplorare tutti i meandri della sessualità, compresi quelli di cui non ho alcuna esperienza personale.
D. Ora passiamo alla tua malattia. Come 챔 cominciata?
A. Un giorno sono andato a una fiera di beneficenza e ho preso freddo. Quando sono tornato a casa avevo la febbre alta. Era una polmonite. Dopo qualche tempo mi alzai e ripresi la vita normale. Ma non stavo bene. Avevo dei dolori ricorrenti all' anca. E poi ogni tanto cadevo. La gamba non mi reggeva e i dolori al femore crescevano.
D. Il medico che diceva?
A. Quello 챔 il punto debole, proprio il medico, anzi i medici, perch챕 mio padre li ha consultati ma nessuno ha capito che era una forma tubercolare.
D. E tu continuavi a fare la vita normale, in casa, coi tuoi fratelli?
A. S챙, anche se da menomato. Un giorno poi stavo con mio padre in via Po e sono stato assalito da un dolore lancinante. Le gambe non mi hanno retto. Sono caduto. Mio padre mi ha lasciato l챙 su uno scalino ed 챔 corso a chiamare qualcuno che lo aiutasse a trasportarmi a casa. In quell'occasione mi fecero le lastre. Fui portato da uno specialista, un noto ortopedico. Mi disse di stare a letto che avevo il bacino storto.
D. In che modo ti curava? Solo con l'immobilità?
A. S챙, dovevo stare a letto, fermo. Ignorava il sistema della trazione che era il solo capace di guarire un caso come il mio. Una mattina poi arrivarono tre infermieri, mi torsero in fuori la gamba e me la ingessarono. La gamba si girava nel gesso provocando dolori atroci e febbre alta. Forse, il medico lo faceva apposta a prolungare la malattia per continuare a guadagnare i suoi soldi. Ma non lo so. Era un tipo all'antica, col pizzo.
D. Ma il medico di famiglia era d'accordo con lo specialista? Che diceva?
A. Il medico di famiglia si chiamava Moglie. Era un vecchio rubicondo con un vocione di catarro da gran fumatore. Ricordo il suo orecchio freddo sul petto quando mi faceva dire "trentatr챕". Aveva al massimo cinquant'anni ma a me sembrava un signore molto vecchio. Lui capiva meno ancora dello specialista. O forse non osava contraddirlo.
D. Perci챵 l'intervento della zia Amelia fu una salvezza per te.
A. Lei venne, mi vide conciato da fare pietà. Disse a mio padre che doveva liberarsi di quel torturatore e mandarmi al Codivilla. Così fu. Vennero a prendermi in autoambulanza a casa. Mi portarono alla stazione Termini. Mi introdussero tutto ingessato com' ero nel vagone letto dal finestrino. Fu una cosa che mi mise a disagio. Mio padre che non capiva niente, invece di aiutarmi, essere gentile, affettuoso, se la prendeva con gli infermieri, gridava e mi faceva stare ancora peggio.
D. Venne con te a Cortina?
A. S챙, sempre sbuffando e mostrandosi impaziente e nervoso. Viaggiare per lui era una rottura fastidiosa con le abitudini quotidiane. Fuori dalla vita di tutti i giorni diventava intollerante. Non riusciva a dominare le situazioni. Insomma era tutt'altro che paterno e protettivo. D. E poi?
A. Arrivammo a Calalzo la mattina. L챙 c'era una macchina che mi port챵 fino a Cortina d'Ampezzo. Dove mi presero, mi portarono in sala operatoria, mi tagliarono l'ingessatura e mi misero la trazione. Il dolore spar챙 immediatamente. Se l'avessi fatto all'inizio della malattia, cio챔 tre anni prima, sarei guarito subito.
D. E quanto ci sei rimasto in sanatorio?
A. Sono entrato nel marzo del 1924 e ne sono uscito nell'ottobre del 1925, un anno e mezzo dopo. A letto, con la trazione alla gamba. Al piede avevo otto chili, e due al ginocchio. Da questa trazione non potevo liberarmi, neanche per un attimo, perci챵 una delle mie paure era di morire in un incendio, bruciato vivo.
D. C'erano delle ragioni reali per questa paura, incendi vicini e possibili, materiale infiammatorio nelle vicinanze o era una fobia che veniva pi첫 da lontano?
A. C'erano eccome delle ragioni reali: il sanatorio che era stato originariamente un albergo, l'Hotel des Alpes, aveva tutte le balconate di legno.
D. Ed 챔 mai successo mentre tu eri l챙 che ci sia stato un incendio?
A. Sì, una notte è scoppiato un incendio in un cascinale proprio davanti al sanatorio. Tutti sono corsi a vedere. La gente si precipitava giù per le scale di legno. Credevo che scappassero. Sentivo i passi sulle scale e pensavo: ora il fuoco arriverà fin qui e io morirò arrosto come un tordo. Ma poi ho capito che non era il sanatorio che bruciava ma un' altra casa.
D. E come si svolgeva la vita in sanatorio?
A. C'erano tre classi al Codivilla. In prima classe si aveva la stanza da soli. In seconda si era in due e in terza si divideva la camera con molti altri. C'erano fino a dieci letti insieme.
D. Tu stavi in prima classe?
A. S챙. Pagavo di pi첫 e stavo in prima. Mio padre aveva pensato di fare bene cos챙. Ma forse sarebbe stato meglio che mi avesse messo in terza perch챕 in prima si stava soli come cani. Da principio siccome non c'era una stanza libera tutta per me, mi hanno messo per qualche tempo in seconda con un altro.
D. E chi era questo altro? Hai fatto amicizia con lui?
A. Era un viaggiatore di commercio. Volgarissimo. Che mi fece soffrire più della solitudine. D. È lui il Brambilla di cui parli in Inverno di malato?
A. S챙, 챔 lui.
D. E il personaggio di Polly, la ragazza malata di cui Girolamo si invaghisce e da cui si fa portare con il letto a rotelle, c'era nel sanatorio o 챔 una pura invenzione?
A. Polly non 챔 mai esistita. La persona da cui l'infermiere mi portava col letto 챔 un triestino col quale feci amicizia. Ho fatto un travestimento letterario.
D. "Così evidente era il disprezzo del Brambilla, così profondo il suo senso d'umiliazione che a un tratto, per la prima volta da quando era nel sanatorio, gli parve di distinguere chiaramente tutta la deformità viziata della propria persona e delle cose che faceva... quello stesso fatto di essersi abituato a considerare la malattia come uno stato normale, come un'atmosfera respirabile, gli sembrò una prova di più della propria irreparabile anormalità... Queste considerazioni lo convinsero definitivamente di essere guasto, senza rimedio..." L 'hai provato veramente questo senso di guasto irreparabile?
A. Assolutamente no. Il viaggiatore di commercio voleva sapere se avevo avuto delle esperienze sessuali e io gli raccontavo delle frottole. Ma non soffrivo affatto.
D. Inverno di malato è la storia di un cedimento alla volgarità, di un progressivo abdicare all' autostima per adeguarsi volontariamente, stoicamente all'idea spregevole che l'altro ha costruito di sé. Tu dici che Girolamo si umiliava volontariamente per non essere umiliato. Era un sentimento che chiaramente il sanatorio ti ha ispirato. Ma che parte ha avuto nella tua vita?
A. Nessuna. Erano considerazioni che facevo sulla carta su quello che avrebbe potuto essere un rapporto di mortificazione. Ma era tutto inventato.
D. In Inverno di malato c'챔 una descrizione molto precisa della vita in sanatorio. C'챔 l'incendio, la visita del professore, il rapporto con gli altri malati, l'episodio del vassoio sbattuto per terra. Un particolare: tu racconti nel breve romanzo che quando vi mettevano in terrazza a prendere il sole nudi, vi davano degli occhiali affumicati e un "pannolino per il ventre". Erano cose inventate o vere?
A. Erano cose vere, ma personaggi e situazioni erano inventati.
D. Girolamo come tu dici, "nonostante la disistima in cui lo teneva per una di quelle frequenti smentite che dà la sensibilità alla ragione sentiva per il suo compagno di stanza una profonda attrazione, quale nessun'altra persona aveva mai saputo ispirargli". Questo tema, del ribrezzo-attrazione ritorna ancora una volta, come una ossessione. Ci hai mai riflettuto?
A. No. Parafrasando Picasso dir챵: "Io non rifletto, trovo." Con questo voglio dire che l'inconscio nei miei romanzi ha molta importanza. Ma, appunto l'inconscio 챔 inconscio.

[…]
 
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view post Posted on 25/5/2009, 22:47

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Dimenticato di dimenticare
Torino, Einaudi 1982

Raccolta di poesie

leggi poesie.....Diotima
Diotima 챔 raffreddata, ha un buco nel petto
Diotima ti manda dei dolci di terracotta
di che hai paura la pazzia non 챔 un gioco
uomo pieno di qualità
ma una tetra realtà senza fili
perch챕 vuoi chiuderti in manicomio?
le pistole che hai visto servono
per punire gli uccelli di essere vivi
non ti sveglier챵 se vuoi non chieder챵
al buon dio di mandare la pioggia
non user챵 la sveglia delle dita
e neanche quella delle parole
ti lascer챵 camminare sorridente
nel tuo sogno perverso
non voglio che tiri fuori le tue esperienze
dalle vetrine scintillanti
non voglio che ti innamori
di quelle pistole sventate
non voglio che hai paura del telefono
non voglio che ti perdi dentro di me,
tu credi nelle cose eterne
negli amori felici
nell'ordine dei sensi
nelle stelle fisse e quiete
nelle uova lisce delle galline d'oro
nel candore fosforescente della famiglia
nella fedeltà dei cervelli amici
nella luce dei tetti
nella crudeltà perfetta
del patto matrimoniale
ora non dire che impugnerai
le pistole che ti legherai
una corda al collo
che metterai un piede in fallo
che mangerai del veleno color ametista
che ingoierai un coltello
che diventerai un nano di sabbia
non mi dire che niente pu챵 essere
che non deve essere uomo pieno di qualità
non mi parlare di fantasmi che
ti saltano sul cuore e di pensieri
morti e di desiderii troppo salati
io non credo all' amore felice
agli orecchini di perle
alle gardenie di zucchero
alla gioia che aspetta nel letto
al miele dei sensi pacificati
al tuo fiato che si innesta nel mio
dentro un gelido anello d'argento
io voglio giocare morire e rinascere
voglio mangiarti le labbra
mandarti via e poi correrti appresso
chiamarti e poi non dirti niente
voglio scavarti nelle orecchie
ingoiarti i pensieri
voglio sedermi sulle tue mani
come una tigre assonnata
non mi chiedere tranquillità
e un piatto di fiori fritti davanti
non mi chiedere di fare un figlio
o di dividere il tuo cuscino
o di mangiare nel tuo cucchiaio
non ti sveglier챵 se vuoi
non ti porter챵 via ai fantasmi
voglio che mi ridi in gola
voglio vedere gli occhi turchini
che si squagliano di allegria
dammi la mano non gridare
sputa per terra balla con me

dimenticato di dimenticare
dimenticato di dimenticare
che era buio e lui era morto
il peso dei suoi piedi sulla pancia
non mangiavo pi첫 che aria
il cavo delle mani sotto l’acqua
dimenticato di dimenticare
che lui non c’è e sono io che muoio

insulti
e mescolare il sugo e tritare l'aglio
e aggiungere acqua all' acqua
e buttare il sale
e versare la farina
e scodellare l'occhio bullo dell'uovo
nel blu gelato del piatto
e ci insultiamo nervosamente
e il muscolo del braccio muore
e il brodo bolle scintillante di grasso
e la porta del frigorifero 챔 aperta
e quei cerchi di debolezza
che mi bucano le palpebre
e riprendo a tritare carote
e mescolare il riso
e infarinare il pesce
e indorare le patate
e pulire il coltello
e tagliare il pane
con mani molli di fata
e ci insultiamo cocciuti malamente

mangiando pane
languidamente mangiando pane
abbrustolito col pomodoro
e l'aglio mi parli di tua
moglie che 짬챔 moralista e
non sa niente di s챕쨩, dici e
mi prendi la mano con la mano
mi guardi concentrando
la tenerezza della pupilla
marrone sciolta al vapore
짬ma lei lo sa di me쨩?
ti chiedo e tu affondi
i denti nel pane croccante
e mi accarezzi il braccio
con due dita bagnate
짬non potrebbe capire, 챔 gelosa쨩
e intanto mastichi irrequieto
e poi dici che faremo l'amore
fra poco dietro un cespuglio
se non troviamo un altro posto
il pomodoro ti cola
sul mento e hai le ciglia lunghe
fitte e bellissime e mi lecchi
l'angolo della bocca con la lingua
tonda e scura e mi dici ancora
la voce a tubo tenera 짬mia moglie
챔 una bambina devo insegnarle tutto쨩.

una bambina
una bambina
dalla faccia di lupo
quegli occhi malati
quel ventre bianchissimo
quelle labbra feroci
quei seni stretti e bui
quelle lunghe gambe dolenti
quel sorriso che mi innamora
di donna savia, un po' stanca
già prima di cominciare
una bambina
dalla faccia di mongola
le trecce bionde salate
quando le calerai gi첫 dalla torre
perch챕 mi possa arrampicare?
quelle dita di ragno
quelle spallucce cascanti
quelle guance di marmo lucenti
quel furore pigro che cova nelle viscere
io la stringer챵 a me
prima che scappi
lascer챵 che mi pianti due denti nel collo
mentre la tenda bianca sbatte sul muro
e il lenzuolo si torce e manda
un profumo di gelsomini schiacciati

un cane e una donna
di un cane e di una donna
che insieme camminavano nel
fondo di pensieri lunatici
e mangiavano pomodori verdi

di un cane e di una donna
che insieme correvano
dentro una macchina celeste
a piedi scalzi lei, lui addormentato

di un cane e di una donna
che andavano scontrosi
scambiandosi occhiate di sospetto
lei si mangiava le unghie
lui guardava nel vuoto

soldatesse
soldatesse della luna
che mangiate barbabietole
e sputate allori
c'챔 un coniglio che corre
gentile e violetto
fra covoni color sabbia
soldatesse della luna
che sedete svogliate
sui cornicioni dei vulcani
lasciate la notte cadere
non fatevi cucire la bocca

Disse no al marito
si infil챵 le scarpe da ginnastica
e and챵 viaggiando per il mondo
una donna di settant'anni
dai grandi occhi viola

se qualcosa
se qualcosa, se qualcosa passa
di questa indigenza amorosa
sono ombre di dubbi frangiati
e una lunghissima notte gelata
figurati che non c'era neppure la stufa
e mi scaldavo con la memoria
della sua tenerezza scabrosa

al mandarino
le floride madri
e quegli occhi gelati
la mia vita per un bacio
ma che sia al mandarino

Dacia Maraini - "Dimenticato di dimenticare"

 
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view post Posted on 26/5/2009, 20:11

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Viaggiando con passo di volpe

Milano, Rizzoli 1991



leggi poesie.....Il pipistrello vola basso
il pipistrello vola basso
si posa senza fiato
su una fontanella asciutta
il platano fa frullare
le sue foglie malate
si copre di gocce gommose
noi tiriamo le corde
di un teatro di erbe
in questa fine estate
dai contorni sfilacciati
un teatro estivo
nella pancia di villa Borghese
fra carte marce e altri prodigi cittadini
un tenace sogno romano
il teatro della verdura
con le sue tele marroni e celesti
il pavimento di terra
percorso da radici gialle
come gomiti incalliti
i nostri pensieri volano
incontro al lume di una ragione squinternata
ma già pronta a farsi carne e parola
sotto il gioco rapinoso dei riflettori,
villa Borghese mette su un'aria languida
verso le sette di sera
in un latte di foglie dormenti
ci raggiunge il grido del leone
da dietro il muro dello zoo
nella voliera gigante
vola furente una aquila prigioniera
noi tiriamo su la tenda
con le sue fasce bordate
per coprire il palcoscenico
dei nostri smodati artifici
una coccinella si posa su un dito
leggera, smaltata, rossa e nera
assomiglia al dorso
di un cucchiaino di S챕vres,
scommetto che ci porterà fortuna

Le mie notti
le mie notti
all'arancia amara
erano abitate
da goffe balene bianche
e serpenti volanti,
conoscevo il dondolio
delle tende color latte,
ho piantato un nespolo
nella ciotola del cane morto
ne 챔 venuto fuori un alberello
storto e arrabbiato
che chiamer챵 estinzione
le mie notti
al gelsomino dolce
come erano salde quelle ali
e liquide quelle memorie
nella lontana isola feroce
dove ogni mattina
mi svegliavo pi첫 alta
e pi첫 allegra di una spanna
le mie notti alla valeriana
sono diventate buie e sfrontate
e per quanto vada posando
la testa su cuscini piumati
in città rovesciate
dentro stanze sconosciute
non faccio pi첫 sogni di balene
le mie notti
al diazepan
mi stanno strette di spalle
come chiamer챵 quella rondine
che si porta nel becco la mia vita?

Guerra dentro un piatto
guerra dentro un piatto
ma solo per occhi curiosi:
una donna tira per un braccio una bambina morta
una casa va in pezzi
crollano le pareti di biscotto
quante volte abbiamo parlato di guerra
seduti pacifici
da una parte e l'altra della tavola?
salta in aria una macchina
sopra l'insalatiera
un uomo grida fissando il vuoto
di un pantalone insanguinato
una guerra d'oltremare
fluttua sullo schermo gigante
esplode, si disfa, dilania
i nostri pensieri violati,
i fantasmi di dolori altrui
come li chiameremo, mio dio
se non propaggini, secrezioni
di un cuore in festa?
una guerra al di là del pane
si consuma nel tempo di una cena
bruciano i campi
brucia una scuola
brucia un bosco
bruciano le terrazze
di un albergo di lusso
mentre spolpiamo una lisca di pesce
un ragazzo ride trionfante
ha perduto tutti i denti,
una guerra d'oltremare
e noi che curiosiamo, guardinghi
al di là di un vetro perlato
beviamo birra
dentro una sera viola
e ascoltiamo sorpresi
il suono di un motore,
sarà fuori o dentro la guerra?
esploderà l'aereo
o scivolerà fra le nuvole?
una ragazza scappa, a piedi nudi
un bambino piange senza suono
non siamo noi a guardare la guerra
ma 챔 lei che ci spia
al di là del doppio schermo rigato
un'altra granata
un casco che vola
un corpo di soldato
molle e inerte ricade lievemente su se stesso
una guerra d'oltremare
ci casca dolcemente nel piatto
e noi ce la mangiamo con le patate
o 챔 lei che mangia noi
come tanti figli spaiati
guastandoci per sempre
l'esperienza carnale del dolore?

cosa pensa lo specchio sul muro?
cosa pensa lo specchio sul muro?
cosa pensa il libro sullo scaffale?
cosa pensa il piatto sulla mensola?
cosa pensa il mio vestito appeso al sole?
forse lo specchio sogna
che il libro parli e il libro sogna
che il piatto balli e il piatto
sogna che il mio vestito appeso al sole
racconti una storia di piccole seduzioni

la stalla 챔 spalancata
La stalla 챔 spalancata
la mucca dagli occhi a stella
e l’asino dai ricci neri
sono rimasti impalati
a guardare la mangiatoia vuota
in cui corrono allegri i topi

ho in mente un diluvio dolce
ho in mente un diluvio dolce
una leggera caduta di sassi
forse quell’uccello chiaccherino
che ieri mattina si 챔 fermato sul ramo
sotto la mia finestra,
con le scarpe da suora ai piedi
salir챵 su per i viali ventosi
tanti vestiti appesi
tanti colletti flosci
sotto il lume un uomo legge
seduto con le mani in grembo,
l’insegna dei tabacchi
butta una luce quadrata,
il passo cauto del gatto
lascia dei triangoli bagnati sull’asfalto
aspetto che torni un uomo
che ho amato un milione di anni fa

torre rovesciata: qualcosa cambierà
torre rovesciata: qualcosa cambierà
mi dice e insiste, la luce le taglia
la faccia in due triangoli molli azzurri
non avrai bambini, mi guarda sorniona
tutte quelle stelle morte splendenti
mentre lui suda anima mia e mangia
cioccolata amara sul terrazzino di casa
eppure ne vedo uno che occhieggia
dice e ridice perplessa nel triangolo
pigiando la cicca nel piatto
qui c'챔 un re morto, forse il bambino
s'챔 scordato di te, dice e rutta,
la fortuna che hai in bocca si sfalda
nasceranno fiori dalle ortiche,
ride felice ha gli occhi buoni
il neo sul pollice 챔 un buco aperto
il cavaliere cammina cammina e
l'impiccato dondola sotto la luna
e quella regina nera sudicia di unghie
e di capelli, vedo tre soli contro il cielo
segno di ipertrofia sessuale
qualcuno ti tirerà la coda fai attenzione,
è giovane la maga avrà trent'anni
bella fervida minacciosa e intelligente
la regina dice te la troverai faccia a faccia
non la mandare via, prendila per mano
mentre la morte falcia via le ortiche
e trascina i secchi dell'acqua sporca
cominciamo con il passato che 챔
già futuro e quelle piccole mani
farfalline che scartano, mescolano,
ci sarà un lupo nel suo letto, muto
con gli occhi a mandorla e il muso di pesce
accoglilo con simpatia, l'amore gli arriccerà
i labbri, ci sono lunghe strade
che portano spini e camelie, su quelle strade
troverai un lago e non so, non so proprio
se riuscirai ad attraversarlo, ma ti avverto,
ti bagnerai i piedi, sorride con denti
latticini, le stelle morte volano
correndo per deserti e acquitrini
due serpenti fanno un nodo,
attenzione alle beghe con la legge
qualcuno vorrà farti le scarpe
riposa quella testa vagabonda
il bambino ecco rispunta fuori, dice,
non ha n챕 braccia n챕 gambe
intanto mescola le carte, paziente,
se tirerai su il secchio sarà con fatica,
dice e vi bacerete tu e lui ma non ne morirai
il triangolo azzurrognolo mi sfiora la fronte
e quelle stelle morte che volano
l'impiccato ciondolante al vento della sera
cammina cammina cammina alla fine ti dico
riuscirai ad attraversare il lago
ma ti infradicerai i piedi, la torre capovolta
ti porterà fortuna dice e starnutisce
la morte che porti in petto ti aiuterà a campare

una cometa volante
una cometa volante
nel quadro di una finestra
챔 entrata da sinistra
챔 uscita da destra
sul muro 챔 rimasta
una tenda brucicchiata

io sono due
io sono due
챔 chiaro ora
sono due pi첫 uno
meno uno e fanno due
che due volte sono
nata e due volte morta
due volte mi sono persa
forse una volta di pi첫
perch챕 due e una sono tre
le volte che ho sbattuto
e una volta ho anche vomitato
ma erano forse due
dato che sono in quattro
a tirarmi per i piedi
mentre dormo con voce di drago
e una volta sola ho amato
ma saranno duecento le volte
che ho toccato l'allegria
per챵 non duecento volte sono nata
perch챕 al centonovantanove
mi sono stufata ed ecco
al due mi sono scordata
non fosse due sarebbe zero
sono io e l'altra due
prendimi come sono
di una due e di due una

una notte odorosa
una notte odorosa
e le luci sono spente
l’aria quieta vibrante
vieni vieni mio vampiro
saremmo tu e io soli in casa
mi denuder챵 il collo
chiuder챵 gli occhi al morso
tratterò l’urlo quando
i denti bucheranno di sbieco
la carne tenera e nuda
vieni vieni mio vampiro
è già quasi mezzanotte
le finestre sono aperte
non ci sono 찼gli appesi
n챕 crocifissi al muro
n챕 cuori immacolati di Ges첫
a far da guardia ai sensi
soli tu e io, io e te
ci guarderemo in faccia
forse un sorriso complice, cortese
in quelle arie stagnanti
porger챵 il collo docile
ai tuoi denti amati
vieni vieni mio vampiro
la notte 챔 mite e odorosa

Dacia Maraini - Da "Viaggiando con passo di volpe"

 
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view post Posted on 26/5/2009, 20:27

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Se amando troppo
Milano, Rizzoli 1998



Antologia. Raccoglie poesie da tutti i libri di Dacia Maraini ordinate per temi

leggi poesie......una poltroncina di vimini
una poltroncina di vimini
il mare arruffato davanti
eri l챙 quieto e assorto
gli occhi a mollo nel tempo
che si disfa, che va, che vola
e tu con le tue brusche dolcezze
ricordi i gelati alla menta?
ti aspettavo, dicevi
la mattina alle sette
seduto sulla poltroncina di vimini
nella quiete della soglia
nell'ombra della casa
nel silenzio del sonno
eri già in lite col futuro
e filavi quel filo di attesa
fra le dita di vecchio baobàb
mentre i cieli corrono
sopra il tuo collo di tartaruga
quel futuro da niente
quel futuro spensierato
con le sue arie da gran signore
e i suoi piedi di carta
ti ha portato via
come se niente fosse
con fare di amico fedele
tradendo la mia
la tua fiducia
e il tuo buonumore
le tue impazienze garibaldine
il tuo istinto di vincitore,
hai lasciato un bastone
lo vedo ogni volta che
entro ed esco da casa
il suo pomo di osso
il suo lucido corpo
di legno rossiccio
mi rammentano il tuo
zoppicare festoso
fra bagagli e cuscini
mentre le ciglia ridono
e il mento se ne va
e i piedi battono
sul tamburo delle meraviglie
nella luce azzurrina
di un agosto a Sabaudia
come far챵 senza i tuoi occhi?
come far챵 senza la tua voce?
su quella poltroncina di vimini
caro figlio che
mi sei stato padre
nelle tue distanze astrali
ricordi i discorsi in cucina
la mattina alle sette
mentre aspettavamo che l'acqua bollisse?
e quel ridere di noi
e quel fantasticare di montagne
di carta e vapore
con quelle mani e quei piedi
quel baobab e quel tamburo
aspetter챵 di sentirti suonare

Se amando troppo
se amando troppo
si finisce per non amare affatto
io dico che
l'amore 챔 una amara finzione
quegli occhi a vela
che vanno e vanno su onde di latte
cosa si nasconde mio dio
dietro quelle palpebre azzurre
un pensiero di fuga
un progetto di sfida
una decisione di possesso?
la nave dalle vele nere
gira ora verso occidente
corre su onde di inchiostro
fra ricci di vento
e gabbiani affamati
so già che su quel ponte
lascer챵 una scarpa, un dente
e buona parte di me

Dacia Maraini - Da "Donne mie"

 
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