| La seconda guerra punica
Con trentasette elefanti, cinquantamila fanti e novemila cavalieri, per lo più Iberici e Libici, Annibale partì verso l'Italia nella primavera del 218 a.C. lasciando il fratello Asdrubale a comandare le truppe in Iberia e a controllarne il territorio e le coste. Dopo un relativamente facile attraversamento dei Pirenei, Annibale dovette scontrarsi con le tribù galliche alleate alla colonia greca di Marsiglia e -contrariamente alle aspettative del generale cartaginese - del tutto indifferenti alla situazione delle consorelle che occupavano la Pianura Padana e sentivano la pressione delle armi romane. Questa resistenza spinse Annibale verso il nord della Provenza. Tremila uomini si rifiutarono di iniziare un così pericoloso passaggio. Annibale permise ad altri settemila, titubanti, di ritornare in Spagna. Avendo così mantenuto le truppe migliori, il generale, dopo essere riuscito a evitare uno scontro con forze romane sul Rodano, nell'autunno iniziò la scalata delle Alpi. Ventimila fanti, seimila cavalieri e ventun elefanti riuscirono ad arrivare nella Pianura Padana, meno della metà di quanti erano partiti. Sconfiggendo tribù montane, difficoltà del terreno e intemperie, Annibale aveva compiuto una delle imprese militari più memorabili del mondo antico.
La sua improvvisa apparizione fra i Galli della Pianura Padana fece staccare molte tribù dalla appena stipulata alleanza con Roma. Dopo una breve sosta per lasciare riposare i soldati, Annibale si assicurò le posizioni alle spalle sottomettendo la tribù ostile dei Taurini (nei dintorni dell'odierna Torino). Quindi mosse lungo la valle del Po sconfiggendo i Romani, guidati da console Publio Cornelio Scipione (il padre del vincitore di Zama), in una scaramuccia presso Victumulae lungo il Ticino costringendoli ad evacuare buona parte della Lombardia con azioni della sua superiore cavalleria. Nel dicembre dello stesso anno ebbe l'opportunità di mostrare la sua capacità strategica quando attaccò al fiume Trebbia (Battaglia della Trebbia) vicino Placentia le forze di Publio Cornelio Scipione (padre dell'Africano) cui si erano aggiunte le legioni di Tiberio Sempronio Longo. Tatticamente la battaglia anticipò quella di Canne. L'eccellente fanteria romana si incuneò nel fronte dell'esercito cartaginese ma i romani furono accerchiati ai fianchi dalle ali di cavalleria numidica e respinti verso il fiume. Di 16.000 legionari e 20.000 alleati si salvarono circa 10.000 uomini che ripiegarono a Piacenza.
Dopo aver resa sicura la sua posizione nel nord Italia con questa battaglia, Annibale acquartierò le sue truppe per l'inverno fra i Galli il cui zelo per la sua causa, cominciò a scemare a causa dei costi del mantenimento dell'esercito punico. Nella primavera del 217 a.C. Annibale decise di trovare a sud una base di operazioni più sicura. Con le sue truppe e l'unico elefante sopravvissuto all'inverno, attraversò quindi l'Appennino senza incontrare opposizione. Lo attendevano grosse difficoltà nelle paludi dell'Arno dove perse molte delle sue truppe per i disagi e le malattie e dove egli stesso divene cieco da un occhio. Avanzò quindi in Etruria su terre più elevate inseguito dalle armi romane. Con l'aiuto della nebbia riuscì a sconfiggere i romani nella Battaglia del Lago Trasimeno piombando all'improvviso sulle truppe romane in spostamento e spingendole sulle spiagge e nelle acque del lago. Morì il console Gaio Flaminio. La strada per Roma era aperta. Rendendosi però conto di non disporre un esercito tecnologicamente attrezzato per un assedio della Città, preferì sfruttare la sua vittoria per spostarsi dal Centro al Sud Italia e lì provare a suscitare una generale rivolta contro i dominatori di Roma. Anche se controllato e disturbato strettamente dalle truppe del dittatore Quinto Fabio Massimo che sarà detto "il Temporeggiatore", riuscì nel suo intento staccando vari popoli dall'alleanza con Roma. In un'occasione, anche se intrappolato nella pianura Campana riuscì a sfuggire con uno stratagemma e a trovare una base confortevole nelle pianure dell'Apulia, dove i Romani non osavano scendere per timore della superiore cavalleria del cartaginese.
Nella campagna del 217 a.C. Annibale non riuscì a ottenere un seguito fra le popolazioni Italiane ma l'anno seguente ebbe l'opportunità di creare una svolta in questo atteggiamento. Un forte esercito Romano comandato da Lucio Paolo Emilio e Caio Terenzio Varrone avanzò verso di lui in Apulia e accettò battaglia nei pressi di Canne (Battaglia di Canne). Ponendo al centro dello schieramento i Galli (che come previsto cedettero rapidamente) e attaccando con la cavalleria pesante numidica la cavalleria leggera di Roma, messa presto in fuga, Annibale riuscì a circondare le legioni e a distruggerle quasi completamente. I romani ebbero 30.000 caduti, 10.000 caddero prigionieri e solo 10.000 circa riuscirono a rifugiarsi a Venusia con il superstite console Varrone. Le perdite di Annibale furono circa 6.000. Questa vittoria portò al suo fianco la quasi totalità delle popolazioni meridionali mentre l'Etruria e i Latini restarono fedeli all'Urbe. Non avendo però ricevuto aiuti a sufficienza né dalla madrepatria né dai nuovi alleati non poté portare un attacco diretto a Roma nonostante questa non potesse più schierare molte truppe a sua difesa. Dovette quindi accontentarsi di dispiegare le truppe al controllo del territorio e il solo evento notevole del 216 a.C. fu la conquista di Capua, allora la seconda maggior città d'Italia. Annibale vi pose la sua nuova base.
Negli anni successivi Annibale si dovette adattare a operazioni minori per lo più necessarie al controllo della Campania. Non riuscì a costringere i suoi nemici ad una battaglia definitiva e, anzi, dovette subire alcune leggere sconfitte. Con il passare del tempo la sua posizione nel Sud Italia divenne sempre più difficile. Le truppe affidate ai suoi subordinati non erano, in genere, capaci di operare da sole e né il governo cartaginese (che inviò solo 4.000 numidi e 48 elefanti) né il suo alleato Filippo V di Macedonia (disturbato dall'azione diplomatica romana presso la Lega Etolica e Attalo I di Pergamo avversari del re macedone) operarono per portargli un aiuto concreto e sufficiente. La conquista di Roma diventava sempre più remota e difficile. Nel 212 a.C. Annibale ottenne un grande successo conquistando Tarentum, colonia greca in prospettiva utile porto per ricevere aiuti via mare dall'Africa. Per contro, non riuscendo a respingere le armi romane in Campania perse il controllo della regione. L'anno successivo Annibale ritornò in Campania con tutto l'esercito e con una marcia attraverso il Sannio arrivò a tre Km da Roma causando il terrore della popolazione ma pochissimi danni e ancora meno pericolo.
Ma nello stesso anno Capua cadde nuovamente in mani romane. E Roma dimostrò come trattava le popolazioni che tradivano. Questo rese per lo più difficile la situazione del cartaginese facendo vacillare la decisione nelle altre popolazioni vicine. Nel 210 a.C. sconfisse un esercito proconsolare a Herdoniac (oggi Ordona) in Apulia e nel 208 a.C. distrusse una forza romana che assediava Locri. Però Quinto Fabio Massimo, nonostante i suoi quasi settant'anni, assalì Taranto che espugnò l'anno successivo. 30.000 abitanti furono venduti come schiavi. Era 209 a.C. e Roma con 10 delle sue 25 legioni attive (circa 200.000 uomini mobilitati) continuava la graduale riconquista del Sannio e della Lucania. Nel 207 a.C. Annibale ritornò in Apulia dove sperava di riuscire a concertare un ricongiungimento con un esercito cartaginese che stava discendendo l'Italia agli ordini del fratello Asdrubale. Per sua sfortuna, Asdrubale fu sconfitto nella Battaglia del Metauro dalle legioni di Livio Salinatore e Claudio Domizio Nerone e morì. Annibale dovette ritirarsi nelle montagne del Brutium (Calabria) dove riuscì a resistere per alcuni anni. Il fratello superstite Magone venne fermato in Liguria 205 a.C. - 203 a.C. e i negoziati con Filippo V di Macedonia non gli portarono nessun vantaggio per via dell'interferenza Romana. L'ultima speranza di successo in Italia ebbe termine.
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