I miti delle origini
In principio fu Χαος, la Voragine, un vuoto oscuro, un abisso cieco, notturno, sconfinato, dove nulla può essere distinto.
Poi apparvero Γαια, la Terra, ed Ερος, l'Energia dell'Amore primordiale.
Gaia generò Ουρανος, il Cielo, e Ποντος, il Flutto marino.
Il primo dei figli maschi generati da Γαια e Ουρανος è il Titano Ωχεανος, l'Oceano che circonda l'universo girando su se stesso in un circuito chiuso; l'ultimo dei Titani è Κρονος.
Κρονος ucciderà il padre Ουρανος che giaceva perennemente sopra Γαια: si separa così la Terra dal Cielo e si crea uno "spazio libero" tra di loro, sopra il quale il cielo stellato rappresenta un "grande soffitto".
Poiché Ουρανος ha uguali dimensioni di Γαια, non esiste una sola parte della Terra dalla quale non si veda un angolo equivalente di Cielo.
Sono nati così il Giorno e la Notte ed è nato Κοσηος, come gli uomini lo vedono.
Κρονος consente, in questo modo, l'inizio dello "scorrere del tempo" e della nostra storia...
Come sono nati l'universo, il cielo, la Terra, gli uomini? E ancora: che cosa c'era prima? Che cosa ci sarà dopo? E ci sarà un dopo? E, soprattutto, perché tutto questo?
A queste domande l'uomo ha sempre cercato di dare una risposta, in tutte le epoche e in tutte le culture e a questi quesiti possiamo dire che, ancora oggi, cerca di trovare spiegazione: agli antichi racconti mitici si sono sostituiti i modelli scientifici, anche se, talvolta, un qualche ricordo di quei miti ancora rimane, sia nell'immaginario comune, che in quello scientifico.
Il mito greco dell'origine del Mondo e degli dèi, che abbiamo molto succintamente riassunto, così come molti altri aspetti della cultura greca, ha una profonda derivazione dall'ambito del Vicino Oriente. Ricordiamo, esempio tra i tanti che si potrebbero fare, il Ciclo di Baal, che comprende una raccolta di testi mitopoietici, provenienti da quella regione che si estende dal Sinai all'Eufrate, compresa tra il Mediterraneo e il deserto arabico, che era indicata dai greci con il termine complessivo di Siria. Scritti da copie anteriori o da antica tradizione orale tra il XV e il XIV secolo a.C., vennero ritrovati nell'antica Ugarit, vicino all'odierna Latakîja (Laodicea), considerata una delle prime città del mondo, insieme a Ur e Uruk. Il Ciclo narra la lotta del dio Baal, signore della fertilità, con il dio Jamm, signore del mare e con Mut, divinità del mondo sotterraneo, e vi viene ricordato il principio delle cose:
Senza confini e senza tempo era l'Aria
ed un Vento ruotava incessantemente.
Ed il Vento divenne l'amante del suo Principio
e si riavvolse su se stesso.
E da questo nacque il Desiderio.
Il Desiderio è stato il Principio di tutto. 1
Riconosciamo, così, in questo Vento incessante e nel suo atto d'amore, il Caos e l'Energia dell'Amore primordiale presenti nel successivo mito greco, ma soprattutto emerge una sostanziale differenza tra queste idee cosmogoniche e quelle di altre culture.
In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu.
Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.
Dio disse: "Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque". Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento. E così avvenne.
Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
Dio disse: "Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l'asciutto". E così avvenne. Dio chiamò l'asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: "La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie". E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme [...] e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme[...]. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
Dio disse: "Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra". E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
Dio disse: "Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo". Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati [...]. E Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: "Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra". E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
Dio disse: "La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche [...]". E così avvenne: Dio fece le bestie selvatiche [...] e il bestiame [...] e tutti i rettili del suolo [...] . E Dio vide che era cosa buona.
E Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra".
Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. [...]
E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.2
Come risulta, infatti, dal confronto fra le prime parole della Genesi, nell'Antico Testamento, ed i miti (greco ed ugaritico) ricordati prima, mentre nelle grandi religioni monoteiste un dio preesiste alla creazione, nella maggior parte delle altre religioni - soprattutto delle più antiche - la "teogonia", la storia della nascita degli dèi, viene spesso preceduta dalla "cosmogonia", la storia della nascita del Tutto, e le stesse divinità sono immaginate essere generate da un elemento primordiale, da un "principio creatore", sia esso il Desiderio, l'Albero della Vita, l'Uovo cosmico, l'Acqua, il Vuoto, il Caos, il Vento.
In uno dei più antichi testi letterari conosciuti, l'indiano Rigveda, composto tra 4000 e 3500 anni fa - quasi contemporaneo, quindi, al Ciclo di Baal - si trovano già invocati tali princìpi creatori. L'Albero cosmico, simbolo della crescita e dell'espansione del Mondo e contemporaneamente della sua unicità, si ritrova in India, in Mesopotamia e in Scandinavia. Il Desiderio è presente sia nei Fenici che nei Maori, l'Uovo nei Veda e nei Dogon, il gigante P'an-kou in Cina e la Volta celeste nel mito di Orfeo.
Presenti, quindi, in quasi tutte le culture, tali princìpi generatori appaiono come degli archetipi del pensiero cosmogonico, simboli primitivi e universali che appartengono all'inconscio collettivo, il che spiega le apparenti analogie che si ritrovano in diversi di questi miti, senza necessariamente introdurre la necessità di un'unica cultura - terrestre o extraterrestre - che preesistesse a tutte le altre oggi conosciute. Come sostenne Frazer, uno dei fondatori dell'antropologia sociale, nel suo classico studio sulla magia e la religione, Il ramo d'oro, tali analogie "sono effetto di cause simili, che agiscono in maniera analoga sulla costituzione della mente umana in diversi paesi e sotto diversi cieli".
Per trovare quelle cause simili è sufficiente, infatti, cercare di guardare con uno sguardo lontano dal nostro quotidiano, di cittadini di un Occidente evoluto, a quello che poteva essere una volta il rapporto dell'uomo con la natura: con la volta stellata, con la nascita delle piante e degli animali, con il vento e la pioggia e la neve, con le acque, con il fuoco. Da una parte, la necessità di cercare di sopravvivere a quegli elementi, al buio immanente dopo il tramonto del Sole, alla forza degli uragani, alla violenza del mare, agli incendi delle boscaglie o della savana. Dall'altra, il desiderio, sempre presente, di cercare di utilizzare la natura per i propri bisogni: osservare il cielo per misurare il tempo, studiare i venti per percorre il mare, conoscere le variazioni stagionali per le attività agricole e pastorali, usare e dominare il fuoco. Dall'altra parte, ancora, la speranza che quelle conoscenze, che faticosamente consentivano di sopravvivere alla natura, non venissero rese vane da improvvise modificazioni nel loro aspetto, così ansiosamente osservato, registrato, studiato; modificazioni che non potevano avvenire se non per cause esterne all'uomo e riposte, perciò, in qualcos'altro, o qualcun altro, che quegli aspetti della natura era in grado di dominare meglio ancora dell'uomo: un essere superiore, una divinità. Ecco, allora, l'impulso di proiettare le proprie aspettative e le proprie certezze, o incertezze, verso queste divinità, intese, quindi, come messaggeri o itinerari verso l'ignoto, verso quella natura così poco conosciuta e nello stesso tempo così mutevole e ostile.
Molti di questi miti, come si diceva, hanno lasciato traccia nella nostra cultura e talora, in modo più o meno cosciente e più o meno esplicito, finiscono per riaffiorare, ovviamente, anche nella cultura di coloro che si occupano di scienza e, in particolare, di coloro che si occupano proprio di quei problemi scientifici che appaiono più vicini ai tentativi di dare una risposta "certa" a quelle domande fondamentali che proponevamo poc'anzi.
Cosa c'è di profondamente e consciamente diverso dalla ricerca di un universo immobile ed eterno nella "costante cosmologica", introdotta nel 1917 da Einstein nelle equazioni della Relatività generale? Quanto la frammentazione di un "atomo primitivo", prevista da Georges Lemaître nel 1931 e che aveva quasi in nuce la teoria del Big Bang, è diversa dall'idea dell'esplosione di un Uovo cosmico iniziale? E la creazione continua di materia, al ritmo di un atomo di idrogeno per metro cubo di spazio, prevista dal "modello dello stato stazionario", avanzato nel 1948 da Hermann Bondi e Thomas Gold in opposizione alla teoria del Big Bang, non ha forse in sé qualcosa degli antichi miti che narravano di divinità perpetuamente immanenti nella creazione? Il Mondo non generato e non distruttibile di Aristotele non si oppone qui, forse, al Cosmo del Timeo platonico, che ha avuto un inizio ed avrà una fine, così come lo stato stazionario si oppose al Big Bang?
Esula, certamente, dagli stretti spazi di questo intervento un esame ed una discussione complessiva, sia della vastissima storia dei pressoché infiniti miti sull'origine, sia della loro altrettanto vasta influenza sulla cultura dei tempi nei quali i vari miti sono emersi e sulle culture successive, fino alla nostra. Ci pare, tuttavia, importante sottolineare come il termine greco μυθος, che noi usiamo per identificare tutte quelle idee che nel tempo ci hanno parlato di qualcuno (o qualcosa) che ha presieduto alla creazione del Mondo e della vita e ne ha guidato gli sviluppi successivi, voglia dire semplicemente - e non per caso - racconto. Come tale, infatti, e senza una necessaria immedesimazione, finiva per essere usato da coloro che tali "miti" raccontavano - dalla Teogonia di Esiodo alle Metamorfosi di Ovidio - e, molto probabilmente, anche recepito da coloro ai quali questi "racconti" erano diretti. È solo nelle religioni monoteiste che il "racconto" sull'origine perde la configurazione di "mito" per divenire "verità rivelata"; verità dalla quale poi realmente far discendere tutta la conoscenza. Ma questo non deve stupire, se ricordiamo come queste religioni abbiano avuto la loro culla in quel Vicino Oriente nel quale la separazione tra il "racconto" delle cose avvenute, anche fantastiche, e la realtà del vissuto quotidiano non era (e talora non è ancora oggi) così netta e comprensibile come, al contrario, appare divenire sempre di più nel mondo greco. In particolare, dopo la fioritura di quelle correnti di pensiero, disperse nella vasta culla della Magna Grecia e che per semplicità di periodizzazione storica si fanno iniziare nel VII-VI secolo a.C., con Talete e con la Scuola ionica. Allora, per la prima volta, appare nel mondo occidentale un modo diverso di sentire e cercare di comprendere le cose della natura: un tentativo di separare il "mito", il "racconto", dall'osservazione dei fenomeni e dal tentativo di spiegazione degli accadimenti.
I primi animali furono prodotti nell'umidità e furono coperti di un tegumento villoso; col passare del tempo si diffusero sulla Terra. [...] Quando l'involucro si aprì, cambiarono subito il loro modo di vivere; le creature viventi nacquero dall'elemento umido fatto evaporare dal Sole. Dapprima l'uomo somigliava ad un altro animale, cioè ad un pesce.3
Così spiegava l'origine della vita Anassimandro, nel VI secolo a.C. (200 anni dopo Esiodo), e questo non è sicuramente un "mito"! Vediamo qui, pur nella semplicità - e anche nell'ingenuità - della descrizione, un primo tentativo di elaborare un concetto di evoluzione. Si pensi a quanto è stato detto riguardo alle idee di Darwin, alle accuse che ha ricevuto ben ventiquattro secoli dopo Anassimandro e alle critiche cui ancora oggi vengono sottoposte alcune idee evoluzioniste da parte di coloro che ritengono ineliminabile la presenza, nel nostro Universo, di un qualche intervento di creazione. Sia esso avvenuto solo "in principio", lasciando che poi "il caso" o "la necessità" (per parafrasare il titolo di un celebre libro di Jacques Monod) agissero ad agglutinare elementi semplici sino a costituire l'Homo sapiens. Sia, invece, questo intervento continuo e quasi quotidiano a guidare l'evoluzione lungo una strada che "doveva" portare a vedere l'universo come è oggi. Un universo nel quale le leggi della fisica, che noi conosciamo e che continuiamo ancora a cercare di conoscere meglio, non potessero dare modo alla nostra Galassia, al nostro Sole, alla Terra, all'atmosfera di formarsi in modo sia pure di poco diverso. Pena, l'impossibilità di arrivare alla nascita (o alla creazione?) della vita e dell'uomo e... se ci si consente l'immodestia di un uso esageratamente integralista del finalismo profondamente presente in certe posizioni, pena l'impossibilità di arrivare a consentire oggi a noi di scrivere queste righe e al lettore di leggerle.4
Ritornando al mito greco ricordato all'inizio, va sottolineata l'importanza, al suo interno, svolta dalla figura di Κρονος, il Tempo. Emerge dal breve racconto come il "tempo" venga creato dopo altri personaggi, ma come sia la sua presenza (e il suo atto di parricidio) a dare origine allo "spazio" e agli eventi successivi. Naturalmente, anche il problema dell'origine del tempo è stato uno dei problemi discussi dalle cosmogonie e non tutte le culture lo hanno affrontato e tentato di risolvere nello stesso modo.
Esisteva il tempo prima della creazione delle altre cose, spazio e divinità creatrice compresa? Scorre il tempo in modo lineare, simile ad una freccia, come considerato nella cultura occidentale? Oppure si avvolge intorno a se stesso, simile ad un serpente, come in alcune culture dell'India? E, in entrambi i casi, ha avuto un origine? Se esisteva prima della creazione del Mondo, allora fa parte o meno del Mondo stesso, qualunque sia ora il senso del suo scorrere?
Sant'Ambrogio, nel IV secolo, scrisse nell'Hexameron che Dio creò il Cielo e la Terra all'inizio del tempo e, quindi, il tempo non sarebbe esistito prima del Mondo e più tardi, nel XIII secolo, Guglielmo d'Auvergne, nel De Universo, sostenne che, come il Mondo comprende tutto lo spazio e non esiste un "di fuori", il tempo, iniziato a scorrere all'atto della creazione, non ha un "prima", poiché contiene tutti i tempi. Dunque, nel "tempo che ha preceduto l'inizio del tempo" - si chiedeva Guglielmo, affermando contemporaneamente l'inconsistenza della domanda - esisteva qualcosa? Porsi tali questioni equivale, da un punto di vista concettuale, a chiedersi oggi: cosa c'era prima del Big Bang? In quale spazio si sta espandendo il nostro Universo? La cosmologia moderna non evita questa domanda, ma, poiché la nostra scienza non ama lasciare dei paradossi insoluti, ecco che la risposta, molto semplicemente, è: l'Universo coincide con lo spazio-tempo e la sua origine non può essere considerata come un fenomeno temporale.
In qualche modo, ammantati dalla Relatività generale e dalla meccanica quantistica, siamo, allora, tornati daccapo ai nostri miti sulle origini. Anche la scienza moderna ha, così, creato un suo mito cosmogonico, nonostante risuonasse da lontano il divieto di Tommaso d'Aquino nella Summa theologica: "Che il Mondo abbia avuto un principio è oggetto di fede, indimostrabile, e non oggetto di scienza". Divieto ribadito da Alberto Magno nella Physica: "Il principio del Mondo per creazione non è affatto fisico e non può essere provato dalla fisica".
Temo che non se ne esca; proviamo, quindi, a concludere con altre parole dal Ciclo di Baal ricordato all'inizio:
E da esso [il Desiderio] nacque il Verbo,
marciume di una miscela umida.
Il Verbo apparve con l'aspetto di un Uovo
e da esso uscirono esseri incoscenti,
poi coscienti
contemplatori dei Cieli!
Vi si ritrovano, come abbiamo visto, sia le tracce originarie di alcune delle più antiche cosmogonie, sia, nella "miscela umida", la reminiscenza dell' "elemento umido fatto evaporare dal Sole" dal quale Anassimandro fa nascere le creature viventi, ma soprattutto - e per questo ci piace qui ricordarlo - appare estremamente significativa l'ultima frase, laddove vengono ricordati esseri nati dall'Uovo, dapprima incoscienti, poi coscienti. E quale primo atto di coscienza, ecco la "contemplazione dei cieli". È dunque sin dai primi, più antichi miti che hanno formato la nostra cultura che, come primo gesto di autoaffermazione dell'Homo sapiens, compare il suo sguardo rivolto al cielo, a porsi quelle domande che ricordavamo all'inizio e a cercare di rispondervi, per seguire la "virtute e conoscenza" dell'Ulisse dantesco, nonostante ed oltre i vani tentativi di tutti coloro che hanno cercato - e cercano ancora - di porre dei limiti invalicabili a quella "virtute" e anche a quella "conoscenza".