ELLE e FRISSO-ESPERIDI-ERMES-ERCOLE-ERCOLE Prima Fatica: il leone Nemeo

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view post Posted on 26/12/2008, 19:59

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ELLE e FRISSO
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Elle cade in mare dall'ariete. Pittura parietale, I sec., da Pompei.
Napoli, Museo Archeolgico Nazionale



Nefele, dea delle nubi, sposò Atamante, figlio di Eolo, dio dei venti, e re della Beozia. Dall'unione nacquero due figli: Frisso, "la pioggia che scroscia", e Elle, " la luce". In seguito Atamante abbondonò Nefele per sposare la crudele Ino. La Dea si ritirò nell'Olimpo ma si vendicò scatenando una forte siccità nelle terre dell'ex-marito. Ino tentò di convincere Atamante a sacrificare i giovani a Giove, per porre fine alla calamità, ma Nefele ottenne la pietà degli Dei, che inviarono un ariete dal vello d'oro per consentir loro la fuga. I due fratelli volarono via in groppa all'animale per rifugiarsi nella Colchide, ma Elle cadde in acqua e quel tratto di mare fu chiamato Ellesponto, cioè "mare di Elle".
 
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view post Posted on 26/12/2008, 21:35

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ESPERIDI

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Eracle nel giardino delle Esperidi.
Pittura parietale a Pompei
(part., I sec. a. C.).
Napoli, Museo Archeologico Nazionale



Le Esperidi sono le "Ninfe del Tramonto", le mitiche fanciulle dall'amabile canto, che abitano nell'Estremo Occidente, non lontano dall'isola dei Beati, in riva all'Oceano. Nella teogonia esiodea sono figlie della Notte, ma successivamente furono ritenute figlie di Zeus e di Temi, di Forcide e di Ceto, e infine di Atlante, che di fronte al loro giardino sostiene la volta celeste.

Vario il loro numero e il nome, ma di solito sono tre: Egle, Aretusa, Espere. La loro funzione essenziale era quella di sorvegliare, con l'aiuto di un drago, il giardino degli dei, in cui crescevano i pomi d'oro, regalo fatto un tempo dalla Terra ad Era in occasione delle sue nozze con Zeus.

Esse cantano in coro presso fonti sorgive che diffondono l'ambrosia. Sono legate al ciclo di Eracle, che va a cercare presso di loro i tre pomi che doveva consegnare ad Euristeo, per averne in cambio l'immortalità.

Disperate per aver perso i frutti loro affidati, le Esperidi furono trasformate in alberi - un pioppo, un salice e un olmo, sotto i quali sostarono gli Argonauti - mentre il drago, secondo una versione del mito, divenne la costellazione del Serpente.

Le Esperidi sarebbero infine la personificazione delle lontane onde oceaniche, e i pomi simbolo della fecondità e dell'amore.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 22:31

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ERMES

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Ermes, chiamato dai Latini Mercurio, era figlio di Zeus e di Maia, e fin dalla nascita rivelò una prodigiosa vitalità. Quando nacque, in una grotta sul monte Cillene, la madre lo depose in una cesta, ma lui trasformatosi subito in fanciullo salto fuori dalla culla e uscì in cerca d’avventure. Fuori dalla grotta vide una tartaruga, la prese la estrasse dal guscio e sul lato concavo tese sette corde, inventando cosi un importante strumento musicale, la lira. Dopo alcuni giorni, uscendo di soppiatto dalla grotta andò in un campo dove pascolava la mandria d’Apollo e la rubò. Per evitare che, sul terreno, restassero le tracce, mise sotto gli zoccoli delle bestie della corteccia d’albero. Apollo accorgendosi del furto andò subito dal giovane dio a riprendersi la sua mandria ma decise invece di cambiarla con lo strumento musicale creato da Mercurio. Un giorno, quando le vacche stavano pascolando, il giovane dio prese una canna dalla riva di un torrente, la tagliò e ne fece uno zufolo, e iniziò a suonarlo con grande maestria.Apollo sentendo la dolce melodia del nuovo strumento d’Ermes volle fare a cambio con il suo bastone dorato con il quale poteva radunare le mandrie, cosi facendo Ermes diventò il dio dei mandriani e dei pastori. Zeus, essendo ugualmente orgoglioso dell’intraprendenza del figlio, lo rimproverò, perché gli altri dei si lamentavano di vari furti commessi da Ermes. Ad esempio a Poseidone era sparito il suo tridente, ad Efesto i suoi attrezzi, ad Ares la sua spada. Ermes sentendosi in torto disse al padre che li rubava soltanto per avere, dopo, la gioia di restituire.Zeus dopo aver fatto promettere al figlio di non rubare più, lo portò con lui sull’Olimpo nominandolo messaggero degli dei, ed affinché potesse svolgere la sua mansione con maggior rapidità gli furono donati dei sandali alati, un cappelluccio, ed un bastone d’oro chiamato caduceo affinché tutti lo potessero riconoscere.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 23:21

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ERCOLE

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Elettrione, figlio di Perseo, re di Micene e marito di Anasso, marciò contro i Tafi e i Telebani, perché essi si erano riuniti, seguendo il consiglio di Pterelao, per razziare il suo bestiame. Nello scontro, però, gli otto figli di Elettrione morirono. Durante la sua assenza, suo nipote, Anfitrione, re di Trezene, assunse la carica di reggente, col patto che al ritorno avrebbe potuto sposare la figlia di Elettrione, Alcmena. Anfitrione, informato dal re dell'Elide che la mandria rubata era in suo possesso, pagò il forte riscatto richiesto e poi mandò a chiamare Elettrione perché identificasse il bestiame. Quest'ultimo, per nulla soddisfatto all'idea di dover rimborsare al nipote la somma del riscatto, gli chiese bruscamente quale diritto avessero gli Elei di vendere la roba rubata, e perché mai Anfitrione aveva ammesso tale frode. Senza degnarsi di rispondere, Anfitrione diede sfogo alla propria ira lanciando un bastone contro una delle vacche, che sbattendo nelle corna rimbalzò su Elettrione uccidendolo, quindi Anfitrione fu bandito dall'Argolide da suo zio Stenelo, che si impadronì di Micene e di Tirinto e affidò il resto del regno, con Midea come capitale, ad Atreo e a Tieste, figli di Pelope.

Anfitrione accompagnato da Alcmena fuggì a Tebe, dove re Creonte lo purificò e diede in sposa sua sorella Perimeda all'unico figlio superstite di Elettrione, Licinnio, un

bastardo nato da una donna frigia chiamata Midea. Alcmena, decise che non si sarebbe coricata con Anfitrione finché egli non avesse vendicato la morte dei suoi otto fratelli. Creonte gli concesse di reclutare un esercito di Beoti, a patto che egli liberasse i Tebani dalla volpe Teumessia. Anfitrione con l'aiuto dei contingenti ateniesi, focesi, argivi e locresi, soppraffece i Telebani e i Tafi e consegno le loro isole ai suoi alleati, tra i quali c'era anche suo zio Eleo.

Nel frattempo, approfittando dell'assenza di Anfitrione, Zeus si trasformò in lui e si presentò ad Alcmena, le assicurò che i suoi fratelli erano ormai vendicati e giacque con lei per una notte che egli fece durare quanto tre. Alcmena tratta in inganno, ascoltò con gioia quanto Zeus le raccontava sulla sconfitta inflitta a Pterelao a Ecalia. Il giorno seguente, quando Anfitrione ritornò, esaltato dalla vittoria e dalla passione per Alcmena, non fu accolto nel letto coniugale col trasporto che si aspettava. Anfitrione, che non riusciva a capire il comportamento della moglie, consultò il veggente Tiresia e seppe di essere stato cornificato da Zeus; in seguito non osò più giacere con sua moglie, per paura di incorrere nella gelosia divina.

Nove mesi dopo, sull'Olimpo, Zeus si vantò di aver procreato un figlio, ora sul punto di nascere, che sarebbe stato chiamato Eracle, e cioè « gloria di Era» e avrebbe governato sulla nobile casa di Perseo. Hera allora gli fece promettere che il primo principe della casa di Perseo nato prima del calar del sole sarebbe stato gran re. Dopo che Zeus fece la promessa, Era si recò subito a Micene, dove affrettò le doglie di Nicippe, moglie di re Stenelo. Poi si precipitò a Tebe e sedette a gambe incrociate dinanzi alla porta di Alcmena, con i lembi della veste annodati e le dita congiunte; in tal modo riuscì a ritardare la nascita di Eracle, finché fu certa che Euristeo figlio di Stenelo, fosse già nella culla. Quando Eracle venne alla luce, un'ora più tardi, si scoprì che aveva un gemello, che fu chiamato Ificle, figlio di Anfitrione e più giovane di lui di una notte.

Quando Hera risalì all'Olimpo e soddisfatta si vantò di essere riuscita a tenere lontana Ilizia, dea del parto, dalla soglia di Alcmena, Zeus fu colto da una collera violentissima, afferrò sua figlia maggiore Ate, che l'aveva reso cieco all'inganno della moglie, la fece roteare sopra la propria testa stringendone fra le dita la bionda chioma e la scaraventò sulla terra. Sebbene Zeus non potesse rimangiarsi il giuramento e permettere a Eracle di governare sulla casa di Perseo, persuase Hera ad acconsentire che, dopo aver compiuto dodici fatiche impostegli da Euristeo a suo piacimento, il giovane sarebbe divenuto un dio. Ora, contrariamente a quanto era accaduto per i suoi precedenti amori mortali, da Niobe in poi, Zeus non scelse Alcmena soltanto per il suo piacere, ma con il proposito di generare un figlio tanto forte da impedire lo sterminio degli uomini e degli dèi. Alcmena, la sedicesima discendente della stessa Niobe, fu l'ultima donna mortale con la quale Zeus si giacque, e tenne Alcmena in così gran conto che, invece di violentarla bruscamente, si prese la briga di assumere le sembianze di Anfitrione e di sedurla con parole affettuose e carezze.

Alcmena, che temeva la gelosia di Hera, abbandonò Eracle in un campo, fuori delle mura di Tebe, dove per istigazione di Zeus, Atena condusse Hera a passeggiare. Mentre camminavano, Atena vide il piccolo, che, impietosità, lo raccolse e lo diede ad Hera per allattarlo. Precipitosamente, Hera prese il bambino e si denudò il petto, ed Eracle vi si attaccò con tanta forza che la dea gemendo per il dolore lo allontanò da sé. Un getto di latte volò verso il cielo e divenne la Via Lattea. Con questo gesto Hera aveva trasformato Eracle in immortale, ed Atena lo restituì ad Alcmena, raccomandandole di averne cura e di farlo crescere bene. Taluni tuttavia dicono che Ermete portò Eracle neonato sull'Qlimpo, Zeus stesso lo posò sul petto di Hera mentre la dea dormiva; e che la Via Lattea si formò quando Hera, risvegliata, lo allontanò da sé. Era fu la madre adottiva di Eracle, seppure per breve tempo, e i Tebani perciò lo considerano addirittura suo figlio e dicono che egli si chiamava Alceo prima che la dea lo allattasse, e gli fu poi mutato il nome in onore di lei, infatti Eracle significa "Gloria di Hera".

Una sera, Alcmena, dopo aver lavato ed allattato i gemelli, li coricò in una culla di bronzo che Anfitrione aveva riportato come bottino dalla sua vittoria su Pterelao. Amezzanotte Hera mandò due prodigiosi serpenti dalle scaglie azzurrine nella casa di Anfitrione, col severo ordine di uccidere Eracle. Quando i serpenti raggiunsero i gemelli, questi si svegliarono e li videro inarcarsi dinanzi a loro, dardeggiando le lingue biforcute. Ificle strillò, gettò via le coperte scalciando e nel tentativo di fuggire cadde dalla culla. Le sue grida impaurite, destarono Alcmena, e senza perdere tempo, insieme ad Anfitrione andarono nella stanza e appena varcarono la soglia videro Eracle tutto fiero che gli mostrava i serpenti che egli stesso stava strangolando, uno per mano. Appena furono morti, Eracle rise, fece balzi di gioia e gettò i rettili ai piedi di Anfitrione. Quando Eracle non fu più un bambino, Anfitrione gli insegnò a guidare il cocchio, Castore gli diede lezioni di scherma, lo istruì nell'arte di maneggiare le armi e nella tattica di cavalleria e fanteria. Uno dei figli di Ermete fu il suo maestro di pugilato: o Autolico o Arpalico. Eurito gli insegnò a maneggiare l'arco, o forse lo stesso Apollo. Eumolpo insegnò a Eracle a cantare e a suonare la lira; mentre Lino, figlio del dio del fiume Ismenio, lo introdusse allo studio della letteratura. Un giorno, durante l'assenza di Eumolpo, Lino volle dare a Eracle lezioni di lira; il ragazzo si rifiutò di seguire regole diverse da quelli ricevuti da Eumolpo e, fustigato in punizione della sua caparbietà, uccise Lino con un colpo di lira. Anfitrione, tuttavia, temendo che il ragazzo potesse commettere altri crimini, lo mandò a pascolare le mandrie in un suo possedimento agreste. Eracle si vantava di non aver mai iniziato un litigio, ma di aver sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui. Un certo Termero usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a testate; il cranio di Eracle si dimostrò il più solido ed egli spaccò la testa di Termero come se fosse un uovo. Eracle, tuttavia, era cortese per natura, e fu il primo mortale che spontaneamente restituì ai nemici le spoglie dei loro morti perché le seppellissero.

Giunto al diciottesimo anno di età, Eracle lasciò le mandrie e si preparò ad affrontare il leone del Citerone, che faceva strage tra il bestiame di Anfitrione e del suo vicino re Tespio. Il leone aveva un'altra tana sul monte Elicona, ai piedi del quale si trova la città di Tespia. L'Elicona fu sempre un monte gaio. Stanato finalmente il leone, lo uccise con una dava grezza fatta del legno di un olivo che aveva sradicato sull'Elicona. Eracle poi indossò la pelle della belva le cui fauci spalancate fungevano da elmo. Re Tespio ebbe cinquanta figlie da sua moglie Megamede, figlia di Arneo, gaia come tutte le donne tespie. Per timore che esse si unissero a uomini indegni di loro, Tespio decise che ciascuna avesse un figlio da Eracle. Re Tespio promise, a Eracle, di dargli come compagna sua figlia maggiore Procri. Ma poi fece in modo che a Procri si sostituissero le sorelle, una notte per ciascuna, finché tutte si giacquero con Eracle. Altri tuttavia dicono che Eracle le deflorò tutte in un'unica notte, e che soltanto una si rifiutò al suo amplesso e rimase vergine fino alla morte, servendo come sacerdotessa nel santuario di Tespia. Eracle generò cinquantuno figli dalle figlie di Tespio, perché Procri, la maggiore, Antileone e Ippeo, ebbero due gemelli.

Durante la festa di Posidone a Qnchesto, un incidente di poco conto suscitò la collera dei Tebani, e allora l'auriga Meneceo scagliò un sasso che ferì mortalmente il re Climeno, che discendeva da Minia. Climeno, agonizzante, fu riportato a Qrcomeno e laggiù, mentre esalava l'ultimo respiro, ingiunse ai propri figli di vendicarlo. Il maggiore di costoro, Ergino, raccolse un esercito, marciò contro i Tebani e rovinosamente li sconfisse. Secondo i termini della resa, i Tebani avrebbero dovuto pagare a Ergino un tributo annuale di cento capi di bestiame, per venti anni di seguito, in espiazione dell'assassinio di Climeno.Un giorno Eracle, di ritorno dall'Elicona, incontrò gli araldi mini che venivano a raccogliere il bestiame in terra tebana. Eracle chiese quale fosse la mèta del loro viaggio, ed essi risposero che dovevano ricordare ai Tebani l'atto di clemenza di Ergino, il quale si era limitato a esigere una mandria di cento capi invece di mozzare le orecchie, il naso e le mani di ogni cittadino di Tebe. Eracle si infuriò e mutilò gli araldi nel modo da essi descritto, e li rimandò a Qrcomeno, con le estremità sanguinanti legate con una corda attorno al collo.

Quando Ergino pretese che gli si consegnasse l'autore di così oltraggioso misfatto, re Creonte sarebbe stato disposto a obbedire, perché i Mini avevano disarmato i Tebani. Ma Eracle convinse i camerati più giovani a battersi per la libertà. Si recò allora in tutti i templi della città, raccolse le lance, gli scudi, gli elmi, le corazze, gli schinieri e le spade che erano stati offerti agli dèi in ricordo di vittoriose battaglie. Così Eracle poté equipaggiare ogni Tebano in età di combattere, gli insegnò l'uso delle armi ed egli stesso assunse il comando dell'esercito. I Mini nel frattempo si preparavano a marciare su Tebe, ma Eracle gli tese un'imboscata, uccise Ergino e la maggior parte dei capitani. Questa vittoria, ottenuta con un pugno d'uomini, fu subito sfruttata da Eracle che calò su Orcomeno, ne abbatté le porte, saccheggiò il palazzo reale e obbligò i Mini a pagare a Tebe un doppio tributo. Al suo ritorno a Tebe, Eracle dedicò un altare a Zeus Protettore, un leone di pietra ad Artemide e due altri simulacri pure di pietra ad Atena Armata. Dato che gli dèi non avevano punito Eracle per il trattamento inflitto ai messaggeri di Ergino, i Tebani si permisero di onorarlo con una statua, detta di Eracle che mozza i nasi.

La vittoria sui Mini fece di Eracle l'eroe più famoso di tutta la Grecia e come ricompensa re Creonte gli diede in i sposa sua figlia Megara o Megera e lo nominò protettore della città, mentre Ificle sposò la figlia più giovane. Alcuni dicono che Eracle ebbe due figli da Megara; altri, che ne ebbe tre, quattro e persino otto. Essi sono chiamati gli Alcaidi. Eracle in seguito sconfisse Pirecmo, re degli Eubei, che aveva marciato su Tebe a fianco dei Mini. Era, seccata dai successi di Eracle, lo fece impazzire. Dapprima egli assalì il suo carissimo nipote Iolao, il figlio maggiore di Ificle, che riuscì a sfuggire ai suoi attacchi, poi, scambiando sei dei propri figli per dei nemici, li uccise e ne gettò i corpi su un rogo, con i cadaveri di altri due figli di Ificle. Quando Eracle recuperò la ragione, si chiuse in una camera buia per alcuni giorni, evitando il contatto con i suoi simili; poi, purificato da re Tespio, si recò a Delfi per chiedere che cosa dovesse fare. La Pizia si rivolse a lui chiamandolo per la prima volta Eracle e non Palemone e gli consigliò di fissare la sua residenza a Tirinto, di servire Euristeo per dodici anni e di compiere tutte le Fatiche che Euristeo stesso ritenesse opportuno di imporgli. Come compenso gli sarebbe stata concessa l'immortalità. Non osando opporsi al volere di Zeus, si mise a disposizione di Euristeo.


 
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view post Posted on 26/12/2008, 23:57

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Prima Fatica: il leone Nemeo



La prima fatica che Euristeo impose a Eracle, quan do egli si stabilì a Tirinto, fu di

uccidere e scuoiare il leone Nemeo o Cleoneo, una belva enorme invulnerabile da

ferro, bronzo o pietra. Alcuni dicono che questo leone fosse nato da Tifone o dalla

Chimera e dal cane Ortro, altri sostengono che Selene lo generò e lo lasciò cadere

sulla terra, e precisamente sul monte Treto presso Nemea, dinanzi a una grotta a

due uscite. E che per punire il mancato adempimento di un sacrificio, là lo lasciò,

affinché divorasse la sua gente. Chi ne soffrì di più furono i Bambinei. Giunto a

Cleone, tra Corinto e Argo, Eracle alloggiò nella casa di un contadino o pastore

chiamato Molorco, il cui figlio era stato ucciso dal leone. Molorco già si preparava a

offrire un capro a Hera come sacrificio propiziatorio, ma Eracle lo trattenne

dicendogli di aspettare il suo ritorno, così avrebbero sacrificato il capro a Zeus

Salvatore. Eracle raggiunse Nemea a mezzogiorno, ma, poiché il leone aveva fatto

stragi nel vicinato, non trovò nessuno che potesse dargli indicazioni. Eracle, allora si

recò sul monte Treto e finalmente vide da lontano il leone che ritornava alla sua

tana, il mantello chiazzato dal sangue della sua quotidiana strage. Eracle scagliò

delle frecce, ma tutte rimbalzarono sulla fitta pelliccia allora uso la spada, però

questa si piegò quasi fosse di stagno. Infine agguantò la sua clava e vibrò un tale

colpo sul muso del leone che la belva entrò nella sua tana scrollando il capo: non per

il dolore, però, ma perché gli ronzavano le orecchie. Eracle, fissando con rammarico

la sua clava infranta, decise allora di bloccare uno degli ingressi della caverna ed

entrò dall'altro. Certo ormai che il mostro fosse invulnerabile dalle armi, iniziò con

lui una lotta terribile. Il leone gli amputò un dito con un morso; ma, immobilizzatagli

la testa, Eracle gli premette il braccio contro la gola finché lo soffocò.

Con la carcassa del leone sulle spalle, Eracle ritornò a Cleone, e trovò Molorco sul

punto di offrirgli un sacrificio eroico, invece, sacrificarono assieme a Zeus Salvatore.

Compiuto il sacrificio, Eracle si fabbricò una nuova clava e portò la carcassa del

leone sino a Micene. Euristeo, stupito e terrorizzato, gli ordinò di non mettere mai

più piede in città. In futuro avrebbe dovuto deporre i frutti delle sue Fatiche dinanzi

alle porte. Eracle si adoperò inutilmente per scuoiare il leone, finché, per divina

ispirazione, pensò di servirsi degli artigli della belva, affilati come rasoi, e ben

presto poté indossare la pelle invulnerabile a guisa di armatura, mentre il cranio del

leone gli copriva il capo come elmo. Nel frattempo Euristeo ordinò ai suoi fabbri di

forgiargli un'urna di bronzo, che seppellì sottoterra. E da quel giorno, ogni qual

volta veniva annunciato l'arrivo di Eracle, egli si rifugiava in quell'urna e trasmetteva

i suoi ordini per mezzo di un messagero.

Gli onori tributatigli dai cittadini di Nemea in segno di gratitudine per l'impresa da

lui compiuta Eracle, in seguito, li cedette ai suoi alleati di Cleone che combatterono

con lui durante la Guerra Elea e caddero nel numero di trecentosessanta. Quanto a

Molorco, egli fondò la vicina città di Molorca e piantò il Bosco Nemeo, dove ora si

svolgono i Giochi Nemei.
 
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