L'Universo e l'origine della vita

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view post Posted on 19/11/2008, 13:14

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Le molecole organiche nella materia interstellare

Premessa



Il concetto d'integrazione disciplinare è presente da tempo nel dibattito sulla didattica. Se l'applicazione di questo concetto è fecondo in generale, lo è forse in misura maggiore nell'insegnamento delle materie scientifiche. La presentazione separata delle discipline scientifiche nell'insegnamento curriculare rischia di generare, infatti, un'immagine non corretta dell'evoluzione del sapere scientifico nel suo complesso. In questo contesto, purtroppo, la situazione attuale è tale per cui l'Astronomia, per quanto rappresenti un dato culturale importante in senso generale e per quanto rappresenti una parte non trascurabile rispetto al concetto di unità del sapere scientifico (continui sono e sono stati nel passato gli apporti reciproci tra astronomia, fisica, matematica), non viene presentata in modo adeguato. Frammenti di astronomia vengono trattati, infatti, nell'insegnamento della fisica, con particolare enfasi alla gravitazione universale ed al ruolo delle particelle elementari nelle prime fasi dell'Universo. Altri aspetti dell'astronomia, (la maggior parte, a partire dalla cosiddetta geografia astronomica) vengono trattati nell'ambito dell’insegnamento delle Scienze naturali.

I nuovi cicli scolastici di prossima attivazione introducono, tuttavia, un ripensamento nello svolgimento dei programmi. La parola d'ordine è: bando al nozionismo e spazio ai nuclei fondanti dei saperi. Per quanto riguarda le discipline scientifiche, questo vuol dire sollecitare gli studenti a cogliere i fondamenti degli statuti disciplinari ed anche le connessioni tra le varie discipline scientifiche.

Abbastanza di recente, dall'astronomia, in seguito alle osservazioni della presenza di molecole organiche (i mattoni della vita) nelle nubi interstellari, viene un contributo importante al dibattito sulla comparsa della vita sulla Terra e in altre regioni dell'Universo. Il quadro interpretativo coinvolge, oltre che l'astronomia, discipline quali la fisica e la chimica. Alla biologia il compito, non facile, di dare un significato biologico alla congerie di dati teorici e sperimentali disponibili. Emerge da questo contesto un concetto didatticamente significativo. Quello cioè della partecipazione degli oggetti naturali ad un processo evolutivo su scala universale del quale sono protagonisti le stelle, le galassie e gli stessi esseri viventi.

Nel seguito viene esposta la problematica in termini del tutto generali, quale indicazione di un possibile percorso didattico, lasciando l'approfondimento delle varie parti di essa agli specialisti
 
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view post Posted on 19/11/2008, 17:41

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Il materiale "rozzo": gli elementi chimici

La teoria di Darwin, che è oggi accettata senza dissensi significativi, è la pietra angolare della biologia moderna. I nostri legami anche con le forme più semplici della vita microbica si possono considerare ben dimostrati. Da un punto di vista biochimico, la differenza fra l'uomo e il microbio è relativamente banale. Al livello chimico più rudimentale la vita, in tutta la sua varietà di forme e di espressioni, implica semplicemente l'interazione tra due gruppi di sostanze biochimiche: gli acidi nucleici e le proteine. La miriade di possibili disposizioni e redistribuzione di queste sottostrutture fondamentali compongono la vasta varietà delle forme di vita presenti sul nostro pianeta.

Un primo interrogativo riguarda l'origine di questi fondamentali blocchi da costruzione biochimici della vita. Il materiale rozzo che costituisce i mattoni della vita consiste degli elementi chimici della tavola periodica degli elementi. Studi della crosta terrestre, degli oceani e dell'atmosfera ci danno informazioni sull'abbondanza di questi elementi sulla Terra. Meteoriti e campioni lunari forniscono una valida conoscenza della composizione del nostro Sistema solare. L'analisi spettroscopica delle atmosfere stellari rivela la natura degli elementi chimici che le compongono. Da questo quadro osservativo emerge una sostanziale uniformità per quanto riguarda la composizione chimica. Le abbondanze relative degli elementi sono chiamate "abbondanze cosmiche". La Tabella 1 mostra il numero relativo di atomi di ciascuna specie atomica rispetto all'idrogeno fino al ferro



Tabella 1. Le abbondanze cosmiche

Dopo l'elio, che non gioca nessun ruolo nella chimica interstellare, il gruppo degli elementi comprendente l'ossigeno, il carbonio e l'azoto costituisce 1/1000 in numero di atomi relativamente all'idrogeno. Il successivo gruppo più abbondante, quello costituito dal magnesio, silicio e ferro, ha un'abbondanza relativa più bassa di un fattore 10. Lo zolfo è anche relativamente abbondante. Pertanto, nello spazio gli elementi che sono richiesti per le molecole organiche sono i più abbondanti.

È noto che i processi di nucleosintesi che hanno dato luogo alla formazione di elementi via via più pesanti avvengono nelle stelle durante le fasi evolutive, fatta eccezione per l'idrogeno ed una frazione di elio formatisi nelle prime fasi dell'Universo. Le teorie di Gamow ed Hoyle hanno permesso di delineare, nel quadro dell'evoluzione stellare, lo schema generale di formazione dei vari elementi attraverso una serie di processi "a gradino" (Fig. 1). Fusione dell'idrogeno, dell'elio e di elementi più pesanti (fino al ferro) in fasi successive; catture di neutroni nel materiale espulso da stelle di grande massa quando esplosero come supernovae sono i processi invocati per spiegare la nucleosintesi di tutti gli elementi noti. L'organizzazione della materia, a livello di complessità atomica, è quindi un processo che è avvenuto ed avviene tuttora su scala cosmica.



Ciclo di formazione ed evoluzione stellare. A partire dalla contrazione di una nube interstellare, si forma una stella allorquando si innescano le reazioni di fusione dell'idrogeno, con produzione di elio. Successivamente, le fasi evolutive fanno sì che negli interni stellari si formino elementi via via più pesanti sino al ferro, a seconda della massa iniziale della stella. Quando questa è inferiore a 1,44 masse solari l'evoluzione si conclude con la fase di nana bianca. La fase di supernova interviene per le stelle più massicce, con espulsione degli strati superficiali della stella, dando vita a nuova materia interstellare, più ricca di elementi pesanti di quella iniziale, "pronta" per una successiva generazione stellare. Clicca sulla figura per vederla ingrandita



Fino a qualche decennio fa si supponeva che la fase di organizzazione successiva, ossia un'organizzazione a livello molecolare che comportava associazioni di singoli atomi per formare i complessi blocchi da costruzione della vita (molecole ricche di carbonio, come gli amminoacidi, impiegati dalle cellule per sintetizzare le proteine) fosse stata una questione riguardante esclusivamente l'ambiente terrestre. Nel 1953 Milller attuò un esperimento mediante il quale venne dimostrato che si potevano formare amminoacidi da una miscela di gas, che ricalcava la composizione dell'atmosfera primordiale della Terra, assoggettata a stimoli energetici. Si ritenne, allora, che energia prodotta dall'azione di scariche elettriche prodotte da fulmini o dalla radiazione ultravioletta (UV) irraggiata da Sole avesse potuto costruire amminoacidi in un "brodo primordiale". In seguito processi evolutivi chimico-biologici avrebbero dato origine alla vita.

Sebbene l'esperimento di Miller fosse interessante, esso non fu esente da critiche. La prima è quella che gli amminoacidi prodotti sono solo cinque (alanina, valina, leucina, glicina, acido aspartico) sui venti che costituiscono il patrimonio degli organismi viventi; la seconda è che gli amminoacidi prodotti sono di entrambe le forme, destrorsa e sinistrorsa, mentre invece gli organismi viventi possiedono solo amminoacidi della forma sinistrorsa.

Nuove scoperte, che hanno una relazione profonda col problema dell'origine della vita, sono divenute disponibili solo di recente, da una cooperazione tra varie discipline: astronomia, fisica, chimica e ovviamente biochimica. Il punto di partenza è stata la scoperta, grazie principalmente alla radioastronomia, di numerose molecole organiche nelle nubi interstellari, cioè catene molecolari di H, C, N, O.
 
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view post Posted on 19/11/2008, 20:48

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Le nubi interstellari

L'osservazione ottica col telescopio mette in evidenza il fatto che non tutta la materia dell'Universo è condensata in stelle o pianeti. Si osservano nei bracci a spirale delle galassie (Fig. 2), compresa la nostra Galassia, grandi nubi di materia interstellare, nelle quali l'analisi spettroscopica mette in evidenza l'esistenza di polveri i cui grani sono delle dimensioni di qualche micron e gas con densità bassissime, dell'ordine di un atomo per centimetro cubo. Per confronto si pensi al fatto che l'aria, al livello del mare, ne contiene in un centimetro cubo circa 50 miliardi di miliardi.

 
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view post Posted on 23/11/2008, 19:32

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Le osservazioni


Lo studio quantitativo del mezzo interstellare iniziò dopo che la spettrografia rese possibile l'analisi dettagliata della luce proveniente dalle stelle.

Nel 1904 Franz Hartmann suggerì che la riga in assorbimento del calcio ionizzato, visibile nello spettro di alcune stelle brillanti, avesse la sua origine nello spazio interstellare. In seguito si trovò che anche il sodio neutro era un costituente del mezzo interstellare.

Nel 1937 si scoprì che l'idrogeno è l'elemento più abbondante dell'Universo e che perciò doveva costituire la maggior parte del mezzo interstellare. Si riteneva che l'idrogeno fosse presente più come atomo singolo che come molecola biatomica H2. Sempre nel 1937 fu scoperta la prima molecola interstellare, il radicale chimico di carbonio e idrogeno (CH).

Il radicale ionizzato CH+ ed il radicale cianogeno CN furono identificati nel corso dei quattro anni seguenti negli spettri di alcune stelle brillanti di tipo O e di tipo B: spesso si trattava delle stesse stelle davanti alle quali si erano osservate le nubi con righe dovute al calcio ed al sodio.

Fu nel 1951 che la situazione, per quanto riguarda le osservazioni di molecole interstellari, ebbe un impulso con l'avvento della radioastronomia. Uno dei maggiori trionfi di questa tecnica fu infatti la scoperta della riga alla lunghezza d'onda di 21cm (1420 Mhz) dovuta a transizione iperfina dello spin dell'idrogeno atomico. Si comprese in fretta che le osservazioni nel campo radio potevano penetrare completamente attraverso la Galassia, perché le radioonde non sono assorbite in maniera apprezzabile dalle polveri interstellari. Negli anni immediatamente seguenti, la riga dell'idrogeno a 21cm venne usata per studiare il comportamento del gas diffuso nella Galassia e fu possibile tracciarne l'intera struttura a spirale, sfruttando l'effetto Doppler dovuto alla velocità di rotazione delle varie parti. Prima la si era appena intuita attraverso i conteggi stellari ad opera di Herschel.

Da quel momento fu un susseguirsi di scoperte, rese possibili dallo sviluppo strumentale. Nel 1963 fu la volta della scoperta dell'ossidrile OH in emissione in regioni H II. Nel 1968 avvenne la scoperta della prima molecola composta da più di due atomi, avvenuta ad opera di Townes ed altri. Si trattava della molecola dell'ammoniaca NH3, presente in numerose nubi interstellari in direzione del Centro galattico.

Questa scoperta alterò profondamente il concetto di chimica interstellare, per cui il 1968 può dirsi l'anno di nascita dell'astrochimica, nuova branca dell'Astronomia. Fino a quel momento infatti si riteneva che la bassa densità del mezzo interstellare rendesse difficile, se non impossibile, la combinazione di più di due atomi. Si prevedeva di trovare nello spazio interstellare al più molecole biatomiche e che anche queste avessero una vita breve a causa degli effetti distruttivi della radiazione UV e dei raggi cosmici.

A partire da quell'anno fu un susseguirsi di scoperte di molecole sempre più complesse, fino a tredici atomi. Nel 1970 fu la volta della scoperta in nubi interstellari della molecola di H2 e così via, fino ai giorni nostri. In Appendice viene presentato un elenco incompleto di molecole organiche osservate, con l'indicazione dell'anno della scoperta e della banda elettromagnetica nella quale sono eseguite le osservazioni. Sul sito Internet http://www.cv.nrao.edu/~awootten/allmols.html è disponibile, invece, un elenco aggiornato: al 24/1/2001 ne sono riportate 121.

Nel corso di questi anni la Galassia è stata intensamente osservata alle lunghezze d'onda caratteristiche dell'OH, della formaldeide H2CO e dell'ossido di carbonio CO. Le osservazioni hanno mostrato che queste molecole, così come l'idrogeno atomico, sono fortemente concentrate in direzione del piano centrale della Galassia, in uno strato che in prossimità del Sole ha uno spessore di 1000 anni luce. Le molecole sembrano essere distribuite uniformemente nel disco e raggiungono concentrazioni maggiori nelle vicinanze del Centro galattico. La formaldeide e l'ossido di carbonio sono distribuiti allo stesso modo, mentre la maggior parte delle altre molecole interstellari si osserva solo in pochissime regioni, o perché probabilmente assenti o perché si trovano in uno stato non eccitato, per cui non emettono né assorbono segnali misurabili.

Un grande "serbatoio" di molecole è anche costituito dalla Nebulosa di Orione. Una grande nuvola di CO esce dalla nebulosa ed entra nella nube di H circostante. Simile è la distribuzione dell'OH. Nubi di dimensioni minori di acido cianidrico HCN si trovano nella parte centrale della nebulosa. Nelle immediate vicinanze degli oggetti infrarossi si osservano forti concentrazioni di formaldeide H2CO, alcol metilico CH3OH, solfuro di carbonio CS, cianogeno CN, ammoniaca NH3 e cianoacetilene HC3N.

Altra regione ricca di molecole è la nube nota come Sagittario B2. Tale regione è caratterizzata dall'enorme densità (fino a 108 particelle/cm3 ) e dalle sue dimensioni di circa 20 anni luce. Una significativa frazione del materiale interstellare è comunque contenuto in nubi giganti del tipo di Sagittario B2. La densità in tali nubi è mediamente di 102 - 103 H/cm3 mentre la temperatura è bassa (dell'ordine di 10 oK). La caratteristica più importante di tali nubi è tuttavia costituita dalle dimensioni, fino a 100 parsec, e dalla loro massa fino a 2 x 105 masse solari.

È noto quali siano i processi che fanno sì che un gas atomico emetta o assorba energia, producendo righe osservabili nello spettro visibile: si tratta in buona sostanza di transizioni tra diversi livelli energetici discreti, conseguenti ad eccitazioni o a ricaduta spontanea a livelli più bassi dopo l'eccitazione. Nella banda radio dello spettro elettromagnetico, la riga dell'idrogeno a 21cm di lunghezza d'onda è dovuta ad una transizione tra i due livelli energetici caratterizzati dalla diversa orientazione dello spin elettronico (da parallelo ad anti-parallelo). La piccola differenza fra i due livelli energetici (transizione iperfina) fa sì che i processi di emissione o di assorbimento diano luogo ad onde elettromagnetiche a frequenza minore di quelle caratteristiche del visibile e quindi osservabile nel dominio radio dello spettro elettromagnetico, mediante l'utilizzo di radiospettrografi.

Le particolari righe spettrali che indicano la presenza di molecole nelle nubi interstellari, si formano quando esse, o gli elettroni che le formano, modificano il loro stato energetico.

Ogni molecola tende a ruotare intorno al proprio asse di simmetria. Cambiamenti nella rotazione la fanno irraggiare o assorbire energia elettromagnetica a lunghezze d'onda che si trovano normalmente nella banda delle microonde: radio o infrarosso (lunghezze d'onda comprese fra 1mm e 6cm).

Anche il moto vibrazionale può cambiare, provocando l'irraggiamento o l'assorbimento, da parte della molecola, di radiazione infrarossa. Il solfuro di carbonio, CS, è l'esempio del più semplice tipo di molecola: una molecola lineare biatomica. Nei livelli più bassi di energia elettronica e vibrazionale (gli unici stati popolati nello spazio interstellare), i moti possibili della molecola sono il semplice movimento in una direzione ed una rotazione continua. I livelli energetici sono definiti dai numeri quantici J, che sono una misura del momento di rotazione della molecola. Una volta eccitata e poi lasciata a se stessa la molecola emette spontaneamente un fotone e cade nel livello fondamentale in un tempo medio di quattro ore. Il tempo che la molecola passa nei livelli energetici più alti è minore. Nelle nubi interstellari si osserva il CS nei livelli eccitati: quindi ci deve essere qualche meccanismo che mantiene le molecole di CS in questi livelli e che si oppone alla tendenza di decadere spontaneamente: campi di radiazione o collisioni?

Altro esempio è costituito dalla molecola di ammoniaca NH3 a forma di tetraedro con un atomo di azoto nel vertice, al di sopra del piano formato da tre atomi di idrogeno. L'atomo di idrogeno può oscillare da una parte all'altra del piano. Come risultato ciascun livello di energia rotazionale J è diviso in due livelli ravvicinati (una situazione simile a quella cui si è accennato nel caso della transizione iperfina da parte dell'H a 21cm). Le transizioni tra i due livelli sono transizioni di inversione e si hanno alla lunghezza d'onda di 1,3cm, osservabili quindi in radio, sempre mediante l'utilizzo di radiospettrografi.



 
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view post Posted on 23/11/2008, 21:16

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Le ipotesi generali

Una prima ipotesi per spiegare l'esistenza di molecole organiche, catene di idrogeno, carbonio, ossigeno ed azoto, nella materia interstellare è quella che le fa derivare dalla degradazione di grani di polveri nello spazio interstellare Tuttavia questa ipotesi non regge ad un esame più approfondito per almeno due motivi:

può spiegare meno dell'1% rispetto a quanto richiesto dai dati osservati;
nello spazio interstellare interviene una rapida dissociazione delle molecole per effetto della radiazione UV.
Una seconda ipotesi è quella relativa all'espulsione delle molecole organiche da parte di stelle "fredde" (1000-2000 oK). Gli spettri delle atmosfere di stelle "fredde" mostrano, infatti, bande molecolari. In particolari fasi evolutive, caratterizzate da perdita di massa da parte di una stella, la materia di cui è composta l'atmosfera stellare viene effettivamente dispersa nello spazio. Anche in questo caso, tuttavia, il campo di radiazione UV nello spazio interstellare provvederebbe ad una loro rapida dissociazione. In altre parole, la vita media di una molecola nello spazio interstellare non permette la sua definitiva collocazione in nubi generalmente molto distanti dalla stella stessa.

Si può allora concludere che, a parte qualche eccezione locale, le molecole interstellari si sono formate in situ nelle nubi interstellari attraverso reazioni dirette in fase gassosa o per intervento delle polveri di cui le nubi, specie quelle molecolari, sono ricche. Gli atomi e gli ioni più abbondanti sono convertiti in molecole per mezzo di reazioni chimiche e che tali molecole, a loro volta, prendano parte a successive reazioni che conducono a molecole sempre più complesse.


 
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Il problema chimico

Un problema chimico è connesso al fatto che le basse temperature caratteristiche della materia interstellare non consentono di superare le barriere di attivazione per il verificarsi di qualunque reazione chimica ordinaria. Più in dettaglio, le particelle reagenti devono possedere una certa energia per "collegarsi" tra loro e formare una molecola. Per un gas che si trovi in condizioni di equilibrio, l'energia media delle particelle dipende dalla temperatura. Si può quindi dire se, statisticamente, in un gas sono possibili, o meno, certe reazioni chimiche. Alle temperatura caratteristiche delle nubi interstellari, qualche decina di gradi Kelvin, l'energia cinetica delle particelle è estremamente ridotta, per cui tutti i processi chimici noti (reazioni termiche) procedono a velocità talmente basse da non poter in alcun modo spiegare le abbondanze molecolari suggerite dalle osservazioni.

Occorre prendere, allora, in considerazione reazioni tra specie ionizzate (reazioni non termiche). In questo caso la carica dello ione induce cariche elettriche di segno contrario negli atomi circostanti, con conseguente interazione elettrica di attrazione tra le due particelle. Questo meccanismo di attrazione agisce a distanze molto maggiori di quelle alle quali si fanno sentire le forze di attrazione tra particelle neutre. Le reazioni chimiche tra specie ionizzate presentano molti vantaggi, rispetto a quelle tra specie neutre:

frequenze delle collisioni tra ioni e specie neutre da 100 a 1000 volte maggiori di quelle tra specie neutre;
le forze attrattive, che si sviluppano quando uno ione ed una particella neutra si attraggono sino alla distanza di qualche raggio atomico, producono un'energia sufficiente a vincere la maggior parte delle soglie di attivazione. In altre parole, le reazioni tra ione ed una particella neutra hanno bassissime soglie di attivazione;
alta efficienza delle reazioni ione-particella neutra, per cui le reazioni esotermiche tra uno ione ed una specie neutra avvengono con un'efficienza quasi unitaria;
le velocità delle reazioni tra specie ionizzate sono largamente indipendenti dalla temperatura e sono più elevate di quelle tra specie neutre.



Edited by birillino8 - 24/11/2008, 20:49
 
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Il problema astrofisico.


Il problema astrofisico è ora quello di verificare se esistono e con quali modalità le condizioni per avere a disposizione ioni, in numero sufficiente, per i processi di formazione molecolare nelle nubi. Esistono situazioni diverse nelle nubi diffuse ed in quelle oscure.

Negli spazi interstellari gli atomi vengono ionizzati dai raggi cosmici, dai raggi X e dalla radiazione UV proveniente dalle stelle del fondo galattico. I fotoni con energia maggiore di 13,6 eV vengono utilizzati nella ionizzazione dell'idrogeno, l'elemento più abbondante, che si trova nelle immediate vicinanze delle stelle. Lo ione H+ è di fondamentale importanza, poiché costituisce uno dei punti di partenza della chimica in fase gassosa, tramite un tipo di reazione che va sotto il nome di reazioni di trasferimento di carica:



Pertanto, quando la radiazione UV raggiunge una nube, essa contiene solo fotoni con energia inferiore a 13,6 eV. Il flusso galattico UV, allorché investe una nube, non è in grado, quindi, di procedere alla ionizzazione di elementi presenti nella nube stessa, le cui energie di ionizzazione siano inferiori a 13,6 eV, quali H, He, O, N, Ne (v. Tabella 1). Questi atomi vengono ionizzati dai raggi cosmici o dai raggi X. Quelli invece con energie di ionizzazione superiori a 13,6 eV, tra cui C, S, Si, possono venire ionizzati anche dai fotoni UV, nei confronti dei quali le nubi diffuse sono trasparenti (v. Tabella 2).

Tuttavia, il flusso dei fotoni UV è maggiore di quello dei raggi cosmici e dei raggi X di un fattore 106 – 107. Quindi lo ione più abbondante nelle nubi diffuse è C+, nonostante la modesta abbondanza del carbonio (rispetto all'idrogeno), comunque superiore a quella di S e Si. Questo spiega il fatto che tra le diverse chimiche organiche possibili, nella materia interstellare è privilegiata quella che si basa sulla chimica del carbonio: è lo ione più abbondante dopo l'idrogeno e l'elio (che tuttavia è inerte), seguito da azoto ed ossigeno (v. Tabella 3). In alcuni racconti di fantascienza si fa riferimento a esseri viventi costruiti sulla chimica del silicio, anziché su quella del carbonio come è invece sulla Terra. In linea di principio, non vi sarebbero controindicazioni, stante la capacità del silicio di sostituire il carbonio nelle catene molecolari. Rimane tuttavia il fatto che il silicio è meno abbondante di un fattore 10 del carbonio, in quanto può essere formato nelle stelle in fasi evolutive successive a quella che produce carbonio (giganti rosse) e quindi in stelle più massicce e conseguentemente più rare. In conclusione la chimica del carbonio è la più probabile.

Non esplicitiamo qui le reazioni in fase gassosa (non è competenza dell'astronomo) tra specie ionizzate che possono rendere ragione delle molecole osservate e nelle abbondanze osservate. Questo è compito della chimica, o meglio dell'astrochimica. Come è compito della chimica, ed in particolare della cinetica chimica, studiare le velocità delle reazioni e le concentrazioni molecolari prodotte. In uno schema di reazione , la velocità con cui cambia la concentrazione di n(M) di M nel tempo è proporzionale alle concentrazioni n(A) ed n(B) delle specie A e B secondo una costante di proporzionalità detta "coefficiente di velocità" e dipende anche da una "velocità di distruzione", coefficiente che fornisce il numero di molecole prodotte che vengono tuttavia distrutte per effetto del campo di radiazione UV, X e raggi cosmici. L'equilibrio viene raggiunto quando, in dipendenza dei due coefficienti, tante molecole si formano quante se ne distruggono nell'unità di tempo. Nella chimica interstellare è di interesse la valutazione del "coefficiente di velocità" in via teorica o sperimentale, relativamente alle diverse reazioni tra le specie presenti nelle nubi in forma elementare ed ai diversi tipi di reazione, così come i meccanismi di distruzione dei prodotti ed il valore della "velocità di distruzione" al fine di ottenere valori di n(M) corrispondenti alle osservazioni.


 
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Le reazioni gassose nelle nubi oscure


Nel caso delle nubi oscure, la densità della nube è tale che essa si autoscherma progressivamente nei confronti del flusso UV. Nelle parti più interne il flusso UV è del tutto trascurabile e i processi di ionizzazione, necessari per la chimica tra specie ionizzate, sono affidati unicamente ai raggi cosmici. Pertanto la frazione di ioni presenti è minore di quella che si riscontra nelle nubi diffuse di un fattore che varia da 100 a 1000.

Questo fatto potrebbe far pensare che all'interno di queste nubi le reazioni chimiche tra specie ionizzate risultino rallentate. Tuttavia, a causa della alta densità della nube, il libero cammino medio delle particelle risulta assai ridotto, mentre è sensibilmente più lunga la loro vita media, per l'assenza (o quasi) del flusso di radiazione che comporta dissociazione. Ne consegue la possibilità di reazioni che formano molecole anche nelle nubi oscure. Ad esempio, nel corso della condensazione cui va incontro una nube diffusa per divenire molecolare, una gran parte degli ioni C+ viene trasformata in CO attraverso una serie di reazioni, alla luce delle quali la molecola CO risulta la più abbondante dopo quella dell'idrogeno (CO/H = 10-4).

Nelle nubi oscure hanno grande importanza i grani di polvere dei quali tali nubi sono ricche (v. Tabella 4). Su tali grani è possibile una chimica di superficie, che spiega, ad esempio, la formazione della molecola H2, la quale, formata a partire da due atomi di idrogeno, è fortemente instabile e, appena formata, decade quasi immediatamente nei due atomi reagenti.


Diametro : 0.1—0.3 micron
Densità spaziale media : 1 particella per 100 m3
Composizione : grafite, silicati di magnesio,carburo di silicio (SiC), magnetite (Fe2O3),carbonato di magnesio (MgCO3), carbonato di calcio (CaCO3) ferro, ghiacci (NH3,CH4)
Tabella 4. I grani di polveri

Questo fatto ha reso per molto tempo inspiegabile la presenza abbondante di H2 nelle nubi interstellari. Se tuttavia tale reazione avviene su una superficie, come i grani di polvere, l'energia in eccesso della molecola al momento della sua formazione può essere ceduta alla superficie prima che intervenga la dissociazione. In tal modo la molecola H2 si stabilizza.

A parte l'H2,la chimica di superficie si rivela capace di formare molecole ben più complesse.
 
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Conclusioni

A conclusione si può dire che chimica in fase gassosa, chimica di superficie, fotolisi dei grani di polvere sembrano al momento vie capaci di spiegare la sintesi, nella materia interstellare, di molecole anche alquanto complesse, tra cui HCO, HNCO, H2CO, HCONH2, HCOOH e, in alcuni casi, anche glicina, alanina, altri aminoacidi, basi di acidi nucleici, urea e persino zuccheri. Nell'Universo sono dunque disponibili i "mattoni" della vita in grande abbondanza.

Il processo di formazione del Sistema solare a partire da una nube interstellare produsse, oltre al Sole ed ai pianeti, corpi di piccole dimensioni quali le comete e gli asteroidi. Tali corpi minori non hanno conosciuto le trasformazioni cui sono andati incontro i pianeti e quindi conservano le tracce della nube originaria. È certo che osservazioni di comete quali quella di Halley, la Hale-Bopp e la Hyakutake hanno rivelato in esse una grande abbondanza di composti organici. Quando una cometa attraversa la regione relativamente calda del Sistema solare interno, il suo strato superficiale si vaporizza in gas e polvere che, in parte, vengono attratti dal campo gravitazionale terrestre. Si stima che la polvere interstellare che cade sulla Terra apporta ogni giorno circa 30 tonnellate di materiale organico. Per quanto riguarda i frammenti di asteroidi che colpiscono il nostro pianeta sotto forma di meteoriti, essi sono costituiti per lo più da rocce e composti metallici, ma alcuni contengono anche sostanze organiche come basi degli acidi nucleici, ammine e ammidi.

Della grande varietà di composti organici estratti dalle meteoriti, quelli che hanno maggiormente attirato l'attenzione sono le 70 varietà di ammminoacidi, di cui otto appartenenti al gruppo dei 20 impiegati dalle cellule per sintetizzare le proteine. Ma quello che più conta, con una prevalenza di amminoacidi sinistrorsi, caratteristica questa di quelli degli organismi viventi.

Ciò sta a significare che reazioni chimiche che producono composti organici di interesse biologico sempre più complessi continuano ad avvenire nei ghiacci che costituiscono le comete e nelle regioni più fredde del Sistema solare. Esula dalla panoramica generale fin qui mostrata l'analisi di tali processi, i quali costituiscono un campo di ricerca attuale, interessante ed affascinante e che coinvolge in egual misura astronomi, chimici e biologi, in merito ai quali rimandiamo alla vasta letteratura esistente, sia specialistica che divulgativa.


 
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view post Posted on 25/11/2008, 20:55

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Alcune molecole nelle nubi interstellari

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Da J. C. Pecker: Capire l'Astronomia, Hoepli, Milano, 1985
 
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