POSEIDONE (o Posidone) / NETTUNO- PERSEO-PALLADIO-PELIA-PORTUNNO

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view post Posted on 23/12/2008, 21:37

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POSEIDONE (o Posidone) / NETTUNO

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Statua in bronzo raffigurante Poseidone, detto "di Capo Artemisio", V sec. a.C.
Atene, Museo Archeologico Nazionale



Secondo la tradizione greca, Crono, figlio di Urano e divinità primigenia, appartenente alla prima generazione divina dei Titani, fu spodestato da tre dei suoi figli, gli Olimpici, i quali si divisero il suo regno: Zeus ebbe il dominio sul cielo e su tutte le terre, Ades fu il re dell'oscuro mondo sotterraneo e del regno dei morti, Poseidone fu signore delle acque e del mare.

Il primo dei tre, dio sovrano, appare pertanto come il fratello maggiore, soprattutto quando nel mondo greco si afferma il diritto della maggiore età. Le leggende più antiche narrano, invece, che Zeus aveva costretto il padre Crono - facendogli assumere, con l'aiuto di Gaia o dell'Oceanina Meti, una pozione apposita - a vomitare i figli che aveva inghiottito bambini (poiché gli era stato appunto predetto che sarebbe stato detronizzato da uno di loro), dal che si desume che egli fosse considerato il minore.

Gli Olimpici, guidati da Zeus, dichiararono guerra a Crono alleato con i suoi fratelli Titani. La guerra durava già da dieci anni, quando un oracolo predisse la vittoria a Zeus se egli avesse restituito la vita ai fratelli di Crono - gli Ecantochiri, cioè i "Giganti dalle cento Mani" e i Ciclopi - precipitati da Urano nel Tartaro.

Pur essendo soggetto alla volontà del fratello Zeus, Poseidone fu uno degli dei più potenti dell'Olimpo. Abitava una casa rilucente d'oro negli abissi del mare Egeo, presso la Tracia, nella quale si recava su di un cocchio d'oro, trainato da cavalli che galoppavano sul pelo dell'acqua, mentre tutte le creature marine accorrevano gioiose, tributando un caldo saluto al loro signore.

Poseidone fu allevato dai Telchini di Rodi e si unì allo loro sorella Alia, che gli dette sei maschi e, secondo alcune tradizioni, anche la figlia Rodo, da cui il nome dell'isola di Rodi. Afrodite fece impazzire i figli, inducendoli ad attentare alla propria madre, per cui Poseidone li precipitò nei visceri della terra con un colpo di tridente.

Poi sposò Anfitrite, une delle Nereidi figlie di Nereo e di Doride, ed ebbe da lei tre figli, dei quali il più noto fu Tritone, e una figlia di nome Roda (spesso confusa con Rodo), poi moglie di Elio, dio del Sole. La leggenda narra che Poseidone l'amasse da tempo ma che la Nereide gli si negasse per timidezza, nascondendosi nelle acque dell'Oceano, oltre le colonne d'Ercole. Fu infine ritrovata dai delfini, che la riportarono a Poseidone.

Ma il dio del mare non si poteva certo definire un modello di fedeltà coniugale, dato che gli vennero attribuite molte altre paternità extramatrimoniali: da una naiade ebbe Glauco che, per aver mangiato un'erba prodigiosa, divenne un'immortale divinità marina; dalla ninfa Toosa ebbe il ciclope Polifemo e Forco, che generò le Gòrgoni, le Graie, il drago Ladone e Scilla. Nacque come comune mortale ma, sconfitto in duello da Atlante, si gettò in mare e fu trasformato in dio, rappresentando la furia delle acque.

Da Medusa ebbe Pegaso - il cavallo alato - e Crisaore; con Melanto si unì sotto forma di delfino, da cui il nome Delfo del figlio; e suoi figli sembrano essere anche i Lestrigoni, giganti antropofagi che attaccarono le navi di Ulisse, quindi collocati tra il Lazio e la Campania; forse anche Briareo, gigante dalle cento braccia, detto dagli umani Aigaion, cioè Egeone, che partecipò come alleato degli Olimpici alla lotta contro i Titani.

Figlio suo è anche l'aggressivo gigante Anteo figlio di Gea (o Gaia, la Madre Terra) che costringeva tutti coloro che attraversavano la sua terra - la Libia o il Marocco - a lottare con lui. Dopo averli vinti e uccisi, con i loro crani ornava il tempio dedicato a Poseidone. Era invulnerabile finché toccava con i piedi la madre Terra che gli infondeva rinnovato vigore, ma Eracle, durante il suo passaggio in Libia, riuscì ad averne la meglio, sollevandolo sulle spalle.

Persino Cariddi, secondo alcuni mitografi, era figlia di Poseidone e di Gea, mentre altri ne attribuiscono la paternità a Forco. Durante la sua vita umana aveva mostrato una grande voracità e, quando Eracle attraversò la sua terra con i buoi di Gerione, Cariddi ne divorò alcuni. Per castigo Zeus la precipitò in mare con un fulmine ed ella divenne il terribile mostro.

Da Lisianassa Poseidone ebbe Busiride che figura nella leggenda come re d'Egitto, posto sul trono da Osiride quando questi intraprese il viaggio intorno alla terra. Tuttavia il suo nome non compare nelle dinastie faraoniche e potrebbe essere una deformazione di "Osiride".

Era un tiranno crudele, colpevole di molti misfatti, al quale l'indovino cipriota Frasio aveva vaticinato che solo il sacrificio di un forestiero, una volta l'anno, avrebbe allontanato la carestia che si era abbattuta sull'Egitto.

Il vate fu quindi la prima vittima e lo stesso Eracle, transitando per il Paese, fu catturato e destinato al sacrificio, ma riuscì a sciogliersi dai vincoli e a riacquistare la libertà, dopo aver ucciso Busiride e tutti i sacerdoti.

Secondo una leggenda era figlio di Poseidone - e non di Oceano, come tutti i fiumi - anche Acheloo, dio del fiume omonimo, oggi Aspropotamo. Come dio-fiume aveva il potere di assumere qualunque forma e quindi si trasformò in serpente e poi in toro per combattere Eracle quando questi chiese in moglie Deianira, già sposata con Acheloo. Nella lotta che ne seguì, Eracle gli strappò un corno e Acheloo si dichiarò vinto; rinunciò a Deianira e donò al rivale il proprio corno - o forse quello della capra Amaltea, già nutrice di Zeus - che, consacrato a Copia, dea dell'abbondanza (cornu copiae), acquistò il potere di elargire fiori e frutti in quantità. Mutilato e sconfitto, Acheloo si gettò nel fiume, che prese il suo nome.

Figli di Poseidone sono anche Alebione e Dercino, che vivevano in Liguria: quando Eracle attraversò la loro terra con i buoi di Gerione, i due cercarono di sottrarglieli ma egli li uccise.

Anche il cavallo alato Arione sarebbe suo figlio, sebbene i mitografi discordino sulle sue origini: chi lo dice nato da una delle Erinni, che abitavano nell'Ade - il regno dei Morti - insieme con le Moire, la Notte, Cerbero e la Morte stessa, personificata da Tanatos, fratello di Ipno il Sonno, entrambi figli della Notte. Chi lo dice nato invece da Demetra, chi da Zefiro e da un'Arpia, chi racconta che Poseidone lo fece emergere dai visceri della terra, percossa dal suo tridente.

Lo stesso è per le Arpie, che in alcuni autori sono mostri nati da Poseidone e da Gea, mentre in altri sono figlie di Taumante ed Elettra. Ugualmente incerto è il loro numero: per alcuni erano tre, Aello, Celeno e Ocipete; per altri erano molto più numerose, di cui le più note si chiamavano Acheloe, Alope, Ocitoe, Podarge e Tiella. Virgilio le descrive come mostri dal viso di fanciulle e dal corpo di uccello. Incitate da Era le Arpie perseguitavano l'indovino Fineo, insudiciandogli la mensa, per punirlo di aver dato ospitalità al fuggiasco Enea. Furono relegate nelle isole Strofadi dai figli di Borea.

Da Eurite Poseidone ebbe il figlio Alirrozio, protagonista di due diverse versioni del mito: secondo la prima, tentò di usare violenza ad Alcippe figlia del dio Ares, che quindi lo uccise; secondo l'altra, Alirrozio si adirò perché l'Attica era stata destinata ad Atena anziché al padre Poseidone e, per rappresaglia, cercò di recidere l'ulivo che la dea aveva donato a quella regione; ma l'ascia gli cadde dalle mani e gli tagliò la testa.

Da Ifimedia, figlia di Triope, ebbe i giganti Oto ed Efialte, detti Aloadi, che crescevano in modo smisurato: quando raggiunsero l'altezza di quasi venti metri decisero di assaltare l'Olimpo e dare battaglia agli dei, manifestando l'intenzione di prosciugare il mare, riempiendolo di massi, e di allagare la terra. Suscitarono quindi le ire divine e, secondo una versione, furono fulminati da Zeus; secondo un'altra, furono uccisi con l'inganno da Artemide, che assunse le forme di una cerbiatta e si slanciò tra i due, che si trafissero a vicenda nella fretta di colpirla.

Amò anche Alope figlia di Cercione, contro il volere del padre di lei, ed ebbe un figlio che fu abbandonato dalla nutrice nella foresta. Poseidone mandò una giumenta, animale a lui sacro, per allattare il bambino che, dopo diverse disavventure, fu allevato da un pastore e chiamato Ippotoo, poi capostipite della tribù degli Ippotoontidi. Alope fu invece messa a morte da Cercione e fu trasformata in fonte da Poseidone.

Secondo una diversa versione del mito di Poseidone, questi era padre dello stesso Cercione, di cui altri mitografi attribuiscono invece la paternità a Efesto. Cercione era il re di Eleusi e possedeva forza e crudeltà smisurate: costringeva alla lotta i viandanti e poi squartava i vinti, legandoli alle cime ravvicinate di alberi opposti, che poi rilasciava, provocando così lo smembramento delle sue vittime. Fu ucciso da Teseo.

Cicno, di Poseidone e di Calice, era il re di Colone nella Troade. Si oppose allo sbarco dei Greci e da solo ne uccise oltre mille, combattendo contro lo stesso Achille, da cui fu più volte colpito senza riportare alcun danno, perché era invulnerabile.

Eufemo, nato da Poseidone e da Europa, eccelleva nella corsa al punto da poter scivolare sulle acque senza bagnarsi i piedi.

Secondo alcuni mitografi, succedette a Tifi come pilota della nave Argo e prese parte alla caccia contro il Cinghiale Calidonio, figlio della scrofa Fea, che secondo alcuni fu invece la sua nutrice.

Era questi grande come un toro, con setole acuminate come dardi, zanne lunghe come falci e alito che uccideva chiunque lo respirasse. Fu mandato da Artemide a devastare il paese di Oeneo, re di Calidone.

Epopeo, re di Sicione, era figlio di Poseidone e di Canace. Accolse Antiope, figlia bellissima del fiume Asopo o del tebano Nitteo, amata da Zeus sotto le spoglie di satiro. Prima della nascita dei due figli avuti da quell'unione, Antiope fuggì per timore del padre, e trovò rifugio presso Epopeo. Il padre si uccise per il dolore ma chiese al fratello Lico di vendicarlo, e questi attaccò Sicione e trucidò Epopeo, riprendendo con sé la nipote.

Di Poseidone e di Amimone, figlia di Danao, è Nauplio ("il Vecchio", antenato di un eroe dallo stesso nome), fondatore della città di Nauplia. Figlio suo sembra essere anche Asopo, dio del fiume omonimo, avuto da Pero; e forse anche il mostro Gerione, fratello di Echidna, la cui madre era Calliroe, figlia di Oceano e di Teti, mentre la paternità è incerta tra Poseidone e Crisaore.

Ma, secondo alcuni mitografi, Crisaore è lui stesso figlio di Poseidone e della Gòrgone, mentre Calliroe ebbe da Poseidone il figlio Minia.

Ippotoe era figlia di Mestore, figlio di Pérseo, e di Lisidice. Poseidone se ne invaghì e la rapì, portandola nelle isole Echinadi, dove ella gli dette il figlio Tafio, a sua volta padre di Pterelao, re dei Teleboi.

Figlio di Poseidone e della Pleiade Alcione è Irieo, padre di Orione e re di Iria, città della Beozia. Secondo altre leggende, Irieo era invece un umile contadino che, per aver accolto nella sua capanna Zeus, Poseidone ed Ermes, fu premiato con l'esaudimento di un desiderio. Chiese pertanto un figlio, che gli dei fecero nascere fecondando la pelle del bue sacrificato in loro onore. Quel figlio fu Orione.

Secondo altre versioni, il gigantesco cacciatore Orione era invece figlio dello stesso Poseidone e di Euriale. Accolto nei cieli in forma di costellazione, era apportatore di pioggia. Dice Virgilio (Eneide, I, 873-877, nella trad. di A. Caro): "... quando / Orion tempestoso i venti e 'l mare / Sì repente commosse, e mar sì fero / Venti sì pertinaci, e nembi e turbi / Così rabbiosi ..." Così pure Parini (La caduta, 1-4): "Quando Orion dal cielo / Declinando imperversa, / E pioggia e nevi e gelo / Sopra la terra ottenebrata versa, / ...".

Probabilmente figlio di Poseidone (ma in qualche versione viene attribuito a Pelope) è anche Scirone, che abitava sulla costa di Megara. Secondo una delle varie leggende che lo riguardano, costringeva i viandanti a lavargli i piedi e poi li precipitava nelle acque sottostanti, dove un'enorme testuggine ne divorava corpi. Fu ucciso da Teseo.

Una delle leggende lo dice sposo di Cariclo, figlia di Cicreo, a sua volta figlio di Poseidone e di Salamina. Poiché un serpente flagellava l'isola omonima, Cicreo lo uccise e gli abitanti lo scelsero come proprio re in segno di riconoscenza. Divenne il protettore dell'isola, oggetto di culto: durante la battaglia di Salamina un serpente apparve tra le navi e l'oracolo di Delfi rivelò che era l'incarnazione di Cicreo, accorso in aiuto dei Greci.

Una delle figlie di Poseidone, Lamia, fu amata da Zeus e mise al mondo la Sibilla Libica. Le Sibille erano profetesse rivelatrici degli oracoli di Apollo, e molte sono le sacerdotesse con questo nome e le leggende che le riguardano. Secondo una delle tante storie, la prima profetessa fu appunto la figlia di Lamia, chiamata Sibilla dai Libici.

Altri figli di Poseidone, avuti da Tiro, discendente di Eolo, sono i gemelli Neleo e Pelia. Abbandonati alla nascita dalla madre, furono nutriti dalla giumenta inviata da Poseidone, cui l'animale era consacrato. Secondo una leggenda, Pelia fu colpito da un calcio della giumenta che gli deturpò il volto, da cui il suo nome, derivato dal greco pelion, cioè "livido". Diventati adulti, i due gemelli ritrovarono la madre, soggetta alle angherie della propria matrigna Sidero; Pelia uccise quest'ultima, nonostante ella si fosse rifugiata nel tempio di Era, e tale sacrilegio fu la causa della sua morte, dopo una vita lunga e densa di fatti e misfatti.

Dalla ninfa Satiria - considerata figlia di Minosse, re di Creta - Poseidone ebbe Taranto, eponimo della città omonima, mentre il nome di lei fu dato al locale Capo Satirione. Così si giustifica la tradizione che attribuisce origini cretesi alla città di Taranto.

Legato al ciclo di Eracle è un altro figlio di Poseidone, chiamato Sileo, che probabilmente aveva per fratello Diceo, ossia "il Giusto", cioè di nome e di fatto l'opposto del fratello. Questi era infatti il crudele padrone di una vigna, in Tessaglia, e costringeva i passanti a lavorare per lui, prima di metterli a morte. Eracle, ricevuto l'ordine di punire Sileo, si mise al suo servizio ma, invece di accudire le viti, devastò la vigna e uccise lo stesso Sileo con un colpo di zappa. Poi si innamorò della figlia di lui e la sposò ma, di lì a poco, dovette assentarsi e la giovane morì per il dolore del distacco. Lo stesso Eracle fu trattenuto a forza dal gettarsi sulla pira funebre dell'amata moglie.

Come si è visto, molti dei figli di Poseidone avevano, come caratteristica comune, una mostruosa forza bruta.

Così Amico - il Gigante nato anch'egli dal dio del mare, che aveva inventato il pugilato e il cesto, e regnava sui Bebrici in Bitinia - metteva a morte, prendendoli a pugni, gli stranieri che approdavano nella sua terra. Quando vi sbarcarono gli Argonauti egli li sfidò in combattimento; Polluce accettò la sfida e, con la sua prontezza e abilità, riuscì vincitore sulla violenza del gigante. La posta della lotta era che il vincitore avrebbe ucciso l'avversario, ma Polluce si contentò di far promettere ad Amico, vincolandolo con un solenne giuramento, di rispettare in futuro gli stranieri.

E lo stesso loro padre, forza benevola e generosa per gli uomini che lo onoravano e ne temevano la collera, quando si scatenava incarnava una violenza primitiva e incontrollabile. Tanto che al mare in tempesta, le cui onde battono le coste facendo tremare la terra, veniva legata un'altra prerogativa di Poseidone, quella di scatenare i terremoti.

I poemi omerici ci narrano di Poseidone che insieme ad Apollo costruì le mura inespugnabili di Troia, per ricompensare il re Laomedonte della sua ospitalità. Ed è anche ben nota l'irriducibilità della sua ira nei confronti di Ulisse, che gli aveva accecato il figlio Polifemo, e che egli ostacolò continuamente nel lungo viaggio di ritorno in patria, malgrado gli interventi a favore del suo protetto di Atena e dello stesso Zeus.

I Greci, grandi navigatori, ovviamente avevano un particolare culto per la massima divinità marina. Non vi fu luogo o città della Grecia dove non venissero innalzate statue o templi per il dio che squassava le onde col tridente. Gli fu costruito un tempio sull'istmo di Corinto e là si svolgevano i giochi Istmici, ai quali accorrevano tutti i Greci. Gli si intitolavano anche città, come Paestum, nell'Italia meridionale, che nacque come Posidonia, ossia città di Poseidone.

Poseidone è anche legato a tutte le sorgenti e alle acque che scorrono sulla terra, e come signore dei cavalli era particolarmente venerato nella Tessaglia, famosa per i suoi allevamenti. Si ritiene che sia il culto di Poseidone che il cavallo provenissero dall'Anatolia; e la figura di Poseidone trova strette analogie con delle divinità sumeriche, che esprimevano profezie collegate al mare.

La divinità corrispondente al Poseidone dei Greci, prese il nome di Nettuno presso i Romani; ma non essendo essi, a differenza dei Greci, dediti precipuamente alla navigazione ed esplorazione di terre lontane, il dio era onorato come il protettore dei pescatori e dei battellieri, ed era esaltato come signore dei cavalli, e gli venivano perciò dedicate le corse nel circo.

A Poseidone/Nettuno era sacro anche il delfino, sempre apprezzato dai marinai in quanto il suo apparire era segno di mare calmo e, quando nuotava vicino alle imbarcazioni, si riteneva che contribuisse a mantenerle in rotta. E al dio delle acque era stata consacrata anche una pianta: il pino. Le navi erano infatti quasi interamente costruite con tavole di legno di pino (o di cedro del Libano), considerato il migliore per la loro realizzazione.

Per i Romani la consorte di Nettuno era Venilia, antichissima divinità marina, forse una ninfa. Secondo alcuni si unì con Giano o con Fauno o con Dauno mentre, per Virgilio, era madre di Turno, re dei Rutuli, poi ucciso in duello da Enea.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 19:44

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PERSEO

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Statua in bronzo di Benvenuto Cellini, nella Loggia dei Lanzi a Firenze.




Perseo è un eroe di origine argiva; figlio di Zeus e di Danae, figura tra i diretti antenati di Eracle. La storia di Perseo comincia nel mare, perché Acrisio, padre di Danae, vi fece gettare il bimbo di pochi mesi e la madre, dentro un'arca di legno.

Questo perché un oracolo aveva detto ad Acrisio che un figlio di Danae, divenuto adulto, l'avrebbe ucciso; egli allora aveva rinchiuso la figlia in una camera di bronzo inaccessibile. Ma Zeus, in forma di pioggia d'oro, era sceso nella stanza da una fessura e si era unito a Danae, così mettendo al mondo Perseo; Acrisio aveva allora deciso di liberarsi del nipote affidandolo al mare con sua madre.

L'arca fu sospinta dai flutti sulle rive dell'isola di Serifo, nelle Cicladi, dove i naufraghi furono salvati e ospitati da Ditti, fratello del re Polidette. Quest'ultimo, quando Perseo fu adulto, gli ordinò di recidere e portargli la testa di Medusa (l'unica, delle tre Gorgoni, mortale) come dono per le sue nozze con Danae, cui egli aspirava.

Il giovane, con l'aiuto di Atena e di Ermes, riuscì nell'impresa: andò prima dalle sorelle Graie - le "vecchie donne" mai state giovani - che egli privò dell'unico occhio e dell'unico dente che avevano in comune, riuscendo così ad estorcere loro il segreto della sede delle Ninfe.

Esse gli dettero i calzari alati, la cappa (o secondo un'altra versione, un elmo) che rendeva invisibili, e una bisaccia dove porre la testa recisa di Medusa.

Perseo si innalzò nel cielo grazie ai calzari alati e, con l'aiuto di Atena, che teneva al disopra di Medusa uno scudo di bronzo levigato, che faceva da specchio, decapitò il mostro.

Mentre dal collo decapitato della Medusa scaturivano Pegaso, il cavallo alato, e il gigante Crisaore, Perseo mise la testa nella bisaccia e ripartì, inseguito dalle due altre Gorgoni, inutilmente perché reso

Sulla via del ritorno liberò, nella terra degli Etiopi, la figlia del re Cefeo, Andromeda, che era stata esposta su una roccia per essere divorata da un mostro marino: l'aveva condannata Poseidone, irato per un'offesa ricevuta dalla moglie di Cefeo.

Perseo, giunto in volo sul cavallo alato, uccise il mostro e, dopo aver vinto in duello il pretendente di Andromeda, la sposò e la condusse con sé.

Giunto a Serifo si vendicò di Polidette, che aveva tentato di usare violenza a Danae, e pietrificò il re e i suoi amici, mostrando loro la testa di Medusa. Restituì poi ad Ermes i sandali, la bisaccia e il manto, che il dio rese alle Ninfe, loro legittime proprietarie, mentre Atena poneva la testa della Medusa al centro del proprio scudo.

Tornato con la madre ed Andromeda ad Argo, per ricongiungersi al nonno, non lo trovò, perché Acrisio era fuggito nel paese dei Pelasgi, temendo sempre l'avverarsi dell'oracolo; si recò allora colà per persuaderlo a ritornare ad Argo, ma, partecipando ai giochi indetti dal re di Larissa, colpì il nonno con un disco durante una gara: così si avverò l'oracolo perché Acrisio morì. Pieno di dolore Perseo non osò tornare ad Argo per richiedere il regno di colui che aveva ucciso e scambiò Argo con Tirinto, dove regnava suo cugino Megapente, e Tirinto con Micene e Mideia fu la sede del suo regno fino alla sua morte.

Perseo è stato rappresentato dall'arte greca come un giovane con calzari alati, spesso con la testa della Gorgone in mano o nella bisaccia, e così compare in pitture vascolari, in rilievi marmorei o fittili, in specchi etruschi e in pitture pompeiane. In età moderna notevole è la statua in bronzo di Benvenuto Cellini, nella Loggia dei Lanzi a Firenze, commissionata all'artista nel 1545 da Cosimo I.

La Loggia dei Lanzi si trova sull'angolo destro di Palazzo Vecchio; fu costruita fra il 1376 e il 1382 per accogliere le assemblee del popolo e le cerimonie pubbliche, ad esempio quelle per l'insediamento dei Gonfalonieri e dei Priori. La sua prima denominazione fu infatti Loggia della Signoria o "dell' Orcagna", dal nome dell'artista che l'aveva progettata, mentre l'esecuzione fu affidata a Benci di Cione e Simone Talenti. Durante il governo di Cosimo I fu poi destinata ad ospitare le truppe mercenarie del duca, i Lanzichenecchi di cui porta ancora il nome.
 
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PALLADIO



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Il Palladio su un cratere del IV sec. a.C. (Roma, Museo di Villa Giulia)



Il Palladio era una statua alta tre cubiti (un cubito corrisponde a 44,4 cm.), che raffigurava la dea Pallade Atena, armata, con la lancia sollevata nella destra, e nella sinistra lo scudo, o, in altre rappresentazioni, un fuso e una conocchia; essa era quindi venerata come protettrice della casa ma soprattutto dell'integrità della città che la possedeva. Molte città rivendicavano pertanto il possesso del vero Palladio, e complesse nei loro sviluppi furono le leggende che fiorirono intorno a questo simulacro magico.

Apollodoro racconta che Atena fu allevata dal dio Tritone, la cui figlia Pallade giocava con Atena esercitandosi con lei nell'arte della guerra. Un giorno le due bambine ebbero un litigio e, mentre Pallade stava per colpire la compagna, Zeus - padre di quest'ultima - s'interpose spaventandola con la propria egida, così permettendo ad Atena di colpire per prima, ferendo Pallade a morte. In onore dell'amica morta Atena plasmò una statua a sua immagine e le tributò onori divini.

Altre leggende narrano che il Palladio venerato ad Atene nel tempio della dea Atena, fosse caduto dal cielo in una località a sud-est della città, che da esso prese il nome. Ma il più famoso Palladio fu quello di Troia, che, donato da Zeus a Dardano, antenato dei Troiani, rendeva inespugnabile la città, e l'aveva preservata infatti per dieci anni di assedio. Finché Ulisse, con l'aiuto di Diomede riuscì a portare la statua fuori dalla città.




Leggende diverse affermano invece che il vero Palladio era rimasto a Troia, e che Enea, nella notte fatale dell'incendio, era riuscito a sottrarlo dal tempio per portarlo con sé fino in Italia. Questo Palladio era posto a Roma nel tempio di Vesta, dove le Vestali gli tributavano un culto, e a Roma, come una volta a Troia, la sicurezza della città era legata alla sua conservazione.

Nell'antica arte greca il Palladio è rappresentato a partire dal VI secolo a.C. su anfore e altri vasi e talvolta su bronzi; la figura della dea vi appare da sola, o in unione con altre, come nella scena che mostra Cassandra abbracciata all'idolo, presso cui cerca protezione contro Aiace; o nella scena in cui Ulisse e Diomede, a Troia, rapiscono il simulacro della dea.




Il nome di Pallade fu assegnato a uno dei satelliti di Giove, da Gio Domenico Cassini, nato a Perinaldo (Imperia) nel 1625 e poi chiamato da Colbert a potenziare e dirigere l'Osservatorio astronomico di Parigi, dove lo Scienziato morì nel 1712.
 
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PELIA

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Pelia e Neleo ritrovano la madre. Rilievo del IV sec. a.C.
Reggio Calabria, Museo Nazionale



Scacciato il fratello Neleo, Pelia si stabilì in Tessaglia e divenne re di Iolco. Un giorno indisse sacrifici in onore del padre Poseidone e convocò i propri sudditi, tra i quali il nipote Giasone. Questi accorse ma, attraversando un fiume, perse un calzare.

Quando Pelia lo vide ricordò l'avvertimento dell'oracolo di Delfi, che gli aveva detto di diffidare di un uomo con un piede nudo. Chiese pertanto a Giasone come si sarebbe difeso se, essendo re, avesse avuto accanto l'uomo che voleva spodestarlo. Giasone rispose che l'avrebbe mandato alla ricerca del Vello d'Oro: la sua risposta era stata ispirata da Era - memore dell'affronto subito con la profanazione del suo tempio - che intendeva vendicarsi per mano di Medea; ma Pelia non lo sapeva e prese Giasone in parola.

Convinto di essersi sbarazzato del rivale, per consolidare definitivamente il proprio potere Pelia uccise il proprio fratellastro Esone, padre di Giasone, provocando anche la morte della madre di questi, Alcimede, che si impiccò per il dolore, così abbandonando anche il proprio ultimo nato alla furia omicida di Pelia.

Al suo ritorno Giasone si dette ad architettare la vendetta con l'aiuto della moglie Medea, maga potente. Costei si presentò alla corte di Iolco e disse alle figlie di Pelia che sarebbe riuscita a rendere la giovinezza al loro padre, ormai avanti negli anni. Per dimostrare le proprie arti, fece a pezzi un vecchio ariete e lo mise a bollire con erbe magiche, finché dal paiolo non uscì un agnello. Le figlie di Pelia - ad esclusione di Alcesti, cui l'amore filiale impedì di unirsi alle sorelle - convinte, si affrettarono a seguire le indicazioni di Medea, ma Pelia non resuscitò. Inorridite dal proprio misfatto, le figlie andarono in esilio, mentre il figlio Acasto, per rendere onori funebri al padre, indisse giochi ginnici rimasti celebri - i cui partecipanti sono noti per esser stati tramandati dai mitografi - e bandì dal regno Giasone e Medea.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 22:54

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PORTUNNO




Portunno, antichissima divinità romana, era ritenuto, in epoca storica, un dio marino preposto ai porti e il suo tempio era situato sul Forum Boarium, nelle vicinanze immediate del porto di Roma, dove il 17 agosto veniva celebrata in suo onore una festa speciale, i Portunalia. Portunno fu assimilato al dio Palemone, e, a questo titolo, considerato figlio di Mater Matuta, ella stessa identificata con Ino-Leucotea.
 
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