Dinamica e formazione del Sistema solare

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view post Posted on 19/11/2008, 13:23

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Introduzione

L'astronomia planetaria si dedica essenzialmente allo studio dei corpi celesti nel Sistema solare. Per molto tempo l'attenzione degli astronomi e dei fisici si è concentrata nello studio dei moti dei pianeti, ma, con l'inizio degli anni Sessanta, si è aperta una fruttuosa stagione di esplorazione del Sistema solare che ha raggiunto il suo apice con le missioni Voyager verso i pianeti esterni. Non sono certo mancate le missioni di sonde spaziali dirette anche verso i pianeti interni, alcune delle quali, come la Mars Global Surveyor, ancora in corso. La quantità di dati raccolta è enorme ed ha aperto la strada a nuove discipline relative allo studio dei pianeti: climatologia, geologia e planetologia comparata. È stata però la scoperta di nuovi sistemi planetari, in stelle della Via Lattea, che ha dato nuovo impulso allo studio dei meccanismi che presiedono alla formazione del Sistema solare

Già in un precedente articolo "La genesi del Sistema solare" — pubblicato in Leggere il Cielo, Supplemento n. 1 al Giornale di Astronomia del marzo 2000 contenente le lezioni di un corso di aggiornamento per insegnanti — abbiamo descritto, sia dal punto di vista storico che astronomico, le teorie di formazione del Sistema solare. Non ci ripeteremo dunque sugli aspetti già trattati bensì, a completamento di quanto esposto, approfondiremo la dinamica del moto dei pianeti e lo stretto legame con le teorie di formazione stellare.
 
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view post Posted on 19/11/2008, 17:43

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Il Sistema solare

Prima di affrontare il problema della formazione planetaria ricordiamo alcune delle principali proprietà del Sistema solare.

I pianeti interni (Mercurio, Venere, Terra e Marte) sono costituiti da un nucleo metallico circondato da uno strato di silicati. Nel passato tutti e quattro sono stati modificati dall'attività vulcanica e tettonica e dall'impatto dei meteoriti, ma oggi solo la Terra è tettonicamente attiva, anche se i gas prodotti dai vulcani hanno formato le atmosfere di Venere e di Marte.

I pianeti esterni sono separati da quelli interni dalla cintura degli Asteroidi, frammenti di roccia con diametri che variano da alcune migliaia a pochi chilometri. I quattro pianeti giganti (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) contengono il 99 % del materiale del Sistema solare, escluso il Sole. Sono degli sferoidi di gas d'idrogeno ed elio, con miscugli di metano, ammoniaca ed acqua, nel cui interno l'idrogeno si è condensato in idrogeno liquido, ed hanno, probabilmente, un nucleo costituito da metalli, silicati ed acqua. Tre dei pianeti giganti irradiano più calore di quanto ne ricevano dal Sole, mentre, curiosamente, solo Urano non presenta quest'eccesso di calore ed ha una rotazione retrograda.

Nella parte più esterna del Sistema solare si trova Plutone con il suo satellite Caronte, grande la metà del pianeta principale. Plutone ha una sottile atmosfera di gas metano e, come il suo satellite, è probabilmente costituito di ghiaccio e metano. Le comete, composte anch'esse principalmente di ghiaccio, orbitano, intrappolate dal campo gravitazionale del Sole, ai limiti del Sistema solare. Esse percorrono delle orbite "aperte" oppure "chiuse" ritornando periodicamente, in quest'ultimo caso, a passare in prossimità dei pianeti.
 
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view post Posted on 19/11/2008, 21:06

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Le leggi di Keplero

Nella seconda metà del Seicento, pur tra mille difficoltà, il modello eliocentrico si andò sostituendo al modello geocentrico. La concezione copernicana offre una più accettabile visione fisica ed abolisce il privilegio di centralità conferito alla Terra. Discriminare tra le due concezioni, quella geocentrica e quella eliocentrica, poté essere fatto solo compiendo accurate osservazioni delle posizioni dei pianeti, del Sole e della Luna ed elaborando i risultati con animo scevro da pregiudizi; anche a costo di rivedere dalle fondamenta le idee correnti sulla fisica.

In questo programma di lavoro spiccano i nomi di Johannes Kepler (1571-1630), Galileo Galilei (1564-1642) ed Isaac Newton (1642-1727). Scrive Thomas Kuhn ne La Rivoluzione Copernicana, che "il De Revolutionibus di Copernico costituì la miccia di una rivoluzione che esso aveva a mala pena delineato. È un testo che provoca una rivoluzione più che un testo rivoluzionario".

I primi ed importanti contributi verso una nuova definizione del Sistema del Mondo vennero da Keplero, che poté utilizzare osservazioni di Marte molto precise realizzate dal suo maestro Tycho Brahe (1546-1601). Dopo vari tentativi, attuati nel corso di dieci anni di lavoro, Keplero pervenne in modo empirico alla formulazione delle tre leggi che portano il suo nome:


Ia legge: i pianeti descrivono intorno al Sole delle orbite ellittiche, di cui il Sole occupa uno dei fuochi;

IIa legge: le aree descritte dal raggio vettore di ciascun pianeta sono proporzionali ai tempi impiegati a descriverle; ossia, il raggio vettore di un pianeta descrive aree uguali in tempi uguali;

IIIa legge: i quadrati dei tempi di rivoluzione dei pianeti intorno al Sole sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle rispettive orbite.
 
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view post Posted on 23/11/2008, 19:33

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La meccanica celeste

Le leggi di Newton costituiscono la base su cui si fonda la meccanica celeste, la scienza che studia gli effetti delle interazioni gravitazionali tra corpi celesti ed ha come conseguenza diretta le leggi di Keplero. Con l'utilizzo della forza di gravitazione universale

F=G----m1/m2/----d2

(m1 ed m2 le masse di due corpi gravitanti, d la loro distanza, F la forza agente e G la costante di gravitazione universale) e della seconda legge della dinamica di Newton

F=m.a

(attenzione, qui a è l'accelerazione del corpo di massa m soggetto alla forza F) si possono ritrovare ed estendere i risultati empirici riassunti nelle tre leggi di Keplero.

In particolare, la forma delle orbite di un corpo intorno ad un altro risulta essere più in generale una conica, cioè un'ellisse o una parabola o un ramo di iperbole, a seconda delle condizioni iniziali per la posizione e la velocità. Più precisamente, i due corpi descrivono una conica intorno al baricentro comune, verificando, così, la prima legge di Keplero. Se tuttavia uno dei due corpi è molto più massiccio dell'altro, il baricentro coincide in pratica con la sua posizione e si può parlare di moto di un corpo intorno all'altro.

La terza legge di Keplero viene precisata da Newton nella forma

P2(m1+m2)=K.d2

con d che rappresenta il semiasse maggiore dell'orbita e la costante K = 4·π2/G, assumendo con m1 la massa di un pianeta e con m2 quella del Sole.

Nel Sistema solare la somma delle due masse, in prima approssimazione, si considera praticamente uguale alla sola massa solare, data la relativa piccola massa dei pianeti, quindi una costante. Nel caso di sistemi binari di stelle, nei quali le masse stellari possono essere dello stesso ordine di grandezza, la terza legge di Keplero va utilizzata nella forma generalizzata di Newton.



 
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view post Posted on 23/11/2008, 21:19

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Le orbite dei pianeti

Vediamo in maggiore dettaglio gli elementi che permettono di configurare l'orbita di un pianeta. La definizione del piano dell'orbita, l'orientazione dell'orbita, la forma dell'orbita e gli elementi meccanici del moto, visualizzati nella figura 1, sono gli elementi che caratterizzano il problema dell'orbita dei pianeti.


image


Figura 1.

Per orientare l'orbita sul piano è sufficiente individuare la direzione del suo asse maggiore oppure fissare la direzione del perielio P, cioè l'angolo o, detto anche distanza angolare tra perielio e nodo. Determinare la forma dell'orbita vuol dire fissare la lunghezza del suo semiasse maggiore a e l'eccentricità e. In definitiva, quindi, i 6 elementi orbitali, necessari a definire un'orbita, sono: il semiasse maggiorea, l'eccentricità e, l'inclinazione i, la longitudine del nodo ascendente , la distanza angolare tra perielio e nodo o e l'istante T del passaggio al perielio Per individuare un'orbita sono necessarie almeno tre osservazioni che fissino tre coppie di valori (tre coordinate nel sistema eclitticale). Con questi dati è possibile trovare i sei elementi orbitali, incogniti, anche se la soluzione di questo problema è molto complicata ed esula dagli scopi di questo corso.

Le orbite sono descritte rispetto ad un piano di riferimento. Per i pianeti questo è il piano dell'orbita terreste (l'eclittica); per i satelliti è il piano che contiene l'equatore dei rispettivi pianeti. I due punti in cui l'orbita interseca il piano di riferimento sono detti nodi. Il nodo ascendente è definito dal passaggio da posizioni sotto al piano d riferimento (negative) a posizioni sopra al piano di riferimento (positive). Il nodo discendente è definito, al contrario, come il punto di passaggio da posizioni positive a posizioni negative, mentre la linea che congiunge i nodi è detta linea dei nodi.

Per definire l'orbita, si fissa prima di tutto l'angolo di inclinazione i tra il piano dell'orbita e il piano di riferimento, poi si fissa l'angolo , detto longitudine del nodo, contato dal punto gamma al nodo ascendente
 
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view post Posted on 24/11/2008, 17:25

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L'importanza delle orbite nella determinazione di un modello di formazione planetaria

I primi modelli di formazione del Sistema solare cercarono di rendere conto, in modo qualitativo, dei principali dati osservativi. Le orbite dei pianeti sono prossime al piano orbitale terrestre, il piano dell'eclittica; le orbite non sono fortemente ellittiche (esclusa l'orbita di Plutone, scoperto nel 1929); tutti ruotano nello stesso senso che è pure quello di rotazione del Sole, a eccezione di Urano che ha un moto di rotazione retrogrado; infine, le distanze eliocentriche presentano una certa regolarità espressa da una relazione empirica trovata da Titius e Bode nel XVIII secolo.

Alla fine del XIX secolo, inoltre, i fisici teorici dedicarono particolare attenzione al problema del momento angolare nel Sistema Solare.

Per momento angolare in fisica si intende una quantità che misura l'intensità della rotazione di un corpo attorno al proprio asse. Supponiamo di avere un corpo rigido di massa M che ruota su se stesso, ad una velocità angolare w, nel campo gravitazionale determinato dalla sua stessa massa. Ebbene, senza entrare nel dettaglio fisico matematico, se il nostro corpo solido è "isolato", vale la legge di conservazione del momento angolare:

dt----dN=0



dove

N=KM.R2.3.

è il momento angolare del corpo, R il raggio del corpo solido e k un opportuno fattore numerico.

Supponiamo che il corpo rigido rappresenti la nube protoplanetaria. Nel caso che esista solo la forza di gravitazione e non esistano forze esterne, cioè che la nube protoplanetaria sia "isolata", vale la precedente legge di conservazione del momento angolare che, risolta, dà :

N=K.M.R2.3=0

Il momento angolare originario deve mantenersi costante anche se si può ripartire nei momenti di rotazione dei pianeti attorno al proprio asse, di rivoluzione dei pianeti attorno al Sole ed infine nel momento di rotazione del Sole attorno al proprio asse.

Quello che si osserva "ora" nel Sistema Solare è che:


Il Sole contiene il 99% della massa del Sistema Solare ma possiede solo il 2% del momento angolare posseduto dagli altri pianeti !


Questo dato osservativo non è di poco conto. Il dilemma nasce dal fatto che è alquanto singolare come "ora", pur essendo la grandissima parte della massa confinata nel Sole, l'intensità della rotazione e della rivoluzione (in questo modo possiamo tradurre il concetto fisico di momento angolare) sia invece distribuita prevalentemente nei corpi a più piccola massa, quali i pianeti. In altri termini, questo vuol dire che il Sole, adesso, dovrebbe avere, per mantenere la conservazione del momento angolare originario, una rotazione su se stesso, di 0,5 giorni, invece di quella osservata di 26 giorni! Si aprono due possibilità:

se il Sole ed i pianeti si sono formati contemporaneamente bisogna individuare un meccanismo che sottragga momento angolare al Sole;
oppure bisogna supporre che sin dall'inizio la nascita e l'evoluzione dei pianeti siano state separate da quella del Sole.



Edited by birillino8 - 24/11/2008, 21:07
 
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view post Posted on 24/11/2008, 21:06

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Vincoli teorici ed osservativi alla costruzione di un modello di formazione del Sistema solare


Dalla metà del XX secolo le teorie riguardanti la formazione stellare insieme alla determinazione delle età dei vari corpi minori, ad esempio i meteoriti, fornirono nuovi elementi di riflessione per le nuove e più moderne teorie cosmogoniche. Sebbene il problema della formazione planetaria sia solo parzialmente risolto, si è riusciti comunque a costruire un quadro sufficientemente coerente dei vari processi fisici e chimici che sovrintendono ad essa.

L'efficacia dei modelli di formazione del Sistema solare risiede essenzialmente nella loro capacità di rispondere a due domande: ammesso che il Sole ed i pianeti si siano formati assieme, dove e quando ciò è avvenuto? il Sistema solare si è formato da materiale interstellare freddo o da materiale solare riprocessato dalle reazioni termonucleari avvenute nel suo interno?

A queste due possibilità le evidenze osservative permettono di dare una risposta esauriente con un elevato grado di accuratezza. Per far questo è necessario affrontare il problema dell'età delle rocce terrestri, lunari e dei meteoriti ed indagare su come avviene la formazione stellare nella Galassia.

La datazione delle rocce terrestri, lunari e dei meteoriti
Il principio base della datazione, e quindi della stima delle età geologiche, si fonda sulla misura degli elementi radioattivi presenti nelle rocce sottoposte ad esame. Al fine di misurare l'età del Sistema solare, si utilizzano degli "orologi" a lungo termine derivati dal decadimento di alcune specie fisiche trovate nei meteoriti.

Ad esempio consideriamo il caso di due meteoriti (indicati con le lettere a e b), in cui l'abbondanza degli isotopi del piombo era la stessa al momento della formazione del Sistema solare.

Dopo un tempo t la formazione delle specie isotopiche è specificata dalla relazione:



che collega le abbondanze isotopiche del 206Pb e dello 238U al tempo t in funzione della costante di decadimento 238 dell' 238U.

Se tutti i meteoriti hanno lo stesso rapporto iniziale (206Pb /204Pb) allora hanno la stessa età e , sulla base di questa ipotesi, non è troppo complicato calcolare il valore di t e quindi risalire all'età di formazione del Sistema solare. Per completezza diamo, nella figura 2, le principali reazioni di decadimento radioattivo con i tempi caratteristici corrispondenti.


Figura 2.

La datazione di reperti storici di età non geologica viene fatta tramite il metodo del carbonio 14 che è associato a tempi di decadimento radioattivo di alcune migliaia di anni.

L'età del Sistema solare e la durata del processo di formazione
Le misure fatte con questi elementi su campioni di meteoriti mostrano che l'età del Sistema solare è approssimativamente 4,55 miliardi di anni.

Inoltre, le misure delle abbondanze del 244Pu (Plutonio) e dello 129I (Iodio), che hanno dei tempi di decadimento più corti, danno un'indicazione del tempo di condensazione del materiale planetario. Esse indicano che non sono stati necessari più di 100 milioni di anni per la formazione dei pianeti dopo che il materiale originario si è isolato da quello interstellare.

La formazione del protosole

La discussione relativa alla formazione planetaria non può prescindere da quella della formazione stellare, ed in particolare solare. (Fig. 3)



Figura 3.

Le stelle si formano dal mezzo interstellare costituito da polveri e gas. Se nelle nubi interstellari, per un qualche meccanismo fisico, si determina un accumulo locale di gas o polveri, ecco che si può produrre un'instabilità dal cui collasso gravitazionale si origina una stella.

In realtà i dettagli di questo processo sono ancora in parte sconosciuti e tutto il meccanismo di formazione stellare è ben lungi dall'essere compreso. Seppur in modo grossolano, si può affermare che il collasso gravitazionale avviene quando, nella nube protostellare, l'energia potenziale gravitazionale eccede il doppio dell'energia cinetica. È possibile calcolare questo valore critico della densità delle concentrazioni locali di gas e polveri tramite il teorema del viriale, che rende irreversibile l'innesco della contrazione gravitazionale.

Diversi sono i meccanismi che possono instaurare la fluttuazione di densità da cui parte il collasso gravitazionale. Tra questi ne ricordiamo due:

1 - l'esplosione di una supernova, la cui onda d'urto comprime il mezzo interstellare sino a renderlo instabile gravitazionalmente;

2 - il passaggio di una nebulosa attraverso uno dei bracci a spirale della Via Lattea.


L'analisi degli elementi e dei rapporti isotopici nei meteoriti è utilizzabile come metodo per determinare la durata ed il tipo del processo di formazione e quindi fornirci un'indicazione su quale, di questi due meccanismi, è quello più probabile.

Si è riscontrato che, nei meteoriti, un certo numero di elementi quali l'ossigeno, il magnesio, ed il neon hanno abbondanze anomale che suggeriscono la presenza, nella "nebulosa molecolare primitiva", di "grani presolari" dovuti a materiale espulso da supernovae, novae o da stelle di tipo Wolf-Rayet. In particolare l'eccesso di 26Mg si può spiegare solo con la presenza di 26Al nei grani presolari direttamente espulsi non solo da una esplosione stellare ma anche da forte attività stellare, poiché il decadimento radioattivo ad essi associato (26Al che si trasforma in 26Mg) è molto breve: solo 700.000 anni! L'ipotesi della formazione del nostro sistema planetario in seguito al passaggio della nebula primordiale attraverso la Via Lattea, trova ulteriore conferma nelle misure delle abbondanze del 244Pu (Plutonio), e dello 129I (Iodio)

Il meccanismo dell'esplosione di una supernova, per quanto accettabile, quindi non è strettamente necessario. È ragionevole ipotizzare che il Sole ed i pianeti si siano formati contemporaneamente, durante il passaggio in una parte della Galassia sicuramente più densa e piena di polveri.

La nube protoplanetaria
La nube protoplanetaria era costituita da gas di idrogeno ed elio e da grani di polvere contenenti carbonio solido, silicati, metalli e materiale volatile come acqua, anidride carbonica, metano ed ammoniaca. L'instabilità gravitazionale può avere avuto luogo a partire da questi piccoli frammenti, di circa un centesimo di massa solare, formatisi in seguito all'attività di stelle di poche masse solari!

Una volta innescato il meccanismo di formazione, all'interno della nube molecolare si forma una nebula in contrazione e la rotazione della nube produce il confinamento del materiale gassoso formando un disco nebulare, mentre all'interno di questo disco, si produce ulteriore accumulo di materiale. (Fig. 4)



Figura 4.

Le reazioni termonucleari nel protosole; il ciclo protone-protone
Quando la temperatura, nella nebulosa centrale, arriva a diversi milioni di gradi si innescano nel suo interno le reazioni termonucleari e si forma il protosole.

Nella figura 5 descriviamo il principale meccanismo di produzione dell'energia legato alle reazioni termonucleari: quello della catena protone-protone

Figura 5.

La fusione nucleare è il processo attraverso il quale si producono nuclei di elementi più pesanti a partire dalla fusione di nuclei di elementi più leggeri. Nei processi di fusione nucleare la massa del nuovo nucleo formato non è pari alla somma di quella dei nuclei atomici che hanno partecipato alla fusione, ma leggermente inferiore. È per tale difetto di massa che, in base alla legge di Einstein E = m c2, si sviluppa energia E a processo avvenuto. Nella formula m è il difetto di massa e c è la velocità della luce nel vuoto pari a 300.000 km/s.

Nell'interno del Sole avviene,anche oggi, la fusione di quattro nuclei di idrogeno (protoni) in un nucleo di elio, secondo lo schema della figura 5. Il nucleo di elio ha un difetto di massa m di 0,007 rispetto alla somma delle masse dei quattro nuclei di idrogeno. Su questa base è facile calcolare, dalla legge di Einstein, che, se solo un decimo della massa di idrogeno contenuta nel Sole partecipa alle reazioni termonucleari per formare elio, si sviluppa un'energia di 9,2·1043 joule, la quale, consumata al tasso di 3,86·1026 J/s (che rappresenta la luminosità solare), risulta sufficiente per circa 7,5 miliardi di anni, ben oltre l'età della Terra.

La misura del rapporto deuterio/idrogeno nei pianeti giganti
Uno dei più interessanti problemi connessi con l'innesco delle reazioni termonucleari del ciclo protone-protone nel protosole riguarda la combustione del deuterio. Quest'ultimo è presente nel mezzo interstellare, ma viene distrutto nelle stelle in seguito alle reazioni termonucleari. Il tempo in cui avviene la reazione che trasforma il deuterio è molto più breve (circa 1 minuto) delle altre reazioni (con tempi di 1 milione di anni).

Ci si chiede, allora, che fine ha fatto il deuterio presente nella nebula protosolare, anche se è possibile osservare ancora oggi deuterio residuo di quello originario. Nei pianeti giganti, il valore del rapporto D/H è maggiore di quello prevalente nel mezzo interstellare per cui è lecito supporre che l'abbondanza di tale rapporto possa essere collegata a quella del mezzo interplanetario all'origine del Sistema solare, cioè 4,55 miliardi di anni fa.

Se il materiale planetario fosse un tributo del materiale solare, l'abbondanza di deuterio sarebbe uguale a zero, come nel Sole. Dal momento, però, che il deuterio venne distrutto dentro il Sole appena iniziarono le reazioni nucleari, ciò può indicare che i pianeti non si sono formati da materiale trasformatosi nell'interno del Sole in seguito alle reazioni termonucleari e che, quindi, la fase di formazione planetaria è successiva alla formazione del protosole.

Ne consegue che le teorie mareali vanno scartate poiché ammettono che il materiale da cui si sono formati i pianeti è di origine solare. Potrà essere quindi attendibile solo una versione migliorata della teoria nebulare in accordo con questi dati osservativi.


Figura 6.

Riassumiamo nella figura 6, le principali tappe del processo di condensazione, e rimandiamo all'articolo citato nell'introduzione per un'analisi dettagliata dei diversi punti qui elencati.

Il problema del momento angolare
Rimane da risolvere il problema del momento angolare, la vera pietra di paragone per la costruzione di un buon modello di formazione planetaria. Questo problema è ancora in parte aperto, anche se sono stati fatti dei passi avanti e, a tale scopo, sono state determinanti sia le teorie di evoluzione stellare sulle fasi iniziali di vita delle stelle, che la teoria dinamica del campo magnetico.

Una stella rotante, dotata di vento stellare e di un forte campo magnetico iniziale, tende a diminuire la sua rotazione per un effetto di "frenamento" dovuto al flusso delle particelle del vento lungo le linee di forza del campo magnetico. Questo può determinare un trasporto delle particelle ad una distanza a maggiore del raggio R della stella.

Anche una piccola perdita di massa può produrre una grande perdita di momento angolare in quanto proporzionale ad (a/R)2. In questo modo, se la perdita di massa è solo 0,003 masse solari per anno, questo meccanismo è sufficiente per rallentare la forte rotazione iniziale del Sole. Quest'ipotesi è confermata dal fatto che nelle stelle giovani, del tipo T-Tauri, si misura una forte perdita di massa associata ad un'intensa attività magnetica e quindi un forte decremento del periodo di rotazione. Il Sole altro non è se non un esempio dell'evoluzione di questi tipi di stelle giovani!
 
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view post Posted on 24/11/2008, 23:09

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Conclusioni: lo stato corrente della nostra conoscenza della formazione del Sistema solare


Sebbene nessuno scenario sia oggi universalmente accettato, ci sono numerosi punti di consenso ed accordo riguardanti la formazione del Sistema solare.

I modelli più credibili sono quelli che derivano da quello nebulare di Kant e Laplace. I metodi di datazione basati sul decadimento degli elementi radioattivi ritrovati nei meteoriti fissano il momento della nascita del Sistema solare a 4,55 miliardi di anni fa.

La formazione del Sistema solare ha avuto luogo quando la nube molecolare primordiale ha attraversato uno dei bracci a spirale delle Galassia. L'ultimo arricchimento della nube, attraverso la Galassia, potrebbe essere avvenuto utilizzando il materiale sintetizzato per nucleosintesi nelle stelle e restituito al mezzo interstellare. Il metodo dello 129I suggerisce che l'ultimo passaggio è avvenuto almeno 100 milioni di anni prima della formazione, e questo determina la durata del processo di formazione planetaria.

I metodi di datazione con 16O, 26Al e 20N suggeriscono che la nube protoplanetaria sia stata arricchita da materiale proveniente da vento stellare da stelle del tipo Wolf-Rayet, quindi non è necessario ipotizzare l'esplosione di una supernova avvenuta nelle vicinanze.

L'attuale lenta rotazione del Sole e riduzione del suo momento angolare può essere spiegata tramite fenomeni magneto-idrodinamici che si osservano pure in stelle di tipo spettrale (F, G e K) analoghe alla nostra stella.

È comunemente accettato il modello di formazione planetaria a piccola massa di 0.01 masse solari. In questo modello la nube collassa su di un disco, le particelle cadono nel piano equatoriale in poche centinaia di anni ed accrescono per collisione ad un ritmo di 1cm all'anno. I processi che portano all'accumulo di materiale sino alla formazione dei planetesimi sono ben noti e ricostruiti dettagliatamente.

Durante le prime fasi di vita il Sole aveva un vento solare molto intenso che ha espulso le particelle, di dimensioni superiori al centimetro, che non si sono conglomerate nei planetesimi. Questo spiega la diversa composizione del pianeti interni rispetto a quella dei pianeti esterni.





 
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