I pianeti e la vita

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view post Posted on 19/11/2008, 13:42

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Introduzione

Confinata in una piccola frazione del diametro terrestre, la biosfera del nostro pianeta è dimora di un numero straordinariamente vario di organismi. Durante un lunghissimo ciclo di estinzioni e diversificazioni, miliardi di specie sono evolute dall'apparire della vita sulla Terra, ma al di là delle pur importanti conoscenze fornite dallo studio delle tracce fossili, la maggior parte dei problemi legati all'insorgere ed alla storia della vita rimane irrisolto.

Quali sono le condizioni in cui la vita poté nascere e svilupparsi? La vita ha avuto origine per inseminazione dall'esterno o si è sviluppata da processi avvenuti sulla Terra? Come possono semplici composti organici organizzarsi nei complessi sistemi metabolici degli organismi viventi? Possiamo realisticamente aspettarci che condizioni adatte all'origine ed all'evoluzione della vita esistano fuori della Terra, nel nostro o in altri sistemi solari che andiamo scoprendo attorno alle stelle?

Secondo Christian de Duve, premio Nobel per la medicina nel 1974, la vita è un "imperativo cosmico", inevitabile risultato dell'evoluzione dell'universo. Concludeva infatti un suo articolo pubblicato su American Scientist dell'ottobre 1995 con le seguenti parole:

Ho cercato di passare in rassegna alcuni dei fatti e delle idee che, al momento attuale, si considera possano spiegare le prime fasi della nascita spontanea della vita sulla Terra. Non si sa quanto di queste ipotesi resisterà alla prova del tempo, ma si può sicuramente affermare, a prescindere dalla reale natura dei processi che hanno generato la vita, che questi devono essere stati altamente deterministici. In altri termini, questi processi furono inevitabili alle condizioni che esistevano sulla Terra prima della vita. Per di più, questi processi sono destinati ad avvenire allo stesso modo dove e quando condizioni uguali si verificano. Deve essere così, perché i processi sono chimici e sono pertanto governati dalle leggi deterministiche che governano le reazioni chimiche e le rendono riproducibili. [...]

Tutto questo porta a concludere che la vita è una manifestazione obbligatoria della materia, destinata a nascere laddove le condizioni sono adatte. Sfortunatamente, la tecnologia disponibile non ci permette di scoprire quanti siti offrano tali condizioni nella nostra galassia e tanto meno nell'universo. Secondo la maggior parte degli esperti che hanno considerato il problema, specialmente in relazione al progetto per la ricerca di intelligenze extraterrestri, ci dovrebbero essere moltissimi siti di tal genere, forse qualcosa come un milione per galassia. Se hanno ragione, e se io sono nel giusto, devono esserci altrettanti "focolai" di vita nell'universo. La vita è un imperativo cosmico e l'universo è traboccante di vita.
A questi problemi cerca di dare risposta una scienza recente che si avvale del contributo interdisciplinare di ricercatori di molti settori della scienza tradizionale: l'astrobiologia.
 
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view post Posted on 19/11/2008, 17:44

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L'inizio della vita sulla Terra

Durante il primo periodo della sua storia la Terra, come tutti gli altri pianeti del Sistema solare, è stata sottoposta ad un intenso bombardamento di materiale che per effetto della gravità è andato a formare i protopianeti. Fu durante questo periodo, circa 4,5 miliardi di anni fa, che si formò la Luna, probabilmente a causa di una collisione fra la Terra primitiva ed un corpo delle dimensioni del pianeta Marte. Sulla Luna, su Mercurio, su Marte e su molti corpi minori del Sistema solare è rimasta una traccia, nelle loro superfici fortemente craterizzate, di questo periodo che è terminato circa 3,8 miliardi di anni fa. Le superfici di questi corpi si sono poco alterate da allora, a causa della mancanza di atmosfera e della scarsa attività endogena. Venere e la Terra, al contrario, sono state completamente trasformate da eventi geologici: il vulcanismo per Venere e la tettonica a zolle e l'erosione da parte dell'acqua e degli eventi atmosferici per la Terra.

Sul nostro pianeta questi eventi hanno avuto effetti contrastanti, positivi e negativi, sull'origine e lo sviluppo della vita. Durante l'intenso bombardamento, la maggior parte dell'acqua e molti elementi volatili, necessari per lo sviluppo della vita (carbonio, azoto, fosforo, ecc.) sono stati vaporizzati e quindi perduti dal pianeta in accrescimento. Gli elementi necessari allo sviluppo della vita si sono probabilmente aggiunti dopo per effetto dell'impatto di comete di piccola taglia, quando il pianeta si era ormai raffreddato a sufficienza per trattenerli. È possibile, anche, che in questo periodo gli ultimi impatti con corpi ghiacciati abbiano portato precursori semplici di composti organici necessari per l'origine della vita. Sono state fatte stime che fanno arrivare la quantità di questi materiali a 10.000 tonnellate di composti organici per anno. Ancora oggi la Terra ne raccoglie dallo spazio più di 300 tonnellate per anno.

Era necessario poi un rifornimento stabile di acqua allo stato liquido ad una temperatura inferiore a 100°C perché si potessero formare molecole organiche complesse. Le condizioni adatte si sono probabilmente verificate fra 4,2 e 4,4 miliardi di anni fa, nell'epoca in cui il bombardamento era in declino. Certamente forme avanzate di vita erano già presenti 3,5 miliardi di anni fa, epoca cui risalgono le più antiche testimonianze fossili. Inoltre sono stati trovati depositi di carbonio particolarmente ricchi di C12 rispetto all'isotopo più abbondante C13, segno di assimilazione di carbonio organico, e ciò testimonia l'inizio della vita in un periodo ancora più antico. D'altra parte per effetto del vulcanismo e del bombardamento il nostro pianeta è rimasto inospitale per la vita per circa mezzo miliardo d'anni dalla sua nascita (avvenuta circa 4,5 miliardi di anni fa) e ciò lascia un periodo di <skype:SPAN class=skype_iespan onmousemove="ShowSkype(this,0,0,1,'+39200300','',7);" id=softomate_highlight style="BACKGROUND-COLOR: #99ccff" onmouseout=HideSkype2();>200-300 milioni di anni per lo sviluppo delle prime forme di vita.

Questa durata sembra decisamente troppo breve per la creazione di un organismo complesso come la cellula vivente. Da qui il suggerimento che germi di vita possano essere giunti sulla Terra dallo spazio esterno assieme alla polvere cometaria o, come ha proposto Francis Crick (anziano professore del Salk Institute for Biological Studies, premio Nobel per la medicina nel 1962 e scopritore della doppia elica del DNA) mediante una nave spaziale inviata da qualche lontana civiltà extraterrestre. Non esistono prove di tali affermazioni ed anche le ragioni che hanno sostenuto le proposte sono ormai obsolete. Attualmente c'è un accordo generale fra gli scienziati che la vita sia sorta in loco attraverso processi naturali spontanei e a questo dobbiamo attenerci, se vogliamo rimanere in ambito scientifico.

Un controllo importante da fare, se si vuole indagare sulla possibilità di insorgenza della vita nel Sistema solare interno, è quello della quantità di energia irradiata dal Sole primordiale. Ci sono buone ragioni per credere che, durante il periodo iniziale di vita dei pianeti, il Sole fosse dal 25 al 30 per cento meno luminoso di oggi. Sulla Terra primitiva, a causa della presenza di un'atmosfera ricca di ossidi di carbonio, gli effetti sulla superficie della Terra furono fortemente influenzati dall'effetto serra, che intrappolava la radiazione solare e portava la temperatura superficiale a valori adatti alla stabilità dell'acqua allo stato liquido. In quelle condizioni probabilmente la zona ospitale per la vita si estendeva all'interno del Sistema solare fino a comprendere Venere.
 
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view post Posted on 19/11/2008, 21:07

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Acqua su Venere?

Le informazioni sul pianeta Venere le abbiamo soprattutto dalle molte sonde Venera inviate dai sovietici fra il 1967 e il 1983 e dalle missioni statunitensi Pioneer Venus, lanciata nel 1980 e attiva fino al 1992, e Magellan, che tra il 1990 e il 1994 ci ha fornito una mappa dettagliata della superficie del pianeta.

Attualmente la superficie di Venere è oscurata da dense nubi di acido solforico sospese in una atmosfera composta quasi totalmente da anidride carbonica. Le immagini radar di Magellano ci fanno vedere una superficie quasi completamente riplasmata dalle massicce eruzioni dei vulcani più grandi ed insoliti di tutto il Sistema solare. Sebbene la superficie venusiana sia oggi estremamente calda e secca, ci sono segni indiretti che indicano che l'acqua fu un tempo presente nell'atmosfera sotto forma di vapore e sufficientemente abbondante da poter formare oceani. Lo strumento fondamentale usato per investigare la storia passata del clima di Venere è costituito dallo studio delle abbondanze isotopiche degli elementi. Molti processi naturali privilegiano l'uno o l'altro isotopo nelle reazioni chimiche, e questo provoca variazioni nelle abbondanze isotopiche degli elementi e ci permette quindi di inferire le condizioni passate.




Figura 1. Venere è ricoperta da dense nubi di acido solforico spesse molti chilometri. Sono bene in evidenza in questa immagine, ripresa nell'infrarosso dalla sonda Galileo il 10 febbraio 1990 da una distanza di 96.600 km.

Durante la missione Pioneer Venus, la navicella in orbita attorno al pianeta ha fatto misure di deuterio, un isotopo dell'idrogeno, nell'alta atmosfera di Venere. Le misure del rapporto fra la quantità di questo isotopo e la quantità di idrogeno normale hanno rivelato che, rispetto a quello che si misura nell'atmosfera terrestre, il deuterio è 150 volte più abbondante. Ciò dimostra che una grande quantità di idrogeno è andata perduta nello spazio. Il fenomeno si spiega ipotizzando, che all'aumentare graduale della luminosità del Sole primordiale, e quindi dell'energia emessa, l'idrogeno prodotto dalla dissociazione delle molecole d'acqua si sia dissipato nello spazio. L'anidride carbonica, immessa nell'atmosfera dalle eruzioni vulcaniche, ha poi intrappolato la radiazione solare per effetto serra ed ha fatto salire la temperatura superficiale del pianeta agli altissimi valori attuali (~ 450°C).



Figura 2. Queste strutture, dette aracnoidi, sono caratteristiche della superficie di Venere. Sono strutture di forma grossolanamente ellittica ad anelli concentrici solcate da una complessa rete di fratture che si estendono verso l'esterno. Si sono formate a causa del raffreddamento del magma affiorato in superficie. Hanno dimensioni che vanno da 50 a 230 km.

È quindi pensabile che nei primi periodi di vita di Venere l'acqua fosse abbondante sulla sua superficie e che la vita possa avere avuto inizio anche su questo pianeta. Se ciò è avvenuto, la vita si è comunque successivamente estinta a causa delle sopravvenute condizioni ambientali proibitive di cui abbiamo parlato sopra. Probabilmente le tracce di tali eventi lasciate sulle rocce sono poi andate perdute a causa della massiccia evoluzione della crosta dovuta all'intenso vulcanismo e ai fenomeni tettonici.

Venere però non è l'unico pianeta al di fuori della Terra in cui la vita ha potuto avere un inizio. Anche Marte ha vissuto la prima fase della sua evoluzione all'interno della zona abitabile e potrebbe ospitare tuttora acqua allo stato liquido al di sotto del suolo ghiacciato.
 
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view post Posted on 23/11/2008, 19:38

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Alla ricerca della vita marziana

Nel 1976 le missioni Viking posarono due sonde sul suolo marziano alla ricerca di organismi viventi. Gli esperimenti biologici a bordo hanno affrontato il problema da aspetti diversi. Quello principale era diretto semplicemente alla ricerca di molecole organiche sulla superficie del pianeta rosso. Il risultato è stato del tutto negativo: non è stato rivelato un solo composto del carbonio, sebbene lo strumento fosse in grado di rivelare molecole organiche con una concentrazione di uno su un miliardo. Gli altri esperimenti hanno cercato tracce di attività metabolica aggiungendo acqua e nutrienti a campioni di suolo. Sebbene siano stati ottenuti alcuni risultati interessanti, sono tutti stati spiegati con processi inorganici.

Questo non deve sorprendere, se teniamo conto che la pressione atmosferica su Marte è meno dell'uno per cento di quella terrestre, molto lontana da quella necessaria per l'esistenza di acqua allo stato liquido in quantità ragionevoli. Oltre a ciò, l'atmosfera non contiene ossigeno e quindi è assente lo strato di ozono che protegge la superficie dalle radiazioni ultraviolette, estremamente dannose per ogni forma vivente. Questa radiazione, che giunge fin sulla superficie, è stata senza dubbio un fattore importante nel produrre il caratteristico colore rosso del pianeta e nella produzione di perossidi, che sono molto efficienti nel distruggere i composti organici.

L'accordo fra gli scienziati nell'affermare che la superficie di Marte sia sterile è ormai praticamente generale, però si pensa che possano esistere zone, con presenza di acqua allo stato liquido, al di sotto della superficie, dove la temperatura e la pressione siano sufficientemente alte. Una sfida importante per le future missioni di esplorazione sarà quella di accedere a strati abbastanza profondi per poter esaminare il problema. Dovremo probabilmente aspettare qualche decennio, perché un'impresa di questo tipo non potrà essere effettuata in modo completo se non con la presenza dell'uomo.

Le immagini dei Viking Orbiters e dei loro predecessori Mariner rivelarono che l'antica e craterizzata superficie marziana era ricca di canali prodotti da acqua scorrente sulla superficie molto tempo fa. Così, mentre i veicoli atterrati, i lander, escludevano la presenza di vita attuale, quelli rimasti in orbita, gli orbiter, aprivano la possibilità di ipotizzare la presenza di vita sul pianeta in epoche remote.





Fig. 3 - Il sistema di canali della parte superiore di questa immagine costituisce la Maja Vallis che si estende per una lunghezza di circa 180 km, sul pianeta Marte. Probabilmente è stato prodotto dall'acqua discesa dal Juventae Chasma, che si trova alcune centinaia di km più a sud. Nella parte inferiore della foto si vede la Vedra Vallis. L'area rappresentata ha un larghezza di 150 km.

Dal punto di vista della possibilità di presenza di vita, la storia del clima di Marte è quasi esattamente l'opposto di quella del clima di Venere: Marte era un tempo relativamente caldo rispetto al clima estremamente rigido di oggi. Questa affermazione sembra in contraddizione col fatto che il Sole ha aumentato la sua luminosità col tempo e che quindi la quantità di radiazione che arriva sul pianeta è aumentata; ma dobbiamo tenere in considerazione un altro fattore importante che entra nella questione: l'evoluzione della sua atmosfera. Su Marte l'antica atmosfera ricca di anidride carbonica e di altri "gas serra" ha portato la temperatura superficiale del pianeta a valori abbastanza elevati per permettere la presenza di acqua allo stato liquido sulla superficie. Le interazioni dell'atmosfera con le rocce e le perdite nello spazio a causa della bassa velocità di fuga hanno poi provocato il declino della pressione. Sulla Terra tali perdite sono state controbilanciate dal riciclaggio della crosta, dovuto alle interazioni col mantello, e dal conseguente rilascio di grandi quantità di gas nell'atmosfera durante le eruzioni vulcaniche. Su Marte tale riciclaggio è avvenuto in quantità molto inferiore, mancando una intensa attività vulcanica.



Fig. 4 - Il materiale espulso dall'impatto che ha formato il cratere Yuty ha generato questi caratteristici lobi per il fatto che l'energia dell'impatto ha riscaldato e quindi fuso il ghiaccio che si trovava sotto la superficie, provocando l'emissione di materiale fluido. Strutture di questo tipo sono molto comuni in crateri che si trovano all'equatore e alle medie latitudini di Marte. Il cratere Yuty ha un diametro di 18 km.

Circa 3 miliardi di anni fa Marte era già probabilmente un pianeta estremamente freddo e l'acqua allo stato liquido residua si era già ritirata sotto la superficie portando eventualmente con sé l'emergente biosfera. È possibile pensare che la vita, originatasi su Marte nel periodo di clima clemente, con acqua allo stato liquido sulla superficie, si sia ritirata in oasi profonde dove continua ad essere ancora presente oggi? Oppure in alternativa: è possibile ipotizzare l'insorgere della vita in queste oasi? In entrambi i casi, possiamo pensare che siano presenti tracce fossili nelle rocce della crosta?

Il ritrovamento, in Antartide nel 1984, della meteorite marziana ALH84001, potrebbe fornire informazioni per tentare di rispondere a queste domande. Nell'agosto del 1996 un gruppo di ricercatori della Nasa pubblicava sulla rivista Science la notizia della scoperta di possibili tracce di vita marziana nella meteorite. Cha essa sia originata da Marte si è capito al di là di ogni ragionevole dubbio, confrontando la composizione isotopica dell'ossigeno e dei gas atmosferici intrappolati con i dati ottenuti dai lander della missione Viking. Non è possibile sapere da quale parte di Marte provenga, comunque è vecchia di 4,5 miliardi di anni ed è quindi un campione dell'antica crosta. Questa meteorite contiene idrocarburi complessi intrappolati nei carbonati che si sono formati circa 3,9 miliardi di anni fa quando, verso la fine di un periodo di intenso bombardamento, su Marte erano presenti condizioni che hanno permesso l'infiltrazione di fluidi acquiferi attraverso fratture nelle rocce della crosta. Questi eventi sono contemporanei all'apparizione della vita sulla Terra. In tempi più recenti, circa 17 milioni di anni fa, la roccia fu lanciata nello spazio a causa della collisione con un grosso meteorite ed è rimasta in orbita solare fino a che, 13.000 anni fa, è caduta in Antartide.

Al bordo dei globuli di carbonati contenuti in ALH84001 sono state trovate strutture simili a quelle di batteri fossili terrestri, anche se molto più piccole. Alcune di queste strutture si sono poi rivelate artefatti dovuti alla preparazione dei campioni per la microscopia elettronica ed altre possono essersi formate per interazione con l'atmosfera terrestre durante la permanenza sulla Terra, ma ne rimangono alcune che non sono dovute a questi fattori e non sono facilmente interpretabili mediante processi non biologici. Restano, tuttavia, molti dubbi e se, per ora, la presenza di tracce di vita fossile in ALH84001 non può ancora essere dimostrata, gli studi continuano e non è detto che il futuro non ci riservi interessanti sorprese.

A differenza di Venere e della Terra, su Marte si sono conservate ampie regioni della crosta primordiale che probabilmente contengono ancora tracce della storia primitiva del pianeta rosso. L'eventuale raccolta di informazioni sulla chimica prebiotica, cruciali per comprendere il sorgere della vita sulla Terra, può essere altrettanto importante della scoperta stessa di forme di vita marziana. È per questo che molti scienziati insistono perché, nonostante i recenti gravi insuccessi, le missioni di esplorazione di Marte continuino.

In anni recenti sul fondo degli oceani terrestri sono state trovate sorgenti calde assai ricche di vita. Queste sorgenti idrotermali si formano quando due placche oceaniche si allontanano e la lava che fuoriesce sostituisce il fondo oceanico. In queste aree sgorgano sorgenti fluide estremamente calde e ricche di minerali. Al contatto con l'acqua fredda dell'oceano si raffreddano rapidamente, depositano i minerali e formano una sorta di camini che si innalzano dal fondo. Tali ambienti sono considerati i più importanti per lo sviluppo delle prime forme di vita sulla Terra e probabilmente anche quelli in cui la vita ha avuto inizio. Questi habitat ospitano diverse comunità di organismi che non hanno bisogno della luce solare per supportare la fotosintesi, ma prosperano sintetizzando composti organici dai materiali inorganici forniti dalle sorgenti. Ci chiediamo: possono semplici comunità di questo tipo essersi sviluppate, in associazione con sorgenti idrotermali, in altre parti del Sistema solare?

Su Marte habitat molto simili potrebbero essersi prodotti e mantenuti da sorgenti interne di calore, generate dall'energia degli impatti e dal decadimento di sorgenti radioattive. Sistemi di circolazione di acqua calda erano inoltre probabilmente diffuse durante la storia primitiva di Marte, particolarmente sui fianchi dei vulcani e dei grandi crateri da impatto e sul fondo delle grandi fosse tettoniche. Per esplorare la possibilità di trovare tracce di questa antica vita marziana dobbiamo innanzitutto localizzare i depositi che, con maggiore probabilità, hanno conservato memorie fossili. Il primo passo è quello di realizzare mappe dettagliate della mineralogia e della composizione chimica della superficie. In questi anni le sonde orbitanti attorno al pianeta, in particolare Mars Global Surveyor, che ha terminato la sua missione primaria alla fine del 2000, e Mars Odyssey il cui lancio è avvenuto il 7 aprile 2001, dovranno fornire immagini ad alta risoluzione del pianeta che ci permettano di guidare i futuri veicoli destinati ad atterrare verso rocce nelle quali sia più probabile trovare tracce di vita passata. Si dovrebbe poter localizzare depositi sedimentari contenenti acqua sugli altipiani fortemente craterizzati, che si sono formati nelle fasi più antiche della storia del pianeta, quando l'acqua era presente in abbondanza. Inoltre, per poter perforare la crosta alla ricerca di tali strati con presenza di acqua allo stato liquido - e quindi, possibilmente, di vita - occorrono rilevamenti topografici ad alta risoluzione per localizzare concentrazioni di vapore acqueo o di gas idrotermali nell'atmosfera, dove l'acqua del sottosuolo è più vicina alla superficie.

Riportare a terra campioni di tali zone fornirà materiale per ulteriori ricerche di composti chimici prebiotici o fossili. Ad ogni modo, in questo tipo di ricerche è di fondamentale importanza evitare la contaminazione dell'ambiente: occorre individuare metodiche sicure che ci garantiscano sia dalla contaminazione dei campioni da parte di organismi terrestri, sia dall'introduzione di organismi alieni nella biosfera terrestre. Studi in questo senso sono in corso e coinvolgono l'intera comunità scientifica internazionale: per poter trasferire in sicurezza campioni da Marte sulla Terra il lavoro da compiere è ancora molto.
 
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view post Posted on 23/11/2008, 21:27

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Il Sistema solare esterno

Se ci spostiamo dal Sistema solare interno a quello esterno la situazione, dal punto di vista della possibile presenza di vita, è molto diversa: il calore necessario per la presenza di acqua allo stato liquido non dipende più principalmente dall'energia ricevuta dal Sole, ma da quella prodotta all'interno per effetto della forza gravitazionale e del decadimento radioattivo. All'interno di alcuni satelliti dei pianeti giganti (i cosiddetti satelliti di ghiaccio), dove le forze di marea indotte dal pianeta stirano e distorcono la crosta causando l'innalzamento della temperatura oltre il punto di fusione, può essere presente acqua allo stato liquido .

Probabilmente la manifestazione più spettacolare di tali fenomeni mareali è il satellite di Giove Io, che è di gran lunga l'oggetto col maggior numero di vulcani attivi di tutto il Sistema solare, almeno allo stato attuale. Dal suo interno sgorga continuamente zolfo allo stato liquido a causa delle imponenti deformazioni provocate dalle maree dovute all'attrazione gravitazionale di Giove. Difficilmente l'ambiente di Io può essere pensato come ospitale per la vita, ma non è così per gli altri tre satelliti maggiori: Europa, Ganimede e Callisto.

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Figura 5 - Questa immagine mostra un'area, solcata da fratture e creste, di circa 200 km di lato sul satellite di Giove Europa. Queste strutture fanno pensare che alcune zone della superficie del satellite siano recenti e si siano formate mediante processi simili a quelli che hanno formato il fondo dei mari terrestri.

La superficie di Europa è poco accidentata e praticamente priva di crateri da impatto, il che fa pensare che sia completamente rinnovata da processi endogeni. Le spettacolari immagini riprese dalla sonda Galileo rivelano complesse fratture crostali contornate da materiale più scuro: fratture di età diversa che si incrociano l'una con l'altra e vaste regioni suddivise in blocchi, alcuni dei quali sembrano galleggiare come iceberg su una distesa di ghiaccio. Si sono trovati anche segni di ghiaccio giovane, fuoriuscito dal sottosuolo, che ricopre le vecchie strutture superficiali. Mentre gli scienziati discutono sul come si possono essere formate queste strutture, una ipotesi interessante si fa strada, che il ghiaccio, ricco di minerali e di materiale organico, si sia formato per l'affioramento di acqua nelle fratture fra le placche. Nonostante i molti problemi irrisolti, questa ipotesi suggerisce la presenza, nel sottosuolo, di un oceano ricco di composti organici, generato dal riscaldamento provocato dalle forze mareali. Dove c'è acqua ed il giusto miscuglio di molecole organiche, ci può essere vita. Alcuni ricercatori hanno poi ventilato la possibilità che sul fondo dell'oceano di Europa possano esistere sorgenti idrotermali analoghe a quelle che si trovano sulla Terra nel fondo delle fosse oceaniche. Sappiamo che sulla Terra tali sorgenti brulicano di vita e possono sostenere colonie di forme complesse. Forse in futuro si potrà dimostrare che ciò è vero anche per Europa! Anche se ciò non avvenisse, è comunque possibile che il ghiaccio contenga prove di chimica prebiotica o tracce fossili di antichi viventi.

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Figura 6. Terreni misti assieme ad un grande cratere da impatto nella regione di Uruk Sulcus su Ganimende. Alcune strutture sono simili a quelle trovate su Europa. L'immagine rappresenta un'area di 55×35 km.

La massa di Ganimede è costituita per circa la metà di acqua. Simile ad Europa, è anch'esso ricoperto da una crosta di ghiaccio fratturata ed in movimento. Catene montuose con creste aguzze solcano la superficie per centinaia di chilometri, testimoni di una antica attività tettonica. Ci si domanda: anche Ganimede ospita al suo interno zone di acqua allo stato liquido nelle quali l'evoluzione chimica può aver prodotto la vita? Domande simili ce le possiamo porre anche per la maggior parte degli altri satelliti di ghiaccio del Sistema solare esterno come Callisto, Encelado, satellite di Saturno, e Tritone, di Urano, che mostrano tutti caratteristiche simili. Come Marte, anche i pianeti esterni e le loro lune possono essere considerati come una sorta di importante laboratorio naturale mediante il quale cercare di capire l’evoluzione chimica che ha portato alla comparsa ed alla prima evoluzione della vita sulla Terra.

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Figura 7. Un disegno di fantasia che mostra la sonda Huygens che scende sulla superficie di Titano caratterizzata da ampie distese di metano liquido.

Da questo punto di vista, è interessante prendere in considerazione Titano, il maggiore dei satelliti di Saturno. La sua atmosfera, circa il 50% più densa di quella della Terra, interagisce con le particelle del vento solare intrappolate dal campo magnetico di Saturno. Tale interazione innesca catene di reazioni nell'atmosfera che spaccano le molecole dell'azoto (N2) e del metano (CH4), e dalla ricombinazione dei prodotti si formano molecole organiche complesse. (Si pensa che processi di questo tipo siano quelli che hanno dato origine alla vita sulla Terra). Le reazioni che avvengono nell'atmosfera possono creare catene molecolari sufficientemente pesanti da "piovere" sulla superficie di Titano. A - 179°C, la superficie è certamente troppo fredda per ospitare la vita. Ma c'è chi ha speculato che, fra qualche miliardo di anni, quando il Sole avrà terminato di bruciare il suo idrogeno e si espanderà fino ad inglobare i pianeti più interni, la superficie di Titano diventerà una vera oasi, nella quale potrà avere di nuovo origine la vita. Intanto la sonda Cassini, partita il 15 ottobre 1997, ha appena superato il sistema di Giove ed è in viaggio verso Saturno, che raggiungerà all'inizio di luglio del 2004. Nel novembre dello stesso anno lancerà attraverso l'atmosfera di Titano la sonda Huygens, che ci fornirà preziose informazioni sul satellite.
 
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