Apuleio

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view post Posted on 26/12/2008, 20:41

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Apuleio



Scarse sono le notizie biografiche che ci siano pervenute su Apuleio che, tuttavia, sappiamo aver goduto di una celebrità considerevole presso i suoi contemporanei e nelle epoche successive. Incerto rimane persino il prenome, Lucio, che tuttavia sembra derivare ( quasi senza alcun dubbio ) dall’identificazione dell’autore con il protagonista dell'"Asino d'oro". Comunque, diverse informazioni possono essere dedotte direttamente dalle sue opere, specialmente dall’Apologia e dalla raccolta Florida. Apuleio nacque verso il 125 d.C. a Madaura, in Africa, “posta al confine tra Numidia e Getulia” ( nelle sue stesse parole: Apologia 29, “ero seminùmida o semigetùlo” ). Suo padre, che era duumviro, morendo lasciò a lui e a suo fratello una cospicua somma, che presto si assottigliò a causa de i frequenti viaggi che Apuleio, figlio in questo della sua epoca, compì - come avrebbe detto Erodoto - per sete di sapere. Onorava di ricchissimi stipendi i suoi maestri, poiché “acquistare sapienza - diceva - vale molto più che mantenersi un patrimonio”. Fu a Cartagine che ricevette la sua prima educazione grammaticale e retorica, quindi si trasferì ad Atene, che era il centro di cultura più rinomato del tempo, dove si dedicò con enorme entusiasmo allo studio delle più disparate discipline, soprattutto della filosofia platonica, aristotelica e di quella dei Peripatetici. Proprio in Grecia venne probabilmente iniziato a numerosi culti esoterici ( Apologia, 55 ). Tornato infine nella sua Africa, vi trascorse il resto della vita, senza tuttavia cessare i suoi frequenti viaggi e soprattutto la lucrosa attività di brillante conferenziere.
L’episodio più celebre della sua vita è sicuramente il matrimonio con Pudentilla, madre di Ponziano, un amico conosciuto ad Atene; quest’ultimo avrebbe convinto Apuleio - ma è Apuleio stesso a raccontarcelo nella sua opera Apologia de magia - a sposare la madre, una ricca vedova residente ad Oea ( l’antica città di Tripoli ). Alla morte di Ponziano, i parenti di Pudentilla citarono in giudizio Apuleio, sostenendo che la donna era stata plagiata e sedotta grazie ad un filtro magico creato e poi propinatole a tradimento dallo stesso Apuleio. Il nostro conferenziere ed erudito si difese pronunciando appunto l’Apologia ( De magia liber ), un brillante discorso, in seguito al quale pare che abbia ottenuto l’assoluzione - o almeno così ci pare di capire. Dopo il processo, Apuleio volle tornare a Cartagine, seguitando ad esercitare l’attività di avvocato e di conferenziere, evidentemente con brillante successo, dato che gli furono dedicate diverse statue, una delle quali proprio a Madaura, la città in cui era nato. Le frequenti fatiche minarono tuttavia il suo fisico, che era quello di un uomo dall'aspetto piacevole ma di salute un po' cagionevole: continuatio litterati laboris omnem gratiam corpore deterget, habitudinem tenuat, succum exsorbet, colorem obliterat, vigorem debilitat ( Apologia 4: “le continue fatiche di studio mi tolgono dal corpo ogni bellezza, mi logorano l'aspetto esteriore, mi seccano la linfa vitale, mi spengono il colorito, mi succhiano le forze” ). Non conosciamo infine la data precisa della morte di Apuleio, che dovrebbe tuttavia risalire al 180 o al più 190 d.C.
 
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view post Posted on 26/12/2008, 21:53

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Le Metamorfosi o L'asino d'oro
Metam. III,26



La trasformazione in asino: prime esperienze ...
Così ella si meritava, ma io, benchè fossi stato trasformato in asino e - invece di Lucio - bestia, tuttavia conservavo un modo umano di pensare. Infine a lungo e per molto pensai tra me se non dovessi uccidere quella cattivissima e perfida donna ferendola con calci rapidi e assalendola a morsi. Ma mi richiamò da quell'idea temeraria un pensiero migliore, che, messa a morte Fotide, non facessi mancare le possibilità di salvezza proprio del tutto.
Dunque col capo basso e fremente e con l'affronto momentaneo sopportato in silenzio mi ritiro nella stalla presso quel mio ottimo cavallo che mi aveva trasportato, rimettendomi alla mia durissima condizione; e lì trovai che vi stava alloggiato anche un altro asino di Milone, un tempo mio ospite. Ed io pensavo che se esistesse qualche patto naturale e tacito fra gli animali muti, mosso da riconoscenza e da una certa pietà quel mio cavallo mi avrebbe offerto ospitalità e una buona accoglienza. Ma per Giove protettore dell'ospite e per i numi segreti della Fedeltà ! Quella mia cavalcatura egregia e l'asino confabulano e si accordano a mio danno subito e, temendo certamente per le loro cibarie, non appena videro che io mi avvicinavo alla mangiatoia, abbassate le orecchie ormai furenti attaccano con calci accaniti e sono allontanato il più distante possibile dall'orzo che io stesso avevo collocato la sera con le mie mani per quel mio servitore molto grato.

Testo originale

XXVI. Sic illa maerebat, ego uero quamquam perfectus asinus et pro Lucio iumentum sensum tamen retinebam humanum. Diu denique ac multum mecum ipse deliberaui, an nequissimam facinerosissimamque illam feminam spissis calcibus feriens et mordicus adpetens necarem deberem. Sed ab incepto temerario melior me sententia reuocauit, ne morte multata Photide salutares mihi suppetias rursus extinguerem. Deiecto itaque et quassanti capite ac demussata temporali contumelia durissimo casui meo seruiens ad equum illum uectorem meum probissimum in stabulum concedo, ubi alium etiam Milonis quondam hospitis mei asinum stabulantem inueni. Atque ego rebar, si quod inesset mutis animalibus tacitum ac naturalem sacramentum, agnitione ac miseratione quadam inductum equum illum meum hospitium ac loca lautia mihi praebiturum. Sed pro Iupiter hospitalis et Fidei secreta numina! Praeclarus ille uector meus cum asino capita conferum in meamque perniciem ilico consentiunt et uerentes scilicet cibariis suis uix me praesepio uidere proximantem: deiectis auribus iam furentes infestis calcibus insecuntur. Et abigor quam procul ab ordeo, quod adposueram uesperi meis manibus illi gratissimo famulo.
 
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Metamorfosi III,27

L'arrivo dei briganti


Ridotto dunque in questo stato e costretto in solitudine, mi ritirai in un angolo della stalla. E mentre penso fra me all'insolenza dei miei simili e per il giorno seguente macchino una vendetta per il perfido cavallo quando sarei diventato di nuovo Lucio, scorgo una statua della dea Epona che sta(va) in un chiostro in mezzo al pilastro che sosteneva le travi della stalla, quasi nel centro esatto, che era stata ornata accuratamente di corolle di rose e per giunta fresche. Infine, scorto un mezzo di salvezza, incline alla speranza, con le zampe anteriori protese quanto più potevo sforzarmi, mi drizzo di molto e con il collo teso e le labbra protese oltremodo con quanto maggior sforzo potessi, mi sforzavo di raggiungere i fiori. Ed il mio schiavetto, cui sempre era stata affidata la custodia del cavallo, d'un tratto scorgendomi mentre tentavo questo gesto con sfortuna naturalmente pessima si alzò in piedi indignato e disse: "Fino a quando ancora sopporteremo questo rozzo cavallo da fatica, poco fa pericoloso per le cibarie delle bestie da soma, ora anche per le statue degli dei ? Anzi ora io renderò invalido e zoppo questo scellerato"; ed all'istante cercando disperatamente un'arma qualsiasi incappò in un fascio di legna posto vicino a casaccio, ed avendo trovato un ramo frondoso più grosso di tutti non smise di percuotere me misero prima di scappare atterrito, poiché le porte venivano percosse con rumore terribile e gran clamore: dei briganti erano stati annunciati anche dal vociare inquieto del vicinato.



Testo originale



XXVII. Sic adfectus atque in solitudinem relegatus angulo stabuli concesseram. Dumque de insolentia collegarum meorum mecum cogito atque in alterum diem auxilio rosario Lucius denuo futurus equi perfidi uindictam meditor, respicio pilae mediae, quae stabuli trabes sustinebat, in ipso fere meditullio Eponae deae simulacrum residens aediculae, quod accurate corollis roseis equidem recentibus fuerat ornatum. Denique adgnito salutari praesidio pronus spei, quantum extensis prioribus pedibus adniti poteram, insurgo ualide et ceruice prolixa nimiumque porrectis labiis, quanto maxime nisu poteram, corollas adpetebam. Quod me pessima scilices sorte conantem seruulus meus, cui semper equi cura mandata fuerat, repente conspiciens indignatus exurgit et: "Quo usque tandem" inquit "cantherium patiemur istum paulo ante cibariis iumentorum, nunc etiam sumulacris deorum infestum? Quin iam ego istum sacrilegum debilem claudumque reddam"; et statim telum aliquod quaeritans temerem fascem lignorum positum offendit, rimatusque frondosum fustem cunctis uastiorem non prius miserum me tundere desiit quam sonitu uehenmenti et largo strepitu percussis ianuis trepido etiam rumore uiciniae conclamatis latronibus profugit territus.


 
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Metamorfosi III, 28

Assalto dei banditi alla villa di Milone




E non ci fu esitazione quando, aperta con violenza la casa, una banda di briganti invade ogni luogo ed un manipolo di armati circonda una ad una le parti dell'edificio e, mentre aiuti accorrono di qua e di là, si oppone lo spiegamento rapido dei nemici. Tutti, muniti di spade e di fiaccole, illuminano la notte; le armi ed il fuoco balenano come sole nascente. Allora spaccano un magazzino, chiuso e serrato con catenacci abbastanza robusti, che, posto in mezzo alla casa, era stato riempito dei tesori di Milone, dopo averlo attaccato con robuste scuri. E dopo averlo sfasciato in più punti portano via tutti i beni e, chiusi in fretta i sacchi, se li spartiscono un po' per uno. Ma la quantità dei carichi supera la quantità dei portatori. Allora per l'eccesso dello spropositato bottino, messi in seria difficoltà, caricano noi due asini ed il mio cavallo, dopo averci condotti fuori dalla stalla, con sacchi quanto più possibile pesanti e ci spingono fuori dalla casa già vuota minacciandoci con bastoni e, dopo aver lasciato uno solo dei compagni di guardia, affinché riferisse sull'indagine dell'accaduto, ci conducono, picchiandoci ad ogni istante, a gran velocità per sentieri impraticati dei monti.



Testo originale



XXVIII. Nec mora, cun ui patefactis aedibus globus latronum inuadit omnia et singula domus membra cingit armata factio et auxiliis hic inde conuolantibus obsistit discursus hostilis. Cuncti gladiis et facibus instructi noctem illuminant, coruscat in modum ortiui solis ignis et mucro. Tunc horreum quoddam satis ualidis claustris obseptum obseratumque, quod mediis aedibus costitutum gazis Milonis fuerat refertum securibus ualidis adgressi diffindunt. Quo passim recluso totas opes uehunt raptimque constrictis sarcinis singuli partiuntur. Sed gestaminum modus numerum gerulorum excedit. Tunc opulentiae nimiae nimio ad extremas incitas deducti nos duos asinos et equum meum productos e stabulo, quantum potest, grauioribus sarcinis onerant et domo iam uacua minantes baculis exigunt unoque de sociis ad speculandum, qui de facinoris inquisitione nuntiaret, relictos nos crebra tundentes per auia montium ducunt concitos.
 
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view post Posted on 27/12/2008, 00:02

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Metamorfosi III, 29

In fuga per i monti


E già non ero tanto diverso da un morto per il peso di così tanti carichi, per l'aspra sommità del monte e per il cammino abbastanza lungo. Ma mi venne in mente - tardi veramente, tuttavia sul serio - di ricorrere all'aiuto riservato ai cittadini e, interposto il nome venerabile dell'imperatore, liberarmi da tante tribolazioni. Mentre alla fine, ormai a giorno fatto, passavamo per un certo villaggio popoloso ed affollato per il mercato, proprio in mezzo alla ressa dei Greci tentai di invocare, nella nativa lingua dei Romani, l'augusto nome di Cesare e gridai una "O" tanto chiara e sonora, ma non potei pronunciare il rimanente nome di Cesare. I briganti, disprezzato il mio sgradevole grido, picchiando d'ambo i lati la mia misera pelle, la riducono ormai adatta nemmeno a farci crivelli.


Testo originale


XXIX. Iamque rerum tantarum pondere et montis ardui uertice et prolixo satis itinere nihil a mortuo differebam. Sed mihi sero quidem serio tamen subuenit ad auxilium ciuile decurrere et interposito uenerabili principis nomine tot aerumnis me liberare. Cum denique iam luce clarissima unicum quempiam frequentem et nundinis celebrem praeteriremus, inter ipsas turbelas Graecorum Romanorum genuino sermone nomen augustum Caesaris inuocare temptaui; et "O" quidem tantum disertum ac ualidum clamitaui, reliquum autem Caesaris nomen enuntiare non potui. Aspernati latrones clamores absonum meum caedentes hinc inde miserum corium nec cribis iam idoneum relinquunt.
 
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view post Posted on 27/12/2008, 00:37

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Metamorfosi III, 29


Lucio è costretto a ... mordere il freno



Ma alla fine Giove potente mi dona una salvezza insperata. Infatti passando per molte ville ed ampie capanne vidi un giardinetto abbastanza bello, nel quale oltre ad altre erbette gradite fiorivano rose fresche per la rugiada mattutina. Stando a bocca aperta a causa loro e della speranza di salvezza, mi accostai più vicino lesto e lieto. E mentre già ero indebolito e con le labbra tremanti, mi soggiunse un'idea più saggia, per non incappare in una morte sicura fra le mani dei briganti, se fossi apparso di nuovo come Lucio, abbandonato l'aspetto di asino, o per l'accusa di praticare l'arte magica, o per il sospetto di una denuncia futura. Allora dunque mi tenni lontano dalle rose e, solamente per necessità, sopportando l'evento presente, rosicchiavo i morsi come un asino vero.

Testo originale


Sed tandem mihi inopinatam salutem Iuppiter ille tribuit. Nam cum multas uillulas et casas amplas praeterimus, hortulum quendam prospexi satis amoenum, in quo praeter ceteras gratas herbulas rosae uirgines matutino rore florebant. His inhians et spe salutis alacer hac laetus propius accessi, dumque iam labiis undantibus adfecto, consilium me subit longe salubrius, ne, si rursum asino remoto prodirem in, Lucium, euidens exitium inter manus latronum offenderem uel artis magicae suspectione uel indicii futuri criminatione. Tunc igitur a rosis et quidem necessario temperaui et casum praesentem tolerans in asini faciem faena rodebam.
 
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Metamorfosi IV, 6

Il rifugio dei briganti



L'argomento e l'occasione stessa rendono necessario esporre una descrizione dei luoghi e di quella grotta che i briganti abitavano. Infatti metterò alla prova il mio ingegno ed al tempo stesso farò in modo che voi vi accorgiate perfettamente se fossi asino anche d'animo e di mente. C'era un monte impervio ed ombroso per le fronde delle foreste e particolarmente alto. Lungo i suoi ripidi pendii, dove è cinto da rocce davvero aspre e perciò inaccessibili, scorrevano valli piene di buche e grotte, di frequente ricoperte da roveti e poste in ogni direzione offrendo una protezione naturale. Dalla sommità scaturiva una fonte che scorreva con molte bolle e placida riversava per il pendio onde argentine e già dispersa in più rivoli e, irrigando con una fila di stagni quelle valli come una laguna od un pigro fiume, circondava ogni cosa. Un torrione impervio, dove convergono i margini della montagna, sovrasta la spelonca; recinti solidi per graticci robusti, adatti ad uno stazzo di pecore, con lati prolungati da entrambe le parti si estendono davanti all'ingresso come uno stretto passaggio di un muro edificato. Sulla mia parola li avresti potuti definire gli atri dei briganti. E vicino non c'era altro che una piccola capanna ricoperta alla bell'e meglio con canne, dove le sentinelle estratte a sorte tra la schiera dei briganti montavano la guardia durante le notti, come in seguito venni a sapere.



Testo originale



VI. Res ac tempus ipsum locorum speluncaeque quam illi latrones inhabitabant descriptionem exponere flagitat. Nam et meum simul periclitabor ingenium, et faxo uos quoque an mente etiam sensuque fuerim asinus sedulo sentiatis. Mons horridus siluestribusque frondibus umbrosus et in primis altus fuit. Huius per obliqua deuexa, qua saxis asperrimis et ob id inaccessis cingitur, conualles lacunosae cauaeque nimium spinetis aggeratae et quaqua uersus repositae naturalem tutelam praebentes ambiebant. De summo uertice fons affluens bullis ingentibus scaturribat perque prona delapsus euomebat undas argenteas iamque riuulis pluribus dispersus ac ualles illas agminibus stagnantibus inrigans in mondum stipati maris uel ignaui fluminis cuncta cohibebat. Insurgit speluncae, qua margines montanae desinunt, turris ardua; caulae firmae solidis cratibus, ouili stabulationi commodae, porrectis undique lateribus ante fores exigui tramitis uice structis parietis attenduntur. Ea tu bono certe meo periculo latronum dixeris atria. Nec iuxta quicquam quam parua casula cannulis temere contecta, qua speculatores e numero latronum, ut postea comperi, sorte ducti noctibus excubabant.
 
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view post Posted on 27/12/2008, 20:43

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Metamorfosi VII, 17
Lucio costretto a portare la legna ( 1 )



Ma la sorte insaziabile dai miei tormenti mi preparò di nuovo un'altra sventura. Infatti mi viene assegnato il compito di trasportare la legna giù dal monte e mi è imposto come guardiano un giovane, di gran lunga il peggiore. E non solo mi affaticava l'aspra vetta dell'altissimo monte, né solo consumavo gli zoccoli urtando contro punte rocciose, ma venivo ampiamente piallato con duri colpi di bastone, tanto che il dolore delle ferite mi penetrava sino al midollo dal momento che ero picchiato ininterrottamente. E dando sempre colpi alla gamba destra e ferendo un solo luogo, pur avendo consumato la pelle ed avendo aperto il buco di una piaga vastissima, o per meglio dire una fossa o meglio una finestra, tuttavia non cessava di picchiare in continuazione la ferita bagnata di sangue. Ma mi caricava di un così gran peso di legna che tu avresti pensato che la mole di fascine fosse stata approntata per un elefante e non per un asino. Invece egli, per giunta, ogni volta che il carico si era piegato inclinandosi dall'altro lato, mentre avrebbe piuttosto dovuto togliere dei rami dal carico che si stava rovesciando e prendersi cura di me dopo aver un po' alleggerito il peso, o certamente ristabilire l'equilibrio spostando ( la legna ), al contrario rimediava alla diseguaglianza di peso aggiungendovi sopra delle pietre.


Testo originale



XVII. At eundem modum distractus et ipse uariis equorum incursibus rursum molares illos circuitus requirebam. Verum Fortuna meis cruciatibus insatiabilis aliam mihi denuo pestem instruxit. Delegator enim ligno monte deuehundo, perque mihi praefectus imponitur omnium unus ille quidem puer deterrimus. Nec me montis excelsi tantum arduum fatigabat iugum, nec saxeas tantum sudes incursando contribam ungulas, uerum fustium quoque crebris ictibus prolixe dedolabar, ut usque plagarum mihi medullaris insideret dolor; coxaeque dexterae semper ictus incutiens et unum feriendo locum dissipato corio et ulceris latissimi facto foramine, immo fouera uel etiam fenestra nullus tamen desinebat identidem uulnus sanguine delibitum obstundere. Lignorum uero tanto me premebat pondere, ut fascium molem elephanto, non asino paratam putares. Ille uero etiam quotiens in alterum latus praeponderans declinarat sarcina, cum deberet potius grauantis ruinae fustes demere et leuata paulisper pressura sanare me uel certe in alterum translatis peraequare, contra lapidibus additis insuper sic iniquitanti ponderis medebatur.
 
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view post Posted on 4/5/2009, 20:46

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"Apologia" [trad.it] o "De magia" (158), come detto, versione successivamente rielaborata della propria, vittoriosa, orazione difensiva. L'episodio autobiografico viene filtrato attraverso una densa rete letteraria, che lo rende quasi emblematico, se non addirittura mitico; costante vi è poi l'ironia, da cui traspare la sicurezza della vittoria. In quest'opera, così, è già in nuce lo stile caratteristico dello scrittore, fatto di folgorazioni, sospensioni, parallelismi, allitterazioni, di espressioni nuove ed inaspettate, dove il ciceronianismo di fondo già si sfalda in una serie di brevi, frizzanti periodi. Dal punto di vista della difesa, invece, A. distingue tra filosofia e magia: la differenza è che il filosofo può avere contatti coi demoni (vd. oltre, "De deo Socratis") per fini di purificazione spirituale, mentre il mago, con le sue arti, intende raggiungere scopi malefici. E’, infine, interessante paragonare questo genere di eloquenza, di discorso effettivamente pronunciato davanti a un tribunale, con quella dei "Florida" [vers.lat] (antherà, "selezioni di fiori"), estratti di conferenze (23 brani oratori) tenute dallo scrittore a Cartagine e a Roma, antologizzati in 4 libri da un anonimo ed eccezionali esempi di virtuosismo retorico.

- Tre opere filosofiche:

- "De mundo" [vers.lat], rifacimento – in chiave stoicheggiante – dell’omonimo trattato pseudoaristotelico;

- "De Platone et eius dogmate" [vers.lat], una sintesi della fisica e dell’etica di Platone, cui doveva seguire una logica ("Perì ermeneias"?): ne emerge un Platone permeato di neopitagorismo, di teorie misteriche ed iniziatiche;

- "De deo Socratis" [vers.lat], un opuscolo in cui A. esamina la demonologia di Socrate: sotto l’influsso delle filosofie orientali, i "demoni" (ovvero, divinità) diventano Angeli, o affini ad essi, per A., spiriti che fungono da intermediari tra gli dèi e gli uomini, e che presiedono a rivelazioni e presagi.

- Numerose, poi, le opere perdute, o di cui ci resta molto poco. Scrisse di aritmetica, musica, medicina ecc., e, tra le altre cose, compose "Carmina amatoria", "Ludicra" (di questa raccolta faceva parte un carme su un dentifricio e due epigrammi d'amore conservati nell' "Apologia") e poi una traduzione del "Fedone" platonico, un romanzo, "Hermagoras", di cui ci restano due frammenti e nel quale doveva essere celebrato il culto di "Ermete Trismegisto". Il carattere enciclopedico e insieme misterico e salvifico della sua produzione minore è confermato pure da scritti trasmessi sotto il suo nome, specie da un dialogo ermetico apocrifo, l' "Asclepius".

- "Metamorfosi" [vers.lat] [trad.it] ("Metamorphoseon libri XI"), denominato a volte "L'asino d'oro" ("Asinus Aureus"), certamente il suo capolavoro ("Asino d'oro" è il titolo con cui la prima volta lo indicò Sant'Agostino nel "De civitate Dei": ma non si sa se l'aggettivo "aureus" sia stato coniato in riferimento alle doti eccezionali dell'asino, oppure alla qualità artistica del romanzo, oppure ancora al valore di edificazione morale insito nella storia del protagonista).


Le "Metamorfosi" [vers.lat] [trad.it]. Trama e considerazioni.

Introduzione. *Il romanzo, opera stravagante in 11 libri, è forse l'adattamento (almeno nei primi 10) di uno scritto di Luciano di Samosata di cui non siamo in possesso, ma del quale ci è pervenuto un plagio intitolato "Lucius o L'asino": si discute se A. abbia seguito il modello solo nella trama principale, o ne abbia ricavato anche le molte digressioni novellistiche tragiche ed erotiche. Non è improbabile, poi, che sia A. che Luciano abbiano (sia pure con intenti del tutto diversi) rielaborato un'ulteriore fonte, di cui ci testimonia Fozio: ovvero, un'opera intitolata, manco a dirlo, "Metamorfosi", e attribuito ad un certo Lucio di Patre, il cui canovaccio esteriore è praticamente lo stesso dell'opera del nostro. "Le "Metamorfosi" di A. gravitano comunque nella tradizione della "milesia", ma anche in quella del romanzo greco contemporaneo, arricchito però dall’originale e determinante elemento magico e misterico.

Dunque, nell'opera, il magico si alterna con l’epico (nelle storie, ad es., dei briganti), col tragico, col comico, in una sperimentazione di generi diversi (ordinati ovviamente in un unico disegno, con un impianto strutturale abbastanza rigoroso), che trova corrispondenza nello sperimentalismo linguistico, nella piena padronanza di diversi registri, variamente combinati nel tessuto verbale: e il tutto in una lingua, comunque, decisamente "letteraria".


Trama. *La storia narra di un giovane chiamato Lucio (identificato da A. con lo stesso narratore), appassionato di magia. Originario di Patrasso, in Grecia, egli si reca per affari in Tessaglia, paese delle streghe. Là, per caso, si trova ad alloggiare in casa del ricco Milone, la cui moglie Panfila è ritenuta una maga: ha la facoltà di trasformarsi in uccello. Lucio - avvinto dalla sua insaziabile "curiositas" - vuole imitarla e, valendosi dell'aiuto di una servetta, Fotis, accede alla stanza degli unguenti magici della donna. Ma sbaglia unguento, e viene trasformato in asino, pur conservando coscienza ed intelligenza umana. Per una simile disgrazia, il rimedio sarebbe semplice (gli basterebbe mangiare alcune rose), se un concatenarsi straordinario di circostanze non gli impedisse di scoprire l'antidoto indispensabile. Rapito da certi ladri, che hanno fatto irruzione nella casa, durante la notte stessa della metamorfosi, egli rimane bestia da soma per lunghi mesi, si trova coinvolto in mille avventure, sottoposto ad infinite angherie e muto testimone dei più abietti vizi umani; in breve, il tema è un comodo pretesto per mettere insieme una miriade di racconti.

Nella caverna dei briganti, Lucio ascolta la lunga e bellissima favola di "Amore e Psiche", narrata da una vecchia ad una fanciulla rapita dai malviventi: la favola racconta appunto l'avventura di Psiche, l'Anima, innamorata di Eros, dio del desiderio, uno dei grandi dèmoni dell'universo platonico, la quale possiede senza saperlo, nella notte della propria coscienza, il dio che lei ama, e che però smarrisce per curiosità, per ritrovarlo poi nel dolore di un'espiazione che le fa attraversare tutti gli "elementi" del mondo) (vd oltre, la parte dedicata specificamente alla favola).

Sconfitti poi i briganti dal fidanzato della fanciulla, Lucio viene liberato, finché – dopo altre peripezie – si trova nella regione di Corinto, dove, sempre sotto forma asinina, si addormenta sulla spiaggia di Cancree; durante la notte di plenilunio, vede apparire in sogno la dea Iside che lo conforta, gli annuncia la fine del supplizio e gli indica dove potrà trovare le benefiche rose. Il giorno dopo, il miracolo si compie nel corso di una processione di fedeli della dea e Lucio, per riconoscenza, si fa iniziare ai misteri di Iside e Osiride.

La chiave "mistagogica". *L'ultima parte del romanzo (libro XI), che si svolge in un clima di forte suggestione mistica ed iniziatica, non ha equivalente nel testo del modello greco. E’ evidente che è un'aggiunta di A., al pari della celebre "favola" di Amore e Psiche, che si trova inserita verso la metà dell'opera: centralità decisamente "programmatica", che fa della stessa quasi un modello in scala ridotta dell’intero percorso narrativo del romanzo, offrendone la corretta decodificazione.

Ci si può chiedere se queste aggiunte non servano a spiegare l'intenzione dell'autore. In realtà l'episodio di Iside, come quello di Amore e Psiche, ha un evidente significato religioso: indubbio nel primo; fortemente probabile nel secondo, interpretato specificamente ora come mito filosofico di matrice platonica, ora come un racconto di iniziazione al culto iliaco, ora – ma meno efficacemente – come un mito cristiano.

Certo è, comunque, che tutto il romanzo è carico di rimandi simbolici all’itinerario spirituale del protagonista-autore: la vicenda di Lucio ha, infatti, indubbiamente valore allegorica: rappresenta la caduta e la redenzione dell’uomo, di cui l’XI libro è certamente la conclusione religiosa (lo stesso numero dei libri, 11, sembra del resto far pensare al numero dei giorni richiesti per l'iniziazione misterica, 10 appunto di purificazione e 1 dedicato al rito religioso). Il tutto farebbe delle "Metamorfosi", così, un vero e proprio romanzo "mistagogico", che sembrerebbe invero registrare l'esperienza stessa dello scrittore.

Romanzo che, tuttavia, qualunque sia la sua reale intenzione, ci offre una straordinaria descrizione delle province dell'impero al tempo degli Antonini e, in modo particolare, della vita del popolo minuto. Confrontato con quello di Petronio, dà però la curiosa impressione che i personaggi vi siano osservati a maggiore distanza, come in un immenso affresco dove si muovono, agitandosi, innumerevoli comparse.


La favola di "Amore e Psiche".

Premessa. Come detto, la favola di Amore e Psiche, che si estende emblematicamente dalla fine del IV libro (paragrafo XXVIII) a buona parte del VI (prg. XXIV incl.), ha un'importanza esemplare nell'economia generale del romanzo, svolgendo una funzione non solo esornativa, ma fornendocene invero la corretta chiave di lettura e di decodificazione, fulcro artistico ed etico dell'opera tutta.

Trama. La favola inizia nel più classico dei modi: c'erano una volta, in una città, un re e una regina, che avevano tre figlie. L'ultima, Psiche, è bellissima, tanto da suscitare la gelosia di Venere, la quale prega il dio Amore di ispirare alla fanciulla una passione disonorevole per l'uomo più vile della terra. Tuttavia, lo stesso Amore si invaghisce della ragazza, e la trasporta nel suo palazzo, dov'ella è servita ed onorata come una regina da ancelle invisibili e dove, ogni notte, il dio le procura indimenticabili visite. Ma Psiche deve stare attenta a non vedere il viso del misterioso amante, a rischio di rompere l'incantesimo. Per consolare la sua solitudine, la fanciulla ottiene di far venire nel castello le sue due sorelle; ma queste, invidiose, le suggeriscono che il suo amante è in realtà un serpente mostruoso: allora, Psiche, proprio come Lucio, non resiste alla "curiositas", e, armata di pugnale, si avvicina al suo amante per ucciderlo. Ma a lei il dio Amore, che dorme, si rivela nel suo fulgore, coi capelli profumati di ambrosia e le ali rugiadose di luce e il candido collo e le guance di porpora. Dalla faretra del dio, Psiche trae una saetta, dalla quale resta punta, innamorandosi, così, perdutamente, del'Amore stesso. Dalla lucerna di Psiche una stilla d'olio cade sul corpo di Amore, e lo sveglia. L'amante, allora, fugge da Psiche, che ha violato il patto. L'incantesimo, dunque, è rotto, e Psiche, disperata, si mette alla ricerca dell'amato. Deve affrontare l'ira di Venere, che sfoga la sua gelosia imponendole di superare quattro difficilissime prove, l'ultima delle quali comporta la discesa nel regno dei morti e il farsi dare da Persefone un vasetto. Psiche avrebbe dovuto consegnarlo a Venere senza aprirlo, ma la curiosità la perde ancora una volta. La fanciulla viene allora avvolta in un sonno mortale, ma interviene Amore a salvarla; non solo: il dio otterrà per lei da Giove l'immortalità e la farà sua sposa. Dalla loro unione nascerà una figlia, chiamata "Voluttà".

La chiave di lettura della favola. La successione degli avvenimenti della novella riprende quella delle vicende del romanzo: prima un'avventura erotica, poi la "curiositas" punita con la perdita della condizione beata, quindi le peripezie e le sofferenze, che vengono alfine concluse dall'azione salvifica della divinità. La favola, insomma, rappresenterebbe il destino dell'anima, che, per aver commesso il peccato di "hybris" (tracotanza) tentando di penetrare un mistero che non le era consentito di svelare, deve scontare la sua colpa con umiliazioni ed affanni di ogni genere prima di rendersi degna di ricongiungersi al dio. L'allegoria filosofica è appena accennata (se non altro, nel nome della protagonista, Psiche, simbolo dell'anima umana), ma il significato religioso è evidente soprattutto nell'intervento finale del dio Amore, che, come Iside, prende l'iniziativa di salvare chi è caduto, e lo fa di sua spontanea volontà, non per i meriti della creatura umana.
 
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8 replies since 26/12/2008, 20:41   874 views
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