Prime tappe dell'evoluzione dei viventi

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view post Posted on 19/11/2008, 13:58

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Introduzione


Tra i fenomeni che caratterizzano il pianeta Terra, il più complesso e imponente è sicuramente il fenomeno "vita". Al momento non siamo in grado di definire in modo esaustivo tale fenomeno; possiamo solamente descriverlo in termini funzionali, sufficienti, tuttavia, a consentirci di separare nettamente le strutture viventi da tutte le altre.

Le strutture viventi condividono una serie di caratteristiche complessivamente esclusive (anche se le stesse possono comparire singolarmente in altre strutture non viventi, come ad esempio nei cristalli): sono tutte dotate d'individualità, sono cioè strutture delimitate rispetto all'ambiente, pur non essendone isolate; sono tutte in grado di ottenere energia attraverso l'assimilazione e la trasformazione chimica d'idonee sostanze presenti nell'ambiente; sono tutte in grado di produrre copie di loro stesse; tendono ad esprimere un basso tasso d'alterabilità e sono capaci di trasmetterlo alla propria discendenza; infine, tutte le strutture viventi cessano di funzionare qualora sia introdotto nel loro ambiente, interno o esterno, un fattore incompatibile con la loro esistenza. In definitiva, la funzionalità dei viventi sembra poter essere ricondotta a tre caratteri fondamentali, che si esprimono come:

1 autoconservazione, la capacità di mantenersi in vita, con la nutrizione, l'assimilazione e la produzione d'energia biologica;
2 autoreplicazione, la capacità di propagare la vita attraverso la replicazione cellulare e la riproduzione;
3 autoregolazione, la capacità di dirigere se stessi con la coordinazione, la sincronizzazione, la regolazione ed il controllo delle reazioni biologiche, interne ed esterne.
La più elementare delle strutture in grado di compiere queste funzioni è la cellula vivente, elemento costitutivo di tutti gli organismi viventi, dal più piccolo dei batteri alla più grande delle balene.
 
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view post Posted on 19/11/2008, 17:47

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Strutture e funzioni della cellula vivente

In che modo la cellula è in grado d'autoconservarsi, autoriprodursi ed autoregolarsi? Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare alcune delle strutture che la caratterizzano:
Membrana cellulare
La membrana cellulare circonda la cellula e le dà individualità. Si tratta di una struttura molto complessa che ha il compito di regolare gli scambi di materiale con l'ambiente, rendendo la cellula un sistema energetico aperto, circoscritto nella sua organizzazione strutturale ma in continuo rapporto con l'esterno.
Citoplasma
È la sostanza che riempie lo spazio interno alla cellula e che circonda gli organuli cellulari. Trasparente, traslucido, gelatinoso, ha soprattutto il compito di dare turgore alla cellula e di favorire lo svolgimento di alcune importanti reazioni biologiche.
Cloroplasti
Sono organelli cellulari tipici delle cellule vegetali. Rappresentano le strutture all'interno del quale avviene la fotosintesi clorofilliana, processo che consente alle piante di sintetizzare quegli zuccheri che saranno successivamente utilizzati, nei mitocondri, per ottenere energia. La capacità di autosintesi di sostanze nutritizie è esclusiva dei cosiddetti organismi autotrofi; al contrario, quegli organismi che sono costretti a nutrirsi di sostanza organica già sintetizzata, come gli animali o i funghi, sono definiti eterotrofi.
Mitocondri
Organelli cellulari al cui interno avvengono quelle reazioni che permettono la trasformazione delle sostanze nutritizie (zuccheri) in energia chimica utilizzabile dalla cellula. Questo processo prende il nome di respirazione cellulare. Esso permette di sintetizzare molecole di ATP (adenosintrifosfato), l'unico compost energetico utilizzabile nei processi di sintesi cellulare.
Nucleo
Il nucleo rappresenta la centrale operativa delle cellule. Esso è presente solo negli organismi definiti eucarioti. Al suo interno sono custodite tutte le informazioni necessarie alla costruzione delle proteine indispensabili alla vita. Tale archivio biochimico è rappresentato dal DNA nucleare. Negli organismi privi di nucleo (procarioti) il DNA è disperso nel citoplasma sotto forma di un unico filamento circolare.
Ribosomi
Sono particolari organelli cellulari che hanno il compito di costruire le proteine, a partire dagli amminoacidi,sulla base delle informazioni contenute nel DNA.


 
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view post Posted on 19/11/2008, 21:17

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Autoconservazione e processi energetici

Un principio fisico universale vuole che tutte le strutture organizzate siano incalzate dalla disorganizzazione; la grandezza fisica che misura questo grado di disordine progressivo è l'entropia.

Gli organismi viventi rappresentano le strutture più complesse e organizzate che si conoscano. Per lottare contro gli effetti dell'entropia, che conducono alla morte, la cellula ha un bisogno continuo di energia fresca, che è assunta sotto forma di alimenti. L'energia chimica in essi contenuta proviene, direttamente o indirettamente, dal Sole e, quindi, gli alimenti possono essere considerati come energia solare in conserva.

Senza il Sole, la vita sulla Terra sarebbe impossibile. Ma in che modo ci giunge quest'energia? Il Sole irradia continuamente nello spazio circostante delle radiazioni elettromagnetiche (ultravioletti, luce visibile, infrarossi, ecc.) che viaggiano sotto forma di "pacchetti energetici" detti fotoni. Il processo di cattura e utilizzazione dell'energia contenuta nei fotoni prevede due tappe: la fotosintesi clorofilliana e la respirazione cellulare. La prima di queste due tappe avviene nei cloroplasti delle cellule vegetali. In questi organuli è presente una specie di "mulino solare" le cui pale sono date dalle molecole di una sostanza verde: la clorofilla. Per comprendere come questo mulino sia in grado di girare e produrre energia bisogna spostarsi a livello atomico.

Tutti gli atomi delle sostanze sono formati da un nucleo centrale attorno al quale girano delle particelle cariche negativamente dette elettroni. Gli elettroni gravitano attorno ai nuclei ad una distanza ben definita, corrispondente ad un determinato livello di energia. Se gli elettroni di un atomo sono colpiti da un raggio luminoso (e quindi energetico) sono in grado di svincolarsi maggiormente dall'attrazione del nucleo e di allontanarsi, portandosi su un orbita più lontana, e quindi più energetica (livello dell'elettrone eccitato). Si tratta, tuttavia, di un livello instabile e, dopo poco tempo, questi elettroni ricadono al livello energetico di partenza, restituendo, sotto forma di un altro fotone, l'energia che avevano ricevuto.

Nella fotosintesi clorofilliana, queste cadute sono canalizzate all'interno di strutture adeguate (sistemi di trasportatori di elettroni) che consentono di recuperare l'energia liberata dagli elettroni in ricaduta e di utilizzarla in un processo di sintesi di sostanze organiche a partire da sostanze inorganiche. Gli elettroni degli atomi che formano le molecole di clorofilla sono facilmente eccitabili alla luce del Sole. Questo fa sì che in ogni molecola si producono, per ogni istante, migliaia e migliaia di salti elettronici. La debole corrente elettrica prodotta da queste migliaia di cadute elettroniche, che possono essere paragonate al flusso di un torrente che fa girare le turbine di una centrale idroelettrica o al soffio del vento che muove le pale del mulino, viene utilizzata sia per costruire il cibo che per ricaricare parte delle riserve energetiche della cellula. In particolare, nel corso della fotosintesi, la cellula vegetale utilizza 6 molecole di anidride carbonica più 6 molecole di acqua, più energia solare, per sintetizzare uno zucchero a 6 atomi di carbonio, il glucosio. Come prodotto di "rifiuto" si liberano nell'aria 6 molecole di ossigeno (nel caso della fotosintesi aerobia). In sintesi:

6CO 2+6H 2O +ENERGIA>C 6H 12O 6+6O2

Al contrario delle piante, gli organismi eterotrofi sono costretti a procurarsi le sostanze nutritive in forma già confezionata alimentandosi di piante o, come consumatori secondari, di altri animali vegetariani. In questo modo sono in grado di assicurarsi le sostanze zuccherine energetiche di cui hanno bisogno per i loro processi cellulari. Gli zuccheri ingeriti vengono trattati in modo da riestrarre "l'energia solare" che vi era stata imprigionata al momento della sintesi. Questa energia viene utilizzata per produrre molecole energetiche di ATP, l'unico combustibile utilizzabile dagli esseri viventi. Questo processo è noto come respirazione cellulare (da non confondere con la respirazione polmonare) ed avviene nei mitocondri, cui arrivano, trasportati dal sangue, sia gli zuccheri contenuti negli alimenti che ingeriamo, che l'ossigeno, assunto dai polmoni.

Il processo può essere distinto in due tappe:

1 inizialmente il glucosio viene frantumato, in assenza di ossigeno, in due frammenti a tre atomi di carbonio; questa reazione, analoga alla fermentazione, è detta glicolisi (letteralmente rottura del glucosio) e permette di ottenere, già in questa fase, una piccola quantità di energia;
2 successivamente, questi due frammenti a tre atomi di carbonio vengono inseriti in una specie di macina chimica, il cosiddetto ciclo di Krebs, che li tritura fino a trasformarli in composti elementari. Questa seconda tappa avviene in presenza di ossigeno e consente di bruciare la sostanza in modo da estrarre fino all'ultima "goccia" di energia chimica contenuta. Come sostanze di rifiuto si hanno anidride carbonica ed acqua:
C 6H12 O 6+6 O2 >6 CO2 +6H 2O +ENERGIA
È evidente che i prodotti finali della respirazione rappresentano i prodotti iniziali della fotosintesi. In molti organismi che vivono in assenza di ossigeno (anaerobi) il processo di respirazione cellulare si ferma alla prima tappa, cioè alla glicolisi. È questo il caso dei batteri fermentatori, tra i quali ricordiamo i batteri responsabili della fermentazione dell'alcol. In termini di resa energetica, la glicolisi è meno efficiente della respirazione cellulare completa, in quanto essa dà come prodotti finali due frammenti di zucchero a tre atomi di carbonio ancora ricchi di energia. In termini di rendimento energetico la respirazione cellulare consente di produrre una quantità di energia 18 volte superiore a quella ottenibile dalla semplice fermentazione.

Si è già accennato al fatto che questa energia, per essere utilizzata, deve essere immagazzinata in una molecola particolare, l'ATP o adenosintrifosfato. Si tratta di una molecola "riciclabile" che, quando è carica, è in grado di cedere rapidamente l'energia in essa contenuta trasformandosi in ADP o adenosindifosfato. L'energia liberata nel corso della respirazione cellulare viene utilizzata, appunto per "ricaricare" l'ADP ritrasformandolo in ATP.

Utilizzando ATP, la cellula può svolgere tutte le sue funzioni vitali comportandosi come una vera e propria industria chimica. Un industria, però, molto particolare. Infatti la cellula deve autocostruirsi le strutture (proteine strutturali), gli operai (enzimi) e le materie prime (molecole organiche) di cui ha bisogno. Per fare questo, deve essere anche in grado di curare la manutenzione del proprio apparato e di controllare i propri cicli di produzione. Tutte queste attività sono sotto il controllo degli acidi nucleici: DNA ed RNA. Grazie a questo controllo e alle sue capacità di gestione, la cellula può autoregolare l'insieme delle sue attività chimiche e funzionali (metabolismo). In che modo?

Per rispondere a queste domande è indispensabile analizzare il differente funzionamento di una macchina automatica a comando rigido e di una macchina a comando flessibile, un "servomeccanismo", cioè un meccanismo in grado di modificare da solo il suo comportamento in funzione delle informazioni che riceve dall'ambiente circostante Un sistema di semafori è un classico esempio di macchine a comando rigido. Esse si modificano secondo una serie di eventi prestabiliti (ad esempio la sequenza e la durata dei colori). La sequenza delle operazioni si svolge secondo cicli identici. Un servomeccanismo lavora in modo diverso. Prendiamo ad esempio una capsula spaziale che debba effettuare un appuntamento orbitale con una stazione planetaria. Una volta in orbita la capsula si muove per mezzo di piccoli getti prodotti da ugelli orientati. La distanza che la separa dal suo obiettivo viene valutata per mezzo di radar. I dati vengono trasmessi ad un computer che valuta automaticamente lo scarto esistente tra la distanza e la direzione reale e la distanza e la direzione desiderata. Gli aggiustamenti vengono ottenuti azionando i getti. In pratica la capsula è in grado di dirigersi da sola sull'obiettivo e di procedere per errori e aggiustamenti successivi. Essa è, cioè, in grado di modificare il suo comportamento in funzione dell'informazione che riceve: non lavora secondo un ciclo prestabilito. Questi sistemi possiedono dunque una certa autonomia nel compiere il loro lavoro e l'impressione di intelligenza che ci lasciano è dovuto ad una loro proprietà fondamentale: la retroazione o feed-back.

In genere, le macchine compiono il loro lavoro secondo sequenze logiche in cui la causa precede gli effetti e non li segue mai. È il caso del semaforo, in cui la programmazione della centralina (causa) stabilisce gli intervalli di colore (effetto). Nelle macchine servoassistite, al contrario, gli effetti sono collegati alle loro cause e possono precederle determinandole. La navicella aziona i getti orientati (causa) e si muove (effetto).Tuttavia lo spostamento, quindi l'effetto, viene analizzato in modo da stabilire se sia necessario o meno azionare di nuovo i getti. Quindi, in questo caso, l'effetto precede e regola la causa. Questo legame tra effetto e causa si chiama retroazione. È evidente che ciò che circola in un sistema retroattivo è un'informazione, un segnale suscettibile di scatenare un'azione. Questa informazione può correre lungo un filo elettrico, un tubo, un'onda radar, ma può essere trasportata altrettanto bene da una molecola.

In una cellula la regolazione delle reazioni biochimiche è sotto controllo enzimatico. L'insieme di queste reazioni, in definitiva l'attività complessiva della cellula, rappresenta il metabolismo cellulare (causa). I prodotti dell'attività metabolica vengono detti metaboliti (effetti). Quando la concentrazione di una determinata sostanza (di un determinato metabolita) raggiunge, nella cellula, il giusto livello di concentrazione, le catene di montaggio devono poter essere bloccate. In altri termini la produzione deve essere arrestata quando l'offerta supera la domanda o avviata di nuovo nel caso opposto. Questo può avvenire sia agendo sugli enzimi che regolano il processo, sia sul tratto di DNA che fornisce le informazioni necessarie a quel tipo di produzione. Questo sistema cellulare autoregolante è strutturato secondo le stesse leggi della retroazione. In questo modo la cellula adatta in permanenza la sua produzione ai suoi bisogni; in definitiva la cellula rappresenta un complesso sistema servoassistito in cui tutto retroagisce su tutto, in modo tale che la cellula possa dirigersi da sola.
 
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view post Posted on 23/11/2008, 19:48

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Acidi nucleici: DNA e RNAe

Grazie alle scoperte di J. D. Watson, F. H. C. Crick ed M. H. F. Wilkins, premi Nobel per la medicina nel 1962, oggi noi sappiamo che l'immensa quantità di informazioni necessarie alla "costruzione" degli esseri viventi è iscritta, a livello molecolare, in un lungo filamento doppio, formato da vari composti chimici noto come DNA o acido desossiribonucleico. Tutta la particolarità di questa molecola risiede nella sua capacità di autoduplicarsi o di fornire delle copie di suoi tratti particolari. Analizziamone la struttura di base utilizzando un modellino per comprendere l'importanza di questo meccanismo (Fig. 1).




Figura 1. Schema strutturale del DNA.

Consideriamo delle spine e delle prese doppie e triple. Immaginiamo che queste prese o spine siano dotate di una base magnetica caratterizzata da due poli in grado di esercitare una debole attrazione nei riguardi delle basi contigue. Mettendo alla giusta distanza molti di questi elementi è possibile ottenere un filamento di prese e spine affiancate. Volendo creare un secondo filamento complementare al primo, la nostra libertà di azione sarà limitata dal fatto che, in corrispondenza della presa doppia del primo filamento, potremo usare, nel secondo filamento, solo la spina doppia e non la tripla. Quest'ultima potrà essere usata solo in corrispondenza della spina tripla. E viceversa. In pratica in questo modo è possibile ottenere una specie di scala in cui i supporti magnetici formeranno i montanti laterali, mentre i pioli saranno rappresentati dalle prese e dalle spine complementari. Se chiamiamo G la spina tripla, C la presa tripla, A la spina doppia e T la presa doppia, gli unici accoppiamenti possibili saranno tra la G di un filamento e la C dell'altro (o viceversa) e tra la T di un filamento e la A dell'altro (o viceversa). Nessun limite è posto alla lunghezza del filamento. In questo modo è possibile ottenere, ad esempio, un filamento formato da G-T-A-C-T-T che avrà come filamento complementare C-A-T-G-A-A. Si vede subito che la sequenza delle singole lettere può servire da base per un codice, esattamente come una serie di punti e linee rappresenta la base del codice Morse.


Il DNA è strutturato secondo un modello analogo. Il composto è infatti formato da due lunghissimi filamenti ottenuti dall'unione di quattro elementi detti basi: la Guanina, la Citosina, la Timina e l'Adenina. Queste sono ancorate ad un supporto chimico rappresentato da un zucchero, il deossiribosio, e ad un composto chimico ricco di energia (un fosfato). Il fosfato, grazie alla sua energia, collega tra di loro le molecole di zucchero in modo da formare i montanti della scala. Le basi, invece, si susseguono nei due filamenti a formare i pioli della scala disponendosi in modo tale che la Guanina abbia sempre di fronte la Citosina e che la Timina abbia di fronte, sul filamento complementare, l'Adenina. Le basi sono unite da un debole legame chimico. I due filamenti così formati sono avvolti tra di loro a formare una doppia elica spirale (Fig. 2). In pratica, per visualizzare una molecola di DNA, basta immaginare una scala che, presa per le due estremità, venga ritorta nei due sensi. Lo zucchero, il fosfato ed una base, uniti tra di loro costituiscono un nucleotide. I filamenti di DNA sono quindi formati da una successione di nucleotidi. La successione delle basi lungo il filamento identifica un codice genetico di 4 lettere, G, C, T, A. La lettura di questo codice avviene per gruppi di tre lettere. Ad esempio, volendo leggere la successioni delle basi lungo il filamento T-A-G-C-A-A, dovremmo considerare che, a partire dal punto inizio lettura, T-A-G rappresenta un'informazione e C-A-A un'altra informazione. Questi gruppi di tre lettere vengono detti triplette. Considerando la lunghezza dei filamenti di DNA, è facile immaginare le migliaia di triplette che in esso si susseguono e, conseguentemente, le migliaia di informazioni. L'insieme delle informazioni contenute in un particolare tratto di DNA identifica un gene. I geni contengono le informazioni relative a tutti i caratteri propri di quel determinato organismo (genotipo). Ma in che modo l'informazione contenuta nei geni si manifesta, a livello strutturale e funzionale, nell'organismo vivente? Qual è il meccanismo che consente di mantenere pressoché inalterata questa informazione, generazione dopo generazione?




Figura 2. Rappresentazione grafica del DNA.

Immaginiamo di aprire i due filamenti di DNA in modo da poterli successivamente completare con altri nucleotidi liberi presenti nel nucleo. Questi andranno ad appaiarsi ai singoli filamenti aperti secondo la regola delle basi: Citosina con Guanina (e viceversa), Adenina con Timina (e viceversa). È evidente che rispettando l'appaiamento tra basi complementari, dal filamento originale di DNA se ne possono ottenere 2 uguali, in quanto i singoli filamenti originali fungono da matrice per la costruzione di filamenti complementari.

Grazie a questa capacità di autoreplicarsi, il DNA è in grado di produrre copie di se stesso o copie di suoi tratti a seconda se sia necessario duplicare integralmente l'informazione in esso contenuta o fornire un informazione parziale, quella, ad esempio, utile a consentire la sintesi di una determinata proteina.

Oltre al DNA, nella cellula è presente un altro tipo di acido nucleico: l'RNA o acido ribonucleico. Esistono diversi tipi di RNA, per i nostri scopi è tuttavia sufficiente analizzarne solo due: l'RNA messaggero (mRNA) e l'RNA di trasferimento (tRNA). A differenza del DNA, l'RNA è un acido nucleico a filamento singolo; è costituito da una catena di nucleotidi analoga a quella del DNA ma una delle basi, la Timina, è sostituita da una base differente: l'Uracile. Gli RNA svolgono un ruolo importantissimo nella traduzione del messaggio contenuto nel DNA e nella conseguente sintesi delle proteine.
 
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view post Posted on 23/11/2008, 21:30

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Amminoacidi e proteine

Fondamentalmente l'informazione contenuta nel DNA viene utilizzata per assemblare proteine.

Esistono due diversi tipi di proteine, le proteine strutturali, che rappresentano i materiali di costruzione della cellule, e le proteine enzimatiche, che svolgono il ruolo di regolatori dei processi cellulari (le proteine enzimatiche non solo guidano, ma rendono anche possibili certe reazioni chimiche che normalmente non avverrebbero a livello cellulare). Per quanto diversi possano essere questi due tipi di proteine o le loro funzioni, tutte sono costituite dagli stessi elementi di base: gli amminoacidi. Nei viventi esistono venti amminoacidi differenti, tutti però dotati, alle estremità, di un sistema di ancoraggio chimico identico: un sito posteriore chimicamente acido ed un sito anteriore chimicamente basico (amminico). Per unirsi tra di loro gli amminoacidi fanno reagire il loro gruppo acido terminale con il gruppo amminico dell'amminoacido seguente. In questo modo si forma un legame solido e possono costituirsi lunghe catene (catene polipeptidiche).

A questo punto possiamo cominciare a mettere insieme tutti gli elementi fin qui esaminati per dare alcune risposte a domande tipo: perché è cosi importante la struttura del DNA? Qual è il significato del codice genetico e delle singole triplette? Quali sono i rapporti del DNA con l'RNA e qual è la funzione dei diversi tipi di RNA? In che modo vengono sintetizzate le proteine?
 
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view post Posted on 24/11/2008, 17:44

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Sintesi delle proteine

Abbiamo visto che le informazioni sono scritte sul DNA utilizzando un "alfabeto" di quattro lettere (le basi) che specifica, di volta in volta, parole di tre lettere (le triplette). Una tripletta identifica un amminoacido. Gli amminoacidi si uniscono a formare le proteine. Questo processo avviene nel citoplasma, quindi al di fuori del nucleo, ma il DNA non abbandona mai il nucleo. Questa informazione viene veicolata dal DNA nucleare al citoplasma dall'RNA messaggero. Vediamo come.

Ipotizziamo che la cellula abbia la necessità di costruire una determinata proteina. Vi è quindi bisogno di sapere quali amminoacidi utilizzare. Il primo passaggio prevede che la doppia elica del DNA si apra in corrispondenza del tratto (gene) contenente le triplette che codificano gli amminoacidi necessari. A questo punto, grazie a dei meccanismi chimici e alla presenza di basi isolate presenti nel nucleo, la cellula costruisce uno stampo in negativo di quel particolare tratto di DNA. La costruzione di questo stampo è resa possibile proprio dalla particolare struttura del DNA e dal fatto che l'unione tra le basi è di tipo obbligato; se il tratto considerato di DNA comprende la tripletta CGC, questa verrà trascritta come GCG. Si ottiene cioè un filamento che rappresenta una sorta di fotocopia in negativo del messaggio positivo del DNA. Questo filamento costituisce l'RNA messaggero (mRNA) (da notare che nell'mRNA la base complementare dell'Adenina è l'Uracile e non la Timina). L'mRNA abbandona il nucleo e si porta nel citoplasma. Qui viene affiancato da un ribosoma che, dopo aver individuato una tripletta particolare, che non specifica per un amminoacido, ma che indica il punto di inizio lettura, comincia a scorrerlo nel senso della lunghezza. Il ribosoma legge le singole triplette e le attiva. Nel citoplasma circostante si trovano filamenti di un altro tipo di RNA, l'RNA di trasferimento (tRNA), e amminoacidi liberi. L'attivazione delle triplette specificate nell'RNA messaggero fa sì che gli RNA di trasferimento vadano a cercare, tra i tanti presenti nel citoplasma, gli amminoacidi corrispondenti.

Questi vengono portati sul ribosoma e uniti a formare la catena proteica. Di volta in volta il ribosoma si sposta, di tripletta in tripletta, e il processo termina nel momento in cui compare la tripletta che ha il significato di "fine lettura". A questo proposito, bisogna dire che con un codice di quattro lettere si possono ottenere 64 triplette, quindi si potrebbero specificare 64 amminoacidi; tuttavia se ne conoscono soltanto 20 e, anche considerando un certo numero di triplette con significato di "inizio" e "fine", si ha comunque una certa abbondanza di triplette rispetto agli amminoacidi esistenti. Tale fenomeno è noto come ridondanza genica e fa sì che triplette diverse specifichino lo stesso amminoacido. In pratica, ogni amminoacido è identificato da una singola tripletta, ma più triplette possono specificare lo stesso amminoacido. Il significato della ridondanza genica risiede nel fatto che in questo modo è possibile limitare al massimo le conseguenze derivanti da eventuali errori operati sia in fase di trascrizione del messaggio, che in fase di lettura, oppure conseguenti a piccole mutazioni che possono avvenire nel codice genetico.Tenendo presente che è solo l'ordine di assembaggio degli amminoacidi che determina le caratteristiche delle proteine, è facile comprendere come la cellula possa costruire migliaia di proteine aventi significati strutturali e funzionale differenti.


Edited by birillino8 - 24/11/2008, 21:11
 
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view post Posted on 24/11/2008, 21:10

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Meccanismi di replicazione

La divisione cellulare è quel processo che consente, a partire da una cellula detta cellula madre, la formazione di due cellule figlie ad essa identiche. Il processo è noto come mitosi.

Negli organismi unicellulari che si riproducono senza l'intervento dei due sessi (riproduzione asessuata) la mitosi coincide con la riproduzione. Negli organismi pluricellulari la mitosi consente la costruzione di un individuo formato da miliardi di cellule a partire da una singola cellula fecondata. In questi organismi, inoltre, la divisione cellulare, permette di sostituire le cellule usurate per cause naturali o accidentali (ad esempio nei processi di cicatrizzazione).

Il processo di divisione cellulare avviene attraverso varie fasi che comportano la duplicazione del DNA e la sua successiva suddivisione in due cellule figlie. In questo modo il flusso di informazione tra generazioni cellulari successive resta costante. Nel corso della riproduzione sessuale, due cellule (cellule germinali ogameti) si fondono tra loro in una cellula figlia che, nel caso di organismi pluricellulari, darà origine ad un nuovo individuo (zigote). Se queste due cellule germinali fossero uguali a tutte le altre cellule dell'organismo, dalla loro fusione si originerebbe un organismo con un contenuto di DNA doppio rispetto alla norma. In natura questo non accade, in quanto queste cellule subiscono una trasformazione iniziale che dimezza il loro contenuto di DNA. Il processo, detto meiosi, viene reso possibile dal fatto che il genotipo di un organismo è dato dalla somma di due serie geniche identiche che si manifestano, a livello nucleare, prima di ogni divisione, sotto forma di coppie di cromosomi (corredo diploide). In pratica le informazioni relative ad un determinato carattere sono presenti in duplice copia su due cromosomi uguali ma distinti.

Con la meiosi, attraverso le cellule germinali, ogni genitore trasmette una sola serie cromosomica (corredo aploide) in modo tale da ricostituire, al momento della fecondazione, il normale corredo diploide tipico di quella specie. L'individuo che si svilupperà dalla cellula fecondata, tuttavia, pur essendo dotato di un corredo genetico quantitativamente uguale a quello dei genitori, presenterà caratteristiche genetiche qualitativamente differenti, sia perché è il frutto di una fecondazione incrociata, sia perché, nel corso della formazione delle cellule germinali, intervengono processi di rimescolamento genetico (crossing over), che favoriscono la comparsa di caratteri variati nella discendenza. A questa variabilità, inoltre, può aggiungersi una variabilità indotta da fenomeni di mutazione genica casuale (sia a livello di singole basi che a livello cromosomico) che possono comportare la comparsa di caratteri assolutamente originali (non necessariamente favorevoli).

Grazie a questi meccanismi la vita può manifestarsi in forme individuali assolutamente originali e differenti. Gli organismi che si riproducono asessualmente generano figli assolutamente uguali a loro stessi e la loro varibilità è unicamente determinata dalla comparsa di mutazioni geniche.
 
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view post Posted on 24/11/2008, 23:12

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Teorie sull'origine della vita

Abbiamo visto che la funzionalità cellulare utilizza due sistemibiologici, il sistema genetico ed il sistema metabolico; il primo si basa sugli acidi nucleici, DNA e RNA, il secondo sulle proteine. I due sistemi sono entrambi indispensabili alla vita, tuttavia, quale dei due si sia formato per primo, quando e attraverso quali modalità sono tra i temi più dibattuti e controversi della biologia evolutiva, nel momento in cui questa cerca di fornire teorie circa l'origine della vita.

Se escludiamo a priori, perché scientificamente indimostrabile, la teoria creazionista, secondo la quale la vita sarebbe stata creata da un ente soprannaturale, le due principali ipotesi riguardanti l'origine della vita fanno riferimento alla possibilità che essa sia stata importata sulla Terra dallo spazio, sotto forma di germi o spore (ipotesi cosmozoica o della panspermia) (Arrhenius, 1907) o che si sia originata, sul nostro pianeta, spontaneamente e direttamente da materiale non vivente (teoria della generazione spontanea).

La teoria del fisico svedese Svante Arrhenius, ripresa alla fine degli anni Settanta dall'astrofisico Fred Hoyle (comete come vettori di vita nell'universo), estremizzata addirittura dal premio Nobel Francis Crik (teoria della panspermia guidata, secondo la quale la vita sarebbe stata trasportata sul nostro pianeta da extraterrestri a bordo di navicelle spaziali), si limita a spostare l'ambito di origine del fenomeno, ma non fornisce una risposta circa la sua origine assoluta. Nel contempo, la teoria della generazione spontanea della vita, già espressa da Aristotele nel III sec. a. C., pur avendo goduto di largo seguito per quasi duemila anni è stata definitivamente confutata, nel 1863, da Louis Pasteur, che ha dimostrato come qualsiasi forma di vita, anche la più microscopica, non può che originarsi da altra vita. Ma è sempre stato così?

Un approccio di tipo "abiogenetico" (vita originata dalla non vita) sembra essere indispensabile almeno per caratterizzare le prime fasi di sviluppo del fenomeno. Infatti, tutte le teorie attuali cercano di definire uno scenario inorganico, all'interno del quale collocare elementi chimici primordiali dalle cui interazioni il fenomeno può aver avuto origine. A questo approccio "abiogenetico" è necessario, tuttavia, aggiungere la coscienza dell'esistenza di una fenomenologia "evolutiva" che solo recentemente è stata acquisita. Tale coscienza consente, infatti, di immaginare una "vita in evoluzione" non statica e immutabile (teorie fissiste), una vita che nasce e si sviluppa, una vita che cambia nel corso di un tempo enorme. Il merito di aver offerto alla Scienza un'organica teoria evolutiva e di aver individuato per essa un meccanismo immanente (Selezione Naturale) mediante il quale tale evoluzione avrebbe potuto avvenire, va attribuito al genio di un naturalista inglese, Charles-Robert Darwin (1809-1892).

Nella visione evoluzionista (visione che ha avuto, nel frattempo, notevoli sviluppi sia concettuali che sperimentali) la vita sulla Terra non si manifesta attraverso forme immutabili e statiche, ma in forme dinamiche e mutevoli. Nel corso di un tempo enorme (della cui vastità non si è avuta coscienza fino al XIX secolo) queste forme sono cambiate, diversificate, via via modulandosi sempre più all'ambiente chimico-fisico che le accoglie, anch'esso caratterizzato da un estremo dinamismo.

Ma in che modo la vita può riaffermare la propria esistenza in un ambiente mutevole che può rendere limitante quello che ieri era premiante e viceversa? Attraverso la sua capacità di offrire, generazione dopo generazione, varianti di se stessa, varianti in grado di proporsi come ulteriori alternative di vita all'ambiente. La valenza adattativa, in termini di sopravvivenza, di queste varianti viene sottoposta al vaglio della Selezione Naturale, vero motore evolutivo, che seleziona, tra le innumerevoli variabili, solo le più idonee a cui viene consentito di sopravvivere e di svilupparsi fino a quando le variazioni indotte nell'ambiente dalle leggi chimico-fisiche e dalla stessa attività biologica non imporranno un nuovo mutamento (appare chiaro, in tale contesto, l'enorme importanza, in termini evolutivi, della riproduzione sessuale). In questo continuo inseguimento la vita cambia, potendo raggiungere livelli strutturali e funzionali di sempre maggiore complessità o comunque di equilibrio rispetto alla pressione selettiva.

Ripercorrendo a ritroso questo processo, seguendone le tracce nella documentazione fossile, nella dinamica geologica della Terra, nelle strutture e nella funzionalità che caratterizzano le forme viventi attuali, ci accorgiamo che la vita si è mossa lungo linee filetiche che legano tra loro tutti gli organismi viventi e che convergono in un punto che rappresenta la prima manifestazione del fenomeno. La visione evoluzionistica, quindi, ci costringe a risalire nel tempo verso forme di vita sempre più semplici e questo ci conduce necessariamente alla scoperta, almeno sul piano concettuale, della prima "cellula vivente".

Tuttavia, una tale conquista concettuale impone di considerare anche una serie di paradossi di non facile soluzione, che ricordano un po' quello famoso dell'uovo e della gallina. Se spingiamo lo sguardo fino al limite di ciò che noi chiamiamo vita, cioè le più semplici strutture biologiche in grado di esprimere il fenomeno, osserviamo che questa struttura vivente (ad esempio un batterio) presenta comunque una funzionalità metabolica e genetica molto complessa, che si basa sul possesso di molecole organiche essenziali ma che sono esse stesse il frutto di tale funzionalità. Zuccheri, grassi, proteine, acidi nucleici sono attualmente fabbricati solo da sistemi viventi: come sono potuti comparire prima dei sistemi viventi di cui rappresentano la struttura o il prodotto funzionale? Sappiamo che gli organismi animali (eterotrofi) non sono in grado di sopravvivere senza gli alimenti sintetizzati dalle piante (autotrofi); sembrerebbe quindi legittimo cercare l'origine della vita tra i vegetali primitivi (alghe autotrofe). Questi organismi, tuttavia, necessitano di un sistema di estrazione dell'energia solare e di un sistema di utilizzazione di questa energia estremamente complicato, per essere considerato nel corredo funzionale dei primi viventi. Inoltre, l'elemento essenziale a tale processo è la clorofilla, altro prodotto di esclusiva sintesi dei viventi.

Tutte le attuali reazioni vitali sono regolate da enzimi, a loro volta informati dal DNA, a sua volta montato da enzimi: chi è stato il primo? Tenendo conto di tutti questi paradossi e della visione evoluzionistica, negli anni Trenta il biochimico russo Alexsandr Ivanovic Oparin e il biologo inglese John Burdon Sanderson Haldane formularono la prima delle cosiddette "teorie chimico-biologiche", secondo le quali la vita si è sviluppata sul nostro pianeta per evoluzione a partire da molecole non biologiche. Nella loro teoria i due studiosi cercarono di superare molti dei circoli viziosi prima esposti.
 
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Ipotesi sulla fase biochimica e prebiologica

Secondo Oparin e Haldane la Terra di circa 4 miliardi di anni fa era molto diversa dall'attuale. Era un pianeta ad alto contenuto energetico (energia endogena ed esogena), con un'atmosfera primitiva caratterizzata dall'assenza di ossigeno e anidride carbonica ma ricca in idrogeno, metano, ammoniaca e vapore acqueo; quindi fortemente riducente. Queste condizioni chimico-fisiche consentirono la formazione di una grande quantità di molecole organiche che, accumulandosi nei mari primitivi (in quantità tale da giustificare l'espressione "brodo primordiale"), poterono reagire tra loro in modo da originare una grande varietà di molecole biologiche importanti per la vita. Successivamente queste molecole si associarono nei primi sistemi macromolecolari in grado di esprimere una primitiva funzionalità vivente, accrescimento e autoriproduzione.

Un tale scenario consente di superare il primo e più importante paradosso e riabilitare, anche se per un breve attimo iniziale, la teoria della generazione spontanea della vita: dei composti organici poterono, in teoria, formarsi in assenza di esseri viventi. Una tale disponibilità di materia organica in continua sintesi ha rappresentato, secondo Oparin e Haldane, il cibo per i primi sistemi viventi in grado di assimilarlo. I primi organismi furono dunque degli eterotrofi in grado di assumere combustibile chimico direttamente nel mezzo ambiente. In questa ipotesi, quindi, invece di immaginare un sistema vivente complesso (autotrofo) che sfrutta semplici elementi ambientali (luce, acqua e anidride carbonica, peraltro assente nella loro ipotetica atmosfera primitiva) si ipotizza un sistema vivente semplice in un mezzo ambiente complesso, già ricco di alimenti. È così possibile superare altri paradossi. Infine, secondo Oparin e Haldane, questi sistemi viventi, per quanto semplici, ma tuttavia completi, furono sottoposti, durante milioni di anni, alla Selezione Naturale che ne determinò il destino avendo come unica alternativa quella di "essere o non essere". All'inizio l'ipotesi di Oparin-Haldane non venne unanimemente accettata dal mondo scientifico per la mancanza di adeguate prove sperimentali che la convalidassero pienamente.

Negli anni Cinquanta, Harold C. Urey, premio Nobel per la Chimica nel 1934, e Stanley Miller, un suo allievo, riuscirono ad ottenere alcune conferme sperimentali. A quel tempo Urey era interessato alle differenti teorie riguardanti l'origine del Sistema solare e, in particolare, alla composizione chimica dell'atmosfera che avrebbe dovuto circondare la Terra primitiva. Urey arrivò alla stessa conclusione di Oparin, cioè che il primitivo involucro gassoso della Terra dovesse essere riducente. Stanley Miller, nel 1953, ebbe l'idea di ricostruire in laboratorio queste presunte condizioni ambientali: pose in un pallone una miscela di gas simile a quella ipotizzata per la Terra primitiva, composta da idrogeno (H2), metano (CH4), ammoniaca (NH3) e vapore d'acqua (H2O), sottopose la stessa a continue scariche elettriche (per simulare i fulmini) e, dopo una settimana, analizzò i prodotti di sintesi (Fig. 3). Non senza sorpresa si accorse che si erano formati numerosissimi composti organici, tra i quali amminoacidi. Dopo Miller, molti autori hanno compiuto esperimenti analoghi, variando di volta in volta sia la composizione dei gas che la sorgente di energia (calore, radiazioni ultraviolette, ecc.). I risultati ottenuti dimostrano che quasi tutti i monomeri biologici possono essere prodotti in modo abiologico, in assenza di ossigeno, partendo da materiale inorganico.


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Figura 3. L'apparecchiatura ideata da Miller per simulare le condizioni prebiotiche sulla Terra.
Tuttavia, esistono dei problemi. Non tutte le molecole sintetizzate da Miller sono presenti nei viventi (ad esempio, dei tre amminoacidi del gruppo dell'alanina ottenuti, solo uno è effettivamente presente negli organismi) e non tutti i composti utili alla vita possono essere facilmente sintetizzati utilizzando quei protocolli (un esempio fra tutti è rappresentato dalla sintesi endoergonica dell'ATP). Un altro grosso problema è rappresentato dall'uniformità chiralica dei composti organici di origine biologica. Tramite gli esperimenti di Miller si ottengono miscele racemiche dei possibili enantiomeri, ma sulla Terra esistono, ad esempio, solo L-amminoacidi e D-zuccheri. Nessuno riesce a spiegare perché.

Qualcuno ipotizza una possibile origine extraterrestre di molti composti organici. La loro uniformità racemica si spiegherebbe sulla base di presunti processi di molecular-tunnelling a bassa temperatura o a distruzione differenziata degli enantiomeri; per gli amminoacidi destrogiri, si è ipotizzata, ad esempio, una distruzione selettiva operata da radiazioni ultraviolette polarizzate circolarmente, forse prodotte da stelle di neutroni. Tali ipotesi sono, in parte, sostenute dalla scoperta che certi amminoacidi di origine extraterrestre rinvenuti sul meteorite di Murchinson (Australia) hanno natura racemica. Un ultimo punto da considerare è che le sintesi di Miller necessitano di una forte presenza di CH4 e NH3. Tuttavia, oggi sono in molti a sostenere che l'atmosfera primitiva abbia perso molto velocemente il suo carattere riducente e che fosse composta prevalentemente da CO2. Un tale scenario rende praticamente impossibile molte delle sintesi milleriane e quindi rende lecita l'ipotesi che l'origine di molti composti sia da ricercarsi nell'apporto esogeno.

Indipendentemente dalla natura endogena o esogena dei composti organici di base (scartando l'ipotesi che la vita sia giunta sulla Terra già sotto forma di organismo vivente), bisogna necessariamente ipotizzare una fase prebiologica in cui le molecole organiche si sono organizzate a costituire dei previventi. A questo proposito sono state formulate diverse teorie.

In senso storico, le prime sono quelle cosiddette fenotipiche, che tendono a considerare la formazione delle strutture cellulari (involucro cellulare, proteine, ecc.) precedenti la formazione dell'informazione genetica. La più famosa di queste teorie si deve ad Oparin che, nel formularla, utilizzo le sue osservazioni sui coacervati. Soluzioni acquose di due o più polimeri (proteici, glucidici o lipidici) segregano due fasi, una ricca e una povera di colloidi. La prima tende ad organizzarsi in minuscole goccioline dette coacervati.

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Fig. 4. I coacervati di Oparin.

Il fenomeno della coacervazione era noto da molto tempo; merito di Oparin fu quello di mostrarlo sotto una nuova luce, nel contesto delle ipotesi sull'origine della vita. I coacervati (Fig. 4) mostrano interessanti proprietà sia strutturali che funzionali. Sono delimitati da una pseudomembrana bistratificata, sono in grado di attirare certe macromolecole (polipeptidi e polinucleotidi) e di respingerne altre, dimostrano, inoltre, un rudimentale metabolismo. Se si aggiunge glucosio-1-fosfato nel mezzo ambiente di un coacervato, contenente l'enzima fosforilasi, esso assimilerà il composto producendo amido, mentre il fosfato verrà espulso esternamente. Se oltre alla fosforilasi e presente anche un'amilasi, il coacervato sarà in grado non solo di produrre amido, ma anche di idrolizzarlo in segmenti di maltosio (dimero) i quali saranno poi espulsi insieme al fosfato residuo. Altri esperimenti dimostrano che alcuni coacervati, dotati di opportuno corredo biochimico, sono in grado di effettuare una specie di fotosintesi primitiva e possono subire una specie di selezione naturale (ad esempio, i coacervati in grado di operare un metabolismo primitivo sono più stabili di quelli privi di tale capacità).

Analoghe strutture pseudocellulari furono ottenute, alla fine degli anni Settanta, da Sidney Fox. Convinto, al contrario di Oparin, che la probabilità di formazione di macromolecole fosse maggiore sulla terraferma che in acqua, Fox partì da miscele di amminoacidi, che si presupponeva fossero presenti nel brodo primordiale, le pose su pezzi di lava riscaldati a temperature variabili tra i 75 e i 175 °C e ottenne dei proteinoidi, lunghe catene contenenti parecchie centinaia di amminoacidi. Immaginando un'azione di dilavamento delle lave primordiali su cui si fossero formati dei proteinoidi, Fox continuò la sua sperimentazione ponendo gli stessi in acqua. Ottenne in questo modo delle microsfere che chiamò protocellule (Fig. 5). Le microsfere di Fox sono dotate di proprietà molto interessanti: sono delimitate da una membrana semipermeabile, operano movimenti, sono dotate di capacità enzimatiche (sono in grado, ad esempio, di idrolizzare l'ATP e sono capaci di assimilare altri proteinoidi), riescono a produrre al loro interno altre sferule che vengono successivamente espulse, sono in grado di unirsi tra loro e di dividersi. In definitiva, entrambe le ipotesi si basano sul convincimento che, ai fini dello sviluppo della vita, la nascita dell'individualità abbia rappresentato la prima grande conquista.


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Fig. 5. Le microsfere (protocellule) di Fox.

Altri autori pensano che un primitivo metabolismo avrebbe potuto innescarsi anche in strutture non delimitate da membrane, ma su substrati minerali in grado di adsorbire e concentrare molecole organiche. Queste ipotesi costituiscono la base delle cosiddette teorie minerali. Barnal ha osservato che alcune argille che si depositano sui fondali adsorbono proteine ed acidi nucleici meglio dei coacervati; Cairns-Smith ha addirittura suggerito che i primi "sistemi di informazione genetica" fossero rappresentati da argille autoreplicanti. La distribuzione delle cariche elettriche su uno strato avrebbe indotto la formazione di uno strato complementare formato da particelle aventi carica elettrica uguale ed opposta. Tale sistema avrebbe successivamente adsorbito composti carboniosi e dato inizio all'evoluzione biologica.

Alcuni ricercatori pensano che la vita non avrebbe avuto inizio da strutture protocellulari, ma da primitivi ammassi di materiale genetico. Successivamente, questi "geni nudi" avrebbero costruito una struttura protocellulare di protezione del genoma e di sintesi di altro genoma.; in pratica le cellule altro non sarebbero che "macchine create dal DNA per produrre altro DNA". Queste teorie genotipiche, tuttavia, non godono di grosso credito, essendo troppo dispendiosa l'ipotesi di una formazione primitiva di DNA, una macromolecola la cui sintesi e funzionalità è troppo legata alla presenza di proteine.

Uno dei risultati più importanti conseguiti dalla scienza nella soluzione del problema dell'origine della vita si deve a T.R. Cech, premio Nobel per la Chimica nel 1989, che, nei primi anni Ottanta, ha dimostrato che molecole di RNA possono avere attività enzimatica (promuovendo reazioni chimiche autonome, senza l'intervento di enzimi proteici) e sono in grado di compiere una primitiva autoreplicazione usando come stampo una subunità interna. Tali funzioni enzimatiche, peraltro osservabili nell'RNA di organismi viventi attuali, potrebbero essere la testimonianza di un primitivo "mondo a RNA", nel quale tutti gli organismi dovevano essere costituiti solo da RNA e dal quale si sarebbe solo successivamente evoluto il mondo attuale costituito da DNA e proteine, con funzioni rispettivamente genetiche e metaboliche. Come si sarebbe originato l'ipotizzato "mondo a RNA" di Cech? Il chimico tedesco Eigen e successivamente Orgel hanno dimostrato che, in presenza di enzimi proteici, miscele di nucleotidi possono dar luogo a RNA capace di replicarsi (riprodursi), di mutare e di competere con altre molecole di RNA. Secondo questi autori, la vita sulla Terra potrebbe aver avuto origine proprio a partire da popolazioni di molecole di RNA-simili ("quasi specie") i cui individui, capaci di competizione, si sarebbero associati con popolazioni proteiche, dapprima stabilendo con esse un rapporto parassitario, quindi un equilibrio stabile: l'attuale "divisione del lavoro" tra acidi nucleici e proteine!

L'ipotesi di un mondo ancestrale a RNA, sebbene molto affascinante, solleva dubbi sia di tipo chimico che probabilistico. Per quanto riguarda i primi, nessun ricercatore è riuscito sinora a proporre un modello secondo il quale negli oceani e nell'atmosfera primitiva si siano potute formare adeguate quantità di RNA, essendo la sintesi di questo composto troppo laboriosa ed incerta. Il secondo dubbio riguarda la possibilità che molecole di RNA in grado di replicarsi e di competere possano essere state abbastanza stabili, nel tempo, da evolversi successivamente in "organismi" più complessi. L'RNA come precursore dei viventi, quindi, rimane al momento un'ipotesi molto dispendiosa.

Così, se è pur vero che sempre più studiosi pensano che il DNA, come depositario dell'informazione genetica, sia stato preceduto dall'RNA, è forse altrettanto plausibile che forse neppure quest'ultimo ha rappresentato la prima molecola informativa autoreplicante comparsa sulla Terra. Questa primitiva molecola con significato genico avrebbe dovuto possedere tre capacità ed avere a disposizione un ambiente chimico favorevole:
1) capacità di contenere informazione genetica;
2) capacità di indirizzare la propria sintesi a partire da elementi di base (monomeri);
3) capacità di essere più stabile del suo tasso di decomposizione.
Tutto questo avendo larga disponibilità di monomeri nel mezzo ambiente. Se immaginiamo un mondo primordiale RNA-simile, considerando le prerogative e le necessità prima esposte, dobbiamo necessariamente pensare, come ha fatto Joyce, che la nascita dell'autoreplicazione sia stata preceduta da un'evoluzione chimica che ha prodotto profonde alterazioni chimiche ambientali, il che può aver consentito la nascita di una molecola non RNA-simile in grado di favorire la sintesi di una sostanza RNA-simile. In questa fase potrebbero aver svolto un ruolo molto importante gli "organismi" argilla, grazie alle loro capacità di sia di concentrazione delle sostanze che catalitiche. È probabile, tuttavia, che tale sostanza RNA-simile fosse strutturalmente meno esigente, nel processo di sintesi, rispetto al complesso e dispendioso chimismo dell'attuale RNA.

Infine, è perfettamente lecito pensare che il mondo primordiale abbia visto la nascita contemporanea e indipendente di sistemi biologici di tipo strutturale (corpi cellulari) e di sistemi genetici "nudi" (protogenomi), anche se oggi essi appaiono perfettamente integrati all'interno della cellula. A tale proposito è stato osservato che l'eventuale unione tra sistemi di membrana e sistemi genetici avrebbe espresso un elevato valore adattativo potendo, quindi, essere favorita dalla selezione naturale.
 
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Glossario

Acidi nucleici. Molecole giganti che fungono da supporto per l'informazione genetica.

Amminoacidi. Molecole di base delle proteine.

ATP. Adenosintrifosfato; l'unica molecola energetica utilizzabile dagli organismi viventi nei processi vitali; la sua forma scarica è rappresentata dall'ADP, adenosindifosfato. La fotosintesi clorofilliana, la fermentazione cellulare e la respirazione cellulare consentono di ricaricare, in varia misura, molecole di ADP ritrasformandole nella forma energeticamente attiva di ATP.

Autotrofo. Organismo in grado di sintetizzare i propri alimenti in modo autonomo a partire da composti non organici. Si contrappone ad eterotrofo, organismo non in grado di compiere tale sintesi e quindi costretto a nutrirsi di alimenti già sintetizzati.

Basi del DNA. Adenina, citosina, guanina e timina. Composti chimici elementari la cui sequenzialità è alla base del codice genetico; gruppi di tre basi specificano un amminoacido. L'unione di una base con uno zucchero ed un atomo di fosfato rappresenta un nucleotide, elemento di base degli acidi nucleici. Nell'RNA (vedi oltre) la timina è sostituita dall'uracile.

Cloroplasto. Organulo cellulare esclusivo degli organismi vegetali; al suo interno avviene la fotosintesi clorofilliana, processo che consente di sintetizzare glucosio utilizzando energia solare, anidride carbonica e acqua.

Cordati. Organismi animali pluricellulari provvisti permanentemente o transitoriamente di un organo assile dorsale di sostegno detto corda o notocorsa. Vi si annoverano, tra gli altri, i vertebrati.

Crossing-over. Scambio di materiale genetico tra cromosomi omologhi nel corso della meiosi.

DNA. Acido desossiribonucleico; acido nucleico formato da un doppio filamento avvolto a spirale su cui è scritta l'informazione genetica complessiva (genoma) della cellula.

Enzima. Proteine in grado di catalizzare una reazione chimica metabolica.

Eucariote. Organismo dotato di nucleo cellulare contenente il DNA; si contappone a procariote, organismo privo di nucleo cellulare e con DNA disperso nel citoplasma.

Glicolisi. Reazione chimica nel corso della quale il glucosio, zucchero a sei atomi di carbonio, viene spezzato in due frammenti a tre atomi di carbonio 6, una reazione che avviene in assenza di ossigeno ed è analoga alla fermentazione.

Gameti o cellule germinali. Cellule specializzate che rendono possibile la fecondazione incrociata e quindi la riproduzione.

Metabolismo. L'insieme delle attività energetiche e funzionali che avvengono nella cellula o in un organismo pluricellulare.

Mitocondri. Organuli cellulari all'interno dei quali avviene la respirazione cellulare, nel corso della quale viene prodotta energia (ATP) attraverso la combustione del glucosio, in presenza di ossigeno, che viene ridotto ad anidride carbonica ed acqua.

Mitosi. Processo di divisione cellulare che consente la formazione di due cellule figlie a partire da una singola cellula madre; quando la mitosi avviene in un organismo unicellulare coincide con la riproduzione.

Meiosi. L'insieme dei fenomeni che interessano il nucleo nel corso della formazione di cellule (come i gameti) contenenti un corredo genetico pari alla metà di quello della cellula di partenza.

RNA. Acido ribonucleico; è un acido nucleico a filamento singolo che viene impiegato nei processi di sintesi delle proteine. Ne esistono vari tipi, tra i più importanti l'RNA messaggero (mRNA), che trasferisce l'informazione genetica dal DNA agli organuli cellulari deputati alla sintesi delle proteine (ribosomi) e l'RNA di trasferimento (tRNA) che veicola, verso gli stessi organuli, gli amminoacidi necessari.
 
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