ACI e GALATEA-AFRODITE - VENERE-ALCIONE-ARGO-ARETUSA

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view post Posted on 22/12/2008, 23:26

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ACI e GALATEA

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Galatea e Polifemo.
Pittura parietale, I sec.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale




Secondo la tradizione, Aci era figlio del dio italico Fauno e della ninfa Simeto. Si innamorò, corrisposto, della ninfa Galatea, insidiata da Polifemo. Questi, geloso e vendicativo, cercò di schiacciare il rivale sotto una rupe, ma Aci si trasformò in fiume e gli sfuggì, diventando il dio del fiume omonimo, nelle vicinanze dell'Etna.

Secondo una versione diversa, la rupe lo travolse e il suo sangue si trasformò nelle acque del fiume che prese il suo nome.
 
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view post Posted on 23/12/2008, 21:15

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AFRODITE - VENERE


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Venere Italica di Antonio Canova
Galleria Palatina di Palazzo Pitti
Firenze



Afrodite è la divinità greca dell'amore, inteso anche come attrazione delle varie parti dell'universo tra loro per conservare e procreare; simboleggia l'istinto naturale di generazione e di fecondazione e sotto questo aspetto è simile alla Ishtar babilonese, o all' Astarte fenicia.

I Greci connettevano il nome di Afrodite con la spuma del mare (afròs), dalla quale ritenevano che fosse nata; diffusosi il suo culto in Occidente, prima ad Erice in Sicilia e poi fino a Roma, la dea venne onorata col nome di Venere (da venus, venustas = bellezza).

Nella Teogonia di Esiodo si narra come Afrodite, nata dal mare in una serena giornata di primavera, venne portata dagli Zefiri prima a Citera, da dove su una conchiglia fu trasferita a Pafo nell'isola di Cipro. La stagione e il luogo: la primavera e il mare. La stagione che ha dato il via al ciclo della vita sulla terra è stata la primavera; dal Caos primigenio le nascenti forme di vita trovarono la loro sede naturale nel mare. Ecco congiunti la primavera e il mare per generare Afrodite

Il mito attribuiva alla dea diverse unioni con dei (Efesto, Ares) e con mortali (Anchise, Bute, Adone). Era venerata con vari epiteti che alludevano alla sua qualità di suscitatrice della vegetazione (Anthéia), di protettrice della navigazione (Pontìa), o dei combattenti (Areia, e in tal caso essa era venerata accanto ad Ares); gli altri a lei frequentemente dati di Ouranìa, "celeste" e Pandemos "di tutto il popolo", sono riferiti alla sua natura di dea dell'amore spirituale e sensuale.

La dea aveva un corteggio costituito dalle Ore, dalle Cariti (o Grazie), da Eros, Potos (il desiderio), Imero e Imene, dio delle nozze. I suoi animali favoriti erano le colombe: un tiro di questi uccelli trasportava il suo carro; ma le furono consacrati anche il serpente e l'ariete; quale protettrice dei giardini le furono dedicate le piante e i fiori di rosa e di mirto.

Fu per antonomasia la dea della bellezza quando vinse la gara suscitata dalla dea della Discordia tra lei, Era e Atena, promettendo al giudice, che era il figlio di Priamo, Paride Alessandro, il possesso della donna più bella del mondo, cioè Elena, moglie di Menelao, re di Sparta; e creando così i prodromi della guerra di Troia.

Durante tutta la guerra ella accordò la sua protezione ai Troiani e a Paride in particolare, e anche ad Enea, che aveva generato con Anchise. Ma la protezione di Afrodite non potè impedire la caduta di Troia e la morte di Paride. Tuttavia riuscì a conservare la stirpe troiana e grazie a lei Enea, col padre Anchise e il figlio Iulo (o Ascanio), riuscì a fuggire dalla città in fiamme e a cercarsi una terra dove darsi una nuova patria. In tal modo Roma aveva come particolare protettrice Afrodite-Venere: ella passava per essere l'antenata degli Iulii, i discendenti di Iulo, a loro volta discendenti d'Enea, e perciò della dea. Per questo Cesare le edificò un tempio, sotto la protezione di Venere Madre, la Venus Genitrix.

La bellezza di questa divinità è stata celebrata da poeti e scrittori antichi e moderni che ne hanno messo in risalto attributi particolari della personalità e si sono comunque sentiti affascinati da lei. Amore sacro dunque, e amore profano, forza primigenia della natura, dea protrettrice di tutte le forma di vita e presso molti popoli.

Anche l'arte figurativa si ispirò particolarmente alla dea che rappresentò l'essenza stessa della bellezza e l'espressione più appassionata della gioia di vivere. Le famose Veneri della scultura greca, quali quelle di Prassitele, di Fidia, di Scopas, o la Venere imperiale del Canova, così come le rappresentazioni pittoriche, dagli affreschi pompeiani ai dipinti di soggetto mitologico susseguitisi nel corso dei secoli, ci forniscono sempre, nella rappresentazione delle belle forme, la possibilità di avvicinarci all'idea della bellezza assoluta come espressione del dono che gli dei fecero agli uomini per rallegrarli, per vivificarli o per consolarli.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 19:40

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ALCIONE

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Ceice, Atena, Gea e Alcione.
Particolare del fregio dell'Altare di Pergamo, IV sec. a. C.
Berlino, Staatliche Museen



Era figlia di Eolo re dei venti. Aveva sposato Ceice, figlio di Lucifero, l'astro del mattino, e formava con lui una coppia così unita, che entrambi si paragonavano a Zeus ed Era. Questo confronto offese gli dei che vollero punirli, trasformandoli in uccelli, lui in smergo, lei in alcione.

Ma Alcione faceva il nido in riva al mare e le onde lo distruggevano. Mosso a pietà, Zeus ordinò ai venti di acquietarsi nei sette giorni che precedono e seguono il solstizio d'inverno, in modo da consentire il compimento della cova. Sono appunto "i giorni dell'alcione", che non conoscono tempesta.

Ovidio ci offre una versione diversa, seconda la quale Ceice, durante un viaggio, fu travolto da una tempesta e annegò. Il suo corpo fu portato a riva dalle onde, Alcione lo trovò e, per disperazione, si trasformò in un uccello dal grido lamentoso, mentre una metamorfosi simile fu concessa a suo marito.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 20:57

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ARGO

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Io, al centro, con Argo a destra ed Ermes
Affresco dalla Casa di Livia (Palatino, Roma)




Nella mitologia greca questo nome ricorre per diversi personaggi.

Il più antico è figlio di Zeus e Niobe (non la Niobe a cui Apollo e Diana uccisero i figli e fu trasformata in fonte; questa discendeva per parte di madre da Oceano e Teti, e fu la prima mortale da cui Zeus ebbe un figlio). Ebbe in retaggio il potere reale sul Peloponneso, che egli chiamò Argo; e il nome rimase alla città (e al territorio che la circonda, l'Argolide), una delle più importanti dell'antica Grecia, tanto che Omero talvolta designa col nome di Argivi tutti i Greci. Questo Argo passa per aver introdotto in Grecia l'arte di arare e seminare il grano.

Il più famoso, pronipote del precedente, figlio, seconda una versione del mito, di Agenore e secondo altri, della Terra Madre, è un gigante dalla forza smisurata, con un incredibile numero di occhi che, secondo Euripide, si chiudevano nel sonno alternatamente, nel numero di cinquanta per volta. Tra le sue tante imprese, liberò l'Arcadia dal flagello di un toro del quale rivestì la pelle; uccise il mostro Echidna, metà donna e metà serpente, a suo volta madre di mostri tra cui Cerbero, Chimera, la Sfinge e l'Idra di Lerna

Fu anche designato da Era a fare da custode a Io, che Giove - dopo averla amata in forma di nuvola - aveva trasformato in splendida giovenca, per sottrarla alla vendetta della divina consorte. Ma costei, ottenuto in dono l'animale, l'aveva posto sotto la sorveglianza di Argo. Zeus mandò Ermes a liberare Io e il dio uccise Argo con una granicola di massi. Secondo Ovidio, invece, Ermes decapitò il mostro dopo averlo addormentato con il suono del suo flauto.

Era, grata ad Argo per il suo aiuto, sparse i suoi occhi sulla coda di un pavone, uccello a lei sacro, che ascese al cielo in forma di costellazione. L'Argo cui è attribuita la costruzione della nave che da lui prese il nome, talvolta viene detto figlio di Arestore, talvolta di Frisso, confondendolo perciò con un altro Argo, legato anche lui al mito di Giasone. Comunque a lui Giasone si rivolse per la costruzione della nave che lo avrebbe portato con i suoi compagni nella Colchide alla conquista del Vello d'Oro. La nave, a cinquanta remi fu realizzata nel porto di Iolco sotto il controllo della dea Atena, che collocò nella prora un frammento della quercia parlante di Dodona.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 22:02

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ARETUSA


Era una naiade figlia di Nereo e di Doride e faceva parte del corteggio di Artemide. Così fa raccontare da Ovidio (Metamorfosi, V, 572 e seg.) la storia della sua trasformazione in fonte: "Io ero una delle ninfe achee, e nessuna meglio di me pose le reti e amò le selve. Una volta ritornavo stanca dal bosco di Stinfalo. Era molto caldo e la stanchezza mi faceva sentire doppiamente la calura. Trovai un piccolo fiume e mi avvicinai: prima mi bagnai le piante dei piedi, poi entrai nel fiume e mi tuffai nelle acque. Mentre nuotavo sentii un sussurro. Spaventata raggiunsi la vicina sponda. 'Dove corri, Aretusa?' gridò Alfeo dal profondo del fiume. 'Dove corri?', ripeté con voce roca. Io cominciai a fuggire. Alfeo mi inseguì. Correvo come le colombe con le ali palpitanti sogliono fuggire l'avvoltoio: egli mi inseguiva crudelmente come lo sparviero suole incalzare le trepidanti colombe. Riuscii a correre fino a Orcomeno, a Psofide, a Cillene, alle valli del Menalo, al gelido Erimanto, nell'Elide, e Alfeo non era più veloce di me. Ma io, impari di forze, non potevo continuare a correre più a lungo; egli, al contrario, sopportava la lunga fatica. Infine, affaticata, estenuata, esclamai: 'Sono presa. Aiutami, o Artemide!' Si commosse la dea; prese una delle sue dense nubi e con quella mi coprì. Il fiume osservava la caligine che mi avvolgeva e, ignaro, mi cercava intorno alla vuota nube; due volte girò, inconsapevolmente, intorno al luogo dove la dea mi aveva nascosta, e due volte invocò: 'Aretusa! Aretusa!' Intanto un gelido sudore ricopriva tutte le mie membra, e da tutto il mio corpo cadevano cerulee gocce ... e più presto di quanto io non racconti il fatto, fui mutata in fonte. Ma il fiume riconobbe le acque amate e, deposta la forma umana che aveva preso, si trasformò nelle usuali onde, per mescolarsi con me. Artemide aprì la terra e io, immersa in oscure caverne, giungo in Ortigia, dove rivedo la luce".
 
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