L'"incidente" che provocò la morte di Lady D.

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Diana Spencer nasce il 1 luglio 1961 a Parkhouse proprio vicino la residenza reale di Sadringham. Fin da piccola, Diana soffre della mancanza della figura materna, dato che la madre è spesso assente e trascura la famiglia. Non solo, ma Lady Frances Bounke Roche, questo il suo nome, lascia Parkhouse quando Diana ha solo sei anni per vivere con un facoltoso proprietario terriero, Peter Shaud Kidd. A dodici anni Diana viene iscritta alle scuole secondarie presso l'istituto di West Heoth nel Kent; dopo poco, invece, lascia l'amatissima residenza di Parkhouse e si trasferisce nel castello di Althorp nella contea del Northamptonshire. La famiglia degli Spencer, a ben vedere, è addirittura più antica e blasonata di quella dei Windsor...Il padre Lord John diventa l'ottavo Conte di Althorp. Il figlio Charles diventa visconte e le tre sorelle Diana, Sarah e Jane sono elevate al rango di Lady.

Quando la principessa compie sedici anni in occasione di una cena per la visita della regina di Norvegia incontra il Principe di Galles ma fra i due, al momento, non scatta alcun colpo di fulmine. Solamente un desiderio di approfondire la conoscenza. Intanto, com'è normale, la giovane Diana, nel tentativo di condurre una vita il più possibile vicina, o simile, a quella dei suoi coetanei (è ancora ben lungi dall'immaginare che diverrà, invece, addirittura principessa e pretendente al trono d'Inghilterra), si trasferisce in un appartamento di Coleherm Court, un quartiere residenziale di Londra. Certo, non si tratta di un appartamento povero e di basso livello, ma pur sempre di una prestigiosa abitazione....

Ad ogni buon conto, questo suo desiderio interiore di "normalità" la induce a cercare l'indipendenza e a cercare di cavarsela con le sue forze. Per ottenere questo, si adatta a svolgere lavori anche non prestigiosi, come quelli della cameriera e della babysitter, e a dividere la sua casa con altre tre studentesse. Fra un lavoro e l'altro, trova anche il tempo di dedicarsi ai bambini dell'asilo a due isolati da casa sua.
La compagnia delle altre ragazze ha comunque un effetto positivo in tutti i sensi. Infatti, è proprio grazie al loro aiuto e al loro sostentamento psicologico che Diana affronta il corteggiamento di Carlo, il principe di Galles conosciuto alla famosa festa. A dire il vero, su queste prime fasi iniziali circolano mote voci contraddittorie: c'è chi dice che il più intraprendente fosse lui, mentre altri sostengono che la vera opera di corteggiamento l'avesse portata avanti lei.

Ad ogni modo, i due si fidanzano e, nel giro di breve tempo, convolano a nozze. La cerimonia sarà uno degli avvenimenti mediatici più attesi e seguiti del globo, anche per la massiccia presenza di personalità di altissimo rango provenienti di tutto il mondo. Inoltre, la differenza di età della coppia non può che sollevare inevitabili pettegolezzi. Quasi dieci anni separano il principe da Lady D, essendo lei una ventiduenne appena uscita dall'adolescenza, mentre lui è un trentatreenne già avviato alla maturità. In quel famoso 29 luglio del 1981, nella cattedrale di St. Paul si trovarono convenuti sovrani, capi di stato e tutta la società internazionale osservati dagli occhi mediatici di oltre ottocento milioni di spettatori. Ma anche il seguito del corteo reale, la gente in carne e ossa che seguirà la vettura con i due sposi, non è da meno: lungo il percorso che la carrozza intraprende, li seguono qualcosa come due milioni di persone!
Dopo la cerimonia, insomma, Diana diventa Sua Altezza Reale Principessa di Galles e futura Regina d'Inghilterra.

Grazie al suo comportamento informale, poi, Lady D (come viene soprannominata prima dai tabloid con un tocco fiabesco), entra subito nel cuore dei sudditi e del mondo intero. Purtroppo, il matrimonio non va come così bene come le immagini della cerimonia lasciavano sperare, anzi, è palesemente in crisi. Nemmeno la nascita dei figli William e Herry riesce a salvare un'unione già compromessa. Ricostruendo sul piano cronologico questo complesso intreccio di eventi, vediamo che già nel settembre del 1981 viene annunciato ufficialmente che la principessa è incinta ma fra i due si era già insinuata da tempo Camilla Parker-Bowles, un'ex compagna di Carlo che il principe non ha mai smesso di frequentare e di cui Lady D è (giustamente, come si vedrà in seguito), assai gelosa. Tale è lo stato di tensione della principessa, il suo grado di infelicità e di rancore che tenta più volte il suicidio, con forme che vanno dai disturbi nervosi alla bulimia.

Nel dicembre 1992 viene annunciata ufficialmente la separazione. Lady D. si trasferisce a Kensington Palace, mentre il principe Carlo continua a vivere ad Highgrove. Nel novembre 1995 Diana rilascia un'intervista televisiva. Parla della sua infelicità e del rapporto con Carlo.

Carlo e Diana divorziano il 28 agosto 1996. Negli anni del matrimonio, Diana compie numerose visite ufficiali. Si reca in Germania, negli Stati Uniti, nel Pakistan, in Svizzera, Ungheria, Egitto, Belgio, in Francia, nel Sud Africa, nello Zimbaue e in Nepal.

Dopo la separazione, Lady D. continua ad apparire accanto alla famiglia reale nelle celebrazioni ufficiali. Il 1997, invece, è l'anno in cui Lady Diana sostiene attivamente la campagna contro le mine anti-uomo. Intanto, dopo una serie non precisata di flirt, prende corpo la relazione con Dodi al Fayed un miliardario arabo di religione musulmana. Non è uno dei soliti colpi di testa ma un vero e proprio amore. Nel caso il rapporto si concretizzasse i qualcosa di ufficiale sul piano istituzionale, i commentatori sostengono che questo sarebbe un duro colpo per la già vacillante corona britannica.
E' proprio mentre la "coppia dello scandalo" tenta di seminare i paparazzi che entrambi moriranno nel tunnel dell'Alma a Parigi alla fine di un'estate trascorsa insieme.
Era il 31 agosto 1997.
Un'irriconoscibile Mercedes blindata, con dentro i corpi dei viaggiatori, viene recuperata in seguito allo spaventoso incidente stradale. Qualcuno sospetta addirittura che la Principessa in quel periodo fosse incinta: il principino William avrebbe dunque avuto un fratellastro musulmano, un altro vero e proprio scandalo per la famiglia reale.
Il corpo della principessa viene sepolto in un minuscolo isolotto al centro di un laghetto ovale che abbellisce la sua casa ad Althorp Park, a circa 130 chilometri a nord-ovest di Londra.

Lettera choc: Carlo vuole uccidermi



Nel giorno dell'apertura della prima inchiesta ufficiale, un tabloid inglese pubblica un documento inedito che la principessa avrebbe dato al suo maggiordomo Paul Burrel dieci mesi prima della tragedia
Londra, 6 gennaio 2004

Si è aperta oggi a Londra la prima inchiesta britannica sulla morte della principessa Diana. Il coroner, il medico legale con funzioni giudiziarie, ha deciso contestualmente un aggiornamento all'anno prossimo dopo avere dato incarico alla polizia di indagare sull'incidente automobilistico che, nel tunnel dell'Alma a Parigi, una sera d'agosto del 1997 costò la vita alla principessa trentaseienne, al suo fidanzato Dodi al Fayed e al loro autista Henri Paul che aveva tentato di seminare i giornalisti.
E proprio oggi il giornale popolare londinese 'Daily Mirror' ha pubblicato uno scritto che la principessa dette al suo maggiordomo, Paul Burrel, dieci mesi prima della tragedia, in cui afferma che il marito, il principe Carlo erede al trono di Inghilterra, tramava un incidente di macchina per ucciderla e potere sposare la sua amata Camilla. «Questa fase in particolare della mia vita è la più pericolosa», scrisse la principessa, «Mio marito sta pianificando 'un incidentè con la mia macchina, forse una manomissione ai freni...».
Il Royal coroner, Michael Burgess, che dovrà studiare le seimila pagine dell'inchiesta condotta in Francia, non ignorato il contesto dell'inchiesta. «Sono al corrente delle congetture secondo cui la sua morte non fu un incidente stradale nel senso proprio del termine», ha detto durante l'udienza cui hanno assistito centinaia di giornalisti arrivati da tutto il mondo. «Ho dato quindi incarico alla polizia di indagare», ha aggiunto...
 
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Prosciolti i tre paparazzi



La Corte d'Appello di Parigi ha prosciolto dall'accusa di violazione della privacy i tre paparazzi che scattarono foto subito dopo l'incidente nel tunnel dell'Alma a Parigi, in cui persero la vita la principessa Diana e il suo compagno Dodi al Fayed. I tre erano già stati assolti in primo grado, ma il padre di Dodi aveva fatto appello. Per l'avvocato del miliardario il primo giudizio aveva "snaturato la legge", perchè "l'auto è un luogo privato".

L'incriminazione per i tre era arrivata dal momento che il fotografo Jacques Langevin aveva scattato due foto all'uscita dall'hotel Ritz, il suo collega Fabrice Chassery una all'uscita e una dopo l'incidente e Christian Martinez aveva fatto due foto dopo lo schianto della Mercedes guidata dall'autista Henri Paul.

Nell'aprile 2002 la Cassazione assolse, dopo un lungo processo, nove fotografi, tra cui Langevin, Chassery e Martinez, dall'accusa di omicidio colposo, avanzata dalla procura e dai difensori di Fayed. Per questi ultimi, infatti, a provocare lo schianto mortale fu l'inseguimento della coppia Diana-Dodi da parte dei paparazzi.

A sette anni dalla notte del 31 agosto 1997 resta ora in piedi soltanto il processo a Parigi sulla validità delle perizie tossicologiche compiute sull'autista, rimasto anch'egli ucciso sotto il tunnel dell'Alma
 
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Andrew Morton



Introduzione

L’amore in realtà

Un sabato del marzo 2004 ero nel mio studio intento ad aggiungere gli ultimi tocchi al capitolo 11 di questo libro, quando suonò il campanello della porta. Era una reporter del Sunday People, quotidiano scandalistico, e voleva una dichiarazione per un articolo che si accingevano a pubblicare. Dalle solite fonti attendibili, la sua testata aveva appreso che io stavo per rivelare l’identità di tre amanti segreti di Diana. Nella mia lista comparivano l’attore Terence Stamp, un ricco capitano d’industria e un bellone del cinema inglese, già sulla cinquantina. Negai recisamente e tornai al lavoro.

L’indomani comprai il Sunday People, e scoprii che l’articolo occupava la prima pagina e due interne con il titolo di testa: “Diana, bomba del sesso” e “I nomi di tre amanti segreti di Diana” (in realtà, di nomi ne compariva soltanto uno). Il pezzo proseguiva raccontando come la principessa, “infatuata”, si fosse lanciata in una “stupefacente campagna nell’intento di sedurre i tre amanti segreti”, bombardandoli con lettere intime. L’autorevole fonte che aveva ispirato l’articolo era il mio nuovo “esplosivo libro”, ancora da pubblicare. Si raccontava inoltre di come il ricco, anonimo capitano d’industria avesse “consumato” la sua relazione con la principessa nella casa di un amico comune. Della fonte del quotidiano si citavano le seguenti parole: “Ci sono autori che potrebbero essere accusati di aver scelto dei nomi a caso, ma Morton ha consultato migliaia di documenti e intervistato centinaia di personaggi influenti”. Tutto molto lusinghiero.

Il lunedì la storia, che aveva ormai fatto il giro del mondo, si complicò ulteriormente grazie al Daily Mail, che descriveva la “terribile angoscia” causata a William e Harry dalle nuove indiscrezioni. “Sembra non esserci mai fine”, affermava preoccupata una fonte reale. A questo punto, toccò ai columnist contribuire con i loro pezzi da cinque centesimi a parola. Vanessa Feltz del Daily Express si diceva felice che la principessa avesse vissuto una “tenera, discreta storia d’amore” con Terence Stamp che, ne era certa, l’aveva trattata con la “massima delicatezza”. Per non essere da meno, si fece avanti anche l’ex maggiordomo di Diana, Paul Burrell, i cui libri sono stati definiti dai figli della principessa un tradimento “gelido quanto dichiarato”. “In tutta onestà, credo che sia disgustoso”, dichiarò Burrell a proposito del mio libro ancora da pubblicare. “Quello che succede fra due persone dietro una porta chiusa deve restare privato. Io ho sempre rispettato la vita privata degli altri e non ho mai parlato di quella amorosa di Diana. Ciò che sta facendo quell’uomo è terribile.”

Per non essere da meno, il Sunday Times pubblicò un profilo a piena pagina di Stamp che, divenuto famoso nei favolosi anni Sessanta, aveva fatto una carriera di tutto rispetto, non solo nel cinema ma anche come autore di un romanzo e di un’autobiografia.

La frenetica attività dei media portò nel giro di pochi giorni moltissima gente in Gran Bretagna e altrove a farsi l’idea che Diana, ossessionata e infelice, avesse avuto una relazione con Terence Stamp e con parecchi altri sconosciuti.

C’era solo un problema. Era tutto falso.

Questo strano episodio mi fece ripensare al motivo per cui ero tornato a parlare di Diana, la principessa di Galles, dodici anni dopo la mia prima biografia, Diana. La sua vera storia, scritta con il suo consenso e la sua collaborazione e pubblicata nel 1992. L’idea del libro era nata durante una passeggiata sulla spiaggia di St Petersburgh, in Florida, in compagnia del mio editor, Michael O’Mara, una mattina del novembre 2002. All’epoca stavo promuovendo un libro intitolato Nine for Nine, in cui parlavo del salvataggio di alcuni minatori della Pennsylvania rimasti intrappolati sotto terra per tre giorni.

In quel periodo, all’Old Bailey di Londra si celebrava il processo contro Paul Burrell, accusato di furto. In America, durante le interviste televisive e radiofoniche, mi chiedevano sì dei minatori, ma anche dell’importanza delle prove nel processo. Quella mattina, mentre discutevo con Mike del procedimento giudiziario e di Diana, avevo la sensazione che la donna che avevamo conosciuto nel corso della nostra collaborazione durante i primi anni Novanta stesse rapidamente scomparendo, e che la sua “fama” diminuisse un po’ di più ogni anno. Ascoltando la ricostruzione della sua vita in base alle prove fornite al processo, veniva da pensare che le tessere del puzzle della sua storia fossero state sparpagliate, tanto era stato dimenticato, ma anche esagerato o distorto. Le lettere inviate al principe Filippo in seguito alla pubblicazione della mia biografia, per esempio, furono discusse in aula e venne attribuito loro un significato sproporzionato. E comunque io stesso le avevo analizzate in maniera esaustiva già dieci anni fa.

La distorsione dei fatti, iniziata alla morte di Diana, è proseguita rapidamente. Alcuni di coloro che avevano lavorato per lei o che la conoscevano si sono proposti come testimoni, spesso esagerando l’importanza che avevano rivestito nella sua vita, dichiarandosi delusi da lei, o perpetrando la propria vendetta nelle pagine di memoriali. Il suo segretario privato Patrick Jephson, per esempio, dette probabilmente troppo presto alla stampa il suo Shadows of a Princess, in cui parlava degli anni trascorsi al suo fianco, lasciando però che l’amarezza per essere stato allontanato dall’incarico influenzasse le sue valutazioni. Vale la pena notare come, ora, nei suoi articoli parli di Diana in modo molto più affettuoso e comprensivo, forse perché si è reso conto delle difficoltà che lei dovette affrontare nel tentativo di crearsi una nuova vita al di fuori della cerchia reale. In modo analogo, il maggiordomo Paul Burrell ha permesso che il risentimento nei confronti della famiglia Spencer, che ritiene responsabile dell’accusa di furto imputatagli, condizionasse le sue memorie, A Royal Duty.

Storie e opinioni abbondano e il pubblico, sconcertato, viene sottoposto a una sfilata di testimoni che forniscono spesso dichiarazioni e aneddoti contrastanti parlando dal proprio, necessariamente parziale, punto di vista. Il proprietario di Harrods, Mohamed Al Fayed, padre dell’ultimo amante di

Diana, Dodi, per esempio ha più volte affermato che il figlio progettava di sposare la principessa. Tale asserzione, combinata al suo fermo convincimento che esistesse un complotto per uccidere Dodi e Diana, ha condizionato l’opinione pubblica riguardo agli ultimi giorni della vita della principessa. Altri insistono a dire che lei stessa aveva più volte ribadito di non volersi risposare, mentre c’è chi crede che volesse sposare Hasnat Khan.






 
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Da: Birillino8 Inviato: 15/12/2005 17.24

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perché, anche per chi conosce i personaggi coinvolti, c’è parecchio da decodificare. Quanto è stato scritto o detto spesso non è quello che si voleva dire. È difficile riuscirci per chi conosce l’ambito reale, e diventa virtualmente impossibile per gli osservatori esterni. Il fatto che Diana vivesse la propria vita in compartimenti separati, escludendo da intere “fette” quelli che ora sostengono di averla conosciuta bene, ha reso ancora più complicata la valutazione della sua esistenza in toto.
La descrizione di questa vita avviene tramite il prisma distorto dei mass media. È una trappola per il cronista ignaro, perché molto di quello che è stato detto e scritto sulla principessa ha poco a che fare con avvenimenti reali o con la sua persona. L’articolo del Sunday People, benché oltraggiosamente falso, ne è solo un esempio. Tutto questo significa che le conclusioni e le valutazioni basate su quelle prove sono inevitabilmente inesatte. In questo libro ho cercato, per quanto possibile, di collocare le decisioni di Diana nel contesto di quello che effettivamente accadeva nella sua vita, e non di ciò che il pubblico e i media pensavano stesse accadendo.

Di solito, quando muore un personaggio pubblico, le memorie di amici, collaboratori e conoscenti ne arricchiscono la vita. Diana, invece, sembra uscirne sminuita: l’impressione è che, dopo la separazione e il divorzio, la sua esistenza avesse perso di significato, o di valore, per culminare in una morte prematura. Per citare un rispettato biografo, la principessa stava “precipitando fuori controllo”, una donna molto amata ma fondamentalmente instabile.

Possibile che tutto l’impegno e la sofferenza che aveva affrontato nel presentare la sua storia al mondo tramite Diana. La sua vera storia, e riprendere così il controllo della sua vita, siano stati sprecati? E se così è, come spiegare allora le spontanee manifestazioni di dolore alla sua morte, un’emozione che sicuramente nasceva dalla stima e dal rispetto di cui godeva?

Ciò che sembra andato perduto è la consapevolezza che Diana era una donna ancora giovane e spesso sola che lottava per dare un senso a uno straordinario ruolo pubblico e a una difficile vita privata. Diana è morta prematuramente, e il punto d’inizio della sua ricerca di una vita propria, la sua collaborazione alla mia biografia, ha assunto una importanza più grande di quanto pensassimo a quell’epoca. Lo stesso vale per l’altra sua importante iniziativa mediatica... la famosa intervista a Panorama della BBC, del 1995. Le cause nascoste e le ampie conseguenze di quell’intervista hanno ora assunto proporzioni storiche.

Nel cercare di dare significato a un’esistenza complessa quanto straordinaria, troppo spesso non si è tenuto conto della lunga strada che Diana aveva percorso, e degli ostacoli personali e sociali che aveva dovuto superare. È stata una donna che, per dirla con Hillary Clinton, ha dimostrato “coraggio e tenacia nel rialzarsi e andare avanti ogni volta che la vita la metteva al tappeto”. Questo libro è un tentativo di descrivere e celebrare quel viaggio.

 
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Da: Birillino8 Inviato: 15/12/2005 17.41
Lady Diana vittima dell'"Impero Invisibile"


Un assassinio che può essere paragonato a quello di John F. Kennedy. Lo sfoggio di meschinità della famiglia reale
LA CASA DEI WINDSOR, quale punto di riferimento dell'intero consesso oligarchico mondiale, è ormai alla fine. La sua caduta, analizzata da qualche anno dalle pubblicazioni dello statista americano Lyndon LaRouche, è entrata nella fase terminale con l'assassinio di lady Diana Spencer, un episodio che ha svelato al grande pubblico la vera natura dei reali inglesi.

I sondaggi d'opinione condotti nei giorni successivi al funerale della principessa e la straordinaria partecipazione popolare a quell'avvenimento confermano che la rigida meschinità di Elisabetta, le balordaggini del principe Filippo, la mancanza di personalità di Carlo, hanno eroso ogni popolarità su cui la monarchia inglese poteva ancora contare.

La degenerazione complessiva della "struttura di potere" ha dato vita a quel tragico episodio in maniera pressoché inevitabile. È la tragica dinamica del "Riccardo III" di Shakespeare in una riedizione che si verifica in altra epoca, con altri personaggi ed altri fatti, ma segue la stessa logica del collasso di un regime oligarchico.

La scomparsa di lady Diana ha suscitato diversi paragoni -- dal "Nuovo 1989", ovvero la caduta del muro di Berlino, all'assassinio di John F. Kennedy nel 1963, che vale soprattutto per le mille contraddizioni dei fatti e delle circostanze dell'incidente costato la vita a lady Diana, a Dodi al Fayed e a Henry Paul. La difficoltà in un attentato del genere, camuffato da incidente, non è tanto quella operativa, che richiede specialisti di prim'ordine dei servizi segreti, quanto piuttosto quella del successivo insabbiamento delle indagini, che ha bisogno del consenso di "tutte le parti in causa", che di conseguenza bisogna ritenere già legate tra loro a doppio filo in partenza. Questo aspetto è evidente sebbene l'operazione sia stata "commissionata" in Francia, dove il governo ha avallato le spiegazioni più spettacolarmente incredibili sulla dinamica del cosiddetto incidente.

L'ipotesi su chi sia il mandante non può limitarsi alla famiglia Windsor. Essa presiede soltanto come primus inter pares una struttura oligarchica vasta e articolata.

Quello che sappiamo con certezza è che i Windsor e Diana erano da tempo in rotta di collisione per ragioni ben diverse dai pettegolezzi e dalle questioni di stile. Le iniziative politiche della principessa finivano il più delle volte col mettere in risalto l'augusta grettezza che regna a corte. L'irriconciliabilità delle rispettive vedute è riassunta da fatti ben noti: il principe Filippo vaneggia di decimare l'umanità, sperando di reincarnarsi, come ha detto, "in virus mortale per risolvere il problema della sovrappopolazione", mentre Diana si è spesso sforzata di accogliere gli aspetti più profondi e difficili della vita, anche avvicinandosi alle grandi iniziative di Madre Teresa.

La contraddizione esasperante può essere stata condotta alle fatali conseguenze, in quel tunnel senza uscita, da altri, da forze che seguono la filosofia del Gattopardo. Costoro credono che adesso, per mantenere salde le redini del potere, sia giunto il momento di cambiare tutte le apparenze di come questo potere viene esercitato. Rimescolano le carte per giocare un'altra partita truccata. Credono che in tal modo si possano prevenire o imbrigliare i veri cambiamenti epocali.

Se non fosse stata uccisa, proprio alla fine di agosto lady Diana avrebbe sicuramente apprezzato la lettura del numero speciale della rivista americana Executive Intelligence Review (EIR), (fondata dall'economista Lyndon LaRouche) dedicato appunto a questo "Impero Invisibile", un servizio che Solidarietà ripropone in maniera riassuntiva nel numero di novembre di cui qui presentiamo qualche estratto.

In due occasioni precedenti, nel giugno 1996 e nel febbraio 1997, la principessa del Galles fece pervenire all'EIR lettere di ringraziamento per il lavoro di documentazione sul conto del mondo oligarchico dei Windsor.

Altri apprezzamenti sono stati fatti pervenire alla rivista di LaRouche tramite conversazioni telefoniche con la segreteria della principessa.

L'importanza di questa corrispondenza non si colloca tanto nel contenuto delle lettere quanto nel contesto. Mentre l'EIR ha semplicemente spedito la documentazione sui Windsor a molte personalità in Inghilterra, e quindi anche alla principessa, è stata Diana personalmente a decidere di prendere l'iniziativa e di far inviare un riscontro, un segno di apprezzamento che rivela la sua normalità, la sua disponibilità a ricercare soluzioni vere ai problemi veri. Un fatto che da solo contraddice le frottole inventate sul suo conto dalla stampa, istruita a presentarla come una sintetica stellina hollywoodiana.

Il servizio pubblicato da Solidarietà mette pertanto in luce le forze "Invisibili" che gestiscono le grandi trasformazioni -- dai mercati finanzari globali ai campi della guerriglia in Africa e in Sud America, ai tunnel parigini.



 
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Da: Birillino8 Inviato: 15/12/2005 17.44

La guerra di Diana contro i Windsor




Negli ultimi due anni, mentre il suo matrimonio è andato a rotoli, la principessa Diana è diventata la figura centrale nella lotta di potere sul futuro della Casa di Windsor, non tanto come monarchia inglese, ma come chiave di volta del sistema oligarchico mondiale: "Non mi farò silenziosamente da parte. Questo è il punto, io combatterò perché ritengo di avere un ruolo da assolvere nell'educazione dei miei due figli", aveva detto Diana in una famosa intervista alla BBC del 19 novembre 1995.

Pochi giorni prima della sua morte, la principessa aveva dato un'intervista a Le Monde, pubblicata il 27 agosto, in cui parlava dei suoi scontri con i "pezzi grossi" dell'establishment. "Dal giorno in cui sono diventata membro della famiglia non sono più stata in grado, in nessun modo, di comportarmi naturalmente. Mi sento vicina alla gente, a prescindere da chi essa sia. Mi sento sul suo stesso piano, sulla stessa lunghezza d'onda. È per questo motivo che ho fatto infuriare certi circoli. Perché sono molto più vicina alla gente che sta in basso che a quella che sta in alto, e questi ultimi non me la perdonano. Perché ho una vera relazione con i più umili. Nessuno può dettarmi quale dev'essere il mio comportamento. Ho una comprensione istintiva e questa è la mia migliore consigliera".

Nella già citata intervista del 1995 alla trasmissione Panorama della BBC, Diana arrivò a mettere in discussione la capacità della famiglia reale di rappresentare la monarchia. L'intervista fu seguita dal più vasto pubblico mai ottenuto da un programma di documentazione della BBC. Secondo fonti attendibili, le parti più polemiche dell'intervista, ben due ore di registrazione, furono censurate dalla BBC.

La principessa parlò di "loro", riferendosi ai Windsor e coorte nell'establishment. "Loro" le tengono i telefoni sotto controllo, mentre dalla posta stranamente "spariscono" le lettere, e le sue visite all'estero sono "bloccate". Diana disse che "loro" erano impegnati in una campagna per farla apparire come una persona debole, mentalmente instabile, e d'intelligenza mediocre. Il "loro" scopo è che "io debbo essere distrutta". Diana ammise apertamente le sue debolezze, ma sottolineò che la vendetta della famiglia reale nei suoi confronti non le lasciava altra scelta se non quella di "diventare forte" e rinsaldare la propria identità.

Nella stessa intervista Diana disse che Carlo, l'ex marito, non è all'altezza di diventare re e che i Windsor hanno perso il contatto con la popolazione.

Dovrebbe essere evidente che l'intervista riflette una profonda spaccatura nell'establishment e che Diana non avrebbe potuto sfidare apertamente i Windsor senza il sostegno discreto di fazioni potenti nella stessa oligarchia.

L'intensità dello scontro che era in corso negli anfratti del Palazzo può essere intuito dalle risposte -- i messaggi mafiosi -- che l'intervista di Diana suscitò da certi elementi dell'establishment. Riportiamo solo i più rappresentativi:

Lord Soames, obeso discendente di Winston Churchill, consigliere di Carlo ed ex ministro del governo Major, accusò Diana di aver esibito nell'intervista "uno stadio avanzato di paranoia".

Lord Rees-Mogg scrisse sul Times che Diana brilla come molti dei suoi antenati, gli Stuart, ma il loro fulgore "finisce quasi sempre nella tragedia personale". Diana, spiegava allora l'aristocratico giornalista, ha l'ascendente per diventare più famosa della regina Vittoria, ma potrebbe fare la fine di Maria di Scozia nel XVI secolo: decapitata.

Sul Daily Telegraph lo storico militare John Keegan disse che Diana "deve porre dei limiti alle sue ambizioni" e ha intimato: "non vada troppo oltre", perché altrimenti "sarà lei a diventare la vittima, non la monarchia".

Sul New York Times, l'intervista di Diana fu definita da A.N. Wilson "un attacco sapientemente calcolato contro lo stesso istituto della monarchia". "Quando si arriva -- proseguiva l'articolo -- a combattere una guerra, l'establishment può diventare davvero perfido, e nonostante tutta la sua indubbia popolarità, se lei continuerà a voler capovolgere la barca, l'establishment semplicemente si sbarazzerà di lei".

 
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Da: Birillino8 Inviato: 15/12/2005 17.51
Caso Diana:
un fatale pasticcio alla francese



L'hanno uccisa aspettando un'ora e tre quarti prima di ricoverarla all'ospedale sbagliato. Casa Windsor trascina nella sua caduta gli eredi politici di Mitterrand

Da alcune indagini che l'Executive Intelligence Review ha condotto indipendentemente sulla scomparsa di lady Diana [EIR nn. 47, 48, 51 -- nov. dic. 1997] è ormai certo che settori del governo francese non hanno soltanto accettato che i servizi inglesi effettuassero quell'esecuzione a Parigi, facendosi soltanto carico di insabbiare ogni indagine seria e mantenendo la spiegazione dell'incidente. Hanno fatto molto di più. Per questo l'eliminazione di lady Diana, commissionata dal consesso oligarchico presieduto dalla Casa dei Windsor, potrebbe ben presto portare alla caduta del governo socialista francese che rischia di trovarsi di fronte ad un vero e proprio nuovo caso Dreyfuss.
Ad uccidere lady Diana non è stato l'urto del veicolo in cui viaggiava la notte del 31 agosto ma una somma calcolata di errori premeditati a cui i soccorritori furono indotti sotto la direzione personale di esponenti del governo francese che si sono tenuti in stretto contatto tra loro: il capo della Polizia di Parigi Philippe Massoni ed il ministro degli Interni Jean-Pierre Chevènement. Il primo ha diretto le operazioni nel tunnel de l'Alma, il secondo quelle presso l'ospedale La Pitié Salpetrière.

Condizioni tutt'altro che disperate
Subito dopo l'urto Diana è stata assistita dal medico Frédéric Maillez, che si è trovato casualmente sul luogo e ha chiamato dalla sua auto i soccorsi. Maillez ha dichiarato al giornale scozzese The Scotsman del 29 settembre e a un giornale medico francese di essere convinto che Diana se la sarebbe potuta cavare benissimo, che non correva grossi rischi. Il medico vanta una notevole esperienza nel sistema di pronto soccorso pubblico francese SAMU e attualmente lavora al pronto soccorso privato SOS Médicin.


Fattore tempo
L'autoambulanza che doveva raccogliere la vittima è arrivata ben 14 minuti dopo la prima notifica di Maillez alla polizia, 8 minuti dopo le troupe televisive, fatto inspiegabile persino per un incidente in cui fosse rimasto coinvolto un malcapitato qualsiasi, ha detto all'EIR un medico parigino che ha una notevole esperienza nel settore. Il ritardo si è verificato sebbene polizia, vigili del fuoco e pronto soccorso sapessero, dalle radio di servizio tutte sulla stessa frequenza, che la vittima era Diana.

L'autoambulanza ha quindi atteso un'ora prima di rimettersi in moto verso l'ospedale. La polizia pretende di spiegare quest'incredibile perdita di tempo con difficoltà incontrate nell'estrarre la vittima dall'auto.

Il dott. Maillez dice di non aver avuto alcuna difficoltà a muovere Diana, nel prestarle i primi soccorsi, ed è comunque visibile dalle foto che le portiere posteriori erano apribili.

L'autoambulanza ha impiegato la bellezza di 43 minuti per giungere al La Pitié Salpetrière, che è a meno di 6 km di distanza, e ha fatto anche un'ultima sosta di 10 minuti a qualche centinaio di metri dall'entrata dell'ospedale.



L'ospedale giusto era lì
La decisione di portare Diana a quell'ospedale è la più sbagliata possibile e le responsabilità ricadono quasi certamente su Massoni. Infatti, sostiene l'esperto medico francese consultato dall'EIR, "io l'avrei portata a Val de Grâce in meno di un quarto d'ora. È più vicino ed è un ospedale militare. Ogni personalità politica che ha un incidente d'auto o rimane ferita viene portata lì. I vigili del fuoco che si sono recati sul luogo dell'incidente sono parte dell'Esercito e non c'è dubbio che sapessero benissimo che al Val de Grâce c'è di guardia, ventiquattr'ore su ventiquattro, la migliore équipe di specialisti anti trauma.

"Avrei persino chiamato un elicottero e l'avrei fatta entrare in sala operatoria solo qualche minuto dopo averla stabilizzata sul luogo dell'incidente". Chi ha fatto questa dichiarazione vanta un'esperienza ultradecennale nel servizio di autoambulanza e spiega che il tempo, in casi del genere, è il fattore assolutamente decisivo.

Chi ha vietato ai vigili del fuoco di far trasportare la vittima al Val de Grâce ha anche evitato altri ospedali più attrezzati e soprattutto più vicini: Cochin, Hotel Dieu, Lariboisière. Il tutto per ritardare l'entrata in sala operatoria di un'ora e tre quarti. A quel punto i chirurghi si sono trovati di fronte alle conseguenze irreparabili delle emorragie interne. Non c'era più niente da fare.


Le spie e i testimoni
D'altra parte è ormai certo che l'operazione di caccia all'uomo sia stata condotta dai servizi inglesi, che si sono schermati dietro il nugulo di fotografi scalmanati. Il settimanale inglese The People (2 milioni di lettori) ha citato fonti anonime vicine alla polizia francese secondo cui l'operazione è stata condotta da "ex" agenti dei servizi inglesi MI-6 (quelli che operano nelle imprese di sicurezza "private" denunciate sul numero 5 di Solidarietà del novembre 1997). Da altre fonti l'EIR ha potuto ricostruire come all'Hotel Ritz ci fossero almeno cinque personaggi sospetti che seguivano gli spostamenti di Diana e Dodi Al Fayed. Uno di questi osservava l'uscita posteriore dell'Hotel, e ha fatto una telefonata col suo cellulare quando ha visto uscire l'auto con Diana a bordo, dopodiché si sarebbero messi in moto non solo i fotografi, che si presumeva fossero stati depistati, ma anche le due automobili che avrebbero causato l'incidente.

Per proteggere questi personaggi, e soprattutto le due auto, la polizia francese di Massoni ha letteralmente scacciato testimoni scomodi come Gary Hunter che, accorso alla finestra del suo Hotel dopo aver udito il fragore nel tunnel, aveva potuto vedere le due auto uscire dal tunnel ed allontarsi precipitosamente, evidentemente insieme. La polizia francese è riuscita a respingere una sua deposizione fino alla fine di ottobre. E lui non è l'unico testimone ad essere stato scoraggiato dalla polizia a fornire elementi concreti per l'inchiesta.

L'indagine è resa ancora più oscura e confusa da una serie di testimonianze apertamente discordanti e contrastanti.



Il caso di Henry Paul
L'altra protezione offerta dalla polizia francese ai criminali riguarda Henry Paul, l'autista su cui sono state scaricate le responsabilità dell'incidente.

La polizia ha avallato le storie del suo alcolismo e del fatto che non fosse autorizzato a guidare l'automobile. Dagli esami medici compiuti due giorni prima dell'incidente -- per confermare il suo brevetto di pilota -- Paul è risultato con il fegato perfettamente sano e senza alcun segno riconducibile ad alcolismo. Nessuna farmacia di Francia riesce a rintracciare la ricetta dei famosi psicofarmaci che Paul avrebbe ingerito. In terzo luogo, alla Mercedes risulta che Henry Paul avesse superato, con i voti migliori, due diversi esami per essere abilitato come autista specializzato dei veicoli della casa tedesca. L'EIR documenta che ogni altra diceria sul conto di Paul risulta falsa.

La famiglia di Henry Paul è riuscita ad ottenere la consegna della salma del congiunto, per l'inumazione, a condizione che rinunciasse esplicitamente a far eseguire un'autopsia indipendente. Ad un riesame degli atti delle precedenti autopsie, dalle quali risulta l'eccesso di alcool e di medicinali, il prof. Peter Vanezis, primario della cattedra di medicina legale dell'Università di Glasgow famoso tra l'altro per le consulenze all'ONU nei massacri in Bosnia e Ruanda e anche per aver scoperto la truffa di una presunta erede dei Romanov ha detto che le procedure delle autopsie sono piene di irregolarità, a partire dal sangue prelevato negli organi sbagliati. L'unica cosa che Vanezis ha potuto accertare da quei referti è che il fegato della vittima fosse sanissimo.


Uno "sport di classe"
L'accanimento contro Henry Paul si spiega non solo con la necessità di presentare l'assassinio come un incidente, ma anche come un pretesto per aizzare le ire popolari contro la famiglia di Al Fayed, per la quale lavorava Paul. Il 27 ottobre il New York Post, giornale americano di proprietà del cartello dell'informazione inglese di Rupert Murdoch, ha dato il segnale con un articolo intitolato "Aperta la caccia contro il padre di Dodi", in cui dice: "Il lutto è finito e l'establishment si toglie i guanti per regolare i conti con Mohammed Al Fayed, padre del playboy che comandava l'auto in cui due mesi fa è morta la principessa Diana". Il giornale assicura che Mohammed è inondato di lettere che lo accusano: "Tu e tuo figlio avete ammazzato la nostra principessa". Ma poi finisce col dire una mezza verità citando un personaggio vicinissimo alla monarchia inglese: "L'establishment coglie l'opportunità offerta da questo terribile incidente per cacciare Mohammed Al Fayed dall'Inghilterra. Diana non c'entra. È solo uno sport sanguinario in cui gli inglesi riescono benissimo".


 
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view post Posted on 13/11/2008, 13:39

ottimo

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Da: Birillino8 Inviato: 15/12/2005 18.13
La televisione americana Nbc manda un'intervista inedita
che ha scatenato una battaglia legale in Gran Bretagna
Un video rivelazione su Lady D
"Uccisero l'amore della mia vita"
Diana Spencer parla della sua infanzia e della bulimia
di CRISTINA NADOTTI


NEW YORK - Questa volta viene dall'America il nuovo capitolo sulla vita segreta della principessa del Galles, Diana Spencer. A più di sette anni dalla sua morte, nel 1997 in un incidente stradale a Parigi, Lady D, come ogni mito che si rispetti, continua a far parlare di sé. In un video registrato nel 1992, e che verrà trasmesso la prossima settimana in due puntate dalla tv statunitense Nbc, Lady Diana racconta i suoi sospetti sulla morte di un suo amante, avvenuta cinque anni prima della registrazione, e parla di omicidio.
La Nbc ha anticipato i contenuti del video, tenuto nascosto per anni dopo la morte della principessa e sul quale si è scatenata una battaglia legale nelle aule di giustizia britannica. Si tratta infatti delle registrazioni fatte nei primi anni '90 dal maestro di dizione di Lady D, Peter Settelen, che la aiutava a preparare i discorsi che la principessa doveva tenere in pubblico.
Le registrazioni durano circa 20 ore in tutto e Settelen ne ha recentemente ottenuto la custodia legale. I nastri, infatti, erano stati sequestrati dalla polizia nella casa di Paul Burrell, il maggiordomo "tuttofare" di Diana, che fu accusato di aver rubato gli oggetti personali della principessa e che per primo parlò di omicidio e non di incidente. Settelen ha saputo che i nastri esistevano ancora proprio durante il processo al maggiordomo e ne ha chiesto la custodia, in quanto in possesso del copyright.
Ora che l'ha ottenuta, come la famiglia reale temeva Settelen ha venduto le registrazioni nella quale Lady Diana parla di sé, della sua famiglia e della sua vita, dando una volta di più la sensazione di essere stata una principessa triste che si sfogava appena poteva.

Il video che la Nbc manderà in onda la prossima settimana affronta in particolare il tema della vita sentimentale infelice di Diana. C'è l'accenno al suo passato amore per "un membro dello staff che rimase ucciso in un incidente di motocicletta nel 1987". La televisione americana ipotizza che la fiamma di Lady Diana fosse la guardia reale Barry Mannakee, ma la principessa non fa il suo nome.
"Siamo stati scoperti e lui è stato allontanato", racconta però Lady D nel video, aggiungendo inoltre: "Poi è stato ucciso. Questo è stato il colpo più grosso della mia vita, devo ammetterlo. E credo che sia stato fatto fuori. Ma io non..., non sapremo mai, è stato il compagno più importante che ho mai avuto". Secondo la Nbc, la registrazione getta una nuova luce sulla pricipessa Diana, "molto differente dall'immagine formale che mostrava in pubblico".

(27 novembre 2004)

 
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