I mille volti del terrorismo internazionale

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view post Posted on 12/11/2008, 15:11

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E’ un’arma feroce quanto efficace, violenta quanto spettacolare, criminale e al tempo stesso politica. Ma soprattutto il terrorismo è un’arma.
A volte rappresenta l’extrema ratio per la realizzazione di principi che di per sé sarebbero anche nobili e condivisibili, se il terrorismo non avesse – quasi sempre – la caratteristica di sparare nel mucchio, di sacrificare civili inermi. Spesso la via terroristica rappresenta solo una scorciatoia per raggiungere finalità irraggiungibili per via pacifica.
Il fenomeno del terrorismo si è imposto a livello globale con il secolo appena trascorso, ma con un’intensità ed una violenza sempre in crescendo.
Non esiste, evidentemente, un solo terrorismo: accanto a quello "contro lo Stato" esiste la violenza terroristica "di Stato". E spesso è difficile stabilire una graduatoria di crudeltà tra un’azione terroristica in grande stile di un commando clandestino che sacrifica vittime innocenti ed il bombardamento di un’aviazione militare regolare di uno Stato civile che condanna alla stessa fine altre vittime innocenti.
In queste pagine affronteremo però solo il primo dei due aspetti. Ben consapevoli, comunque, che spesso le due forme di terrorismo sono pienamente connaturate.
Cercheremo di scandagliare il fenomeno in tutti i suoi aspetti e le sue forme: dal terrorismo separatista ed irredentista, condotto da movimenti che hanno come obiettivo la lotta per la liberazione del proprio paese da forme di egemonia, per lo più esterne, fino al terrorismo inteso come guerra planetaria per affermare la prevalenza di una concezione del mondo.
In altre parole da fenomeni di lotta armata circoscritti come quelli rappresentati dall’ETA basca, dall’IRA irlandese, dalle FARC colombiane, dall’UCK balcanico (solo per fare qualche esempio) fino alla galassia degli esegeti della paura che compongono il network islamico del terrore, in un miscuglio spesso indescrivibile dove lotta di liberazione e terrorismo, appunto, si confondono.
Ma parleremo anche di forme eversive e sovversive ormai sparite, oppure "in sonno" che si sono radicate negli anni Settanta in America Latina, in Giappone, in Europa.
Per quanto riguarda, invece, il terrorismo italiano vi rimandiamo ad un’altra e più specifica sezione di Misteri d’Italia.
 
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view post Posted on 12/11/2008, 15:46

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AMERICA LATINA
Un continente desaparecido?





Un profondo conoscitore della sua realtà, come Gianni Minà, ha definito l’America latina il "continente desaparecido".
A fronte delle sue potenzialità, delle sue ricchezze naturali, della sua grande cultura popolare, della vitalità dei suoi popoli il Sud America oggi non è altro che questo: un pezzo di mondo che sta lentamente scomparendo e annegando nella miseria, nella violenza, nel caos. Risultato, tutto questo, delle profonde contraddizioni politiche in cui il sub continente è stato da sempre attraversato, dalla endemica corruzione dei suoi governi, ma prodotto anche dello sfruttamento delle sue risorse da parte degli interessi economici made in USA, veri padrona e burattinai dei suoi destini. Basti pensare alla terrificante crisi economica in cui è precipitato un Paese ricco e scarsamente abitato come l’Argentina o, di contraltare, ai poderosi sforzi che in Brasile sta conducendo uno degli esperimenti democratici più avanzati, quello del presidente Lula.
Le tensioni eversive dominano da quasi due secoli l’America latina, palestra continua – almeno fino agli anni Ottanta - del golpismo di tutti i tipi di dittatura militare immaginabili. Fino a queto periodo, uno ad uno, quasi tutti i paesi latino-americani avevano conosciuto la vergogna delle dittature fasciste in divisa: Cile, Argentina, Brasile, Bolivia, Paraguay, Venezuela, Colombia, Uruguay, Perù. E in tutti questi paesi sono sorte, in vari momenti, esperienze di lotta armata destinate per lo più alla sconfitta o a scivolare, apertamente, sul piano inclinato del terrorismo.



IL LIBANO








Un paese tanto piccolo (appena 10.452 Km quadrati, più piccolo dell’Abruzzo, con poco meno di 4 milioni di abitanti) quanto sfortunato e dalla storia sofferta e disastrata.

Questo è il Libano la cui collocazione geografica (confina a sud con Israele e per il resto del suo territorio con la Siria) lo rende un territorio geopoliticamente fragile, sempre sovraesposto alle tensioni mediorientali e ai venti di guerra che da ormai un secolo attraversano l’intera area.

Una dominazione coloniale francese, un sovrapporsi di componenti religiose (musulmani sunniti e sciiti, cristiani, drusi), il tentativo di creare (dal 1943) un proprio Stato basato su un precario equilibrio confessionale, una lunga guerra civile (1975 - 1990) che ne ha martoriato le carni e lo spirito, un interminabile martellamento israeliano (prima invasione nel 1978), un continuo dominio siriano hanno fatto del Libano una delle terre più instabili dell’intero pianeta.

Nodo centrale per risolvere la questione mediorientale, il Libano - ancora una volta grazie alla sua collocazione geografica e alla natura commerciale dei suoi abitanti - fino agli inizi degli anni Settanta veniva chiamato “la Svizzera del medioriente”: segreto bancario, casinò, luogo di vacanze dorate.

Oggi, dopo l’ennesima, insensata invasione israeliana del luglio 2006, il Libano, appena ricostruito dalle distruzioni della guerra civile, è nuovamente un paese al collasso.
 
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view post Posted on 12/11/2008, 20:56

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Da: Birillino8 Inviato: 18/01/2008 22.42
Mondo in fiamme

La tragedia libanese

BREVE STORIA DEL LIBANO

Nella bibbia il suo territorio è identificato come la “terra del latte e del

miele ” tanto abbondanti sono sempre state le sue risorse naturali e le sue

potenzialità difensive offerte dalle alte montagne ad est e dal mare ad

ovest.

Le coste del Libano risultano abitate fin da 10 mila anni prima di

Cristo, ma è solo attorno al 2500 a.C. che la costa viene colonizzata

da una delle più grandi civiltà del mediterraneo, i Fenici che seppero a

lungo dominare i mari, furono eccezionali artigiani e crearono il primo

vero alfabeto.

Nel IX secolo a.C. sono gli Assiri ad interrompere l'esclusivo dominio

commerciale dei Fenici nel bacino del Mediterraneo. Sopravvengono poi i

Babilonesi , a loro volta sopraffatti dai Persiani .

Il definitivo declino dei Fenici arriva quando Alessandro Magno, nel IV

secolo a.C., ellenizza gradualmente la Fenicia, che viene poi conquistata

nel 64 a.C. da Pompeo il Grande per venire annessa alla Siria, una

delle tante province romane.

Con la caduta dell’impero romano, il cristianesimo fa il suo ingresso

nel territorio che oggi chiamiamo Libano e che a partire dal IV secolo

d.C. entra a far parte dell'impero bizantino d'Oriente, la cui capitale

era Costantinopoli (l’odierna Istanbul).

Ma l’imposizione del cristianesimo non incontra il favore della popolazione

cosicché quando i musulmani , provenienti da sud, diffondono la parola di

Allah incontrano poca resistenza.

Gli Omayyadi , la prima grande dinastia islamica, esercita il proprio

dominio sul Libano per circa un secolo, ma deve scontrasi con

l’opposizione degli ebrei e dei cristiani locali , specialmente i

maroniti , che cercano rifugio sui monti del Libano.

Dopo la caduta degli Omayyadi per mano degli Abbasidi nel 750, il

Libano diviene una zona depressa dell'impero abbaside, di influenza

persiana. Questo impero dura fino all'XI secolo prima di essere

rovesciato dalla dinastia Fatimide che continua il suo regno fino

all'arrivo dei crociati .

A partire dal XVI secolo il Libano finisce sotto l’influenza del sultano

ottomano Selim I che conquista il Libano nel 1516-17. E’ Ahmad

Ma'an, nel 1667, a fondare un emirato destinato a diventare il nucleo del

Libano moderno. Quando Ahmad Ma'an muore, il potere passa

alla

famiglia Shihab che lo mantiene fino al 1840, quando lotte intestine e

differenze religiose mettono la parola fine all'epoca degli emirati.

Nel 1842 gli Ottomani dividono il Libano in due regioni amministrative:

una drusa , l'altra maronita . Tre anni dopo è già guerra aperta, non solo

tra i drusi e i maroniti, ma anche fra i contadini e i loro capi feudali.

Durante la prima guerra mondiale il Libano è ancora sotto il controllo

militare dei Turchi, ma in seguito alla vittoria degli Alleati, nel 1918, il

suo territorio diventa nei fatti una colonia francese .

Come la maggior parte dei Paesi del medioriente, anche il Libano attuale

è infatti un prodotto delle potenze coloniali che a partire dalla fine della

prima guerra mondiale, crearono degli Stati Nazionali, usando più i

righelli e le carte geografiche che il raziocinio.

Scopo della Francia è quello di creare, in seno al mondo arabo

musulmano, uno Stato a netta maggioranza cristiana nel quale i

maroniti (una setta cristiana d’oriente legata alla Chiesa di Roma,

fondata da San Marone nel sesto secolo) avrebbero dovuto essere

maggioritari. Scelta politica sbagliata dal momento che il Libano era

però già allora più che un Paese, un crogiolo di comunità religiose

formato, in gran parte, da perseguitati, fuggiti dai Paesi vicini.

Dopo la seconda guerra mondiale, il Libano ottiene la sua completa

indipendenza, diventando in breve tempo un importante centro

commerciale e finanziario.

E’ in questa fase che nasce l’errore fatale: i francesi lasciano il potere

nelle mani dei cristiani maroniti, sostanzialmente conservatori, fingendo

di ignorare che la stragrande maggioranza della popolazione è araba di

religione musulmana.

Il Libano diventa così una Repubblica basata sul confessionalismo, ossia

su di un assetto istituzionale in cui l'appartenenza religiosa di ogni

singolo cittadino diventa il principio ordinatore della rappresentanza

politica e il cardine del sistema giuridico.

Anche gli incarichi amministrativi sono suddivisi tra le differenti

confessioni religiose secondo un meccanismo predeterminato di quote

riservate che sono attribuite a ciascun gruppo in funzione del suo peso

demografico e sociale.

In base a una convenzione costituzionale, mai scritta, risalente al

cosidetto Patto Nazionale (al-mīthāq al-watanī) del 1943, le più alte

cariche dello stato sono assegnate ai tre gruppi principali: il capo dello

Stato è cristiano maronita, il capo del Governo è musulmano sunnita e il

capo del Parlamento è musulmano sciita.

Gli accordi di Tā'if del 1989 non riusciranno a modificare questo

sistema, limitandosi a riequilibrare i rapporti di forza tra le confessioni

maggiori, facendo in modo che il numero di deputati musulmani

diventi

pari al numero di deputati cristiani, e aumentando i poteri e le

prerogative del primo ministro a scapito del presidente della Repubblica.

Dal punto di vista costituzionale, il Libano può essere definito una

Rpubblica semipresidenziale dal momento che il capo dello Stato , pur non

essendo eletto direttamente dal popolo, condivide il potere esecutivo con il

primo ministro.

Il potere legislativo è affidato all'Assemblea dei Deputati (Majlis al-

Nuwwāb), composta da 128 deputati, eletti ogni cinque anni mediante

suffragio universale diretto.

I seggi in palio sono attribuiti in base a criteri geografici e confessionali,

attraverso una minuziosa ripartizione che cerca di riflettere gli equilibri

demografici esistenti tanto a livello nazionale quanto a livello locale.

Quando, prima nel 1948 e nel 1967, dopo la prima e seconda guerra

arabo-israeliana, e poi agli inizi degli anni Settanta, in pieno conflitto

mediorientale e dopo la cacciata dalla Giordania (settembre nero) il

Libano si riempie di profughi paestinesi (che oggi rappresnetano quasi

il 10% della popolazione) la miscela per la guerra civile è pronta.

La guerra civile libanese espode nel 1975: da un lato i musulmani

prevalentemente di sinistra, filo palestinesi e fautori del panarabismo,

dall’altro le milizie cristiane ultranazionaliste, sostanzialmente di

estrema destra. Su tutto i fantasmi di Siria e Israele, sempre pronti

nominalmente a dividere i contendenti, ma entrambi sempre pronti anche

a sterminare la componente araba.

I siriani , che hanno sempre ritenuto il Libano una loro provincia,

intervengono sul finire degli anni Settanta, su esplicita richiesta del

presidente libanese, mentre gli israeliani , con la disatrosa operazione

Pace in Galilea, nel 1982 invadono il Paese nel tentativo di creare

nella capitale Beirut un governo fantoccio, affidato ai cristiano maroniti.

Obiettivo claorosamente fallito.

Ma per far questo l’esercito israeliano agli ordini del gen. Ariel Sharon,

futuro premier, allora ministro della Difesa, non esita a coprire e ad

assecondare i massacri di donne e bambini palestinesi ad opera dei

falangisti cristiani (le stragi di Sabra e Chatila).

Impantanato nella sua stessa presunzione, Israele è costretto a dar vita

nel sud del Libano ad una milizia mercenaria (l’Esercito del Libano

del sud ) con il compito di proteggere la parte settentrionale di Israele

dalle incursioni dei guerriglieri palestinesi (vi resterà per 18 anni, fino al

2000).

Nel frattempo il consiglio di sicurezza dell'ONU è costretto a

mandare in Libano una forza multinazionale, composta soprattutto da

eserciti di Stati Uniti, Francia e Italia, con il compito di proteggere

l’evacuazione verso la Tunisia delle milizie armate palestinesi e dei

vertici dell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

Ma la guerra civile libanese è solo agli inizi. Milizie formate da

combattenti musulmani e drusi riprendono a scontrasi con le falangi

Figura controversa, Hariri, sempre sotto la piena e indiscutibile “tutela”

della Siria, diventa il “padre della ricostruzione economica ” ma al

tempo stesso anche il responsabile del gigantesco debito pubblico del

piccolo Paese arabo, stimato nel 2005 in 35 miliardi di dollari.

Hariri lascerà il governo nel 2004 per poi morire in un attentato il 14

febbraio 2005.

E’ questo un passaggio cruciale nella vita e nella storia del Libano che

quel giorno si trova a dover rispondere in fretta e furia ad un

interrogativo. Chi ha ucciso Hariri?

Le tensioni che, specie negli ultimi tempi della sua vita, erano emerse tra

la sua presidenza e il potere di Damasco farebbero puntare il dito

accusatorio sui servizi segreti siriani, anche se in verità Hariri ha

sempre chinato il capo ai voleri dei veri padroni del Libano e, anche dopo

le sue dimissioni, era pronto a fare la stessa cosa.

D’altro canto c’è da chiedersi che vantaggi poteva avere la Siria

dall’eliminazione fisica di Hariri, specie alla luce di quanto accadrà subito

dopo l’attentato: la rapida fuoriuscita dal Libano dell’esercito siriano

sotto pressione internazionale. Come dire: l’assassinio di Hariri, se ad

ucciderlo sono stati davvero i siriani, è stato per Damasco un clamoroso

autogol.

Resta un’altra ipotesi, sempre sostenuta proprio dalla Siria: Hariri è stato

sì assassinato da servizi segreti stranieri, ma forse da quelli israeliani.

Seguendo il famoso ed abusato “a chi giova?”, specie alla luce di quanto

accadrà nell’estate del 2006, quindi a poco più di un anno dalla morte

di Hariri, il dubbio sul vero autore dell’attentato prende corpo.

Le manifestazioni di piazza antisiriane seguite all’esecuzione dell’ex

premier, la cacciata dei siriani dal territorio libanese, la vittoria del figlio

di Hariri alle elezioni del maggio 2005, la nuova spartizione del potere

con un deciso peso assegnato agli hezbollah, tutto favorisce la seconda

furibonda invasione del Libano da parte di Israele.

Allo stato ebraico basta un pretesto per radere di nuovo al suo un intero

Paese: due soldati israeliani rapiti da hezbollah.

Difficile credere che quei piani di invasione siano stati improvvisati.

Forse erano già pronti da tempo.

Forse proprio da quel giorno di San Valentino, da quel 14 febbraio 2005

quando Hariri morì con tanti uomini della sua scorta sul lungomare di

Beirut.

cristiane, mentre unità dell’esercito attaccano la guerriglia palestinese

rimasta nel Paese. Nel frattempo entra in gioco un’altra variabile: quella

musulmano sciita di Hezbollah (il Partito di Dio), unità combattenmti di

chiara importazione iraniana che per prima cosa attaccano con kamikaze

le caserme americane e francesi, mietendo tante di quelle vittime da

costringere la forza multinazionale, nel 1984, ad abbandonare il Libano.

A questo punto dominatori dello scontro intestino, che nel frattempo è

diventato di tutti contro tutti, è la Siria che, lentamente, riesce a portare

sotto il suo controllo le zone musulmane del Libano, stringendo

inominabili patti con la componente siriana.

E’ la pax siriana che si dispiega sotto la presidenza libanese di Elias

Hrawi, un cristiano maronita moderato, in buoni rapporti con la Siria.

La lunga guerra ha avuto costi enormi: 150.000 persone sono morte e il

paese si è ritrovato in condizioni tanto disastrose che l'ammontare dei

danni alle infrastrutture è stato valutato nell'ordine delle decine di

miliardi di dollari.

Nell'agosto del 1992, nel Libano distrutto da 15 anni di guerra civile,

apparentemnte pacificato, si tengono le elezioni parlamentari: a vincere

sono i fondamentalisti islamici del partito Hezbollah, sempre sostenuto

dagli iraniani, ma in buoni rapporti anche con al Siria.

Il Libano sembra comunque avviato a poter rafforzare la sua fragile

tregua interna.

Ma le schermaglie tra gli hezbollah e i soldati israeliani continuano. Nel

1993 gli israeliani lanciano una nuova campagna militare, denominata

Furore : una settimana di bombardamenti aerei, navali e terrestri

condotti dagli israeliani contro 80 villaggi del Libano meridionale.

Nell'aprile del 1996 nuovi attacchi aerei israeliani nel sud del Libano e

su Beirut.

Ma nel 2000 Israele, finalmente, abbandona il sud del Paese. L’Esercito

del Libano del sud viene sciolto. Una vittoria raggiunta grazie alla tenacia

di hezbollah che non ha mai abbandonato il confine sud e che è

riconosciuto in tutto il Libano come l’unico difensore del Paese.

Intanto sul piano interno la situazione, pur restando difficile e complicata,

sembra aver trovato in un ricco magnate il suo elemento di equilibrio e

moderazione: è Rafic Hariri, un miliardario legatissimo alla famiglia

regnate saudita, che, come primo ministro, guiderà il Paese per 12 anni,

dal 1992 al 2004.

Figura controversa, Hariri, sempre sotto la piena e indiscutibile “tutela”

della Siria, diventa il “padre della ricostruzione economica ” ma al

tempo stesso anche il responsabile del gigantesco debito pubblico del

piccolo Paese arabo, stimato nel 2005 in 35 miliardi di dollari.

Hariri lascerà il governo nel 2004 per poi morire in un attentato il 14

febbraio 2005.

E’ questo un passaggio cruciale nella vita e nella storia del Libano che

quel giorno si trova a dover rispondere in fretta e furia ad un

interrogativo. Chi ha ucciso Hariri?

Le tensioni che, specie negli ultimi tempi della sua vita, erano emerse tra

la sua presidenza e il potere di Damasco farebbero puntare il dito

accusatorio sui servizi segreti siriani, anche se in verità Hariri ha

sempre chinato il capo ai voleri dei veri padroni del Libano e, anche dopo

le sue dimissioni, era pronto a fare la stessa cosa.

D’altro canto c’è da chiedersi che vantaggi poteva avere la Siria

dall’eliminazione fisica di Hariri, specie alla luce di quanto accadrà subito

dopo l’attentato: la rapida fuoriuscita dal Libano dell’esercito siriano

sotto pressione internazionale. Come dire: l’assassinio di Hariri, se ad

ucciderlo sono stati davvero i siriani, è stato per Damasco un clamoroso

autogol.

Resta un’altra ipotesi, sempre sostenuta proprio dalla Siria: Hariri è stato

sì assassinato da servizi segreti stranieri, ma forse da quelli israeliani.

Seguendo il famoso ed abusato “a chi giova?”, specie alla luce di quanto

accadrà nell’estate del 2006, quindi a poco più di un anno dalla morte

di Hariri, il dubbio sul vero autore dell’attentato prende corpo.

Le manifestazioni di piazza antisiriane seguite all’esecuzione dell’ex

premier, la cacciata dei siriani dal territorio libanese, la vittoria del figlio

di Hariri alle elezioni del maggio 2005, la nuova spartizione del potere

con un deciso peso assegnato agli hezbollah, tutto favorisce la seconda

furibonda invasione del Libano da parte di Israele.

Allo stato ebraico basta un pretesto per radere di nuovo al suo un intero

Paese: due soldati israeliani rapiti da hezbollah.

Difficile credere che quei piani di invasione siano stati improvvisati.

Forse erano già pronti da tempo.

Forse proprio da quel giorno di San Valentino, da quel 14 febbraio 2005

quando Hariri morì con tanti uomini della sua scorta sul lungomare di

Beirut.

 
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