DELFINI
Tetradramma di Siracusa, V sec. a. C.; rappresenta la ninfa Aretusa con delfini.
Il pesce, per le popolazioni mediterranee fin dalla più remota antichità, è una fonte di sostentamento fondamentale; finisce, quindi, con l'acquistare una valenza che trascende l'aspetto alimentare, al punto da diventare protagonista, per esempio, di forme artistiche come mosaici pavimentali, affreschi parietali, vasi e persino monete e oggetti d'ornamento personale.
Soprattutto il pesce è costantemente presente nel simbolismo religioso: nella mitologia babilonese il Dio della sapienza indossava le vesti del pescatore, mentre il Dio degli abissi è raffigurato come pesce-ariete e i suoi sacerdoti portavano un copricapo a forma di pesce, da cui successivamente si evolse la mitra dei vescovi cristiani. Presso altre civiltà mesopotamiche il pesce era il cibo sacro dei sacerdoti, ai quali erano consacrate le peschiere. Probabilmente da tali culti è derivato il nesso con la simbologia della resurrezione e quindi le raffigurazioni di pesci sui monumenti funebri egizi, micenei ed etruschi. Il pesce è dunque simbolo di rinnovamento e preservazione della vita, ed è associato a tutte le manifestazioni della
Dea Madre. Presso i Greci sono numerose le divinità con forme di pesce o rappresentate nell'atto di cavalcare delfini e ippocampi; il pesce è sacro ad
Afrodite quale simbolo di fecondità e nel mito di
Poseidone rappresenta la forza delle acque, così come presso i Romani ha gli stessi significati in relazione a Venere e a
Nettuno. Per gli Israeliti il pesce è l'alimento della cena sacra del Sabbath, e l'antica Pasqua ebraica cadeva nel mese del Pesce. Per i Cristiani il pescatore è il raccoglitore di anime e il pesce rappresenta il Salvatore, tanto che nella parola greca ICHTHUS (pesce) si sono riconosciute le iniziali delle parole Iesùs CHristòs THeù Uiòs Sotér, cioè Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore.
In questa diffusa concezione della sacralità del pesce e nella sua associazione a una divinità, ad Apollo è dedicato il delfino, animale acquatico sui generis, mammifero e signore dei mari, amico dell'uomo, amante dei bambini, sensibile alla musica, compagno dei marinai ai quali preannuncia acque calme e rotte sicure, "complice" dei pescatori, caro agli Dei per i quali la sua cattura è un sacrilegio.
E' quindi sempre presente nell'iconografia, non solo religiosa: per esempio nella Casa dei Delfini, a Delo, ricorre negli angoli della decorazione musiva pavimentale.
Allo stesso modo, nel megaron della Regina, nel Palazzo di Cnosso, a Creta, il delfino compare in ampi affreschi parietali di ispirazione acquatica.
Come pure è ricorrente, per esempio, nelle decorazioni musive di Ostia, legate ad attività marittime: in una bottega di pescivendoli, il mosaico pavimentale rappresenta un
delfino che addenta un polpo accompagnato da una scritta che esprime forse un ammonimento.
Secondo una leggenda, il patto di amicizia tra delfini e umani era stato suggellato dall'unione di Poseidone, signore del mare, con Melanto, figlia di Deucalione, alla quale il dio si era presentato con le sembianze di un delfino. Per questo motivo il figlio fu chiamato Delfo, da cui prese nome la città di Delfi - dove si trovava l'oracolo di Apollo - di cui era il re quando Apollo giunse a prenderne possesso.
L'origine di Delfi è legata anche ad Icadio, figlio di Apollo, in onore del quale l'eroe fondò la città di Patara e l'oracolo dedicato al dio. Durante un viaggio per mare la sua nave naufragò, ma un delfino lo trasse in salvo e lo trasportò fino ai piedi del monte Parnaso. Qui Icadio fondò la città che chiamò Delfi, in onore del delfino che l'aveva salvato.
Forse un motivo di affinità tra i delfini e gli umani trovarono gli Antichi nell'atteggiamento loro verso i propri piccoli: Claudio Eliano, II-III sec., racconta nella Storia degli animali che i delfini procedono come soldati schierati in ordine di battaglia, con i piccoli davanti, seguiti dalle femmine, mentre i maschi chiudono la formazione per assicurare la sicurezza del branco.
Al mito di
Dionisio si ricollega un'altra spiegazione dell'amicizia tra delfini e umani. Nel corso delle mille avventure e disgrazie subite per affermare il suo diritto alla vita eterna, Dioniso ebbe occasione di chiedere ad alcuni
pirati di traghettarlo da
Argo a Nasso, ma scoprì un complotto da costoro ordito per venderlo in schiavitù. Per punirli trasformò i loro remi in serpenti, avviluppò la nave in una cortina d'edera e la paralizzò con tralci di vite finché i pirati, impazziti, non si gettarono in mare, venendo trasformati in delfini. Da allora essi sono amici degli uomini e si adoperano per salvarli dai flutti, come memoria del pentimento dei pirati da cui discendono.
Il geografo Pausania "il Periegeta", II sec., originario dell'Asia Minore, nella sua Descrizione della Grecia, racconta della statua bronzea del cantore Arione in groppa a un delfino, sull'odierno Capo Matapan, eretta dall'uomo in segno di riconoscenza per esser stato salvato dai delfini.
La versione più antica della storia è narrata da Erodoto: Arione era un musico di Lesbo e aveva ottenuto dal suo padrone - il tiranno di Corinto - il permesso di percorrere la Magna Grecia e la
Sicilia, per arricchirsi con il suo canto. Quando volle tornare in patria, i marinai della nave su cui era imbarcato ordirono un complotto per ucciderlo e derubarlo dei suoi guadagni. Tuttavia gli apparve in sogno Apollo che lo avvertì del pericolo e gli promise il suo aiuto. Quando i marinai lo aggredirono, Arione chiese - e ottenne - che gli si accordasse di cantare un'ultima volta. Al suono della sua voce, un branco di delfini accorse verso la nave. Arione, fidando nell'aiuto promesso, si tuffò e fu raccolto da un delfino, che lo condusse illeso a riva. Giunto in salvo, Arione dedicò un ex-voto ad Apollo e tornò alla nativa Corinto, dove raccontò la sua avventura al suo padrone. Quando la nave raggiunse la città, il Tiranno chiese ai marinai cosa ne fosse stato di Arione, e quelli lo dissero perito durante il viaggio. A quel punto Arione si mostrò e i colpevoli furono messi a morte. In ricordo di quell'evento, Apollo trasformò la
lira di Arione e il
delfino in costellazioni.
Lo stesso Pausania racconta ancora, in Descrizione della Grecia, tra le sue svariate storie incentrate sui delfini, che lo spartano Falanto, soccorso da un delfino durante il naufragio della sua nave, fu de questi trasportato fino alle coste dell'Italia meridionale, dove fondò la città di
TarantoPlinio il Vecchio, morto a
Miseno durante l'eruzione del 79 d.C., narra nella sua Storia naturale la storia di un bambino che, andando ogni giorno a scuola nei dintorni del lago Lucrino nelle vicinanze di
Baia, aveva fatto amicizia con un delfino che viveva nel lago: ogni giorno gli offriva la propria merenda, e poi gli saliva in groppa per esser traghettato sulla sponda opposta. Ma dopo qualche tempo il bimbo morì, invano atteso dal suo amico delfino che, non vedendolo più, si lasciò morire dal dolore.
Claudio Eliano racconta la storia simile di un giovanissimo studente, che - dopo le lezioni ginniche - si tuffava nelle vicine acque del mare di Iaso, insieme con i compagni. Un po' alla volta, vincendo l'iniziale diffidenza, fece amicizia con un delfino che aveva preso ad assistere ai loro giochi. I due cominciarono a nuotare insieme e a gareggiare l'un con l'altro, finché il ragazzo non imparò a montare il delfino, lasciandosi trasportare in lunghe cavalcate tra le onde. Ma un giorno, nel saltare in groppa all'amico, il ragazzo si trafisse sull'aculeo della pinna dorsale e morì, mentre il suo sangue arrossava le acque. Il delfino capì che aveva perso il compagno e, disperato, si gettò sulla spiaggia, facendovi scivolare il corpo del ragazzo, e poi volle morire con lui. In memoria di quella grande amicizia, gli abitanti di Iaso seppellirono i due nella stessa tomba e vi eressero sopra una stele, su cui era raffigurato il ragazzo in groppa al delfino.
Un altro racconto dimostra la gratitudine dei delfini verso chi era generoso con loro: un giorno l'eroe Cerano vide un pescatore che aveva catturato un delfino. Lo comprò e gli restituì la libertà. Dopo qualche tempo Cerano incappò in un naufragio e, unico tra gli umani trasportati dalla nave, fu salvato dai delfini che lo ricondussero a riva illeso. Quando morì, mentre il corteo funebre transitava nel porto di Mileto, un branco di delfini seguì il feretro lungo la costa.
Altre storie sono incentrate sulla collaborazione dei delfini con i pescatori che, come narra Plinio, li chiamano a gran voce con l'appellativo di "Simone", che deriverebbe dal greco simòs da cui il latino simus con il significato di "camuso", riferito al muso dell'animale. I delfini accorrono e spingono verso le reti i branchi di pesce, nuotando ad essi intorno per evitarne la dispersione, poi ricompensati con parte della preda.
Nell'arte classica il delfino compare ora come elemento decorativo, ora come simbolo della trasmigrazione dell'anima; come tale appare anche nell'arte cristiana. Nell'iconografia pagana compare con Nettuno, con Bacco, nelle are di Apollo Delfico; su un carro tirato da delfini sono rappresentate
Anfitrite,
Galatea,
Teti; unito al tridente è simbolo dell'impero sul mare. E' anche uno degli attributi di S.Andrea. In araldica la posizione ordinaria del delfino nello scudo è di profilo, curvato a semicerchio, con il muso e la coda volti a destra.