|
|
| O Colonia, c’hai l’uzzolo d’armeggiar sul gran ponte, E per farci un ballonzolo hai già le gambe pronte,
Ma per gl’irreparabili pali, su cui barella, Ti senti nelle viscere correr la tremerella,
Non esso un capitombolo faccia giù nel pantano; Così codesta fregola non t’ assillasse invano,
E fosse tanto solida la tua pensile mole, Che anco i Salj potessero farci le capriole,
Dammi, prego, o Colonia, uno spasso coi fiocchi: Fa’che quel mio munícipe dal tuo ponte trabocchi,
Ma proprio a precipizio, a capo giù, nel lago, Dove il fango è più fetido e più profondo il brago.
Egli è un baccello ingenuo da sgararne un marmocchio Che il babbo ninna e dondola lieve sopra il ginocchio.
Ha sposato una tenera bimba, un fior di donnina, Delicatina, morbida più d’una caprettina,
Da tenerla in custodia più che l’uva matura; Eppure egli le lascia fare il chiasso, e n’ha cura
Quanto d'un pelo; inabile a rizzare una mano, inerte come a un ligure fosso, smembrato ontàno;
Un gocciolone, un asino vero, un’anima grulla, Che di quanto l’attornia non ode o vede nulla,
Di nulla si capacita, nè s’è finora accorto, S’egli è un uomo o un fantasima, s’egli è vivo o s’è morto.
|
| |