Caio Giulio CESARE

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view post Posted on 17/11/2008, 21:03

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Caio Giulio CESARE




Caio Giulio Cesare non fu formalmente Imperatore di Roma (come sarà per il successore Augusto), ma è comunemente considerato il primo Imperatore dell’Urbe. Con lui Roma entra nella terza fase della sua storia.

Dalla fase monarchica dei sette Re, durata 244 anni, con una media di 35 per ciascun Re, si era passati a quella repubblicana, ormai in atto da quattro secoli. Con lui inizia la fase imperiale della storia della Città.

Anche la vita di Cesare può essere suddivisa in tre fasi.

La lunga fase iniziale, caratterizzata sia da riprovevoli vicende personali (quali l’adulterio e l’omosessualità) sia da un’ostinata formazione e preparazione per gli eventi futuri. Solo a 42 anni, nella fase intermedia della vita, appare in lui il grande Generale; il conquistatore che sottomette la Gallia e raggiunge la Britannia attraverso un’estenuante guerra novennale; il gran condottiero che, in quattro anni di guerra civile, elimina tutti i suoi avversari. A 55 anni comincerà la breve fase finale del trionfo. Durerà meno di un anno, ma gli sarà sufficiente per dare il via a quella a quella soluzione istituzionale che si chiamerà Impero e che gli sopravviverà per cinque secoli.

Come Napoleone 18 secoli dopo, Cesare era un patrizio diventato democratico che si batteva per il popolo cercandone l’appoggio. Il nemico del Còrso era la monarchia incipriata della fine Settecento, il suo nemico fu l’oligarchia senatoriale egoista e rapace. Ma, a differenza di Napoleone, Cesare aveva contro anche sentimenti repubblicani tanto radicati e diffusi. E fu sconfitto solo da questi ultimi!

Entusiasmanti le sue vittorie, non meno cocenti le sue sconfitte. Fu necessario il trionfo di Alesia per riscattare lo smacco di Gergovia, Farsalo per annullare Durazzo.

Fu uomo poliedrico con grandi qualità positive e negative. Affascina il suo genio, l’eleganza, la temerarietà, la clemenza. Ma c’è anche chi vede in lui l’adultero, l’omosessuale, l’epilettico, il tiranno, l’uomo spietato.

Per tutta la vita aveva operato con gran determinazione e tensione per piegare gli eventi alla propria volontà. Ma una volta assunta la dittatura perpetua appare dominato da un certo fatalismo. Presunzione od inconscio desiderio di vedere esaltata, attraverso le 23 pugnalate finali, una vita da gigante?

Era nato nel 100 a. C. Singolare coincidenza: con lui si apriva un nuovo secolo, ma con lui iniziava anche una nuova epoca della storia romana ed universale.



La lunga fase della formazione (100 – 58 a. C.)
Nacque a Roma. Le sue Note caratteristiche potrebbero recitare così:
“Di statura alta, magro, ma forte, elegante fin troppo, occhi scuri, fronte spaziosa, sguardo folgorante come uno sparviero, aspetto nobile e voce vibrante. Dotato di eccezionale memoria e di singolare capacità d’espressione. Fermo e dominato dalla calma anche nei momenti in cui l’ira gli esplode nell’anima.”<o:p>
Imparò velocemente il greco che divenne la sua seconda lingua. <o:p>
Come Napoleone, si appassionò all’astronomia, alla matematica, alle scienze naturali. <o:p>
La sua grande passione era la poesia, ma questo non lo teneva lontano dalle esercitazioni militari. Suo grande maestro fu lo zio Mario, Generale e Console per sei volte, che in quegli anni deteneva il potere a Roma. Attraverso un severo e continuo addestramento rafforzò il suo fisico che appariva troppo delicato e quasi femmineo.

Ebbe quattro mogli (Cossuzia, Cornelia, Pompea e Calpurnia), sposate per la dote o per opportunità politiche.

Alla morte dello zio Mario, nell’86, proprio per questa parentela, fu incluso nelle liste di proscrizione compilate dal dittatore Silla e dovette scappare da Roma. Ma, grazie ad alcuni amici (le raccomandazioni esistevano già allora), Silla lo escluse dalle liste di proscrizione salvandogli la vita. Lo fece esclamando “Sia fatta la vostra volontà ..... tenetevelo pure questo ragazzo. Ve ne pentirete ..... Io vedo molti Marii in un solo Cesare”. Come avrà fatto Silla ad intuire tutto questo in un fanciullo di 14 anni?

La sua fu una giovinezza “chiacchierata”. Come quando fu incaricato di portare al re di Bitinia la richiesta del concorso di una flotta. La missione ebbe esito felice, ma si mormorava, con maldicenza, che ormai lui era diventato “la regina di Bitinia” (sarà questa un’accusa frequentemente formulata nel corso di tutta la sua vita).

Ma vi furono anche episodi da cui emergevano doti di fermezza e di carattere. Come quando, durante un viaggio in mare, fu rapito da una banda di corsari e tenuto in ostaggio due mesi fino al pagamento del riscatto. Dopo il rilascio riuscì a farsi dare una flotta. Improvvisatosi Ammiraglio, ricercò i pirati nei loro covi. Li sorprese, li catturò e li fece impiccare tutti. Aveva appena 22 anni!

Pur essendo di origine patrizia abbracciò la causa dei “populares” ed anche per questo dovette fare tanta “gavetta” per proseguire nella carriera. La scelta politica non poteva essere diversa. Era nato nella Suburra, il quartiere proletario, il “buco nero” della Città splendida, il ghetto ove era racchiusa una plebe povera e fannullona, il luogo d’origine di ogni rivolta popolare. E’ stato accusato di una scelta politica di opportunismo e demagogica. Ma ebbe la coerenza di esservi sempre fedele anche in un periodo in cui i “ribaltoni” non facevano sensazione come oggi.

A 31 anni, raggiunse il primo grado del suo cursus honorum. Fu eletto Questore e destinato alla Spagna Ulteriore. Qui visitò la statua d’Alessandro il Grande a Cadice. Arse di rabbia e scoppiò a piangere. Alla sua stessa età Alessandro aveva esteso il proprio dominio sull’intero mondo orientale. Decise di riguadagnare il tempo perduto. E mantenne l’impegno.

Fu poi Edile ed, a 37 anni, pontefice Massimo, suprema carica vitalizia dell’ambito sacrale.

Nel 61 tornava in Spagna da Propretore, cioè da Governatore con poteri di Comandante militare. Combatté e sconfisse i popoli delle regioni montuose della Lusitania e della Galizia, dediti a scorribande e ruberie nella vicina provincia romana. Lo fece con rapide ed audaci manovre condotte anche per mare. I Soldati romani percorrevano, per la prima volta, le acque dell'Atlantico e la notizia entusiasmò l'Urbe.

Stipulata un’alleanza con il Generale Pompeo e con il capitalista Crasso (intesa nota come il primo triumvirato), divenne Console per l'anno 59 a.C.

Aveva 41 anni e non era trascorso un decennio da quando, davanti alla statua d’Alessandro a Cadice, aveva deciso di bruciare le tappe della carriera.

Da allora tutti i suoi atti furono rivolti contro l'oligarchia e tendenti a guadagnarsi il favore dei "populares". Una delle prime iniziative fu di portare a conoscenza del pubblico quanto avveniva in Senato ed in tutta l'estensione del dominio romano. Introdusse due mezzi d’informazione "Acta diurna" e "Acta senatus", gli antesignani delle odierne Gazzette Ufficiali.

Essi rappresentano, in un certo modo, anche l'origine del giornalismo perché contenevano notizie relative a morti, nascite, matrimoni, divorzi etc. Erano pubblicati ogni giorno e si può comprendere come potessero interessare e compiacere il popolo. Presentò poi una legge di riforma agraria che prevedeva, anche mediante l’esproprio forzato, la distribuzione di terra ai più poveri proletari urbani che avessero almeno tre figli. Il Senato si oppose decisamente, ma la legge fu approvata dall’Assemblea popolare. Cesare aveva vinto il primo braccio di ferro con il Senato!

Ma questo supremo organo dello Stato romano cercò di rifarsi subito. Era tradizione che dopo l'anno di servizio, ai Consoli non più in carica fosse assegnata una Propretura. Il Senato ipotizzò di affidargli quella competente per il demanio, i parchi e le foreste. Ma, grazie al suo operato, non solo ebbe l’incarico di comando più prestigioso: il governatorato della Gallia Cisalpina e dell'Illiria[1] con tre Legioni, ma fu anche deciso che il suo mandato sarebbe durato cinque anni invece che uno solo.

Successivamente gli fu assegnata anche la Gallia Narbonese. Era questa la provincia per antonomasia da cui il successivo nome di Provenza.

 
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view post Posted on 17/11/2008, 21:55

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La fase del condottiero militare (58-45)

La regione di cui era Governatore controllava il lato settentrionale della potenza romana. Una regione a contatto con tribù turbolenti, come i Galli, i Germani ed i Belgi. Era la stessa frontiera settentrionale da cui, secoli prima, erano transitati quei Galli giunti quasi alla conquista del Campidoglio.

Le turbolenti provincie gli dettero l'occasione di mettere in luce le sue capacità di condottiero militare con una serie di otto campagne che si protrarranno per nove anni.

Nei successivi quattro anni sarà impegnato nella guerra civile contro Pompeo.

Richiederebbe troppo spazio un’analisi dettagliata delle singole campagne. Spigolando quà e là saranno riportati i tratti salienti della sua arte militare ed i principali eventi.

Splendido fu il rapporto con i suoi Soldati. Ancora oggi può essere considerato il perfetto esempio di governo del personale e di arte del comando.

Primaria importanza avevano la forma e l’esempio. Curava in modo particolare l'abbigliamento militare perché considerava l'eleganza come un vessillo ed un messaggio di potere. Anche alla sua truppa imponeva armature finemente cesellate. Si può pensare, con i termini d’oggi, che era un perfetto formalista, ma con ripetuti comportamenti, anche in situazioni difficili, dimostrò come sotto quei formalismi ci fosse anche sostanza. E quanta sostanza! Questo formalismo, nelle circostanze importanti, fu esaltato anche dal valore dell’esempio. Come quando, durante la battaglia di Bibracte, Cesare rinunciò ad utilizzare il cavallo ed impose altrettanto ai suoi Tribuni, convinto che Soldati ed Ufficiali dovessero essere eguali nel pericolo.

Parlava sempre con i suoi Soldati prima di una battaglia o di un evento importante. Lo faceva per esaltarne lo spirito e per spiegare dettagliatamente lo svolgimento dell’imminente lotta. Anche in occasione della grave decisione di iniziare la guerra civile contro Pompeo, si determinò all’impresa solo dopo “aver conosciuto la volontà dei Soldati”.

Con i suoi uomini fu generoso, ma da loro pretese molto. Ne raccolse la fedeltà e la devozione in lunghi anni di serrato impegno. I suoi famosi Veterani marciavano e brontolavano. Come fanno tutti i bravi e disciplinati Soldati. Come faranno i “grognards” di Napoleone. Quanta differenza fra lui ed il suo nemico, il “Magno” Generale Pompeo, che viveva in un distaccato olimpo aristocratico che gli faceva perdere ogni contatto con la realtà.

La vita dei suoi uomini gli fu sempre cara, pur trascinandoli in imprese eroiche, disperate e rischiose. Affermò: “E’ dovere di un Capo vincere non meno col senno che con la spada”. Impressiona la limitata entità delle sue perdite anche nelle battaglie più difficili. A Farsalo, la sua vittoria più amara, ebbe 200 morti a fronte dei 15.000 morti e 24.000 prigionieri delle truppe pompeane. A Munda, in Spagna, la sua ultima vittoria, ebbe 1000 morti a fronte dei 30.000 caduti pompeani.

Altra sua caratteristica primaria fu la velocità di pensiero e d’azione, assolutamente sorprendenti. Ciò, unitamente alla costante ricerca della sorpresa, disorientò tutti i suoi avversari. In un periodo in cui le guerre si svolgevano, prevalentemente, di giorno e, sicuramente, nella bella stagione, si mosse più volte in pieno inverno per attraversare il Mediterraneo, le Alpi innevate, il Canale della Manica. In qualche caso, come a Munda, in Spagna, fu addosso all’avversario prima ancora che questi venisse a conoscenza della sua partenza da Roma.

Alla costante ricerca della sorpresa, si accoppiò la sua capacità d’inventiva. Come quella delle lunghe falci con cui i Soldati romani tagliarono le vele delle navi dei Veneti (tribù della Bretagna) per immobilizzarle ed assaltarle.

Aveva poi un intuito ed un colpo d’occhio particolari nell’individuare il punto focale per l’applicazione dello sforzo. Tentò sempre di trascinare l’avversario nel luogo da lui prescelto. Fu questa la trappola che scattò con Vercingetorige quando, dopo la ritirata di Gergovia, lo portò a rinchiudersi in Alesia. E con lo stesso intendimento, dopo aver abbandonato l’assedio di Durazzo, si fece inseguire da Pompeo fino alla piana di Farsalo ove lo annientò.

E' ricorrente nella concezione cesariana della guerra, l’individuazione dell'obiettivo strategico nella distruzione delle forze avversarie piuttosto che con la conquista del territorio. Questa ultima può essere conveniente solo nel caso di azioni a finalità dimostrative. In tal senso vanno lette le sue due spedizioni in Britannia e le due incursioni al di là del Reno.

Sua preoccupazione costante fu poi l’addestramento. Il Legionario romano doveva essere un formidabile camminatore ed un eccezionale zappatore. Solo così furono possibili movimenti a velocità doppia rispetto all’avversario e lavori di fortificazione campale che assomigliano ad opere d’ingegneria militare.

I Pontieri dovrebbero considerarlo socio d’onore della loro specialità. Fu il primo a gettare un ponte di legno fisso sul Reno, opera mai tentata in precedenza. Fu una realizzazione immane, completata in soli 10 giorni. Era lungo oltre mezzo chilometro e spaventò i Germani convincendoli che la potenza di Roma era tale da superare anche il grande fiume. Quando non poteva gittare ponti, deviava il corso di fiumi o scavava canali per ridurre il livello delle acque e rendere possibile il guado.

Anche i Marinai dovrebbero riservargli un posto d’onore. Fu il primo romano a condurre una battaglia navale nell’Atlantico e fu il primo a condurre una flotta oltre il Canale della Manica per un’azione deterrente nei riguardi di tribù della Britannia.

Cesare fu poi moderno anche per l’estrema importanza da lui attribuita alla propaganda ed all’immagine. Durante le sue campagne, nelle brevi e convulse soste, riusciva a scrivere od a dettare ad un suo liberto il resoconto delle operazioni che poi faceva giungere rapidamente a Roma. Talchè i suoi Commentari costituivano, in un certo senso, la "cronaca in diretta" di quegli eventi. In pratica, fu il primo corrispondente di guerra, il corrispondente della "sua" guerra.

Infine, stupisce, nelle battaglie di Cesare, la sua quasi costante inferiorità numerica.

Le vittorie trovano spiegazione nell'estro e nella capacità del grande Condottiero.

In gran parte, anche se non sempre, sarà così per Napoleone.

Cesare trova sempre, nella fertile fantasia, nell’ingegnosità dei lavori di zappatore e di pontiere, nel colpo d'occhio da sagace schermidore, nel fascino di suscitatore di entusiasmi, la chiave per vincere.

Fra le numerose battaglie combattute meritano una breve descrizione Alesia, la vittoria più bella, e Farsalo, la vittoria più amara.

La battaglia di Alesia si svolse nel 52 durante le campagne di Gallia. Era stata preceduta dal fallito assedio di Gergovia in cui Cesare, per la prima ed unica volta, fece l’errore di dividere l’esercito in due parti.

La Lega antiromana contava 300.000 unità ed era guidata da Vercingetorige. Questi, imbaldanzito dal successo di Gergovia, abbandonò la tecnica della guerriglia e cercò uno scontro campale. Era quello cui aspirava lo stesso Cesare ed, infatti, lo scontro si concluse ancora una volta a favore dei romani, che misero in fuga Vercingetorige. Questi (come aveva ipotizzato Cesare) si rifugiò nella vicina città fortificata di Alesia, convinto di potervi ripetere la performance di Gergovia.

Nella conquista di quella roccaforte dall'apparenza inespugnabile si rivelerà, invece, la genialità militare di Cesare che vi impiegò una nuova strategia, circondando la città con due colossali anelli di controvallazione e di circonvallazione, lunghi ciascuno circa 20 Km., distanti da loro 200 metri, preceduti da più ordini di trappole, con torri ogni 30 metri e 23 ridotte fortificate. Fu addirittura deviato il corso di un fiume per farlo passare all'interno di una delle trincee ed assicurarsi l'acqua per i Legionari.

Si realizzava così un doppio fronte, uno rivolto all'assedio della città e l'altro destinato a resistere agli attacchi esterni. Il tutto fu completato in 40 giorni sotto i continui attacchi nemici. In questa gigantesca opera di fortificazione campale trovarono sistemazione 75.000 legionari e 6.000 cavalieri.

I due anelli erano raccordati da bretelle di collegamento per manovrarvi adeguatamente le forze. Trovava così piena attuazione il principio della manovra (per linee interne) anche in un’azione prevalentemente statica come un assedio.

Per alleggerire la pressione Vercingetorige tentò varie sortite. Giunsero anche soccorsi dall'esterno di grande consistenza, pari a circa 250.000 uomini. Vercingetorige tentò più volte attacchi congiunti (dall'esterno e dall'interno) contro i romani. Ma Cesare muoveva i suoi uomini con perfetto tempismo sfruttando l'ingegnoso lavoro realizzato con un senso topografico di rara lucidità e perspicacia.

Alla fine Vercingetorige dovette arrendersi.

Dalle vittorie di Cesare cominciava anche la romanizzazione della Gallia. La Francia deve a Roma ed a Cesare non solo il suo ingresso nell'orbita della civiltà mediterranea, ma anche la salvezza e la conservazione di quegli elementi celtici che Roma rispettò. Si trattava di una grande opera che doveva dare all'Europa occidentale l’indelebile impronta latina e determinarne per secoli il pensiero e l'azione.

La battaglia di Farsalo ebbe luogo nel 48, nel quadro della guerra civile. Per questo fu la vittoria più amara. Ancora una volta, la brillante vittoria seguiva ad una sconfitta. Cesare aveva assediato le forze pompeane rinchiuse a Durazzo, ma queste erano riuscite a rompere l’assedio. Anche in questo caso, Cesare si fece inseguire fino a raggiungere il punto prescelto per la decisione finale.

Aveva 22.000 fanti e 1000 cavalieri. Pompeo aveva 45.000 fanti e 7000 cavalieri.

Il rapporto di forze era di due a uno per i fanti e sette a uno per i cavalieri, tutto a favore di Pompeo.

Cesare capì subito che Pompeo avrebbe sfruttato la sua superiorità in termini di Cavalleria ed inventò uno schieramento assolutamente nuovo. Per contrastare il prevedibile attacco della Cavalleria avversaria schierò non solo i suoi mille Cavalieri, ma mescolati ad essi inserì centinaia di fanti e, cosa più importante, schierò sei coorti scelte (circa 3000 uomini) per impedire l'avvolgimento della Cavalleria nemica.

Lo sviluppo della battaglia fu esattamente quello ipotizzato di Cesare. Dopo lo scontro delle masse di fanteria centrali, la Cavalleria di Pompeo tentò l'aggiramento d'ala. Ma qui si scontrò con la poca Cavalleria romana e con lo schieramento delle coorti. Le Coorti resistettero egregiamente e la Cavalleria romana passò al contrattacco. La Cavalleria pompeiana fu messa in fuga e le stesse sei coorti potevano girare ed assalire alla spalle la fanteria di Pompeo. Cominciò allora lo sbandamento e la fuga disordinata. Pompeo fuggì. Grazie alla manovra brillantemente ideata ed eccellentemente eseguita, Cesare ebbe solo 200 morti, mentre 15.000 furono quelli delle Truppe pompeiane 24.000 furono i prigionieri. In poche ore di combattimento l'esercito di Pompeo si era dissolto. <o:p>



Munda, in Spagna, fu la sua ultima battaglia. Avvenne nel 45. Il fato aveva voluto che ciò avvenisse a poca distanza da Cadice, la città in cui 24 anni prima aveva pianto davanti alla statua di Alessandro il Grande ed aveva giurato di cambiare vita. La promessa era stata mantenuta!



Durante i quattro anni della guerra civile (49-45) Cesare, pur essendo impegnato quasi costantemente in attività bellica, dovette, comunque, provvedere alla cura dello Stato. In questi quattro anni fu a Roma soltanto due o tre volte, per periodi non superiori ai 10-15 giorni, adottando provvedimenti di grande importanza..

Fu estesa la cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina. Per la prima volta, tutti gli abitanti della Penisola avevano un comune vincolo giuridico. Questo può portare ad affermare che Cesare sia stato non solo un grande romano, ma anche il primo italiano.

Attuò una serie di provvedimenti riordinativi fra cui quello relativo al Senato i cui componenti furono aumentati inserendovi anche uomini provenienti dalla Gallia e dalla Spagna. Fu questa una misura che denotava come Cesare, in anticipo rispetto a tutti, cominciava ad intravedere la missione internazionale e imperialistica dell'Urbe.

La situazione economica e sociale richiedeva interventi strutturali. Roma distribuiva gratuitamente razioni di grano ad una determinata massa di cittadini nullatenenti e fannulloni. Si contavano in 360.000 quelli che usufruivano di queste "frumentationes". Cesare fece fare accertamenti ed emerse che non tutti ne avevano bisogno (come si vede anche allora vi erano "pensioni false"). Il numero delle persone inserite nelle liste frumentarie scese a 150.000.

Per liberare la Capitale dalla presenza di una larga quantità di poveri, assegnò loro lotti di terreno nelle provincie conquistate.

Cercò di frenare la cupidigia dei governatori delle provincie limitando la durata dell'incarico a due anni.

Promosse l'incremento delle nascite dando premi alle famiglie numerose.

Due provvedimenti svelavano la natura del nuovo ordine cesariano: la confisca totale dei beni di chiunque attentasse alla sicurezza dello Stato e l'abolizione delle associazioni a sfondo politico.

Segno di grande apertura verso il nuovo furono le direttive impartite nell'attività amministrativa che tendevano alla equiparazione dei diritti fra cittadini romani e provinciali abbandonando i vecchi criteri repubblicani che riservavano i maggiori diritti ad una ristretta minoranza. Mirava, così, a porre su larghissime basi le fondamenta del nuovo Stato. L'edificio politico repubblicano romano si era realizzato e consolidato all'insegna del "divide et impera". La nuova impostazione imperiale cesariana rovesciava invece questo concetto: "unire, non dividere" era il nuovo motto cui far riferimento per una nuova società imperiale.

Cesare varò anche una riforma del calendario che durerà fino al successivo aggiustamento del 1582 con Gregorio XIII. Considerava, infatti, anche il calendario come simbolo del potere. La riforma aveva un fondamento scientifico perché raccordava i cicli lunari e solari. Il precedente calendario risaliva a Numa Pompilio e prevedeva 355 giorni e l'inserimento (non regolato da norme precise) di un mese intercalare. Cesare introdusse l'attuale anno di 365 giorni e ne impose l'adozione in tutti i possedimenti romani, in sostituzione dei tanti e bizzarri calendari locali.

Non vi è chi non veda il valore unificante di un tale provvedimento cui si accompagnò anche il riordino della monetazione.

La coniazione della moneta d'oro divenne sistematica e non occasionale come in precedenza. Fu fissata una parità fissa fra la moneta d'oro (aureo) e quella d'argento (denaro). Entrambe le monete furono imposte nella circolazione in tutto l'Impero, eliminando, a poco a poco, tutte le altre specie monetarie. La coniazione di pezzi d'argento era tollerata negli Stati sovrani alleati; quella dell'oro era riservata a Roma.

Come si può notare anche in questo Cesare fu un anticipatore dei tempi individuando chiaramente l'importanza, sia sotto il profilo sociale sia sotto quello economico, della moneta unica. E' singolare la similitudine non solo funzionale, ma anche fonetica, fra l'Euro e l'Aureo.

A Cesare dobbiamo anche un altro provvedimento singolare. Fino a quei tempi i papiri erano arrotolati intorno a bastoncini d'avorio o di legno ed avevano una lunghezza variabile in relazione al contenuto, Cesare inaugurò un nuovo metodo che consisteva nello scrivere su fogli di papiro tutti delle stesse dimensioni, sovrapposti l'uno all'altro e quindi rilegati. Era nato il libro!

E chi sa se quest’invenzione non sia stata concepita durante una delle sue numerose campagne quando, muovendosi a piedi od a cavallo, era seguito da carri su cui erano stipati all'inverosimile i numerosi papiri in bianco per compilare i suoi Commentari, i suoi versi, le sue poesie ed altri papiri scritti con opere greche e latine. Sicuramente i papiri arrotolati dovevano occupare un grande spazio. Forse proprio l'esigenza di ridurre il volume di quei papiri fece sorgere l'idea di sistemarli a libro!
 
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Il breve attimo della Gloria


Ai primi d’ottobre del 45, al termine della guerra civile, tornò a Roma e si gettò con fervore febbrile a realizzare i tanti progetti che affollavano la sua mente.

Un'ansia di realizzare lo divorava come un presentimento.

Gli rimanevano sei mesi di vita e furono gli unici in cui dominò davvero incontrastato su Roma. Anche aumentando le cariche, posizionò i suoi uomini nei posti chiave dello Stato.

Ma la congiura cominciava a prendere corpo nell'ombra. Pompeiani e repubblicani cominciavano ad influire su una latente e diffusa ostilità verso il potere assoluto.

Cesare, a differenza di Napoleone, non era stato sconfitto sul campo di battaglia, ma stava prendendo corpo il suo vero nemico: quello spirito repubblicano che si era consolidato nelle difficili situazioni dei cinque secoli precedenti della storia di Roma. E Cesare, abbagliato dallo splendore della gloria e dei trionfi, stordito dalle adulazioni e dalle piaggerie, non riuscirà a vedere quel piccolo cancro nero che crescerà, in pochi mesi, con la velocità di un bubbone.

Ebbe anche il titolo di Imperatore, ma non nel senso pieno come sarà poi per Augusto, ma soltanto a maggiore sottolineatura delle sue gloriose azioni di guerra.

Il nome stesso di Cesare diventerà sinonimo di potestà imperiale. Ad esso risalgono etimologicamente successive denominazioni come Kaiser e Czar. Così come fu sempre indicata con il nome di "cesarismo" qualunque monarchia non legittima sostenuta dalle armi e dal popolo.

Il potere personale di Cesare urtava profondamente col migliore spirito repubblicano, con quello spirito che sebbene quasi scomparso in una repubblica moribonda, avvicinava, comunque, fortemente coscienze ed idee.

Cesare, che durante tutta la sua azione politica non si era distaccato dagli ideali della democrazia, ora cominciava a comportarsi da sovrano assoluto. Ciò urtava sempre più coloro per i quali non poteva essere accettata una forma di governo di uno solo.

Questi sentimenti di intransigenza trovavano nuovi stimoli in avvenimenti quotidiani sgradevoli e mortificanti. La generosità e la signorile umanità che un tempo erano tratti caratteristici della sua personalità, la sua nobile amabilità avevano lasciato il posto all'irascibilità, alla vanagloria, alla sgarberia.

Forse le tare epilettiche, latenti negli anni precedenti, si erano fatte più gravi.

Cesare era anche impegnato nella messa a punto di una nuova impresa bellica. Era un progetto grandioso, superiore ad ogni immaginazione ed oscurava anche la fertile fantasia di Alessandro. Si proponeva di marciare contro i Parti e vendicare la sconfitta di Carre in cui aveva trovato la morte Crasso. Vinti i Parti, attraverso il Caucaso avrebbe raggiunto, da Oriente, i territori dei Germani per sottometterli definitivamente. Una manovra grandiosa per spazi dell'ordine delle decine di migliaia di chilometri che avrebbe oscurato le gesta di Alessandro. Sostanzialmente è la stessa manovra che, in senso inverso, tenterà Hitler nella seconda guerra mondiale con l’invasione della Russia.

Si era giunti alle Idi di marzo del 44. Durante una riunione del Senato un gruppo di congiurati lo ammazzò con 23 pugnalate. Morì, per ironia del destino, sotto la statua di Pompeo, l'uomo che più di ogni altro aveva attraversato la sua vita.

Ma il grande obiettivo politico, l'opera di cui il dittatore aveva gettato le basi lungi dal perire con il suo ideatore, si realizzerà con l'uomo che egli stesso aveva designato a succedergli: Ottaviano Augusto. Lo aveva indicato quale suo erede anche se era giovanissimo. Vedeva in quel giovane, fragile e malaticcio, doti eccezionali che erano sfuggite a tutti. Così come Silla aveva visto nello sguardo di Cesare il futuro dittatore, così questi riuscì a vedere nello sguardo di Augusto il futuro Imperatore.

Fu ucciso con l’accusa di essere un dittatore. Vi era giunto dopo 55 anni di lotte politiche e militari e non lo era ancora diventato definitivamente. Quanta differenza con il nipote e successore Augusto che giungerà al potere in brevissimo tempo, da giovanissimo, e saprà mantenerlo, senza scrupoli e con avvedutezza, per 44 anni. Cesare, dittatore abortito, muore con 23 pugnalate. Augusto, che fu veramente Imperatore, quasi facendo in modo che i Romani non se ne accorgessero, morirà, invece, di vecchiaia nella sua quiete villa di campagna. L’Impero avviato da Cesare e realizzato da Augusto sopravviverà per 5 secoli in Occidente e 14 secoli in Oriente. In questo Cesare superava Alessandro.

Alle Idi di marzo del 44 si chiudeva la sua vicenda umana. Con la migliore sceneggiatura che la Storia abbia mai scritto a sottolineare la grandezza e la caducità della vita. Una vita, comunque, da gigante!
 
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view post Posted on 17/11/2008, 23:30

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LA MORTE DI GIULIO CESARE


Alle Idi di marzo del 44 a.C. Giulio Cesare venne ucciso durante una seduta del Senato di Roma.

Fu assassinato dai nemici a cui aveva concesso la sua clemenza, dagli amici a cui aveva concesso onori e gloria, da coloro che aveva nominato eredi nel suo testamento.

Il popolo di Roma lo pianse.

Di Cesare fu scritto:

"Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore" (Th. Mommsen, Storia di Roma antica - Libro V - Cap. XI)



Località: Roma

Epoca: Idi di marzo - 44 a.C.


GLI EVENTI

I congiurati

Presero parte alla congiura più di 60 persone. A capo ne erano gli ex-pompeiani Caio Cassio, praetor peregrinus, e Marco Bruto, praetor urbanus. Alla congiura aderirono anche alcuni cesariani, tra cui Decimo Bruto, console designato per l'anno seguente, e Trebonio, uno dei migliori generali di Cesare destinato al consolato nel 42.

Cassio era il promotore e il vero capo della congiura. Marco Bruto aderì poco prima dell'assassinio, dando una parvenza di nobiltà all'azione. Infatti Marco Bruto era considerato un filosofo stoico, al di sopra degli interessi venali personali o di classe, benché facesse l'usuraio.

Il luogo e la data

I congiurati furono a lungo incerti se trucidarlo in Campo Marzio mentre faceva l'appello delle tribù in occasione delle votazioni, oppure se aggredirlo sulla via Sacra o all'ingresso del teatro.

Ma quando il Senato venne convocato per le Idi di marzo (15 marzo del 44 a.C.) nella Curia di Pompeo, preferirono quel tempo e quel luogo.

I congiurati portarono in Senato delle casse con le armi, facendo finta che fossero documenti.

Inoltre appostarono un gran numero di gladiatori nel teatro di Pompeo, a poca distanza dalla Curia.

Le Idi di marzo - A casa di Cesare

Il giorno delle Idi Cesare non si sentiva bene. Calpurnia, sua moglie, aveva avuto dei tristi presentimenti e lo scongiurava di non andare in Senato. Gli indovini avevano fatto dei sacrifici e l'esito era stato sfavorevole. Cesare pensò di mandare Marco Antonio ad annullare la seduta del Senato.

Allora i congiurati inviarono Decimo Bruto ad esortare Cesare a presentarsi in Senato perchè i senatori erano già da tempo arrivati e lo stavano aspettando. Annullare la seduta a quel punto sarebbe stata un'offesa per i magistrati.

Cesare credette a Decimo Bruto, all'amico fedelissimo, addirittura nominato suo secondo erede nel testamento.

Le Idi marzo - In Senato

Verso l'ora quinta, circa le undici del mattino, Cesare si mise in cammino. Effettuò le pratiche religiose previste ed entrò nella Curia. Il console Marco Antonio rimase fuori trattenuto da Trebonio.

Cesare era senza la guardia del corpo di soldati ispanici perchè poco tempo prima aveva deciso di abolirla. Solo senatori e cavalieri erano i suoi accompagnatori.

Appena si fu seduto, i congiurati lo attorniarono come volessero rendergli onore.

Cimbro Tillio prese a perorare una sua causa. Cesare fece il gesto di allontanarlo per rinviare la discussione. Allora Tillio lo afferrò per la toga. Era il segnale convenuto per l'assassinio.

Publio Servilio Casca colpì Cesare alla gola. Cesare reagì, afferrò il braccio di Casca e lo trapassò con lo stilo. Tentò di alzarsi in piedi, ma venne colpito un'altra volta.

Cesare vide i pugnali avvicinarsi da ogni parte. Allora si coprì la testa con la toga e con la mano sinistra la distese fino ai piedi. Voleva che la morte lo cogliesse dignitosamente coperto.

Ricevette 23 ferite. Solo al primo colpo si era lamentato. Poi solo silenzio.

Cadde a terra esanime. I senatori fuggirono in preda al panico. Rimasero solo i congiurati.

Tre schiavi deposero il cadavere su di una lettiga e lo riportarono a casa.

Cesare aveva 56 anni.

La vigilia delle Idi, discutendo su quale fosse la morte migliore, aveva detto a Marco Lepido "Ad ogni altra ne preferisco una rapida ed improvvisa". E così era stato.

Le Idi di marzo - Dopo l'assassinio

Inutilmente Bruto cercò di fermare i senatori terrorizzati.

Antonio sfuggì alla morte perché Bruto fermò Cassio intenzionato a far fuori anche il console.

I congiurati, snudando i pugnali insanguinati, si riversarono nel Foro inneggiando alla libertà e a Cicerone.

La notizia della morte di Cesare si sparse per Roma. I negozi vennero chiusi. Le strade divennero deserte.

La gente si chiuse in casa.

A sera, nonostante i tentativi di Bruto, la calma non era ritornata in città e i congiurati decisero di ritirarsi in posizione sicura sul Campidoglio. Alcuni, che non avevano preso parte alla congiura, decisero di unirsi agli assassini sperando di averne vantaggio. Gaio Ottavio e Lentulo Spintere furono tra questi.

Il 16 marzo

Durante la notte Lepido, magister equitum, ossia comandante della cavalleria, venuto a conoscenza di quanto era avvenuto occupò il Foro con i soldati e all'alba parlò al popolo contro gli assassini, che rimanevano rinchiusi sul Campidoglio.

Il console Marco Antonio, che era per poco sfuggito alla morte e aveva trascorso la notte travestito da schiavo, saputo che Lepido aveva preso il controllo della situazione, convocò il Senato nel tempio della dea Tellus.

Alla riunione partecipò anche Cicerone, la cui presenza durante l'assassinio è invece molto dubbia. Si dice che non fosse stato nemmeno informato dai congiurati perché ritenuto non molto affidabile. L'oratore, alla notizia della morte di Cesare, aveva scritto a Minucio Basilo, uno dei congiurati: "Tibi gratulor, mihi gaudeo", ossia "Mi congratulo. Io sono felice". E un mese dopo, il 27 aprile del 44, scriverà ad Attico di: "gioia assaporata con gli occhi, per la giusta morte del tiranno".

In Senato si raggiunse un compromesso tra le varie componenti. Marco Lepido avrebbe voluto sfruttare la forza di cui disponeva, ma Marco Antonio, privo di soldati, non intendeva lasciare il potere a Lepido, per cui si accordò con gli ex-pompeiani.

Il Senato concesse l'amnistia agli assassini, decretò onoranze solenni per Cesare, confermò tutti i decreti e le nomine di Cesare, assegnò a Bruto e ai suoi incarichi prestigiosi fuori Roma.

Tuttavia i congiurati non si fidavano a scendere dal Campidoglio e chiesero in ostaggio il figlio di Lepido e il figlio di Antonio. Poi Bruto andò a cena da Lepido, di cui era parente e Cassio a cena da Antonio.

Il testamento di Cesare

Su richiesta del suocero Lucio Pisone, in casa del console Antonio, venne aperto il testamento di Cesare, scritto alle Idi di settembre del 45 nella sua villa sulla via Labicana e affidato in custodia alla Vestale Maggiore.

Eredi erano nominati i suoi tre pronipoti per parte delle sorelle: Caio Ottavio ereditava i tre quarti, Lucio Pinario e Quinto Pedio il quarto residuo. Caio Ottavio veniva adottato.

Tra i tutori venivano nominati molti di coloro che poi l'avrebbero ucciso. Decimo Bruto era indicato secondo erede, ossia sarebbe subentrato ad Ottavio qualora questi non fosse venuto in possesso dell'eredità.

Al popolo vennero lasciati i giardini intorno al Tevere e 300 sesterzi furono assegnati ad ogni cittadino romano.

I funerali

Davanti ai Rostri, nel Foro, fu costruita un'edicola dorata, che riprendeva le forme del tempio di Venere Genitrice. All'interno su di un trofeo venne esposta la toga insanguinata che Cesare indossava al momento dell'assassinio.

Su di un cataletto d'avorio coperto di porpora e d'oro, portato a spalla dai magistrati, venne portato il corpo di Cesare davanti ai Rostri e deposto all'interno dell'edicola.

Durante i ludi funerari furono cantati dei versi, tra cui: "E io ne avrei salvati tanti per conservare chi perdesse me?" (Pacuvio, Giudizio delle armi)

Antonio fece leggere il senatoconsulto con cui i senatori si erano impegnati per la salvezza di Cesare. Poi tenne il discorso funebre.

Si discusse se cremare il corpo nel tempio di Giove Capitolino o nella Curia di Pompeo. Ma improvvisamente due uomini, con la spada al fianco e armati di giavellotto, gettarono due ceri accesi sul cataletto.

Immediatamente il popolo alimentò il fuoco portanto fascine e distruggendo le tribune di legno che erano state innalzate per la cerimonia.

I veterani delle legioni gettarono nelle fiamme le loro armi, le matrone i loro gioielli, i musicisti e gli attori, che avevano rappresentato gli antenati del defunto, le vesti indossate per l'ultimo trionfo di Cesare.

Intorno al rogo si avvicendarono anche gli stranieri ed in particolare i Giudei riconoscenti verso Cesare, che li aveva liberati dall'oppressione di Pompeo.

Intanto il popolo aveva preso dei tizzoni ardenti e si era diretto verso le case di Bruto e di Cassio per incendiarle, ma venne bloccato dai soldati.

In seguito

La Curia dove era avvenuto l'assassinio venne murata.

Le Idi di marzo presero il nome del "Giorno del parricidio".

Venne proibito di convocare il Senato in quel giorno.

Nel Foro venne innalzata una colonna di marmo con la scritta "Parenti Patriae", al Padre della Patria.


I CONGIURATI



Marco Bruto

Marco Giunio Bruto era figlio di Marco Giunio Bruto, tribuno della plebe nell'83 a.C.

Nacque verso l'85 a.C. da Servilia, sorellastra di Catone Uticense, e venne adottato dallo zio Quintus Servilius Caepio.

Servilia era stata uno degli amori giovanili di Giulio Cesare e i rapporti tra i due si mantennero sempre abbastanza intimi. Non è certo se il vero padre di Bruto fosse proprio Cesare.

Bruto studiò in Grecia. Venne considerato un filosofo di tendenze stoiche.

Fu stimato da Cicerone, che gli dedicò tre opere (De finibus bonorum et malorum; Orator, un gruppo di Lettere).

Nel 53 fu questore di Appio Claudio in Cilicia.

Bruto prestava denaro ad usura, anche del 48 per cento quando il tasso normale era del 12, e non mancava di utilizzare i soldati romani per riavere indietro i denari prestati. Cicerone, divenuto governatore della Cilicia, si rifiutò di mandare i militari romani a riscuotere un debito contratto dalla città di Salamina a Cipro, nonostante le reiterate insistenze di Bruto, che tra l'altro aveva cercato di nascondersi dietro due prestanome (Marco Scapzio e Publio Matinio) ingannando lo stesso Cicerone.

Bruto non era insolito a gesti del genere. Quando Appio Claudio era governatore della Cilicia, prima di Cicerone, aveva potuto godere di ogni appoggio militare in quanto Appio era suo suocero. Infatti Bruto in prime nozze aveva sposato sua figlia.

Nella guerra civile tra Cesare e Pompeo fu sostenitore di Pompeo, nonostante questi nel 77 avesse fatto uccidere suo padre, nonostante si fosse arreso a Modena.

Dopo Farsalo (48 a.C.) venne perdonato da Cesare ed entrò a far parte del suo stato maggiore, abbandonando Pompeo in fuga verso l'Egitto.

Nel 46 divorziò dalla moglie Claudia, figlia di Appio Claudo, e sposò Porcia, figlia di Catone Uticense, che era stato acerrimo nemico di Cesare. Porcia fu l'unica donna a conoscenza della congiura.

Nel 46 ebbe il governo della Gallia Cisalpina.

Nel 44 fu nominato praetor urbanus da Cesare.

Alle Idi di marzo, mentre aspettava Cesare nella Curia, gli giunse la notizia che sua moglie Porcia stava morendo. Bruto mantenne la calma e decise di non andare a casa. In realtà Porcia era solo svenuta a causa di un attacco di ansia non avendo notizie del marito, ma questo Bruto non lo poteva sapere.

Dopo la morte di Cesare fu, insieme a Cassio, il capo della guerra contro Ottaviano e Antonio.

Nel 42 morì suicida a Filippi.

Cassio

Caio Cassio Longino (prima dell'85 - 42 a.C.) fu questore di Crasso nella spedizione contro i Parti nel 53 a.C. Dopo la sconfitta ebbe l'incarico di difendere la Siria.

Fu cognato di Bruto, avendo sposato la di lui sorella Iunia Tertia.

Nel 49 fu tribuno della plebe.

Fu dalla parte di Pompeo durante la guerra civile che oppose questi a Cesare.

Venne perdonato da Cesare dopo Farsalo (48 a.C.). Divenne praetor peregrinus.

Cesare gli aveva promesso il consolato entro tre anni.

Nel 42 morì suicida a Filippi, dove comandava l'ala sinistra dello schieramento dei congiurati. Cassio stava per essere sconfitto e non sapeva che all'ala destra Bruto stava vincendo.

Decimo Bruto

Decimo Giunio Bruto era figlio di Decimo Bruto, console nel 77 a.C. Venne adottato da Postumio Albino.

Poco più giovane di Marco Bruto partecipò alla guerra in Gallia. Molto stimato da Cesare, riportò la vittoria sulla tribù dei Veneti.

Cesare gli aveva affidato la Gallia Cisalpina e lo aveva designato console per l'anno seguente.

Nel suo testamento Cesare lo aveva dichiarato tutore di Ottaviano e suo erede.

Dopo l'assassinio di Cesare e la guerra di Modena si rifugiò nella Gallia Comata. Non essendo riuscito a trascinare dalla sua parte il governatore Planco, tentò di raggiungere la Macedonia per ricongiungersi con Bruto e Cassio. Ma venne catturato ed ucciso per ordine di Antonio.

Trebonio

Gaio Trebonio fu tribuno della plebe nel 55 a.C.

Luogotenente di Cesare in Gallia negli anni 55-50.

Nel 49 condusse l'assedio di Marsiglia.

Dopo l'uccisione di Cesare fu proconsole in Asia, dove morì ucciso da Dolabella.

Fu amico di Cicerone.


CLEOPATRA

Cleopatra VII nasce nel 69 a.C. ad Alessandria da uno dei due matrimoni di Tolomeo XII Neodioniso (80-51 a.C.) detto "Aulete" (il "flautista"), amante del vino e della musica.
Si narra che Cleopatra fosse una donna non molto bella, ma simpatica, intelligente, astuta, determinata e spietata. Tutte qualità ideali per governare un regno come quello d'Egitto.
Quando nel 51 a.C. il padre muore, Cleopatra ha 18 anni e si trova a sedere sul trono d'Egitto col fratello Tolomeo XIII di soli 10 anni. Roma nomina Pompeo tutore di Tolomeo XIII. Tra i due fratelli vi è un odio profondo che sfocia, per il volere del potentissimo eunuco Potino, nell'allontanamento da palazzo di Cleopatra che decide di rifugiarsi in Siria ed inizia ad organizzare un proprio esercito.

In quel periodo a Roma scoppiò una guerra civile tra Giulio Cesare e Pompeo. I due si inseguirono fino in Egitto dove quest'ultimo fu assassinato dai cortigiani di Tolomeo XIII, forse per ingraziarsi Giulio Cesare. Quest'ultimo si stabilì nel palazzo di Alessandria dove convocò Tolomeo XIII e Cleopatra per porre fine ai conflitti dinastici. Cleopatra, per paura di essere uccisa dagli uomini di suo fratello, arrivò a Palazzo a bordo di una brigantino condotto da un suo servo fidato, Apollonio Siciliano, attraccò proprio sotto le mura e, quindi, si introdusse avvolta in un tappeto portato da Apollodoro sulle spalle. Giunto all'appartamento di Cesare il tappeto venne posato a terra e srotolato lasciando stupito il re romano. L'incontro terminò con la riconciliazione delle parti ma, in realtà, il governo dell'Egitto sarebbe stato nelle mani di Cleopatra. La regina d'Egitto era in grado di conversare, senza l'aiuto di interpreti, con Etiopi, Trogloditi, Siri, Arabi, Ebrei, Medi e Parti e molte altre lingue comprese, naturalmente, quella egizia e quella greca. Cesare, colpito dall'audacia e dall'astuzia di Cleopatra, fu del tutto conquistato dal suo fascino. Cleopatra portò Cesare in viaggio lungo il Nilo per mostrargli le bellezze d'Egitto. Durante il viaggio la regina rimane incinta e da alla luce un figlio maschio che chiamò Tolomeo XV Cesarione e che fu l'unico erede maschio di Cesare. Cesare, che subito dopo dovette partire per la Siria, poteva fare dell'Egitto una colonia romana come molte altre, ma, per amore di Cleopatra, uccise Tolomeo XIII facendolo annegare nel Nilo e lasciò la sua amata unica regina d'Egitto. Per stare vicino a Cesare, ma anche per scopi politici, Cleopatra si trasferisce a Roma dove, però, trova l'inospitale accoglienza dei Romani.
Cleopatra, con questa decisione, intendeva permettere al figlio Cesarione, una volta morto Cesare, di installarsi sul trono di un impero grande come quello di Alessandro Magno nato dall'unione di Roma con l'Egitto.


Il disappunto del popolo romano e le contestazioni nate in senato scaturiscono nell'assassinio di Giulio Cesare. Marco Antonio, alleato di Cesare, proclama Tolomeo XV Cesarione erede di Giulio Cesare davanti al senato, ma Ottaviano si oppone affermando di essere lui il legittimo successore al trono.
In questo clima burrascoso, Cleopatra decide di tornare in Egitto dove trova un'economia in grave crisi e la gente egiziana ridotta alla schiavitù dai Greci che, a loro volta, conducono una vita lussuosa e di potere. Cleopatra non cambia tale impostazione, ma la rende più accettabile da parte degli egiziani alleggerendo le tasse e migliorando il livello della vita. Per rilanciare il commercio riapre l'antica via carovaniera dal Nilo al mar Rosso facendola proteggere con torri di guardia dislocate lungo il percorso e visibili tra loro in modo da permettere la comunicazione in caso di agguati. Da questa via viene importato il porfido che verrà poi utilizzato dai Romani per costruire le statue degli imperatori.
Nel frattempo Marco Antonio diviene padrone dell'Impero Romano d'Oriente, mentre Ottaviano governa l'Europa Occidentale. Tra i due c'è molta rivalità, ma anche odio che li mette in conflitto più volte. Marco Antonio, per sconfiggere il nemico Ottaviano, ha bisogno dei tesori dell'Egitto e quindi convoca Cleopatra a Tarso, sulla costa turca. Si dice che la loro relazione iniziò dopo che Cleopatra si presentò ad un invito di Marco Antonio in Cilicia su un'imbarcazione dalle vele color porpora, la poppa d'oro e i remi d'argento. La regina, vestita come una Venere e accompagnata dal suono di flauti e liuti, stava distesa all'interno di un baldacchino circondato da amorini. Nel corso dell'incontro, Cleopatra si innamora di Antonio da cui avrà due gemelli, ma che poi deve lasciarla per partire in guerra. Cleopatra saprà del matrimonio del suo innamorato con un'altra donna. In questo momento di dolore e solitudine, Cleopatra riscopre l'antica religione egizia facendosi promotrice di preghiere, riti e donazioni agli Dei ormai abbandonate da anni. Dopo 3 anni, Marco Antonio, nonostante le molteplici insistenze della sua prima moglie Fulvia e poi della seconda moglie Ottavia, torna da Cleopatra per avere le ricchezze d'Egitto. Cleopatra, troppo astuta per mostrargli tutto il suo dolore, cede i tesori del suo regno in cambio di precise promesse. Così le terre dell'Arabia, le miniere di rame di Cipro, il Sinai, l'Armenia ed i campi di grano di tutto il nord Africa appartenenti a Roma, passano sotto il governo egiziano. Roma è furiosa, tutte quelle terre conquistate con il sangue dei Romani cedute alla regina che non ha mai accettato.


Ottaviano approfitta della situazione sferrando un attacco a Marco Antonio nella battaglia di Azio. Cleopatra, in maniera insolita, segue Antonio nella lotta affiancandogli le navi egiziani, ma ben presto è costretta a ritirarsi. Visto l'andamento del combattimento Cleopatra, ritirata ad Alessandria, decide di fuggire dall'Egitto, ma, durante i preparativi per la partenza, viene sorpresa dagli Abatei, a lungo sottomessi al suo potere, che le impediscono la fuga. Le truppe di Ottaviano, che nel frattempo avevano messo in fuga la flotta di Marco Antonio, si avvicinano minacciose ad Alessandria. Marco Antonio, rifugiatosi a palazzo con Cleopatra, si uccide con la sua spada e muore tra le braccia della regina d'Egitto. Temendo che anche Cleopatra tenti il suicidio, Ottaviano, ormai padrone di Alessandria, fa in modo che ogni oggetto portato alla regina sia accuratamente controllato. Il 12 agosto del 30 a.C., però, un contadino riesce a farle avere un cesto di fichi che nasconde un serpente. Cleopatra, accortasi della presenza del cobra, viene morsa e muore prima dell'arrivo di Ottaviano evitando così l'umiliazione di essere sconfitta. Suo figlio Cesarione viene ucciso da Ottaviano, mentre gli altri due figli gemelli spariscono senza lasciare traccia. Da questo momento, l'Egitto diventa una semplice provincia dell'Impero Romano.
 
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3 replies since 17/11/2008, 21:03   89 views
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