EUROPA-EOLO E I VENTI-ECATONCHIRI- Enea e il Mediterraneo-EFESTO

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view post Posted on 26/12/2008, 19:56

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EUROPA

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Il ratto di Europa. Pittura parietale, I sec., da Pompei.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale.




Europa è il nome di varie eroine, tra cui la figlia di Tizio, che da Poseidone generò Eufemo; una delle Oceanine, figlia di Oceano e di Teti; la madre di Niobe, moglie di Foroneo; e la figlia di Nilo, una delle mogli di Danao.

Ma la più celebre è la figlia di Agenore e di Telefassa, la quale fu amata da Zeus.

Il re degli Dei vide Europa mentre ella giocava con le compagne sulla spiaggia di Sidone, o di Tiro, di cui suo padre era re. Infiammato d'amore per la sua bellezza, si trasformò in un toro di un colore abbagliante, dalle corna simili a un quarto di luna, e andò ad accucciarsi ai piedi della fanciulla. Questa, dapprima spaventata, si fece poi coraggio, accarezzò l'animale e gli montò in groppa. Immediatamente il toro si slanciò verso il mare e, malgrado le grida d'Europa, che si afferrava alle corna, penetrò nei flutti e si allontanò dalla riva. Giunse fino a Creta dove, vicino ad una fonte, a Gortino, Zeus si unì alla ragazza sotto i platani, che, in ricordo di tali amori, conservarono il privilegio di non perdere mai le foglie.

A Zeus ella diede tre figli: Minosse, Sarpedone e Radamanto e Zeus le fece in seguito tre regali: Talo, il robot di bronzo, che sorvegliava le coste cretesi da ogni sbarco estraneo, un cane che non si lasciava sfuggire alcuna preda, e uno spiedo da caccia che non falliva mai il bersaglio. Poi la diede in sposa al re di Creta, Asterione, il quale non aveva prole e adottò i figli di Zeus. Dopo la morte a Europa furono tributati onori divini. Il toro personificato da Zeus diventò una costellazione e fu posto fra i segni dello Zodiaco.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 21:31

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EOLO E I VENTI
Boreas N

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Kaikias NE


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Apeliotes E
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Euros SE
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Notos S
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Lips SW
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Zephyros W
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Skiron NW
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La Torre dei Venti di Atene - costruita nella prima metà del I sec. a.C. dall'astronomo Andronico di Kyrrhos in Macedonia - è un edificio ottagonale di marmo bianco, di cui ciascun lato, di 3.20 m di lunghezza, è sormontato da un bassorilievo con la raffigurazione di un vento.
Al culmine della Torre si trovava un tritone di bronzo che girava al soffiare del vento e si fermava secondo la direzione di questo, in corrispondenza della figura pertinente nel rilievo.
Sepolta dal terriccio nel corso dei secoli, fu riportata alla luce verso la metà dell'Ottocento dalla Società Archeologica Greca, ed è stata sottoposta a restauri nel 1916-1919 e nel 1976.

Per i popoli legati al mare, e che dal mare traevano il loro sostentamento, come i Greci, i Romani e tutti gli altri del bacino del Mediterraneo, i venti scandivano ogni fase dell'esistenza e delle loro principali attività: agricoltura, navigazione, commercio.

I racconti mitologici forniscono quindi numerose rappresentazioni di queste importanti forze della natura. Tutti i venti abitavano in Tracia, o, secondo una tradizione posteriore, nelle isole Lipari, sotto la tutela di Eolo, definito il loro "custode", o a volte "padre", o anche "dio", che viveva felice nella sua caverna sul mare con la moglie, sei figli e sei figlie.

Dal suo nome le isole furono anche dette Eolie.

Non tutti i venti erano favorevoli all'uomo, come ad esempio quelli derivati da Tifone, mostro capace con il soffio infuocato di portare scompiglio e distruzione. I più importanti, che bisognava conoscere per garantirsi una tranquilla e facile navigazione, si diceva fossero i figli di Astreo (il Cielo stellato) e di Eos (l'Aurora); erano quattro: Borea dal nord, Noto dal sud, Zefiro da ovest ed Euro da sud-est.

Borea, considerato come il soffio stesso di Zeus, è un vento impetuoso che spira dal nord con grande forza, particolarmente venerato dagli Ateniesi, convinti che avesse provveduto, con un tremendo uragano, a sgominare la flotta di Serse, il re persiano che minacciava la Grecia con una colossale spedizione. Noto, l'umido vento del sud, porta le piogge e rende difficoltosa la navigazione in certi periodi dell'anno.

Zefiro, che aveva generato Xanto e Balio, ossia i due cavalli di Achille, chiamato dai Romani Favonio, è particolarmente gradito perché annuncia la primavera e la bella stagione, favorendo la germinazione delle sementi e la ripresa della natura dal lungo sonno invernale. Euro, infine, che i Romani chiamavano Vulturno, soffia da sud-est e porta ora la siccità, ora le piogge.

Pure i venti secondari erano tenuti in giusta considerazione, poiché avevano il potere di provocare anch'essi effetti diversi. Rappresentati in forma umana, con le ali e con le guance vistosamente gonfie nell'emettere un soffio potente, sono altri quattro: Caecias o Aquilone dal nord-est, Apeliotes dall'est, Lips o Africo (poi conosciuto come Libeccio) dal sud-ovest, e Skyron dall'ovest o nord-ovest.

Otto dunque (quante ne vennero raffigurate nell'edificio costruito ad Atene nel I sec. a. C., la cosiddetta Torre dei Venti) le creature quasi divine tenute in gran conto e onorate dalla gente di mare, per la quale sempre hanno avuto precipua importanza, tanto che nella religione romana i venti e le affini tempestates erano collegati al culto di Nettuno.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 22:27

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ECATONCHIRI



Sono giganti dotati di cento braccia e cinquanta teste. Sono in numero di tre: Cotto, Briareo (o Egeone) e Gige (o Gie). Figli di Urano e di Gaia, appartengono alla stessa generazione dei Ciclopi. Come questi, sono gli ausiliari degli Olimpici nella lotta contro i Titani.

Le interpretazioni evemeriste fanno degli Ecatonchiri non giganti, ma uomini che abitano la città d'Ecatonchiria, in Macedonia. Avrebbero aiutato gli abitanti della città di Olimpia (gli Olimpici) a lottare contro i Titani e a cacciarli dalla regione.




"Evemeristi" erano detti i seguaci delle tesi del fìlosofo Evemero di Messene (sec. III a.C.), per il quale gli dèi sono eroi realmente esistiti e poi divinizzati dalla fama popolare. Furono quindi accusati di incoraggiamento all'ateismo dai seguaci della religione dei padri.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 23:00

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Enea e il Mediterraneo



viaggio di Enea da Troia alla foce del Tevere
Da Gaetana Miglioli, Il romanzo della mitologia dalla A alla Z,
Messina-Firenze, casa editrice G. D'Anna, 1991




La storia di Enea trova maggiore spazio nella mitologia e nella poesia latina che in quella greca: le sue gesta occupavano già una parte notevole nell'Iliade, ma Virgilio ne fece il protagonista assoluto del suo poema, rendendone la personalità unica ed estremamente moderna per il modo con cui l'eroe troiano interpretò l'esistenza e per l'atteggiamento che assunse di fronte ad essa; inoltre l'itinerario del suo viaggio e le tappe sulle coste del Mediterraneo fanno pensare quasi ad una mitica presa di possesso da parte del presunto antenato dei Romani di quel mare che essi amavano chiamare " nostrum ".

Nato dall'unione tra Anchise e Afrodite, trascorse l'infanzia e la prima giovinezza sul monte Ida, sul quale si appartò poi a vivere serenamente col padre Anchise, la moglie Creusa e il figlioletto Ascanio, nei primi tempi della guerra di Troia, alla quale egli, amante della pace, era contrario. Ma fu costretto a prendere le armi per difendere se stesso e la vita dei suoi cari il giorno che arrivò sull'Ida Achille con i suoi Mirmidoni, che egli respinse con coraggio e accanimento.

Coinvolto ormai nella guerra, prese parte a diverse azioni, finché Troia cadde ed Enea assistette con estrema angoscia alle ultime ore della città; con un gruppo di compagni tentò di opporsi ai nemici combattendo, finché la madre Afrodite gli mostrò l'inutilità del suo gesto, rivelandogli che il destino gli affidava un compito molto più importante: cercare la salvezza e un futuro in una nuova patria, portandovi i Penati di Troia.

Così l'eroe, vinta - con l'aiuto di un prodigio divino - la resistenza del padre Anchise che, vecchio e stanco, avrebbe preferito non lasciare la terra in cui era sempre vissuto e dove avrebbe voluto esser sepolto, lasciò la città ancora in fiamme.

Caricatosi sulle spalle il padre che recava in mano i sacri Penati, preso per mano il figlioletto Ascanio e seguito dalla moglie Creusa, si avviò al porto di Antandro, che aveva indicato come luogo del raduno ai pochi Troiani superstiti decisi a partire insieme a lui; qui giunto si accorse però che Creusa non c'era più. Disperato tornò indietro a cercarla, a chiamarla, ma tutto fu vano, e infine l'ombra dell'amata moglie gli apparve esortandolo a partire, a mettersi in salvo con il loro figlio e con gli altri; lei sarebbe per sempre rimasta tra le ceneri di Troia, ma col pensiero li avrebbe accompagnati nel viaggio e nelle nuove vicende che li aspettavano.

Molte furono le tappe del viaggio, pieno di avventure, contrattempi, episodi dolorosi, avvenimenti prodigiosi. I profughi furono dapprima in Tracia, dove Enea parlò con l'ombra di Polidoro, l'infelice figlio di Priamo: il padre l'aveva mandato, perché si salvasse insieme con buona parte del tesoro troiano, presso il re del luogo, Polimestore, il quale però, alla notizia della caduta di Troia, l'aveva fatto uccidere per impadronirsi del tesoro.

Lasciato quel luogo infido, dove regnava chi non aveva rispetto né per le leggi divine né per quelle umane, Enea andò a Delo a consultare l'oracolo, che lo esortò a cercare la sua antica patria; pensando che l'oracolo alludesse a Creta, da cui proveniva uno dei più antichi re di Troia, si recò quindi in quell'isola; ma i Penati gli apparvero in sogno avvertendolo che la terra che doveva cercare, l'Enotria o Italia, era più ad ovest.

Si accinse quindi ad attraversare il mare Ionio; ma la dea Giunone, a lui avversa, suscitò una violenta tempesta che spinse le navi sulle isole Strofadi, da cui i profughi furono costretti a ripartire subito dalle mostruose Arpie guidate da Celeno, che si erano gettate in volo sui loro cibi, contaminandoli.

Enea si recò allora in Epiro da Eleno, uno dei figli di Priamo che, come sua sorella Cassandra, aveva il dono della profezia ed era divenuto re in seguito ad una vicenda straordinaria. Il figlio di Achille, Pirro-Neottolemo, lo aveva portato via da Troia come schiavo; del bottino faceva parte anche Andromaca, la vedova di Ettore, che Pirro aveva dato in sposa ad Eleno; quando poi il violento figlio di Achille fu ucciso, gli abitanti del luogo chiesero ad Eleno di diventare il loro re.

Enea fu lieto di sapere che un troiano di stirpe regale avesse avuto una buona sorte, ma fu profondamente afflitto quando vide Andromaca: impietrita nel dolore e lontana nella mente, rievocava ogni giorno, con offerte e preghiere presso un falso sarcofago di Ettore che era stato eretto a Butroto, la sua tragedia di donna cui avevano ucciso il marito ed il figlio.

Lasciata Butroto Enea, seguendo il consiglio di Eleno, si diresse verso la Sicilia, la circumnavigò per evitare Scilla e Cariddi e si fermò ad Erice, dove ebbe il dolore di perdere il padre Anchise, indebolito dalle fatiche del viaggio; sepolto il padre riprese il mare ma di nuovo una violenta tempesta fece smarrire la rotta alle navi e le sospinse sulla costa dell'Africa.

La nave di Enea approdò in un porto tranquillo, ma egli temeva, insieme ai pochi scampati, di aver perso tutti gli altri compagni; mentre disperato perlustrava il luogo, incontrò sua madre Afrodite in veste di fanciulla, che lo confortò e gli consigliò di presentarsi a Didone, regina del luogo e chiederle ospitalità.

Enea quindi, con pochi compagni e con il figlio, si diresse verso la città indicatagli, nella quale fervevano i lavori di costruzione di edifici, strade, templi; era avvolto da una nube prodigiosa che gli permetteva di non esser visto, e così giunse fino al trono dal quale la regina Didone esercitava la giustizia e impartiva ordini.

Vide allora che erano appena giunti a chiedere ospitalità e aiuto anche i compagni che aveva creduto persi nel naufragio e, dissoltasi la nube che lo avvolgeva, si unì agli amici nella supplica alla Regina, che accolse con benevolenza le preghiere dei naufraghi e ospitò Enea nel suo palazzo insieme al figlio Ascanio

Anche Didone era una profuga, fuggita dalla patria con alcuni fedeli compagni dopo che le era stato ucciso in una congiura il marito Sicheo; subito attratta dall'eroe troiano, concepì per lui una profonda passione e insieme la speranza che egli rimanesse a dividere con lei il fardello del comando; d'altra parte anche Enea si sentì legato da un fortissimo sentimento a quella donna coraggiosa, che gli fece dimenticare tutto, e in particolare il dovere impostogli dagli dei della ricerca di una nuova patria; Giove allora mandò Mercurio a ricordargli il suo destino, ed egli dovette dire addio alla regina Didone.

Didone tentò in ogni modo di trattenerlo, ma alla fine, di fronte alla sua decisione irrevocabile, presa dalla disperazione al pensiero di un futuro quanto mai triste, si tolse la vita; ed Enea dalla nave già al largo della sponda africana, affranto e impotente, vide il rogo alzarsi dal palazzo reale come un luttuoso segnale.

L'eroe troiano e i suoi compagni, partiti alla volta dell'Italia, fecero prima una breve tappa in Sicilia, ad Erice, per rendere gli onori funebri ad Anchise, colà sepolto, poi arrivarono finalmente in Italia, a Cuma, dove Enea dovette fermarsi per interrogare la Sibilla; ma prima di scendere con lei nel regno dei morti, dette sepoltura al trombettiere Miseno sul promontorio che da lui prese il nome di Capo Miseno: costui aveva osato sfidare gli dei ed era stato precipitato in mare dal dio Tritone. La Sibilla lo accompagnò nell' Averno perché egli ottenesse dal padre notizie sui suoi discendenti e sulle vicende che ad essi sarebbero state legate.

Il viaggio riprese; vi fu un'ultima sosta per rendere onoranze funebri alla nutrice Caieta - dalla quale derivò il nome della città, in seguito chiamata Gaeta - finché le navi approdarono sulle rive del Tevere; e qui avvenne un prodigio: le navi si tramutarono in ninfe e si allontanarono in mare, e da ciò Enea comprese di essere arrivato nel luogo designato dagli dei, dove le sue peregrinazioni sarebbero finite.

Ma non erano finite le difficoltà. Fu accolto con tutti gli onori da Latino, re della città di Laurento, che gli offerse in sposa la figlia Lavinia, seguendo i segni divini che gli avevano profetizzato necessario tale matrimonio; fu tuttavia avversato dalla moglie di Latino, Amata, e dal pretendente di Lavinia, Turno re dei Rutuli, che raccolse molte genti del circondario e mosse guerra a quello che riteneva un usurpatore.

Come sempre era avvenuto da parte di Enea nei riguardi della guerra, egli si batté con onore ma a malincuore e solo per realizzare il disegno divino, e alla fine si compì anche il destino di Turno, che cadde sotto i colpi dell'eroe troiano.

Con la morte di Turno finisce in Virgilio la storia delle peregrinazioni di Enea, ma le leggende antiche tramandavano le sue ultime vicende, raccontando che durante un combattimento contro gli Etruschi, che erano stati alleati di Turno, nel culmine di un'improvvisa tempesta scomparve e Venere lo trasportò nell'Olimpo, dove divenne una divinità, onorata in seguito dai Romani col nome di Giove Indigete. Il figlio di Enea, Ascanio-Iulo fondò poi la città di Albalonga e dalla sua stirpe ebbe origine la famiglia Giulia.

La figura del " pius Aeneas " - di questo eroe che, pur non amando la guerra, combatté per difendere la sua antica e la sua nuova patria, che si mostrò sempre ossequioso verso gli dei, premuroso verso la famiglia, rispettoso delle leggi divine ed umane, e soprattutto affrontò sempre la vita con un grande senso di responsabilità, volendo portare a termine ad ogni costo i compiti che il destino gli aveva affidato - ritorna, durante il Medioevo in tutte le riduzioni, parafrasi, imitazioni che si fecero del poema virgiliano.

Nel Rinascimento essa diventa uno dei modelli ideali della tradizione epico-cavalleresca, e la sentiamo presente all'Ariosto nella figurazione di Ruggero, e al Tasso in quella del "pio" Buglione.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 23:17

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EFESTO

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Teti chiede a Efesto di forgiare le armi per Achille.
Affresco da Pompei, I sec. d.C.
presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli



Figlio di Zeus e di Era, Efesto è il dio del fuoco. Ma una diversa leggenda vuole che Era, indispettita perché Zeus aveva generato Atena senza il suo contributo, a sua volta senza l'intervento maschile mettesse al mondo Efesto - come pure Tifone - e lo fece addestrare nell'arte di forgiare i metalli.

Efesto è zoppo, secondo Omero perché Zeus lo aveva scagliato giù dall'Olimpo, dopo che il figlio aveva preso le difese di Era durante un litigio, ed era rotolato per un giorno intero finché non era "approdato" nell'isola di Lemno. Qui era stato curato dai nativi ma era rimasto menomato.

Ma l'Iliade riporta anche un'altra leggenda, secondo la quale Efesto nacque deforme ed Era, vergognandosi di lui, lo lanciò nel vuoto dall'Olimpo. Efesto cadde nell'Oceano e fu allevato in segreto da Teti, in una caverna sommersa, dove creò per lei splendidi gioielli, in segno di eterna gratitudine.

Volle poi vendicarsi della madre e fabbricò allo scopo un trono d'oro, che avviluppava di catene chiunque vi si sedesse. Lo mandò come proprio dono ad Era, che vi rimase infatti imprigionata, senza potersi liberare dai vincoli. Gli dei impartirono quindi a Dioniso l'ordine di riportare sull'Olimpo Efesto, perché liberasse Era, e Dioniso lo convinse dopo averlo fatto ubriacare.

Efesto è il dio del fuoco, dei metalli e dell'arte di forgiarli; regna sui vulcani che sono le sue officine, dove lavora aiutato dai Ciclopi, e lì fabbrica armi invincibili per Achille, implorato da Teti, madre dell'eroe, che vuole assicurare il ritorno del figlio dalla guerra di Troia.

Nonostante la sua deformità, Efesto ebbe celebri amori, di cui il più noto con Afrodite, che Zeus gli aveva destinato in moglie. Sennonché la dea divenne l'amante di Ares e Elio, dio del Sole che tutto vede, informò Efesto. Questi non disse nulla, ma intessé una rete invisibile attorno al letto della moglie che, non appena Ares e Afrodite si incontrarono, si chiuse immobilizzandoli ed esponendoli alla derisione dell'intero Olimpo.
 
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