Racconti di Natale

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view post Posted on 4/2/2009, 22:05

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da "PICCOLE DONNE"

di Louisa May Alcott


CAPITOLO II

UN LIETO NATALE



Nella grigia luce del mattino di Natale, la prima a svegliarsi fu Jo; rimase delusa nel vedere che non vi erano calze appese al camino ma, ricordandosi della promessa della mamma, cercò sotto il cuscino e ne trasse un libretto rilegato in rosso. Era la bellissima storia della vita del miglior Uomo che fosse vissuto; Jo la conosceva bene e sapeva che non poteva esistere un miglior libro-guida per un pellegrino in cammino.
Con un allegro "Buon Natale" destò Meg e le ricordò di cercare sotto il cuscino. Anch'essa trovò un libro con la copertina verde e con alcune parole di dedica scritte dalla mamma. Questo, rendeva il dono ancor più prezioso. Poco dopo Beth ed Amy si svegliarono e, frugando sotto i guanciali, trovarono la prima un libro color cenere, la seconda uno color turchino. Le ragazze cominciarono a sfogliare i libri commentandoli, mentre il cielo si tingeva di rosa per il sorgere del sole.
Margherita, malgrado le sue piccole vanità, era molto buona e saggia ed aveva una certa influenza sulle sorelline, specialmente su Jo che le voleva molto bene.
- Ragazze - disse Meg, abbracciando con un solo sguardo le quattro testine arruffate - la mamma desidera che noi leggiamo ed amiamo i libri: dobbiamo ubbidire fin da ora.
Così detto cominciò a leggere. Io le passò un braccio attorno alle spalle e iniziò la lettura con la guancia appoggiata a quella della sorella.
- Meg è proprio buona - esclamò Beth commossa. - Vieni, Amy, seguiamo il loro esempio; ti spiegherò le parole che non conosci ed io, se non capirò qualcosa, mi rivolgerò a loro.
- Ho piacere che la copertina del mio libro sia turchina! - disse Amy.
Tutta la casa piombò nel silenzio, interrotto soltanto dal frusciare delle pagine. Intanto il sole inondava la camera, augurando il "Buon Natale" alle quattro testine bionde.
- Dov'è la mamma, Anna? - domandò Meg, dopo una mezz'ora, mentre scendeva le scale insieme a Jo.
- Dio solo lo sa! È venuto un povero a chiedere l'elemosina e dopo essersi informata su ciò che gli abbisognava, è uscita con lui. Non conosco nessuna donna più generosa nel donare cibi ed abiti ai poveri.
- Immagino che tornerà presto: prepara intanto le torte: poi prepariamo il resto, - disse Meg, guardando i regali dentro al paniere.
- Ma dov'è l'acqua di Colonia di Amy?
- L'ha presa lei pochi momenti fa per metterci un nastro o non so quale altra cosa - rispose Jo, saltellando per la casa.
- Sono belli i miei fazzoletti? Anna me li ha lavati e stirati ed io li ho cifrati, - disse Beth guardando le cifre piuttosto irregolari.
- Ma guarda, invece di ricamare "M.M." ha fatto "Mamma"! - esclamò Jo, guardandone uno.
- Ho forse fatto male? Anche Meg ha come cifra una doppia "M" ed io voglio che questi fazzoletti li adoperi soltanto la mamma! - rispose Beth turbata.
- Hai fatto benissimo, tesoro! La mamma sarà molto contenta, - disse Meg lanciando una severa occhiata a Jo e sorridendo a Beth.
- Ho sentito dei passi, presto, nascondiarno i regali! - esclamò Jo concitatamente, ma non era la mamma: era Amy che entrava in gran fretta, tutta confusa nel vedere che le sorelle l'aspettavano già.
- Dove sei stata e cosa nascondi, lì dietro? - chiese Meg molto meravigliata nel constatare che la pigra sorellina era uscita così di buon'ora.
- Non ridere, Jo. Non volevo dirlo a nessuno, ma mi avete scoperto. Sono andata a cambiare la boccetta di profumo con una più grande: ho speso tutti i miei risparmi. Voglio diventare veramente buona.
Amy mostrò la bella bottiglia che avrebbe sostituito quella più piccola ed era così bello ed umile il suo gesto che Meg non potè fare a meno di abbracciarla.
- Stamattina dopo aver letto il libro - mi sono vergognata del mio egoismo. Appena alzata sono uscita per cambiare la boccetta, ma adesso sono contenta perchè il mio regalo è il più bello di tutti - soggiunse Amy.
La porta di casa si chiuse di nuovo e le ragazze fecero sparire rapidamente il paniere sotto il divano.
- Buon Natale, mamma! Buon Natale! Grazie dei libri: abbiamo già cominciato a leggerli e saranno la nostra lettura di ogni mattina - gridarono allegramente le quattro ragazze.
"Buon Natale a voi, figlie mie! Sono contenta che abbiate già iniziato e spero che continuerete. Ma
prima di sederci, devo dirvi una cosa. Poco lontano da qui, una donna ha appena avuto un bimbo. Ne ha già altri sei, che stanno rannicchiati in un unico letto per non gelare. Infatti, non hanno né legna per il fuoco, né qualcosa da mangiare... Bambine mie, vorreste donare loro la vostra colazione come regalo di Natale?"
Per un momento nessuna parlò: avevano un grande appetito poichè attendevano già da un'ora. L'indecisione durò per poco.
- Sono contenta che tu sia arrivata prima che cominciassimo.
- Vengo io ad aiutarti? - chiese Beth con premura.
- Io porto la crema e le focaccine, - soggiunse Amy.
- Sapevo che le mie bambine avrebbero fatto questo piccolo sacrificio - disse sorridendo la signora March. - Verrete tutte con me e quando torneremo faremo colazione con latte, pane, burro.
In pochi minuti tutte furono pronte per uscire. Per loro fortuna, le strade erano deserte e nessuno si meravigliò di quella processione.
La stanza che videro era veramente una stamberga! Il fuoco era spento, le finestre sconquassate; le coperte lacere e in un angolo la madre ammalata col piccolo che strillava. Sotto una vecchia coperta erano sei bambini che, quando videro entrare le fanciulle, sorrisero spalancando gli occhi per la meraviglia.
- Mio Dio! Sono gli angeli che vengono ad aiutarci, - esclamò la povera madre commossa.
- Strani angeli con cappucci e guanti! - esclamò Jo e tutti risero allegramente.
Pochi minuti dopo la stanza aveva mutato aspetto. Anna, che aveva portato la legna da casa, accese il fuoco. Poi, con cappelli vecchi e perfino il suo scialle, chiuse le aperture dei vetri rotti. Intanto la signora March preparava per la madre il tè e una minestra, promettendole nuovi aiuti. Le ragazze preparavano la tavola ed imboccavano i sei bambini, ridendo, chiacchierando e cercando di capire il loro strano modo di parlare. I bambini, tra un boccone e l'altro, le chiamavano "angeli" e questo divertiva molto le ragazze che prima di allora non erano mai state chiamate così, specialmente Jo che, fin dalla nascita, era stata considerata un " sanciopancia ".
Terminata la colazione, tutte tornarono a casa e forse in tutta la città non vi erano quattro fanciulle più liete.
- Sono contenta di aver fatto un po' di bene ai nostri simpatici vicini! - esclamò Meg mentre disponeva sulla tavola i doni per la mamma che, in quel momento, stava cercando al piano superiore indumenti per i piccoli Hummel.
Benchè i regali non fossero gran cosa, la tavola così preparata con le rose, i crisantemi e l'edera, faceva un bell'effetto.
Le opere benefiche e la distribuzione dei doni occupò le ragazze per tutta la mattinata; il pomeriggio, invece, trascorse tra i preparativi per la festa di quella sera. Essendo ancora troppo giovani per andare a teatro e non avendo la possibilità di comperare tutto il necessario per le loro rappresentazioni, le ragazze dovevano aguzzare il loro ingegno. Alcune delle loro trovate erano veramente ingegnose: chitarre di cartone colorato, lumi antichi ricavati dalle scatole di burro, abiti di cotonina ornati con diamanti di stagnola, armature di lamina di zinco. Il mobilio della stanza era abituato ad essere messo sossopra per quelle ingenue baldorie. Alle recite erano ammesse solo le bambine, così Jo poteva divertirsi ad impersonare tutte le parti maschili. Essa andava molto orgogliosa di un paio di stivaloni di cuoio che le erano stati regalati da un'amica e di un vecchio fioretto che compariva in tutte le rappresentazioni. L'esiguo numero di attori richiedeva che i principali recitassero varie parti, mutando in tutta fretta gli abiti.
La sera di Natale, su una brandina che fungeva da platea, erano sedute una dozzina di spettatrici: grande era l'attesa davanti al sipario di tela azzurra. Dietro al sipario si udivano fruscii, rumori di passi, un parlare sommesso e le risatine soffocate di Amy, che era in preda ad una grande agitazione.
Finalmente il sipario si alzò e cominciò la " Tragedia musicale ". La scena rappresentava una foresta oscura: qua e là vi erano vasi di piante, un vecchio tappeto verde simulava il prato. Nel fondo vi era una grotta le cui pareti erano fatte con diverse scrivanie; la scena era resa tenebrosa da un fuoco acceso nella caverna su cui bolliva una pentola, sorvegliata da una vecchia strega. L'effetto era grande specialmente quando la strega alzava il coperchio della pentola, lasciando sfuggire sbuffi di denso fumo nero.
Dopo un attimo di pausa, Ugo, il personaggio malvagio della tragedia, entra sbatacchiando la porta, col cappello calato sugli occhi e gli immancabili stivali. Dopo aver camminato un po' per il palcoscenico, comincia a cantare il suo odio per Roderigo, il suo amore per Zara e il proposito di uccidere il primo e di farsi amare dalla seconda.
Il sipario si chiuse tra gli applausi degli spettatori che commentarono l'opera masticando frutta candita.
Colpi di martelli risuonarono per tutto l'intervallo, ma quando il sipario si alzò, nessuno ebbe il coraggio di lamentarsi per il ritardo. Una torre si ergeva fino al soffitto, nel centro vi era una finestrella illuminata, attraverso la quale appariva Zara in un elegante vestito azzurro.
Zara doveva uscire dalla finestra, e stava per metter piede a terra, quando lo strascico della sua veste, impigliandosi nelle finestrelle, fa crollare la torre e seppellisce gli infelici amanti. Dalla platea sorse un urlo generale che presto si tramutò in una risata clamorosa mentre, dalle macerie, uscivano agitandosi due stivaloni gialli e una testolina tutta riccioli che gridava:
- L'avevo detto io! l'avevo detto!
Fortunatamente l'incidente si risolse assai felicemente.
Il terzo atto si svolge nel salone del castello dove è nascosta Agar, pronta ad uccidere Ugo e a liberare i due prigionieri. Sentendolo giungere, essa si nasconde e lo vede preparare le bevande, poi volgersi a un servo e dire:
- Porta queste bevande ai due prigionieri e di che verrò tra poco.
Ma Agar, approfittando di un momento di distrazione del malvagio, sostituisce due coppe innocue a quelle avvelenate. Il servo esce e Ugo, dopo un lungo canto, preso dalla sete beve la coppa contenente il veleno destinato a Roderigo. Dopo vari gesti e contorsioni egli cade morto per terra mentre Agar compie interamente la sua vendetta informandolo di tutto il suo operato con una bellissima romanza.
Il quarto atto rivela come Roderigo, che si credeva abbandonato da Zara, voglia uccidersi. Ma un dolce canto lo informa della fedeltà della sua amata e una chiave lanciata dentro la sua prigione gli permette di liberarla.
Il pubblico applaudì freneticamente e l'applauso sarebbe durato a lungo se non fosse accaduto uno strano incidente. La branda su cui erano seduti gli spettatori si chiuse improvvisamente, soffocando il generale entusiasmo.
Ridevano ancor tutti quando Anna entrò portando gli auguri di Buon Natale da parte della signora March ed invitando tutti ad un piccolo trattenimento. Fu una sorpresa anche per le ragazze; sapevano che la mamma avrebbe offerto qualcosa, ma una cena così bella non l'avevano più veduta dal tempo della lontana ricchezza. C'erano due gelati; uno bianco ed uno rosso; torta, frutta, un vassoio di fondante e, nel centro della tavola, quattro bellissimi mazzi di fiori. Le bambine guardarono meravigliate, poi assalirono la madre di domande:
- Sono le fate? - domandò Amy.
- È il Babbo Natale! - disse Beth.
- È stata la mamma! - esclamò Meg, sorridendo felice.
- Per una volta tanto la zia March ha avuta una buona idea! - esclamò Jo improvvisamente.
- Avete sbagliato! - rispose la signora March. - Ha mandato tutto il Sig. Laurence!
- Il Sig. Laurence? Ma se non ci conosce neppure! - esclamò Meg, stupita.
- Anna ha raccontato ad una delle sue domestiche la nostra spedizione di questa mattina in casa Hummel. La storia lo ha commosso, molti anni fa egli era amico del mio babbo, ed oggi mi ha scritto un bigliettino chiedendomi il permesso di mandarvi qualche ghiottoneria, in onore del giorno di Natale. Non potevo rifiutare ed ecco qui un banchetto che certamente vi ricompenserà del pane e latte di questa mattina.
- È certamente opera del suo nipotino: è un ragazzo molto simpatico e mi piacerebbe di conoscerlo. Credo che anche a lui piacerebbe di fare la nostra conoscenza ma è piuttosto timido, e Meg non mi permette di salutarlo quando lo incontriamo, - disse Jo mentre i piatti dei dolci circolavano e l'allegria aumentava sempre.
- È un ragazzo molto educato e non ho alcuna difficoltà che facciate amicizia con lui; i fiori li ha portati lui, lo avrei invitato volentieri se avessi saputo che cosa stavate combinando lassù. Credo che avrebbe accettato molto volentieri, ma...
- Per fortuna non l'ha fatto! la recita è stato un vero fiasco, ma ne faremo delle altre e avremo occasione di invitarlo: forse potrà anche aiutarci. Non sarebbe bello? - disse Jo con entusiasmo.
- Com'è grazioso il mio mazzo di fiori! - esclamò Meg. - È il primo che ricevo!
- Sì, davvero grazioso, ma io preferisco le rose di Beth. - Così dicendo, la signora March aspirò il profumo delle rose ormai appassite che teneva alla cintura.
Beth l'abbracciò e sussurrò:
- Vorrei mandare qualche rosa anche al babbo, non credo che abbia trascorso un Natale così felice come il nostro!
 
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I RE MAGI

di Gabriele D'Annunzio



La notte era senza luna; ma tutta la campagna risplendeva di una luce bianca e uguale come il plenilunio, poiché il Divino era nato; dalla campagna lontana i raggi si diffondevano....
Il Bambino Gesù rideva teneramente, tenendo le braccia aperte verso l'alto, come in atto di adorazione; e l'asino e il bue lo riscaldavano col loro fiato, che fumava nell'aria gelida.
La Madonna e San Giuseppe di tratto in tratto si scuotevano dalla contemplazione, e si chinavano per baciare il figliolo.
Vennero i pastori, dal piano e dal monte, portando i doni e vennero anche i Re Magi. Erano tre: il Re Vecchio, il Re Giovane e il Re Moro.
Come giunse la lieta novella della natività di Gesù si adunarono.
E uno disse:
- È nato un altro Re. Vogliamo andare a visitarlo ?
- Andiamo - risposero gli altri due.
- Ma con quali doni?
- Con oro, incenso e mirra.
Nel viaggio i Re Magi discutevano animatamente, perché non potevano ancora stabilire chi, per primo, dovesse offrire il dono.
Primo voleva essere chi portava l'oro. E diceva: - L'oro è più prezioso dell'incenso e della mirra; dunque io debbo essere il primo donatore.
Gli altri due alla fine cedettero. Quando entrarono nella capanna, il primo a farsi innanzi fu dunque il Re con l'oro.
Si inginocchiò ai piedi del bambino; e accanto a lui si inginocchiarono i due con l'incensi e la mirra.
Gesù mise la sua piccoletta mano sul capo del Re che gli offerse l'oro, quasi volesse abbassarne la superbia. Rifiutò l'oro; soltanto prese l'incenso e la mirra, dicendo: - L'oro non è per me!
 
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RACCONTO DI NATALE


di Dino Buzzati



Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi, stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda – lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1 carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo? Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei confessionali.

Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante. Questa, una serata di Natale. Senonché in mezzo a questi pensieri, udì battere a una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in cenci.

"Che quantità di Dio! " esclamò sorridendo costui guardandosi intorno- "Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori.

Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale. "

"E' di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."

"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne accorgerebbe nemmeno!"

"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il poverello con un biglietto da cinque lire.

Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve. Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.

Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio. Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti, musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.

Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c'era un poco di Dio.

"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"

"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro? Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."

"Caro il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino."

E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.

Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino cadde in ginocchio.

"Ma che cosa fa, reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un malanno con questo freddo?"

"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"

Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a benedire i nostri campi."

" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."

"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."

"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo, solo che tu mi dica di sì."

"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.

Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).

Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"

Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio, ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?

Finché udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di paradiso.

"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli "abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno di Dio. Dammene un poco, ti prego."

Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo, si fece, se era possibile, ancora più pallido.

"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"
 
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view post Posted on 12/2/2009, 09:15

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I FIGLI DI BABBO NATALE



di Italo Calvino


Non c'è epoca dell'anno più gentile e buona, per il mondo dell'industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso. L'unico pensiero dei Consigli d'amministrazione adesso è quello di dare gioia al prossimo, mandando doni accompagnati da messaggi d'augurio sia a ditte consorelle che a privati; ogni ditta si sente in dovere di comprare un grande stock di prodotti da una seconda ditta per fare i suoi regali alle altre ditte; le quali ditte a loro volta comprano da una ditta altri stock di regali per le altre; le finestre aziendali restano illuminate fino a tardi, specialmente quelle del magazzino, dove il personale continua le ore straordinarie a imballare pacchi e casse; al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s'inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po' abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino dànno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d'affari le grevi contese d'interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale.
Alla Sbav quell'anno l'Ufficio Relazioni Pubbliche propose che alle persone di maggior riguardo le strenne fossero recapitate a domicilio da un uomo vestito da Babbo Natale.
L'idea suscitò l'approvazione unanime dei dirigenti. Fu comprata un'acconciatura da Babbo Natale completa: barba bianca, berretto e pastrano rossi bordati di pelliccia, stivaloni. Si cominciò a provare a quale dei fattorini andava meglio, ma uno era troppo basso di statura e la barba gli toccava per terra, uno era troppo robusto e non gli entrava il cappotto, un altro troppo giovane, un altro invece troppo vecchio e non valeva la pena di truccarlo.
Mentre il capo dell'Ufficio Personale faceva chiamare altri possibili Babbi Natali dai vari reparti, i dirigenti radunati cercavano di sviluppare l'idea: l'Ufficio Relazioni Umane voleva che anche il pacco-strenna alle maestranze fosse consegnato da Babbo Natale in una cerimonia collettiva; l'Ufficio Commerciale voleva fargli fare anche un giro dei negozi; l'Ufficio Pubblicità si preoccupava che facesse risaltare il nome della ditta, magari reggendo appesi a un filo quattro palloncini con le lettere S, B, A, V.
Tutti erano presi dall'atmosfera alacre e cordiale che si espandeva per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri; e questo, questo soprattutto - come ci ricorda il suono, firulí firulí, delle zampogne -, è ciò che conta.
In magazzino, il bene - materiale e spirituale - passava per le mani di Marcovaldo in quanto merce da caricare e scaricare. E non solo caricando e scaricando egli prendeva parte alla festa generale, ma anche pensando che in fondo a quel labirinto di centinaia di migliaia di pacchi lo attendeva un pacco solo suo, preparatogli dall'Ufficio Relazioni Umane; e ancora di più facendo il conto di quanto gli spettava a fine mese tra " tredicesima mensilità " e " ore straordinarie ". Con qui soldi, avrebbe potuto correre anche lui per i negozi, a comprare comprare comprare per regalare regalare regalare, come imponevano i più sinceri sentimenti suoi e gli interessi generali dell'industria e del commercio.
Il capo dell’Ufficio Personale entrò in magazzino con una barba finta in mano: - Ehi, tu! - disse a Marcovaldo. - Prova un po' come stai con questa barba. Benissimo! Il Natale sei tu. Vieni di sopra, spicciati. Avrai un premio speciale se farai cinquanta consegne a domicilio al giorno.
Marcovaldo camuffato da Babbo Natale percorreva la città, sulla sella del motofurgoncino carico di pacchi involti in carta variopinta, legati con bei nastri e adorni di rametti di vischio e d'agrifoglio. La barba d'ovatta bianca gli faceva un po’ di pizzicorino ma serviva a proteggergli la gola dall'aria.
La prima corsa la fece a casa sua, perché non resisteva alla tentazione di fare una sorpresa ai suoi bambini. " Dapprincipio, - pensava, non mi riconosceranno. Chissà come rideranno, dopo! "
I bambini stavano giocando per la scala. Si voltarono appena. - Ciao papà.
Marcovaldo ci rimase male. -Mah... Non vedete come sono vestito?
- E come vuoi essere vestito? - disse Pietruccio. - Da Babbo Natale, no?
- E m'avete riconosciuto subito?
- Ci vuol tanto! Abbiamo riconosciuto anche il signor Sigismondo che era truccato meglio di te!
- E il cognato della portinaia!
- E il padre dei gemelli che stanno di fronte!
- E lo zio di Ernestina quella con le trecce!
- Tutti vestiti da Babbo Natale? - chiese Marcovaldo, e la delusione nella sua voce non era soltanto per la mancata sorpresa familiare, ma perché sentiva in qualche modo colpito il prestigio aziendale.
- Certo, tal quale come te, uffa, - risposero i bambini, - da Babbo Natale, al solito, con la barba finta, - e voltandogli le spalle, si rimisero a badare ai loro giochi.
Era capitato che agli Uffici Relazioni Pubbliche di molte ditte era venuta contemporaneamente la stessa idea; e avevano reclutato una gran quantità di persone, per lo più disoccupati, pensionati, ambulanti, per vestirli col pastrano rosso e la barba di bambagia. I bambini dopo essersi divertiti le prime volte a riconoscere sotto quella mascheratura conoscenti e persone del quartiere, dopo un po' ci avevano fatto l'abitudine e non ci badavano più.
Si sarebbe detto che il gioco cui erano intenti li appassionasse molto. S'erano radunati su un pianerottolo, seduti in cerchio. - Si può sapere cosa state complottando? - chiese Marcovaldo.
- Lasciaci in pace, papà, dobbiamo preparare i regali.
- Regali per chi?
- Per un bambino povero. Dobbiamo cercare un bambino povero e fargli dei regali.
- Ma chi ve l'ha detto?
- C'è nel libro di lettura.
Marcovaldo stava per dire: " Siete voi i bambini poveri! ", ma durante quella settimana s'era talmente persuaso a considerarsi un abitante del Paese della Cuccagna, dove tutti compravano e se la godevano e si facevano regali, che non gli pareva buona educazione parlare di povertà, e preferì dichiarare: - Bambini poveri non ne esistono più!
S'alzò Michelino e chiese: - È per questo, papà, che non ci porti regali?
Marcovaldo si sentí stringere il cuore. - Ora devo guadagnare degli straordinari, - disse in fretta, - e poi ve li porto.
- Li guadagni come? - chiese Filippetto.
- Portando dei regali, - fece Marcovaldo.
- A noi?
- No, ad altri.
- Perché non a noi? Faresti prima..
Marcovaldo cercò di spiegare: - Perché io non sono mica il Babbo Natale delle Relazioni Umane: io sono il Babbo Natale delle Relazioni Pubbliche. Avete capito?
- No.
- Pazienza -. Ma siccome voleva in qualche modo farsi perdonare d'esser venuto a mani vuote, pensò di prendersi Michelino e portarselo dietro nel suo giro di consegne. - Se stai buono puoi venire a vedere tuo padre che porta i regali alla gente, - disse, inforcando la sella del motofurgoncino.
- Andiamo, forse troverò un bambino povero, - disse Michelino e saltò su, aggrappandosi alle spalle del padre.
Per le vie della città Marcovaldo non faceva che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofurgoncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all'automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un'aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell'enorme macchinario delle Feste.
E Marcovaldo, tal quale come loro, correva da un indirizzo all'altro segnato sull'elenco, scendeva di sella, smistava i pacchi del furgoncino, ne prendeva uno, lo presentava a chi apriva la porta scandendo la frase:
- La Sbav augura Buon Natale e felice anno nuovo,- e prendeva la mancia.
Questa mancia poteva essere anche ragguardevole e Marcovaldo avrebbe potuto dirsi soddisfatto, ma qualcosa gli mancava. Ogni volta, prima di suonare a una porta, seguito da Michelino, pregustava la meraviglia di chi aprendo si sarebbe visto davanti Babbo Natale in persona; si aspettava feste, curiosità, gratitudine. E ogni volta era accolto come il postino che porta il giornale tutti i giorni.
Suonò alla porta di una casa lussuosa. Aperse una governante. - Uh, ancora un altro pacco, da chi viene?
- La Sbav augura...
- Be', portate qua, - e precedette il Babbo Natale per un corridoio tutto arazzi, tappeti e vasi di maiolica. Michelino, con tanto d'occhi, andava dietro al padre.
La governante aperse una porta a vetri. Entrarono in una sala dal soffitto alto alto, tanto che ci stava dentro un grande abete. Era un albero di Natale illuminato da bolle di vetro di tutti i colori, e ai suoi rami erano appesi regali e dolci di tutte le fogge. Al soffitto erano pesanti lampadari di cristallo, e i rami più alti dell'abete s'impigliavano nei pendagli scintillanti. Sopra un gran tavolo erano disposte cristallerie, argenterie, scatole di canditi e cassette di bottiglie. I giocattoli, sparsi su di un grande tappeto, erano tanti come in un negozio di giocattoli, soprattutto complicati congegni elettronici e modelli di astronavi. Su quel tappeto, in un angolo sgombro, c'era un bambino, sdraiato bocconi, di circa nove anni, con un'aria imbronciata e annoiata. Sfogliava un libro illustrato, come se tutto quel che era li intorno non lo riguardasse.
- Gianfranco, su, Gianfranco, - disse la governante, - hai visto che è tornato Babbo Natale con un altro regalo?
- Trecentododici, - sospirò il bambino - senz'alzare gli occhi dal libro. - Metta lí.
- È il trecentododicesimo regalo che arriva, - disse la governante. - Gianfranco è cosí bravo, tiene il conto, non ne perde uno, la sua gran passione è contare.
In punta di piedi Marcovaldo e Michelino lasciarono la casa.
- Papà, quel bambino è un bambino povero? - chiese Michelino.
Marcovaldo era intento a riordinare il carico del furgoncino e non rispose subito. Ma dopo un momento, s'affrettò a protestare: - Povero? Che dici? Sai chi è suo padre? È il presidente dell'Unione Incremento Vendite Natalizie! Il commendator...
S'interruppe, perché non vedeva Michelino. Michelino, Michelino! Dove sei? Era sparito.
" Sta’ a vedere che ha visto passare un altro Babbo Natale, l'ha scambiato per me e gli è andato dietro... " Marcovaldo continuò il suo giro, ma era un po' in pensiero e non vedeva l'ora di tornare a casa.
A casa, ritrovò Michelino insieme ai suoi fratelli, buono buono.
- Di' un po', tu: dove t'eri cacciato?
- A casa, a prendere i regali... Si, i regali per quel bambino povero...
- Eh! Chi?
- Quello che se ne stava cosi triste.. - quello della villa con l'albero di Natale...
- A lui? Ma che regali potevi fargli, tu a lui?
- Oh, li avevamo preparati bene... tre regali, involti in carta argentata.
Intervennero i fratellini. Siamo andati tutti insieme a portarglieli! Avessi visto come era contento!
- Figuriamoci! - disse Marcovaldo. - Aveva proprio bisogno dei vostri regali, per essere contento!
- Sí, sí dei nostri... È corso subito a strappare la carta per vedere cos'erano...
- E cos'erano?
- Il primo era un martello: quel martello grosso, tondo, di legno...
- E lui?
- Saltava dalla gioia! L'ha afferrato e ha cominciato a usarlo!
- Come?
- Ha spaccato tutti i giocattoli! E tutta la cristalleria! Poi ha preso il secondo regalo...
- Cos'era?
- Un tirasassi. Dovevi vederlo, che contentezza... Ha fracassato tutte le bolle di vetro dell'albero di Natale. Poi è passato ai lampadari...
- Basta, basta, non voglio più sentire! E... il terzo regalo?
- Non avevamo più niente da regalare, cosi abbiamo involto nella carta argentata un pacchetto di fiammiferi da cucina. È stato il regalo che l'ha fatto più felice. Diceva: " I fiammiferi non me li lasciano mai toccare! " Ha cominciato ad accenderli, e...
-E...?
- …ha dato fuoco a tutto!
Marcovaldo aveva le mani nei capelli. - Sono rovinato!
L'indomani, presentandosi in ditta, sentiva addensarsi la tempesta. Si rivesti da Babbo Natale, in fretta in fretta, caricò sul furgoncino i pacchi da consegnare, già meravigliato che nessuno gli avesse ancora detto niente, quando vide venire verso di lui tre capiufficio, quello delle Relazioni Pubbliche, quello della Pubblicità e quello dell'Ufficio Commerciale.
- Alt! - gli dissero, - scaricare tutto; subito!
" Ci siamo! " si disse Marcovaldo e già si vedeva licenziato.
- Presto! Bisogna sostituire i pacchi! - dissero i Capiufficio. - L'Unione Incremento Vendite Natalizie ha aperto una campagna per il lancio del Regalo Distruttivo!
- Cosi tutt'a un tratto... - commentò uno di loro. Avrebbero potuto pensarci prima...
- È stata una scoperta improvvisa del presidente, - spiegò un altro. - Pare che il suo bambino abbia ricevuto degli articoli-regalo modernissimi, credo giapponesi, e per la prima volta lo si è visto divertirsi...
- Quel che più conta, - aggiunse il terzo, - è che il Regalo Distruttivo serve a distruggere articoli d'ogni genere: quel che ci vuole per accelerare il ritmo dei consumi e ridare vivacità al mercato... Tutto in un tempo brevissimo e alla portata d'un bambino... Il presidente dell'Unione ha visto aprirsi un nuovo orizzonte, è ai sette cieli dell'entusiasmo...
- Ma questo bambino, - chiese Marcovaldo con un filo di voce, - ha distrutto veramente molta roba?
- Fare un calcolo, sia pur approssimativo, è difficile, dato che la casa è incendiata...
Marcovaldo tornò nella via illuminata come fosse notte, affollata di mamme e bambini e zii e nonni e pacchi e palloni e cavalli a dondolo e alberi di Natale e Babbi Natale e polli e tacchini e panettoni e bottiglie e zampognari e spazzacamini e venditrici di caldarroste che facevano saltare padellate di castagne sul tondo fornello nero ardente.
E la città sembrava più piccola, raccolta in un'ampolla luminosa, sepolta nel cuore buio d'un bosco, tra i tronchi centenari dei castagni e un infinito manto di neve. Da qualche parte del buio s'udiva l'ululo del lupo; i leprotti avevano una tana sepolta nella neve, nella calda terra rossa sotto uno strato di ricci di castagna.
Usci un leprotto, bianco, sulla neve, mosse le orecchie, corse sotto la luna, ma era bianco e non lo si vedeva, come se non ci fosse. Solo le zampette lasciavano un'impronta leggera sulla neve, come foglioline di trifoglio. Neanche il lupo si vedeva, perché era nero e stava nel buio nero del bosco. Solo se apriva la bocca, si vedevano i denti bianchi e aguzzi.
C'era una linea in cui finiva il bosco tutto nero e cominciava la neve tutta bianca. Il leprotto correva di qua ed il lupo di là.
Il lupo vedeva sulla neve le impronte del leprotto e le inseguiva, ma tenendosi sempre sul nero, per non essere visto. Nel punto in cui le impronte si fermavano doveva esserci il leprotto, e il lupo usci dal nero, spalancò la gola rossa e i denti aguzzi, e morse il vento.
Il leprotto era poco più in là, invisibile; si strofinò un orecchio con una zampa, e scappò saltando.
È qua? È là? no, è un po' più in là?
Si vedeva solo la distesa di neve bianca come questa pagina.




 
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QUELLA VOLTA CHE BABBO NATALE NON SI SVEGLIÒ IN TEMPO



di Thomas Matthaeus Muller


Hubert, l'anziano Babbo Natale, saltò giù dal letto: accipicchia, non si era svegliato in tempo!

Era già la vigilia di Natale, e non c'era ancora nulla di pronto, nemmeno un pacchettino! Dappertutto sul pavimento erano sparse in disordine le molte letterine di Natale che il postino aveva fatto passare attraverso una fessura della porta.

Quasi contemporaneamente qualcuno busso alla porta e la renna Max, fedele assistente di Hubert, entro puntuale come ogni anno. "E che cosa faccio adesso?" si lamento Hubert. "La sveglia non ha suonato!" "Chiedi a Otto, il mago, se può fermare il tempo, cosi tu potresti procurarti ancora tutti i regali", suggerì la renna Max.

"Otto sa soltanto far apparire conigli dal cilindro!" brontolo arrabbiato Hubert. "E per di più soltanto bianchi!" "Allora portiamoci dietro la cassa dei travestimenti", disse la renna Max. La cassa dei travestimenti era un baule enorme e pesante, piena di vecchi costumi, fazzoletti colorati, cappelli, scarpe e scialli che Hubert, anni prima, aveva ricevuto in regalo da una compagnia teatrale.

Quando la caricarono sulla slitta questa si ruppe nel mezzo. "E adesso che faccio?" si lamento Hubert. "Portiamola a mano." sbuffo la renna Max, si sfrego gli zoccoli prima di mettersi al lavoro e trasportarono la cassa cosi per tutta la strada fino in città... per fortuna era in discesa. Tutti i bambini stavano già aspettando con ansia i regali di Natale.

Ma quell'anno Hubert e Max, al posto dei regali, fecero una divertente rappresentazione teatrale. E non ebbero niente in contrario quando, uno dopo l'altro, i bambini si misero anch'essi a recitare. Si narrava di un Babbo Natale stanco e arruffato... e l'inizio faceva cosi:

Hubert, l'anziano Babbo Natale, salto giù dal letto ... accipicchia, non si era svegliato in tempo!

 
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NATALE A REGALPETRA



di Leonardo Sciascia


Le feste di Natale sono finite. Non per tutti sono state gioiose e ricche. Non tutti sono andati in montagna a sciare. A Regalpetra, che si trova in Sicilia, qualche anno fa le cose andavano come ce le descrive questo grande scrittore siciliano .E da allora, non vi sono stati molti mutamenti …

- Il vento porta via le orecchie - dice il bidello.
Dalle vetrate vedo gli alberi piegati come nello slancio di una corsa.
I ragazzi battono i piedi, si soffiano sulle mani cariche di geloni.
L’aula ha quattro grandi vetrate: damascate di gelo, tintinnano per il vento come le sonagliere di un mulo.
Come al solito, in una paginetta di diario, i ragazzi mi raccontano come hanno passato il giorno di Natale:
tutti hanno giuocato a carte, a scopa, sette e mezzo e ti-vitti (ti ho visto :un gioco che non consente la minima distrazione); sono andati alla messa di mezzanotte, hanno mangiato il cappone e sono andati al cinematografo.
Qualcuno afferma di aver studiato dall’alba, dopo la messa, fino a mezzogiorno; ma è menzogna evidente.
In complesso tutti hanno fatto le stesse cose; ma qualcuno le racconta con aria di antica cronaca:"La notte di Natale l’ho passata alle carte, poi andai alla Matrice che era piena di gente e tutta luminaria, e alle ore sei fu la nascita di Gesù".
Alcuni hanno scritto,senza consapevole amarezza, amarissime cose:
"Nel giorno di Natale ho giocato alle carte e ho vinto quattrocento lire e con questo denaro prima di tutto compravo i quaderni e la penna e con quelli che restano sono andato al cinema e ho pagato il biglietto a mio padre per non spendere i suoi denari e lui lì dentro mi ha comprato sei caramelle e gazosa".
Il ragazzo si è sentito felice, ha fatto da amico a suo padre Pagandogli il biglietto del cinema…
Ha fatto un buon Natale. Ma il suo Natale io l’avrei voluto diverso, più spensierato.
"La mattina del Santo Natale - scrive un altro – mia madre mi ha fatto trovare l’acqua calda per lavarmi tutto".
La giornata di festa non gli ha portato nient’altro di così bello. Dopo che si è lavato e asciugato e vestito, è uscito con suo padre "per fare la spesa". Poi ha mangiato il riso col brodo e il cappone.
"E così ho passato il Santo Natale".
 
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view post Posted on 12/2/2009, 17:55

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VANGELO APOCRIFO DELLO PSEUDO-MATTEO






Nascita di Gesù. Dopo un certo periodo accadde che si facesse un censimento a motivo di un editto di Cesare Augusto, e tutta la terra si fece iscrivere, ognuno nella sua patria. Questo censimento fu fatto dal preside della Siria, Cirino. Fu dunque necessario che Giuseppe, con Maria, si facesse iscrivere a Betlemme, poiché Giuseppe e Maria erano di qui, della tribù di Giuda e della casata di Davide.

Mentre Giuseppe e Maria camminavano lungo la strada che conduce a Betlemme, Maria disse a Giuseppe: "Vedo davanti a me due popoli, uno piange e l'altro è contento". Giuseppe le rispose: "Stattene seduta sul tuo giumento e non dire parole superflue". Apparve poi davanti a loro un bel giovane vestito di abito bianco, e disse a Giuseppe: "Perché hai detto che erano parole superflue quelle dette da Maria a proposito dei due popoli? Vide infatti il popolo giudaico piangere, essendosi allontanato dal suo Dio, e il popolo pagano gioire, perché oramai si è accostato e avvicinato al Signore, secondo quanto aveva promesso ai padri nostri Abramo, Isacco, e Giacobbe: difatti, è giunto il tempo nel quale, nella discendenza di Abramo, è concessa la benedizione a tutte le genti".

Ciò detto, l'angelo ordinò di fermare il giumento, essendo giunto il tempo di partorire; comandò poi alla beata Maria di discendere dall'animale e di entrare in una grotta sotto una caverna nella quale non entrava mai la luce ma c'erano sempre tenebre, non potendo ricevere la luce del giorno. Allorché la beata Maria entrò in essa, tutta si illuminò di splendore quasi fosse l'ora sesta del giorno. La luce divina illuminò la grotta in modo tale che né di giorno né di notte, fino a quando vi rimase la beata Maria, la luce non mancò. Qui generò un maschio, circondata dagli angeli mentre nasceva. Quando nacque stette ritto sui suoi piedi, ed essi lo adorarono dicendo: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà".

Era infatti giunta la nascita del Signore, e Giuseppe era andato alla ricerca di ostetriche. Trovatele, ritornò alla grotta e trovò Maria con il bambino che aveva generato. Giuseppe disse alla beata Maria: "Ti ho condotto le ostetriche Zelomi e Salome, rimaste davanti all'ingresso della grotta non osando entrare qui a motivo del grande splendore". A queste parole la beata Maria sorrise. Giuseppe le disse: "Non sorridere, ma sii prudente, lasciati visitare affinché vedano se, per caso, tu abbia bisogno di qualche cura". Allora ordinò loro di entrare. Entrò Zelomi; Salome non entrò. Zelomi disse a Maria: "Permettimi di toccarti". Dopo che lei si lasciò esaminare, l'ostetrica esclamò a gran voce dicendo: "Signore, Signore grande, abbi pietà. Mai si è udito né mai si è sospettato che le mammelle possano essere piene di latte perché è nato un maschio, e la madre sia rimasta vergine. Sul neonato non vi à alcuna macchia di sangue e la partoriente non ha sentito dolore alcuno. Ha concepito vergine, vergine ha generato e vergine è rimasta".

All'udire questa voce, Salome disse: "Permetti che ti tocchi e sperimenti se è vero quanto disse Zelomi". Dopo che la beata Maria concesse di lasciarsi toccare, Salome mise la sua mano. Ma quando ritrasse la mano che aveva toccato, la mano inaridì e per il grande dolore incominciò a piangere e ad angustiarsi disperatamente gridando: "Signore Dio, tu sai che io ti ho temuto sempre, e ho curato i poveri senza ricompensa, non ho mai preso nulla dalle vedove e dall'orfano, e il bisognoso non l'ho mai lasciato andare via da me a mani vuote. Ma ora eccomi diventata miserabile a motivo della mia incredulità, perché volli, senza motivo, provare la tua vergine".

Mentre così parlava apparve a fianco di lei un giovane di grande splendore, e le disse: "Avvicinati al bambino, adoralo, toccalo con la tua mano ed egli ti salverà: egli infatti è il Salvatore del mondo e di tutti coloro che in lui sperano". Subito lei si avvicinò al bambino e, adorandolo, toccò un lembo dei panni nei quali era avvolto, e subito la sua mano guari. Uscendo fuori incominciò a gridare le cose mirabili che aveva visto e sperimentato, e come era stata guarita; molti credettero a causa della sua predicazione.

Anche i pastori di pecore asserivano di avere visto degli angeli che, nel cuore della notte, cantavano un inno, lodavano il Dio del cielo e dicevano che era nato il Salvatore di tutti, che è Cristo Signore, nel quale sarà ridata la salvezza a Israele.

Una enorme stella splendeva dalla sera al mattino sopra la grotta; così grande non si era mai vista dalla creazione del mondo. I profeti che erano a Gerusalemme dicevano che questa stella segnalava la nascita di Cristo, che avrebbe realizzato la promessa fatta non solo a Israele, ma anche a tutte le genti.

Tre giorni dopo la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, la beatissima Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, ove il bue e l'asino l'adorarono. Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Isaia, con le parole: "il bue riconobbe il suo padrone, e l'asino la mangiatoia del suo signore". Gli stessi animali, il bue e l'asino, lo avevano in mezzo a loro e lo adoravano di continuo. Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Abacuc, con le parole: "Ti farai conoscere in mezzo a due animali".

Giuseppe con Maria, rimase nello stesso luogo per tre giorni.

il sesto giorno entrarono in Betlemme, dove passarono il giorno settimo. l’ottavo giorno circoncisero il bambino e gli diedero nome "Gesù", come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito. Terminati i giorni della purificazione di Maria, secondo la Legge di Mosè, Giuseppe condusse il bambino al tempio del Signore. Quando il bambino ricevette la "peritomè" ("peritomo" significa circoncisione), offrirono un paio di tortore o due piccini di colombe.

Nel tempio c era un certo uomo di Dio, perfetto e giusto, di nome Simeone, di anni centododici. Questi aveva ricevuto da Dio là promessa che non avrebbe gustato la morte senza avere prima visto, vivo in carne, il Cristo figlio di Dio. Visto il bambino, egli esclamò a gran voce: "Dio visitò il suo popolo, e il Signore adempì la sua promessa". E subito l'adorò. Dopo lo prese nel suo mantello e baciando i suoi piedi, disse: "Ora, o Signore, lascia andare in pace il tuo servo poiché i miei occhi videro la tua salvezza che hai preparato al cospetto di tutti i popoli, luce per illuminare le genti, e gloria del tuo popolo, Israele".

Nel tempio c'era pure la profetessa di nome Anna, figlia di Fanuel, della tribù di Ase che aveva vissuto con suo marito sette anni dalla sua verginità: ed era vedova già da ottantaquattro anni. Non si era mai allontanata dal tempio del Signore, ed era dedita a digiuni e preghiere. Anche lei adorò il bambino affermando che in lui c'è la redenzione del mondo.

I magi e la fuga in Egitto. Trascorso il secondo anno, dei magi vennero dall'Oriente a Gerusalemme portando grandi doni. E subito interrogarono i Giudei, dicendo: "Dov'è il re che vi e nato? In Oriente infatti abbiamo visto la sua stella e siamo venuti ad adorarlo". Questa voce giunse al re Erode e lo spaventò così tanto che radunò scribi, farisei e dottori del popolo per interrogarli dove, secondo i profeti, sarebbe nato Cristo. Essi risposero: "In Betlemme di Giuda. Sta scritto infatti: "E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la più piccola tra i principi di Giuda. Da te, invero, nascerà il duce che reggerà il mio popolo Israele"". Erode allora convocò i magi presso di sé e da loro indagò diligentemente quando era apparsa ad essi la stella. Mandandoli poi in Betlemme, disse: "Andate e informatevi diligentemente sul bambino. Quando lo troverete, fatemelo sapere affinché anch'io venga ad adorarlo".

Mentre i magi se ne andavano, per la strada apparve loro la stella che, precedendoli fino a quando giunsero ove era il bambino, fu quasi la loro guida. Vedendo la stella, i magi si rallegrarono con grande gioia e, entrati nella casa, trovarono il bambino Gesù seduto sul grembo di sua madre. Aprirono allora i loro tesori e regalarono grandi doni alla beata Maria e a Giuseppe. Al bambino poi offrirono ciascuno una moneta d'oro; così pure uno offri oro, un altro incenso, il terzo mirra.

Volevano ritornare dal re Erode, ma in sonno furono avvertiti da un angelo di non ritornare da Erode. Per un'altra strada se ne ritornarono nella loro regione.
 
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view post Posted on 12/2/2009, 21:31

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DIALOGO TRA I MAGI E MARIA



di Sant'Efrem Siro


I magi: «A noi una stella ha annunciato
che Colui che è nato è il re dei cieli. Tuo figlio ha potere sugli astri,
essi sorgono soltanto al suo ordine».

Maria: «E io vi dirò un altro segreto,
perché siate convinti:
restando vergine, io ho partorito mio figlio.
Egli è il figlio di Dio. Andate, annunciatelo! »

I magi: «Anche la stella ce l'aveva fatto conoscere,
che figlio di Dio e Signore è il tuo figlio».

Maria: «Altezze e abissi ne rendon testimonianza;
tutti gli angeli e tutte le stelle:
Egli è il figlio di Dio e il Signore.
Portate l'annuncio nelle vostre contrade,
che la pace si moltiplichi nel vostro paese».

1 magi: «Che la pace del tuo figlio
ci conduca nel nostro paese,
con sicurezza, come noi siamo venuti,
e quando il suo potere dominerà il mondo,
che Egli visiti e santifichi la nostra terra».

Maria: «Esulti la Chiesa e canti la gloria,
per la nascita del figlio dell'Altissirno,
la cui aurora ha rischiarato cielo e terra.
Benedetto Colui la cui nascita rallegra l'universo! »
 
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view post Posted on 12/2/2009, 21:53

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LE DUE NASCITE



di Sant'Agostino




1. Celebriamo oggi un giorno di festa, una solennità che ritorna ogni anno, il Natale del Signore Nostro Gesù Cristo: la Verità è gennogliata dalla terra (salmo 84, 12), il giorno da giorno è sorto nel nostro giorno: rallegriamoci ed esultiamo in esso (salmo 117, 24). La fede dei cristiani comprende quale vantaggio ci ha recato l'u- miltà di un Dio così sublime, ma ciò è lontano dal cuore degli empi, poiché Dio ha tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le ha rivelate ai piccoli (Matteo, 11, 25). Rimangano perciò fedeli gli umili all'umiltà di Dio, affinché con questo così valido aiuto - quasi un giumento che soccorre alla loro debolezza - possano pervenire all'altezza di Dio. I sapienti e gli intelligenti', invece, ricercano sì le cose grandi di Dio, ma non credono a quelle umili, e pertanto, proprio perché trascurano queste ultime, non sanno neppure pervenire a quelle. Vuoti e volubili, gonfi d'orgoglio, rimangono come sospesi tra cielo e terra, quasi afferrati dai soffi del vento. Sono certamente sapienti e intelligenti, ma lo sono secondo questo mondo, non secondo colui che ha creato il mondo. Se infatti fosse in loro la vera sapienza, quella che proviene da Dio, che anzi è Dio, comprenderebbero che Dio poteva assumere un corpo senza, per questo, mutarsi in corpo; comprenderebbero che Dio ha assunto ciò che non era, pur rimanendo ciò che era; che è venuto a noi assumendo la natura umana senza per questo allontanarsi dal Padre; che è rimasto ciò che da sempre è ed è apparso a noi nella nostra stessa natura; che ha nascosto la sua potenza in un corpo di bambino senza per questo sottrarla al mondo. Come l'intero uni- verso ha bisogno di lui che rimane presso il Padre, così il parto della Vergine ha bisogno di lui che viene a noi. La vergine madre è la prova della sua potenza: vergine prima di concepire, vergine dopo aver partorito; fu trovata, non resa, incinta; fu incinta di un maschio senza l'intervento di un maschio, ed è più beata e più mirabile ancora per aver ricevuto il dono della fecondità senza perdere la sua integrità. Ma quei sapienti preferiscono ritenere inventato, non realmente accaduto, un così grande núracolo. E così, a proposito di Cristo uomo e Dio, per non poter credere alla sua natura umana, la disprezzano, e non potendo disprezzare quella divina, non vi credono. A noi invece, quanto più essi la disprezza- no, tanto più è accetto nell'umiltà di Dio quel suo corpo di uomo, e quanto più a quelli appare impossibile, tanto più crediamo opera divina il parto di una vergine che ha generato un bambino.

2. Celebriarno dunque il Natale del Signore con la dovuta solennità e una partecipazione numerosa. Esultino uomini e donne: Cristo è nato uomo, è nato da una donna: entrambi i sessi così sono stati onorati. Si trasformi dunque nel secondo uomo chi nel primo uomo, cioè Adamo, era stato precedentemente condannato (cfr. 1 Corinzi, 15, 49). Una donna ci aveva indotti alla morte, una donna ci ha generato la vita. È nata una carne simile a quella del peccato (Romani 8, 3), perché da essa venisse purificata la carne del peccato. Non si condanni dunque la carne, ma, affinché la natura viva, muoia la colpa: egli infatti è nato senza colpa, perché chi è stato nella colpa possa rinascere in lui.
Esultate, giovani che avete scelto la vita consacrata, che avete deciso di seguire Cristo in modo speciale e non vi siete curati del matrimonio. Colui che avete tro- vato da seguire non giunse a voi attraverso l'uso del matrimonio proprio per darvi la capacità di saper rinunciare a ciò attraverso cui siete venuti al mondo. Voi infatti siete.venuti al mondo attraverso le nozze: Cristo, invece, senza queste nozze, è venuto alle nozze spirituali, e vi ha donato di saper rinunciare alle nozze perché vi ha chiamati a nozze speciali. Per questo non cercate le nozze, dalle quali pur siete nati: perché avete amato più degli altri colui che non è nato da nozze carnali.
Esultate, vergini consacrate: la Vergine vi ha generato chi voi potete sposare senza perdere l'integrità: non potete perdere ciò che amate né quando lo concepite né quando lo partorite.
Rallegratevi, voi giusti: è il Natale di colui che giustifica; rallegratevi voi che siete deboli e infemi: è il Natale di colui che risana; rallegratevi, voi che siete prigionieri, è il Natale di colui che libera; rallegratevi voi che siete schiavi: è il Natale di colui che è Signore. Esultate, voi liberi, è il Natale del liberatore; rallegratevi voi cristiani tutti: è il Natale di Cristo!

3. Cristo, che nato dal Padre ha creato tutti i tempi, nascendo da una madre ha consacrato e consegnato questo giorno a tutti i tempi. La prima nascita non ebbe bisogno di una madre, la seconda non richiese l'intervento di un padre. Cristo quindi è nato e da un padre e da una madre, e senza un padre e senza una madre: da un padre, come Dio, da una madre, come uomo; senza madre come Dio, senza padre come uomo: Chi potrà, dunque, narrare la sua nascita? (Isaia 53, 8), sia la prima avvenuta senza tempo, sia questa terrena, avvenuta senza se- me di uomo: la prima senza inizio, la seconda senza un modello; la prima che fu sempre, questa che avvenne in un momento preciso del tempo; la prima che non ha fi- ne, questa che inizia dove termina?

4. A ragione dunque i profeti annunciarono prima che nascesse e i cieli e gli angeli quando fu nato. Giaceva in una mangiatoia, ed era colui che regge il mondo; appariva come un bambino che non parlava, ed era la Parola. colui che i cieli non possono contenere, era portato nel grembo di una donna: Maria sorreggeva colui che è il nostro re, portava in grembo colui nel quale viviamo, allattava colui che è nostro pane. O palese debolezza e mirabile umiltà quella nella quale la Divinità volle celarsi! Con la sua potenza sorreggeva la madre alla quale sottostava come bambino; nutriva della sua verità colei al cui seno succhiava! Ci ricolmi dei suoi doni colui che non disdegnò di iniziare la vita umana come tutti noi uomini, e ci renda figli di Dio colui che per noi volle diventare figlio dell'uomo.
 
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IL PRESEPIO DI GRECCIO



di Tommaso da Celano

da "VITA PRIMA"




La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incamazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.
C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei fare memoria del Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello». Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco, vede che tutto è predisposto se- condo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. 1 frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria.
Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia giumenti e altri animali. E davvero è avvenuto che, in quella regione, giumenti e altri animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne che, durante un parto faticoso e doloroso, si posero addosso un poco di quel fieno, hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne hanno ritrovato la salute.
Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore,e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell'anima e santificazione del corpo, la carne dell'Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. Egli con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen.

 
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view post Posted on 12/2/2009, 22:49

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IL NATALE

di Jacopo da Varagine

da "LA LEGENDA AUREA"




Il nascimento del nostro Signore Jesù Cristo, secondo la carne, sì avvenne, come alcuni dicono, compiuti dal tempo d'Adamo cinque milia ducento ventinove anni; ma, come dicono altri, furono semilia anni. Ma secondo che dice Eusebio di Cesaria ne le Croniche sue furono cinque milia ducento quarantanove anni, ma si fue al tempo d'Ottaviano imperadore; il cominciamento di semilia anni sì fu trovato da Merodio maggiormente per figura che per cronica. A quel tempo che il figliuolo di Dio venne in carne tanta pace era ne l'universale mondo, che uno solo imperadore de' romani signoreggiava pacificamente tutto il mondo. Ché, sì come elli volse nascere per darci la pace dei tempo e la pace de l'eternitade, così eziandio volse che niente di meno la pace del tempo alluminasse il suo nascimento. Adunque lo 'mperadore, signoreggiante a tutto il mondo, volse sapere quante provincie e quante cittade e quante castella e quante ville e quanti uomini fossero nel mondo. Comandò adunque, come si dice ne le Storie Scolastiche, che tutti gli uomini andassero a la cittade donde erano nati; e catuno offerisse al signore de la provincia uno danaio d'argento che valesse diece danari de la usuale moneta; per lo quale danaio confessasse sé sottoposto a lo 'mperio di Roma. E faceane professione, però che quello cotale danaio portava la imagine de lo imperadore e la soprascritta del nome. Ed era detta professione in ciò che quando catuno uomo rendea al signore de la provincia il capocenso, cioè quel danaio (che così si chiamava) sì '1 poneva in sul capo suo e con la sua bocca confessava sé sottoposto a lo imperio di Roma. Onde era detta professione, cioè a dire quasi con la propria bocca confessione; e faceasi ciò dinanzi a tutto il popolo. Descrizione era detta, per ciò che '1 numero di coloro che portavano il capocenso, si era determinato per certo numero, ed era recato in iscritte. Questa discrizione fu fatta primieramente dal signore de la Sorìa ch'avea nome Cirino.
Ed è detta la prima, imperciò che, come si trova in quelle Storie Scolastiche, prima la fece Cirino per ciò che vide [Ila provincia nel miluogo de la terra che s'abita; sì che fu provveduto che in quella si cominciò di prima e poi per l'altre contrade d'intorno. Ovvero ch'è detta la provincia la prima, cioè la prima universale, per ciò che l'altre particolare andarono innanzi. Ovvero, per la ventura, la prima de li capi ne la città era fatta dal signore, la seconda de le cittadi era fatta ne la provincia dal legato de lo 'mperadore, ma la terza de le provincie era fatta in Roma dinanzi a lo 'mperadore.
Essendo dunque Gioseppo de la schiatta di David, sì se n'andò da Nazzarette, là dov'egli abitava, in Betleem. E con ciò fosse cosa che si approssimasse il tempo del partorire de la vergine Maria e elli non sapesse de la sua tornata, sì la prese e menonnela seco in Betleem, non volendo il tesauro commesso a lui da Dio lasciarlo in mano altrui, ma elli stesso trattarlo con le sue mani e guardarlo con grande solennitade e sollecitudine.
E appresso n'andossi a Betleem (come racconta frate Bartolomeo, in un libro che e' compuose), dove dice che la Vergine vidde parte del popolo rallegrare e parte piangere. La qualcosa sponendogli l'angelo, sì disse: "La parte del popolo che s'allegra, si è il popolo pagano, il quale nel seme d'Abraam ricoverrà l'eternale benedizione; la parte che piange si è il popolo de' giuderi, riprovata da Dio, per li suoi mali meriti".
Ed essendo giunti ambedue in Betleem, non poterono avere albergo, e sì perché erano poveri e sì perché gli alberghi erano già tutti presi da gli altri. Cansaronsi dunque ad una coperta la quale è detto diversorio, sotto la quale i cittadini ne' di da non lavorare si ragunavano a sedere e a ragionare insieme, e anche per lo tempio rio e' non potevano stare fuori. Gioseppo apparecchiò iveritto una mangiatoia al bue e a l'asino; ovvero, secondo che vogliono dire altri, ivi era fatta la mangiatoia per ciò che quando i foresi venivano al mercato, legavano in quel luogo i loro animali. Sì che entro la mezzanotte de la domenica la Vergine santissima partorette il suo figliuolo e sopra lo fieno lo richinòe ne la mangiatoia; lo quale fieno, come si truova ne le Storie Scolastiche, santa Elena portò poi a Roma.
Da notare è adunque che '1 nascimento di Cristo fu fatto meravigliosamente, fu mostrato per molte guise e fu donato utilmente. Imprima dico che fu maravigliosamente fatto sì da la parte de la ingenerante, sì da la parte de lo 'ngenerato e sì da parte del modo de lo 'ngenerare. Imprima da parte de la 'ngenerante, imperciò ch'ella fu vergine innanzi al parto e dopo il parto.
Ched ella partorisse stando vergine; per cinque modi fu mostrato. Imprima per la profezia di Isaia profeta, nel settimo capitolo: "Ecco," dice "una vergine coneeperà e partorirà". li secondo modo per la figura, [imperciò che fu ciò figurato] per la verga d'Aron, la quale fiorìo sanza ogni studio umano, e per la porta d'Ezechiel, la quale stette sempre chiusa. li terzo modo per la guardia, ché Gioseppo sì la guardò e fu testimone. de la sua verginitade. Il quarto modo per sperienza per ciò che (si come si truova ne la compilazione di Bartolomeo e pare che fosse tolto dei libro De Infantia Salvatoris) con ciò fosse cosa che '1 tempo dei partorire fosse presso, Gioseppo, avvegna che non dubitasse che Dio dovea nascere di Vergine, ma volendo tenere l'usanza del paese, si chiamò due balie; le quali ebbe l'una nome Zebel e l'altra Salomè. Si che Zebel considerando e cercando e vedendo ch'ella era vergine, sì gridò che ella avea partorito stando vergine; ma Salomè non credendo, ma volendo provare ciò, altressì ponendo la mano là, incontanente diventò arida. Ma per comandamento de l'angelo che l'apparette, sì toccò il fanciullo e tosto fue sanata. li quinto modo per lo manifestamento del miracolo: ché a Roma, sì come testimona Innocenzio papa terzo, fue pace XII anni. Onde li romani ordinarono uno tempio di pace bellissimo e puoservi la statua di Romolo. Ma chiedendo consiglio a lo Dio Apolline quanto tempo quel tempio durerebbe, ed ellino ebbero risposta che tanto durerebbe ch'una vergine parturisse. Udendo ciò dissero: "Dunque durerà eternalmente"; però che vergine partorire giammai non sarà possibile; sì che ne le reggi del tempio scrissero questo titolo: "Tempio di pace eternalmente durabit". E in quella notte che la vergine partorette,.rovinòe il tempio infino dal fondamento; e ivi è ora la chiesa di santa Maria Nuova.
Secondariamente fu meravigliosamente fatto il nascimento da la parte de lo ingenerato. Onde dice san Bernardo: "In una medesima persona si raunarono meravigliosamente cosa eternale e cosa vecchia e cosa nuova. L'eternale ciò fu la divinità; l'antica ciò è la carne tratta d'Adamo; la nuova ciò [è] l'anima tratta di nuovo". Ancora, come dice elli medesimo: "Oggi fece Iddio tre mischiature, ovvero tre opere sì maravigliosamente singulari che tali non furono mai fatte né mai sono da fare più; ché sono congiunte insieme Dio e uomo, madre e vergine, fede e cuore umano. La prima è molto meravigliosa, ché sono congiunti insieme il fango e Dio, la maestade e la infermitade, cotanta viltade e cotanta altezza, che neuna cosa è più alta che Dio e neuna è più vile che '1 fango. La seconda neente di meno fu anche maravigliosa, ché dal secolo non fu giaminai udito che vergine veruna fosse che concepesse e partorisse e, dopo il parto, fosse vergine. La terza è più bassa che la prima e che la seconda, ma non meno forte; ché grande maraviglia fue come il cuore umano diede fede a queste due cose, e come si poté credere che Dio fosse uomo e che stesse vergine quella ch'avesse partorito". Queste cose disse san Bernardo. Il terzo modo fu meravigliosamente fatto da parte del modo de lo ingenerare, però che '1 suo parto fu sopra natura, in ciò che vergine concepette; fu sopra ragione, in ciò che ingenerò Dio; su sopra condizione umana, in ciò che partorette sanza dolore; fu sopra usanza, in ciò che coneepette di Spirito Santo, però che non ingenerò la Vergine di seme d'uomo, ma di Spirito Santo. Ché lo Spirito Santo scelse del castissimo e purissimo sangue de la Vergine e formonne il corpo di Cristo. E così mostrò Dio il quarto modo meraviglioso di fare l'uomo; però che in quattro modi mostrò Dio padre l'uomo, si come dice Anselmo: "Il primo si è sanza uomo e sanza femmina, come fece Adamo; il secondo si è d'uomo sanza femmina, e così fece Eva; il terzo si è d'uomo e di femmina, come si fa tutto die; il quarto rimaneva a fare di femmina sanza uomo, e questo è fatto oggi".
Secondariamente il suo nascimento fue in cotale die per molte guise mostrato, per la ragione ch'avemo presa di ciò ch'ella ingenerò Dio sopra condizione umana, e di ciò ch'ella partorette Dio sopra usanza, e di ciò ch'eila concepette di Spirito Santo. Però che mostrato fu, per tutt'i gradi de le criature, ch'elli è criatura la quale ha solamente essere, sì come quella ch'è pura corporale, [come le pietre]; altra è c'ha essere e vivere, come le piante; altra è c'ha essere e vivere e sentire, come gli animali; altra è c'ha essere e vivere e sentire e discernere, come l'uomo; altra è c'ha essere e vivere e sentire e discernere e intendere, come l'angelo.
Per tutte queste creature fue mostrato [oggi] il nascimento di Cristo. La prima criatura, cioè pura corporale, si è in tre guise, cioè oscura, trasparente e chiara. Imprima dunque fu mostrato per quella che è pura corporale oscura, sì come per la distruzione del tempio de' Romani, come detto è, e per lo cadimento de la statua di quello Romolo, la quale cadde allora e stritolossi; e, brievemente, tutti gli altri idoli e le statue che in altri luoghi n'aveva più, tutti caddero. Leggesi che Gerernia profeta, discendendo ne lo Egitto dopo la morte di Godolia, sì diede segnale a i re ovvero a' sacerdoti de l'Egitto che i loro idoli cadrebbero quando la vergine partorisse figliuolo. Per la qualcosa i sacerdoti de gli idoli, in uno segreto luogo del tempio, ordinarono una immagine di vergine portante uno garzone in grembo, e ivi sì l'adoravano. Ma richiesti poscia dal re Tolomeo, [dissero] che questo era misterio di paternale ordinamento, che i loro maggiori aveano avuto da santo profeta; e così credeano che dovesse avvenire infatti.
Secondariamente per la pura corporale trasparente, ché in quella notte l'oscurità de l'aiere si mutò in chiaritate di dì chiaro. Anche, sì come testimonia [Orosio e] Innocenzio papa terzo, a Roma una fontana d'acqua si mutò in licore d'olio, e, uscente fuori, e' corse insino al Tevere. E la sibilla avea profetato che quando rampollasse fontana d'olio, allora nascerebbe il Salvatore.
La terza per la pura corporale chiaritade, sì come per li corpi sopracelestiali; però che in quello dì di Natale, secondo che alcuni vogliono dire, come dice Orisostomo, adorando i magi sopra un monte, una stella apparve appresso di loro, la quale avea forma di bellissimo garzone e nel suo capo risplendea la croce; la quale, parlando a' magi, sì disse loro: "Andatene in Giudea e ivi adorate il garzone nato". Anche in quello die apparettero in oriente tre soli, i quali, a poco insieme, tornarono in uno corpo solare. In ciò significava che a tutto il mondo soprastava il conoscimento di Dio in tre persone e in una essenzia; ovvero che quelli era nato nel quale erano tre cose in una persona, cioè divinità, carne e anima. Ma ne le Storie Scolastiche si dice che questi tre soli apparvero non il dì di Natale, ma per alcuno tempo dinanzi, cioè dopo la morte di Giulio Cesare; le quali cose eziandio afferma Eusebio ne le sue Croniche.
Anche Ottaviano imperadore, come dice Innocenzio terzo, abbiendo sottomesso tutto '1 mondo a lo 'mperio romano, intanto piacque a' sanatori di Roma ch'elli il voleano coltivare per Domenedio loro. Ma il savio imperadore, sappiendo ch'elli era mortale, non si volse prendere nome de lo immortale Iddio; ma a loro importuno preghiere fece venire la Sibilla profetessa, volendo sapere per li suoi detti, se maggiore di lui dovesse nascere nel mondo. E con ciò fosse cosa che il die di Natale di Cristo richiedesse consiglio sopra ciò e la Sibilla stesse in orazione ne la camera de lo imperadore, entro il mezzodì apparve uno cerchio d'oro intorno dal sole, e nel mezzo del cerchio era una vergine bellissima portante uno garzone nel suo grembo. Allora la Sibilla mostrò queste cose a lo 'mperadore e, meravigliandosi molto lo 'mperadore per la detta visione, udì una boce che li disse: "Questo è l'altare del cielo". E disse a lui la Sibilla: "Questo fanciullo è maggiore di te, per ciò sì l'adora". Si che quella camera è consegrata in onore de la Vergine Maria; onde infino al dì d'oggi è chiamata santa Maria d'Ara Celi. Intendendo dunque lo 'mperadore che questo fanciullo era maggiore di sé, sì li offerette oncenso, e rifiutò da indi innanzi essere chiamato Iddio. Di questo parla Orosio: "In questo modo al tempo d'Ottaviano ne l'ora intorno a la terza, subitamente, essendo il tempo chiaro, apertamente apparve un cerchio a modo de l'arco celestiale, e attorneòe la ricondita dei sole, come se dovesse venire colui il quale sole avea fatto, e reggea il sole e tutto quanto il mondo". Di questo dice Orosio e, quello medesimo dice Eutropio.
Secondariamente il nascimento fu mostrato e manifestato per le creature che hanno essere e vivere, come sono le piante e gli albori. Ché in questa notte (come testimonia Bartolomeo ne la sua compilazione) le vigne d'Engaddo, le quale menavano balsamo, fiorirono e feciono frutto e diedero licore.
Nel terzo luogo fu mostrato per le criature che hanno essere, vivere e sentire, come sono gli animali, ché andando Gioseppo in Betleem con Maria, sua moglie, gravida, menò seco il bue e l'asino. Il bue forse per venderlo e pagare il trebuto per sé e per la Vergine, e de lo rimanente vivessero; l'asino forse per portarvi suso la Vergine. Sì che il bue e l'asino, per miracolo cognoscendo Iddio, con le ginocchia piegate sì lo adorarono. E innanzi al náscimento di Cristo per alquanti di, dice Eusebio, ne la Cronica sua, che arando alcuni i buoi, sì dissero a lì aratori: "Li uomini verranno meno e le biade faranno prode per se stesse".
Nel quarto luogo fu mostrato per la creatura che ha essere, vivere e sentire e discernere, come per li pastori. E in quella ora vegghiarono i pastori sopra la greggia loro, sì come usavano di fare l'anno due volte, cioè ne le più lunghe e ne le più corte notti de l'anno. Per ciò che costumanza fu anticamente de' pagani che, in catuno solitazio, cioè quello di state, per la festa di san Giovanni Batista, e quello de verno per la festa del Natale, guardavano le vigilie de la notte per riverenza del sole. Il quale costume già era molto cresciuto appo i giuderi per Ipuso di coloro che abitano tra loro. Si che l'angelo di Dio apparve a' pastori e annunziò loro il Salvatore nato, e diede loro segnale com'eglino 2 troverebbero. E immantanente con quello angelo fu fatta la moltitudine de li angeli, che diceano: "Gioria sia a Dio ne le alte cose, e in terra sia pace a gli uomini di buona volontà". Sì che i pastori vegnendo e trovando tutto come l'angelo avea detto, sì il narrarono poi a gli altri. Così anche fu manifestato per lo 'mperadore, il quale diede allora comandamento che veruno nol chiamasse Signore, si come testimonia Orosio, forse perché vide quella visione d'intorno al sole; e ricordandosi de la rovina del tempio, e de la fontana de l'olio, intendendo ancora che nel mondo si era nato uno maggiore di lui, non volse essere chiamato né Iddio, né Signore.
Anche fu manifesto per li soddomiti, i quali furono tutti spenti in quella notte, come dice santo Geronimo sopra quella parola: "Luce è nata a loro", ché nata fu quella luce che spense tutti coloro ch'erano maculati di quello vizio; e ciò fece Cristo per levarli di terra, acciò che ne la natura ch'elli avea presa non si trovasse da quinci innanzi tanta sozzura. Però che dice santo Agostino che, veggendo questo vizio ne l'umana natura, poco meno che non rimase d'incarnare.
Nel quinto luogo per la criatura che ha essere, vivere, sentire, discernere e intendere, come l'angelo. Per ciò che sì come detto è: "Gli angeli sì annunziarono a pastori il nascimento di Cristo fatto".
Nel terzo luogo il nascimento di Cristo fu dato a noi utilmente, però che '1 diavolo non ha tanta potenzia sopra noi che elli aveva prima. Onde si legge che l'abate Ugo Clunacense ne la vigilia del Natale di Cristo vidde la beata Vergine Maria tenere il figliuolo in braccio, e dicea: "Ora è il die che le scritture de' profeti sono rinnovellate. Ov'è dunque il nemico che innanzi a questo die avea potenzia sopra la generazione umana?"
A questa voce uscì il diavolo de la terra per contrastare a le parole de la nostra Donna, ma il peccato gli mentio, per ciò che quando elli cerca le luogora de' frati, la devozione lo caccia de l'oratorio, la lezione de la Messa lo caccia del refettorio, li vili letticelli dal dormentorio, la pazienzia dal Capitolo.
De l'utilitade del nascimento di Cristo parla san Bernardo: "Tre mali aveva la generazione umana nel principio e nel mezzo e ne la fine; cioè nel nascere e nel vivere e nel morire. Il nascere era immondo, il vivere perverso, il morire pericoloso. Venne Cristo e contro a questi tre mali recòe tre remedii, però che nacque e visse e morìo. Il suo nascimento purgòe il nostro; la sua vita ammaestròe la nostra, la sua morte distrusse la nostra". Queste cose disse san Bernardo.
Ancora de l'utilitade di quello nascimento di Cristo dice Agostino nel libro de la Trinitade ne l'ottavo capitolo: che l'umiltà del figliuolo di Dio, la quale mostrò a noi ne la sua incarnazione, fue a noi in essemplo convenevoli, [in sacramento e in medicamento. In essempeo convenevole] il quale l'uomo tenesse in sacramento alto, per lo quale fosse sciolto lo legame dei peccato nostro; e in sommo medicamento, per lo quale l'enfiatura de la nostra superbia fosse sanata. Queste cose dice Agostino. Ché: "La superbia del primo uomo fu sanata per l'umiltà di Cristo".
Ed è da notare che l'umiltà del Salvatore risponde convenevolmente a la superbia del traditore. Ché la superbia del primo uomo fu contro a Dio, per ciò che fue contro al suo comandamento ch'egli avea dato, che non mangiasse del frutto dei legno de la scienza dei bene e del male; fue anche infino a Dio, però che appetìo la divinitade, credendo quello che '1 diavolo gli avea detto, cioè: "Sarete come dii"; fue anche sopra Dio volendo quello che Iddio non volea che volesse, come dice Anselmo, ché allora soprappuose la sua volontarie a quella di Dio.
Così per contrario, il Figliolo di Dio, come dice Giovanni Damasceno, s'umiliò per li uomini, [non contra li uomini], infino a li uomini e sopra li uomini. Per li uomini per ciò che per la loro utilitade e salute, infino a gli uomini per lo modo similiante del nascere, sopra gli uomini per lo modo del nascere dissimiliante. Però che il suo nascimento, secondo alcuna cosa fu simigliante a noi, cioè perché nacque di femmina e per una medesima porta di schiatta; e secondo alcuna cosa fue dissimigliante, per ciò che nacque di Spirito Santo e di Maria Vergine.
 
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view post Posted on 13/2/2009, 09:15

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da "UN CANTO DI NATALE"



di Charles Dickens



… Corse alla finestra, l'aprì e sporse fuori la testa; niente nebbia, niente bruma; una giornata chiara, luminosa, gioviale, stimolante, fredda; un freddo che frustava il sangue e metteva voglia di ballare; un sole d'oro, un cielo incantevole; aria fresca e dolce; campane gioiose. Oh, splendido, splendido!
"Che giorno è oggi?", gridò Scrooge, verso la strada, a un ragazzo vestito a festa, che forse si era fermato proprio per guardare lui.
"Eh...?", rispose il ragazzo, con tutto lo stupore di cui era capace.
"Che giorno è oggi, mio bel figliolo?", chiese Scrooge.
"oggi...", replicò il ragazzo, "ma come? È Natale!"
"È Natale", disse Scrooge a se stesso. "Non l'ho lasciato passare. Gli spiriti hanno fatto tutto in una notte sola. Possono fare qualunque cosa vogliono, naturalmente; naturalmente, possono fare qualunque cosa vogliono!" "Senti, ragazzino."
"Sì", rispose il ragazzo.
"Sei un ragazzino intelligente", disse Scrooge, "un ragazzino straordinario. Sai se hanno venduto quel tacchino che c'era appeso in mostra alla bottega? Non il tacchino piccolo, ma quello grosso."
"Quale, quello grosso come me?", rispose il ragazzino.
" - Che ragazzino delizioso! E un piacere parlare con lui. - Sì, figliolo mio."
"C'è ancora appeso adesso", replicò il ragazzo.
"C'è", disse Scrooge. "Va' a comperarlo."
"È matto!", rispose il ragazzo.
"No, no", disse Scrooge. "Va' a comperarlo, e di che lo portino qui, perché possa dare l'indirizzo dove deve essere mandato. Ritorna col commesso e ti darò uno scellino; ritorna con lui in meno di cinque minuti e ti darò mezza corona."
Il ragazzo partì come una palla di fucile; e chi avesse potuto far partire una palla con una velocità pari a metà della sua avrebbe dovuto avere la mano ben ferma sul grilletto.
"Lo voglio mandare a Bob Cratchit", mormorò Scrooge, fregandosi le mani e scoppiando in una risata. "Non saprà chi è che glielo ha mandato. E grande il doppio di Tiny Tim. Nessuno ha mai fatto uno scherzo così ben riuscito come quello di mandare quel tacchino a Bob."
La calligrafia con la quale scrisse l'indirizzo non era molto ferma; tuttavia, in un modo o nell'altro, lo scrisse, poi scese giù ad aprire la porta di strada per trovarsi pronto all'arrivo del commesso del pollaiolo. Mentre stava sulla porta, aspettandolo, gli cadde sott'occhio il batacchio.
"A questo vorrò bene finché vivo", gridò Scrooge, accarezzandolo con le mani. "E dire che prima lo avevo appena guardato! Che espressione onesta c'è in quella faccia! E un batacchio magnifico. Ma ecco il tacchino. Hello, come state? Buon Natale!"
Quello era un tacchino! E impossibile che quell'uccello fosse mai stato in piedi. Le zampe gli si sarebbero piegate sotto in un minuto, come bastoncini di ceralacca.
"Ma è impossibile portarlo fino a Camden Town. Bisogna che prendiate una carrozza."
Il risolino col quale pronunciò queste parole, e quello col quale pagò il tacchino, e quello col quale pagò la carrozza, e quello col quale ricompensò il ragazzo, furono superati soltanto da quello col quale tornò a sedersi senza fiato sulla sua sedia, continuando a ridere finché non gli venne da piangere.
Farsi la barba non fu cosa facile perché la mano continuava a tremargli molto; e farsi la barba è una cosa che richiede attenzione anche quando uno, facendosela, non si mette a ballare; pure, se si fosse tagliato la punta del naso, ci avrebbe messo sopra un pezzetto di cerotto e sarebbe stato perfettamente soddisfatto lo stesso.
Si vestì dei suoi abiti migliori, e finalmente uscì in strada. In questo momento la gente stava uscendo dalle case, così come egli l'aveva vista in compagnia dello Spettro del Natale Presente. E Scrooge, camminando con le mani dietro la schiena, guardava tutti quanti con un sorriso compiaciuto. Per dirla in breve, aveva l’aria così irresistibilmente piacevole che tre o quattro tipi di buon umore dissero "buon giorno, signore, buon Natale", e Scrooge disse spesso, più tardi, che di tutti i suoni gioiosi che egli aveva mai udito, quelli al suo orecchio erano stati i più gioiosi.
Non aveva fatto molta strada, quando vide venirgli incontro quel signore imponente che il giorno prima era entrato nel suo ufficio dicendo: "La ditta Scrooge e Marley, credo". Sentì un colpo al cuore nel pensare all'occhiata che gli avrebbe dato il vecchio signore nel momento in cui si fossero incontrati; ma conosceva ormai quale strada gli si apriva diritta dinanzi e la prese.
"Caro signore", disse Scrooge, affrettando il passo, e prendendo il vecchio per ambe le mani, "come state? Spero che abbiate avuto successo ieri. E stato molto gentile da parte vostra. Buon Natale, signore!"
"Il signor Scrooge?"
"Sì", disse Scrooge: "questo è il mio nome, e ho paura che non vi riesca molto gradito. Permettetemi di chiedervi scusa, e vogliate avere la bontà... " e qui Scrooge gli sussurrò qualcosa all'orecchio.
"Signore Iddio!", gridò il signore, come se gli fosse stato mozzato il fiato. "Mio caro signor Scrooge, parlate sul serio?"
"Per favore", disse Scrooge, "neanche un soldo di meno. In questa somma, vi assicuro, sono compresi molti arretrati. Volete farmi questo favore?"
"Ma, caro signore", disse l'altro, stringendogli la mano, "non so che cosa dire di fronte a una simile munifi..."
"Non dite niente, vi prego", replicò Scrooge. "Venite a trovarmi. Verrete a trovarmi?"
"Ma certo", esclamò il vecchio signore, ed era chiaro che diceva sul serio.
"Grazie", disse Scrooge, "vi sono molto obbligato. Vi ringrazio mille volte. Dio vi benedica."
Si recò in chiesa, passeggiò per le strade, guardò la gente che si affrettava in tutte le direzioni, accarezzò bambini sulla testa, rivolse la parola ai mendicanti, guardò dentro le cucine delle case e dentro le finestre, e trovò che tutto quanto gli procurava piacere. Non aveva mai sognato che una passeggiata, che una cosa qualunque potesse dargli tanta felicità. Nel pomeriggio si diresse verso la casa di suo nipote.
Passò e ripassò davanti alla porta una dozzina di volte, prima di avere il coraggio di andar su e bussare. Finalmente si decise e lo fece.
"E in casa il vostro padrone, mia cara?", disse Scrooge alla domestica. Ragazza graziosa, davvero!
"Sì, signore."
"Dov'è, amor mio?", disse Scrooge.
"E in sala da pranzo, insieme con la signora. Vi accompagno di sopra, col vostro permesso."
"Grazie, lui mi conosce", disse Scrooge, che aveva già la mano sulla maniglia della sala da pranzo. "Entrerò qui, mia cara."
Fece girare la maniglia pian piano, e si affacciò alla porta semiaperta. Stavano guardando la tavola apparecchiata con un gran lusso, perché i padroni di casa, quando sono giovani, sono sempre nervosi su questo punto e vogliono esser sicuri che tutto sia in perfetto ordine.
"Fred!", disse Scrooge.
Signore! come trasalì la sua nipote acquisita! Per un attimo Scrooge si era scordato che c'era anche lei, seduta in un angolo, col panchettino sotto i piedi; altrimenti non lo avrebbe fatto di certo.
"Ma come, benedetto Iddio", gridò Fred, "chi è mai?"
"Sono io, tuo zio Scrooge. Son venuto a pranzo. Vuoi lasciarmi entrare, Fred?"
Lasciarlo entrare! E un miracolo che, stringendogli la mano, non gli staccasse addirittura il braccio. Si sentì a casa propria in cinque minuti. Non c'era nulla che potesse essere più cordiale. Sua nipote aveva esattamente lo stesso aspetto, e così Topper quando arrivò, e così la sorellina paffutella quando arrivò e così tutti quanti quando arrivarono. Festa meravigliosa, giochi meravigliosi, armonia meravigliosa, felicità meravigliosa.
Però la mattina seguente arrivò presto in ufficio. Oh, se ci arrivò presto! Solo poter arrivare per primo e sorprendere Bob Cratchit che arrivava in ritardo: era questa la cosa che più gli stava a cuore.
E vi riuscì; sì, vi riuscì. L'orologio batté le nove - niente Bob; le nove e un quarto - niente Bob. Era ben diciotto minuti e mezzo in ritardo. Scrooge stava seduto con la porta spalancata, in modo da poterlo veder entrare nella cisterna.
Si era levato il cappello e la sciarpa prima di aprire la porta, e si arrampicò in un baleno sul suo panchetto, correndo via con la penna come se tentasse di riacchiappare le nove.
"Ehi là!", grugnì Scrooge, con la sua voce consueta, imitandola il più fedelmente possibile. "Che cosa significa arrivare a quest'ora?"
"Vi chiedo mille scuse, signor Scrooge", disse Bob, "sono in ritardo."
"Davvero?", ripeté Scrooge. "Sì, credo che siate in ritardo. Venite un momento qua, per favore!"
"Una volta sola all'anno, signor Scrooge", supplicò Bob, venendo fuori dalla cisterna. "Non succederà più. Ieri siamo stati un po' allegri."
"Ora vi dirò una cosa, amico mio", disse Scrooge. "Non intendo tollerare più a lungo questa razza di cose, e perciò", proseguì, balzando su dalla sedia e dando a Bob una tale spinta nel panciotto da farlo andare all'indietro barcollando dentro la cisterna, "e perciò mi propongo di aumentarvi lo stipendio."
Bob tremò e si avvicinò un po' più al righello. Ebbe per un momento l'idea dì servirsene per stordire Scrooge, e poi tenerlo fermo e chiedere alla gente della corte aiuto e una camicia di forza.
"Buon Natale, Bob!", disse Scrooge, con una serietà che non poteva essere fraintesa, battendogli sulle spalle. "Un Natale più buono, Bob, mio bravo figliolo, di quelli che vi ho dato per molti anni. Vi aumenterò lo stipendio e tenterò di assistere la vostra famiglia nelle sue difficoltà; e questo stesso pomeriggio discuteremo i vostri affari, seduti davanti a un bel punch natalizio fumante. Ravvivate il fuoco, Bob Cratchit, e comperatevi un'altra paletta per il carbone, prima di mettere il punto su un'altra i."
Scrooge fece più che mantenere la parola. Fece tutto quanto, e infinitamente di più: e per Tiny Tim, il quale non morì, fu un secondo padre. Divenne un amico, un padrone, un uomo così buono, come poteva mai averne conosciuto quella buona vecchia città, o qualunque altra buona vecchia città, borgata o villaggio di questo buon mondo. Alcuni ridevano, vedendo il suo cambiamento; ma egli era abbastanza saggio da sapere che su questo globo niente di buono è mai accaduto, di cui qualcuno non abbia riso al primo momento. E sapendo che in ogni modo la gente siffatta è cieca, pensò che non aveva nessuna importanza se strizzavano gli occhi in un sogghigno, come fanno gli ammalati di certe forme poco attraenti di malattie. Il suo cuore rideva e questo per lui era perfettamente sufficiente.
Non ebbe più rapporti con gli spiriti; ma visse sempre, d'allora in poi, sulla base di una totale astinenza; e di lui si disse sempre che se c'era un uomo che sapeva osservare bene il Natale, quell'uomo era lui. Possa questo esser detto veramente di noi, di noi tutti! E cosi, come osservò Tiny Tim, che Dio ci benedica, tutti!
 
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LA FESTA DI NATALE



di Carlo Collodi




La storia che vi racconto oggi, non è una di quelle novelle, come se ne raccontano tante, ma è una storia vera, vera, vera.

Dovete dunque sapere che la Contessa Maria (una brava donna che io ho conosciuta benissimo, come conosco voi) era rimasta vedova con tre figli: due maschi e una bambina.

Il maggiore, di nome Luigino, poteva avere fra gli otto e i nove anni: Alberto, il secondo, ne finiva sette, e l'Ada, la minore di tutti, era entrata appena ne' sei anni, sebbene a occhio ne dimostrasse di più, a causa della sua personcina alta, sottile e veramente aggraziata.

La contessa passava molti mesi all'anno in una sua villa: e non lo faceva già per divertimento, ma per amore de' suoi figlioletti, che erano gracilissimi e di una salute molto delicata.

Finita l'ora della lezione, il più gran divertimento di Luigino era quello di cavalcare un magnifico cavallo sauro; un animale pieno di vita e di sentimento, che sarebbe stato capace di fare cento chilometri in un giorno se non avesse avuto fin dalla nascita un piccolo difetto: il difetto, cioè, di essere un cavallo di legno!

Ma Luigino gli voleva lo stesso bene, come se fosse stato un cavallo vero. Basta dire, che non passava sera che non lo strigliasse con una bella spazzola da panni: e dopo averlo strigliato, invece di fieno o di gramigna, gli metteva davanti una manciata di lupini salati. E se per caso il cavallo si ostinava a non voler mangiare, allora Luigino gli diceva accarezzandolo:

«Vedo bene che questa sera non hai fame. Pazienza: i lupini li mangerò io. Addio a domani, e dormi bene».

E perché il cavallo dormisse davvero, lo metteva a giacere sopra una materassina ripiena d'ovatta: e se la stagione era molto rigida e fredda, non si dimenticava mai di coprirlo con un piccolo pastrano, tutto foderato di lana e fatto cucire apposta dal tappezziere di casa.

Alberto, il fratello minore, aveva un'altra passione. La sua passione era tutta per un bellissimo Pulcinella, che, tirando certi fili, moveva con molta sveltezza gli occhi, la bocca, le braccia e le gambe, tale e quale come potrebbe fare un uomo vero: e per essere un uomo vero, non gli mancava che una sola cosa: il parlare.

Figuratevi la bizza di Alberto! Quel buon figliuolo non sapeva rendersi una ragione del perché il suo Pulcinella, ubbidientissimo a fare ogni sorta di movimenti, avesse preso la cocciutaggine di non voler discorrere a modo e verso, come discorrono tutte le persone per bene, che hanno la bocca e la lingua.

E fra lui e Pulcinella accadevano spesso dei dialoghi e dei battibecchi un tantino risentiti, sul genere di questi:

«Buon giorno, Pulcinella», gli diceva Alberto, andando ogni mattina a tirarlo fuori dal piccolo armadio dove stava riposto. «Buon giorno, Pulcinella.»

E Pulcinella non rispondeva.

«Buon giorno, Pulcinella», ripeteva Alberto.

E Pulcinella, zitto! come se non dicessero a lui.

«Su, via, finiscila di fare il sordo e rispondi: buon giorno, Pulcinella.»

E Pulcinella, duro!

«Se non vuoi parlare con me, guardami almeno in viso» diceva Alberto un po' stizzito.

E Pulcinella, ubbidiente, girava subito gli occhi e lo guardava.

«Ma perché», gridava Alberto arrabbiandosi sempre di più, «ma perché se ti dico "guardami" allora mi guardi; e se ti dico "buon giorno" non mi rispondi?»

E Pulcinella, zitto!

«Brutto dispettoso! Alza subito una gamba!»

E Pulcinella alzava una gamba.

«Dammi la mano!»

E Pulcinella gli dava la mano.

«Ora fammi una bella carezzina!»

E Pulcinella allungava il braccio e prendeva Alberto per la punta del naso.

«Ora spalanca tutta la bocca!»

E Pulcinella spalancava una bocca, che pareva un forno.

«Di già che hai la bocca aperta, profittane almeno per darmi il buon giorno.»

Ma il Pulcinella, invece di rispondere, rimaneva lì a bocca aperta, fermo e intontito, come, generalmente parlando, è il vizio di tutti gli omini di legno.

Alla fine Alberto, con quel piccolo giudizino, che è proprio di molti ragazzi, cominciò a mettersi nella testa che il suo Pulcinella non volesse parlare né rispondergli, perché era indispettito con lui. Indispettito!... e di che cosa? Forse di vedersi mal vestito, con un cappellaccio in capo di lana bianca, una camicina tutta sbrindellata, e un paio di pantaloncini così corti e striminziti, che gli arrivavano appena a mezza gamba.

«Povero Pulcinella!», disse un giorno Alberto, compiangendolo sinceramente, «se tu mi tieni il broncio, non hai davvero tutti i torti. Io ti mando vestito peggio di un accattone... ma lascia fare a me! Fra poco verranno le feste di Natale. Allora potrò rompere il mio salvadanaio... e con quei quattrini, voglio farti una bella giubba, mezza d'oro e mezza d'argento.»


Per intendere queste parole di Alberto, occorre avvertire che la Contessa aveva messo l'uso di regalare a' suoi figli due o tre soldi la settimana, a seconda, s'intende bene, de' loro buoni portamenti. Questi soldi andavano in tre diversi salvadanai: il salvadanaio di Luigino, quello di Alberto e quello dell'Ada. Otto giorni avanti la pasqua di Natale, i salvadanai si rompevano, e coi danari che vi si trovavano dentro, tanto la bambina, come i due ragazzi erano padronissimi di comprarsi qualche cosa di loro genio.

Luigino, com'è naturale, aveva pensato di comprare per il suo cavallo una briglia di pelle lustra con le borchie di ottone, e una bella gualdrappa, da potergliela gettare addosso, quando era sudato.

L'Ada, che aveva una bambola più grande di lei, non vedeva l'ora di farle un vestitino di seta, rialzato di dietro, secondo la moda, e un paio di scarpine scollate per andare alle feste da ballo.

In quanto al desiderio di Alberto, è facile immaginarselo. Il suo vivissimo desiderio era quello di rivestire il Pulcinella con tanto lusso, da doverlo scambiare per un signore di quelli buoni.

Intanto il Natale s'avvicinava, quand'ecco che una mattina, mentre i due fratelli con la loro sorellina, andavano a spasso per i dintorni della villa, si trovarono dinanzi a una casipola tutta rovinata, che pareva piuttosto una capanna da pastori. Seduto sulla porta c'era un povero bambino mezzo nudo, che dal freddo tremava come una foglia.

«Zio Bernardo, ho fame», disse il bambino con una voce sottile, sottile, voltandosi appena con la testa verso l'interno della stanza terrena.

Nessuno rispose.

In quella stanza terrena c'era accovacciato sul pavimento un uomo con una barbaccia rossa, che teneva i gomiti appuntellati sulle ginocchia e la testa fra le mani.

«Zio Bernardo, ho fame!...», ripeté dopo pochi minuti il bambino, con un filo di voce che si sentiva appena.

«Insomma vuoi finirla?», gridò l'uomo dalla barbaccia rossa. «Lo sai che in casa non c'è un boccone di pane: e se tu hai fame, piglia questo zoccolo e mangialo!»

E nel dir così, quell'uomo bestiale si levò di piede uno zoccolo e glielo tirò. Forse non era sua intenzione di fargli del male; ma disgraziatamente lo colpì nel capo.

Allora Luigino, Alberto e l'Ada, commossi a quella scena, tirarono fuori alcuni pezzetti di pane trovati per caso nelle loro tasche, e andarono a offrirli a quel disgraziato figliolo.

Ma il bambino, prima si toccò con la mano la ferita del capo: poi guardandosi la manina tutta insanguinata, balbettò a mezza voce:

«Grazie... ora non ho più fame...».

Quando i ragazzi furono tornati alla villa, raccontarono il caso compassionevole alla loro mamma; e di quel caso se ne parlò due o tre giorni di seguito. Poi, come accade di tutte le cose di questo mondo, si finì per dimenticarlo e per non parlarne più.

Alberto, per altro, non se l'era dimenticato: e tutte le sere andando a letto, e ripensando a quel povero bambino mezzo nudo e tremante dal freddo, diceva grogiolandosi fra il calduccio delle lenzuola:

«Oh come dev'essere cattivo il freddo! Brrr...».

E dopo aver detto e ripetuto per due o tre volte «Oh come dev'esser cattivo il freddo!» si addormentava saporitamente e faceva tutto un sonno fino alla mattina.

Pochi giorni dopo accadde che Alberto incontrò per le scale di cucina la Rosa: la quale era l'ortolana che veniva a vendere le uova fresche alla villa.

«Sor Albertino, buon giorno signoria», disse la Rosa: «quanto tempo è che non è passato dalla casa dell'Orco?»

«Chi è l'Orco?»

«Noi si chiama con questo soprannome quell'uomo dalla barbaccia rossa, che sta laggiù sulla via maestra.»

«O il suo bambino che fa?»

«Povera creatura, che vuol che faccia?... È rimasto senza babbo e senza mamma, alle mani di quello zio Bernardo...»

«Che dev'essere un uomo cattivo e di cuore duro come la pietra, non è vero?», soggiunse Alberto.

«Pur troppo! Meno male che domani parte per l'America... e forse non ritornerà più.»

«E il nipotino lo porta con sé?»

«Nossignore: quel povero figliuolo l'ho preso con me, e lo terrò come se fosse mio».

«Brava Rosa.»

«A dir la verità, gli volevo fare un po' di vestituccio, tanto da coprirlo dal freddo... ma ora sono corta a quattrini. Se Dio mi dà vita, lo rivestirò alla meglio a primavera.»

Alberto stette un po' soprappensiero, poi disse:

«Senti, Rosa, domani verso mezzogiorno ritorna qui, alla villa: ho bisogno di vederti.»

«Non dubiti.»


Il giorno seguente, era il giorno tanto atteso, tanto desiderato, tanto rammentato: il giorno, cioè, in cui celebravasi solennemente la rottura de' tre salvadanai.

Luigino trovò nel suo salvadanaio dieci lire: l'Ada trovò nel suo undici lire, e Alberto vi trovò nove lire e mezzo.

«Il tuo salvadanaio», gli disse la mamma, «è stato più povero degli altri due: e sai perché? perché in quest'anno tu hai avuto poca voglia di studiare.»

«La voglia di studiare l'ho avuta», replicò Alberto, «ma bastava che mi mettessi a studiare, perché la voglia mi passasse subito.»

«Speriamo che quest'altr'anno non ti accada lo stesso» soggiunse la mamma: poi volgendosi a tutti e tre i figli, seguitò a dire: «Da oggi alla pasqua di Natale, come sapete, vi sono otto giorni precisi. In questi otto giorni, secondo i patti stabiliti, ognuno di voi è padronissimo di fare quell'uso che vorrà, dei danari trovati nel proprio salvadanaio. Quello poi, di voialtri, che saprà farne l'uso migliore, avrà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio.»

"Il bacio tocca a me di certo!", disse dentro di sé Luigino, pensando ai ricchi finimenti e alla bella gualdrappa che aveva ordinato per il suo cavallo.

"Il bacio tocca a me di certo!", disse dentro di sé l'Ada, pensando alle belle scarpine da ballo che aveva ordinato al calzolaio per la sua bambola.

"Il bacio tocca a me di certo!", disse dentro di sé Alberto, pensando al bel vestito che voleva fare al suo Pulcinella.

Ma nel tempo che egli pensava al Pulcinella, sentì la voce della Rosa che, chiamandolo a voce alta dal prato della villa, gridava:

«Sor Alberto! sor Alberto!».

Alberto scese subito. Che cosa dicesse alla Rosa non lo so: ma so che quella buona donna, nell'andarsene, ripeté più volte:

«Sor Albertino, lo creda a me: lei ha fatto proprio una carità fiorita, e Dio manderà del bene anche a lei e a tutta la sua famiglia!».


Otto giorni passarono presto: e dopo otto giorni arrivò la festa di Natale o il Ceppo, come lo chiamano i fiorentini.

Finita appena la colazione, ecco che la Contessa disse sorridendo ai suoi tre figli:

«Oggi è Natale. Vediamo, dunque, come avete speso i quattrini dei vostri salvadanai. Ricordatevi intanto che, quello di voialtri che li avrà spesi meglio, riceverà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Su, Luigino! tu sei il maggiore e tocca a te a essere il primo».

Luigino uscì dalla sala e ritornò quasi subito, conducendo a mano il suo cavallo di legno, ornato di finimenti così ricchi, e d'una gualdrappa così sfavillante, da fare invidia ai cavalli degli antichi imperatori romani.

«Non c'è che dire», osservò la mamma, sempre sorridente «quella gualdrappa e quei finimenti sono bellissimi, ma per me hanno un gran difetto... il difetto, cioè, di essere troppo belli per un povero cavallino di legno. Avanti, Alberto! Ora tocca a te.»

«No, no», gridò il ragazzetto, turbandosi leggermente, «prima di me, tocca all'Ada.»

E l'Ada, senza farsi pregare, uscì dalla sala, e dopo poco rientrò tenendo a braccetto una bambola alta quanto lei, e vestita elegantemente, secondo l'ultimo figurino.

«Guarda, mamma, che belle scarpine da ballo!», disse l'Ada compiacendosi di mettere in mostra la graziosa calzatura della sua bambola.

«Quelle scarpine sono un amore!», replicò la mamma. «Peccato però che debbano calzare i piedi d'una bambina fatta di cenci e di stucco, e che non saprà mai ballare!»


«E ora, Alberto, vediamo un po' come tu hai speso le nove lire e mezzo, che hai trovate nel tuo salvadanaio.»

«Ecco... io volevo... ossia, avevo pensato di fare... ossia, credevo... ma poi ho creduto meglio... e così oramai l'affare è fatto e non se ne parli più.»

«Ma che cosa hai fatto?»

«Non ho fatto nulla.»

«Sicché avrai sempre in tasca i danari?»

«Ce li dovrei avere...»

«Li hai forse perduti?»

«No.»

«E, allora, come li hai tu spesi?»

«Non me ne ricordo più.»

In questo mentre si sentì bussare leggermente alla porta della sala, e una voce di fuori disse:

«È permesso?.»

«Avanti.»

Apertasi la porta, si presentò sulla soglia, indovinate chi! Si presentò la Rosa ortolana, che teneva per la mano un bimbetto tutto rivestito di panno ordinario, ma nuovo, con un berrettino di panno, nuovo anche quello, e in piedi un paio di stivaletti di pelle bianca da campagnolo.

«È tuo, Rosa, codesto bambino?», domandò la Contessa.

«Ora è lo stesso che sia mio, perché l'ho preso con me e gli voglio bene, come a un figliolo. Povera creatura! Finora ha patito la fame e il freddo. Ora il freddo non lo patisce più, perché ha trovato un angiolo di benefattore, che lo ha rivestito a sue spese da capo a piedi.»

«E chi è quest'angelo di benefattore?», chiese la Contessa.

L'ortolana si voltò verso Alberto, e guardandolo in viso e accennandolo alla sua mamma, disse tutta contenta:

«Eccolo là.»

Albertino diventò rosso come una ciliegia: poi rivolgendosi impermalito alla Rosa, cominciò a gridare:

«Chiacchierona! Eppure ti avevo detto di non raccontar nulla a nessuno!...».

«La scusi: che c'è forse da vergognarsi per aver fatto una bell'opera di carità come la sua?»

«Chiacchierona! chiacchierona! chiacchierona!», ripeté Alberto, arrabbiandosi sempre più; e tutto stizzito fuggì via dalla sala.

La sua mamma, che aveva capito ogni cosa, lo chiamò più volte: ma siccome Alberto non rispondeva, allora si alzò dalla poltrona e andò a cercarlo da per tutto. Trovatolo finalmente nascosto in guardaroba, lo abbracciò amorosamente, e invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per lo meno più di cento.
 
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IL NATALE DI MARTIN



di Leone Tolstoj




In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.
Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.
Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi».
Martin rifletté. - Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? - Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: - Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.
L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. - Entra· disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
- Che Dio ti benedica!- rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.
- Ieri sera- rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.
Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa. - Mangia, mia cara, e riscaldati - le disse.
Mangiando, la donna gli disse chi era: - Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.
- Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.
Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava. Dopo un po', vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.
- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.
- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.
Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio: - Martin, non mi riconosci?
- Chi sei? - chiese Martin.
- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.
Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.
 
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da "IN RISAIA"



della "Marchesa Colombi"




La domenica tornò Pietro, e la sera nella stalla disse che per tutta la novena di Natale non andrebbe piú a fare trasporti, e lavorerebbe nell'orto.
- Sarebbe ben meglio - disse Nanna, - che tu stessi a casa sempre.
- Perché? - domandò Pietro.
- Perché... perché... via il gatto i sorci ballano. - E gli occhi delle due cognate s'incontrarono. Rosetta, che aveva sulla coscienza la storia del paniere, e la speranza con cui l'aveva messo alla finestra, s'affrettò a parare il colpo.
- Sí; ne abbiamo fatte delle nostre questa settimana - disse al marito. - Nanna ed io abbiamo messo fuori il paniere per Santa Lucia.
- E Santa Lucia ha rubato la pezzuola di Rosetta - aggiunse Nanna.
- Ma l'ho riavuta, sai. Era sulla siepe dell'orto.
Pietro guardava sospettosamente le due donne. Capiva che Nanna aveva l'intenzione di accusare sua moglie. Ma di che? Forse aveva ricevuta una strenna? Egli domandò col cuore serrato:
- E cosa ci avete trovato nel paniere?
- Nulla - disse Rosetta - M'è rincresciuto assai di trovarlo vuoto.
- Cosa ti aspettavi di trovarci? Lo spillo della salumaia? - domandò Nanna con ironia.
Gaudenzio, che aveva scoperto studiando Rosetta ch'ella non sapeva nulla dello spillo dato e respinto, a quella parole di Nanna si confermò nel sospetto già concepito contro di lei.
Rosetta invece non indovinò la cosa, e colse l'occasione per insidiare al marito l'idea di quel dono.
- Lo spillo non me lo potevo aspettare - disse - perché Pietro era fuori.
- Ma che! - gridò Maddalena spaventata per la seconda volta da quel pensiero ruinoso. - Quand'anche fosse stato qui, Pietro non avrebbe potuto fare una spesa simile.
- Che cosa ne sapete voi, se posso o se non posso? - rispose con impeto Pietro, a cui aveva fatto piacere il sentire che la moglie aspettava il gioiello desiderato solamente da lui. Ma dopo quella risposta si vergognò d'aver osato dir tanto, ed uscí dalla stalla.
Allora Gaudenzio prese il suo posto.
- A Novara - disse - per Natale si mette fuori dalla finestra una scarpa. Ed allora è il Bambino che porta la strenna.- Io non metto fuori piú nulla - rispose Rosetta.
- Provate. Non avete udito, che Pietro non si sgomenta del prezzo di quello spillo? Date retta. Mettete fuori lo zoccolo. Chissà che lo spillo non venga. - E vedendo che le vecchie parlavano tra loro soggiunse a bassa voce:
- O dal vostro uomo, o da... Gesù bambino - concluse incontrando lo sguardo di Nanna.
Egli stava in guardia, ora che la sapeva informata di tutto; ma tuttavia persisteva a voler fare il suo dono a dispetto di lei. Faceva a fidanza sull'ambizione di Rosetta e sulle proprie attrattive.
- Si vede che le piaccio. Sfido! Accetterà lo spillo, ed inventerà una zia, una parente qualunque per dire che gliel'ha regalato, e per poterlo portare. Le donne sono tutte cosí. Un gioiello ed un bell'uomo, e addio virtú.
Nanna dal canto suo, aveva bisogno che quel dono si facesse, per servirsene di arma contro la cognata; e lasciava fare fingendo di non avvedersi di nulla.
- Sí - disse; - metteremo fuori i nostri zoccoli. Questa volta ci starà anche Lucietta. Lei che è piú giovane ci porterà fortuna.
Poco dopo uscí dalla stalla per andare a coricarsi. Pietro era seduto sulla trave nel cortile. Egli le domandò:
- Si va a dormire?
- Io ci vado - rispose Nanna. - Non ho nessuno che mi faccia la corte io. - Ed entrò in cucina, e di là nel forno, poi nella sua stanza, lasciando il fratello con una spina di piú nel cuore.
Poco dopo la raggiunse Lucia che, dacché Pietro era a casa, dormiva con lei. La bimba era tutta esaltata da quell'idea della strenna.
- Gli zoccoli si distinguono meglio dei panieri - diceva. - I miei sono verdi; i tuoi sono neri lucidi; e quelli di Rosetta sono rossi a fiori gialli. Non si possono confondere.

La vigilia di Natale, Nanna disse a Maddalena:
- Mamma, me la lasciate fare a me la torta per domani?
- Possiamo farla insieme.
- No; lasciate che la faccia io, mentre gli uomini saranno fuori per la messa della mezzanotte. Mi piace di stare alzata la sera di Natale, finché suonano le campane. Debbo dire delle orazioni lunghe.
Maddalena non fece altre difficoltà.

La sera andarono prestissimo nella stalla. Quasi subito giunse Gaudenzio. Gli uomini dovevano recarsi insieme all'osteria, e di là alla messa della mezzanotte.
Lucia cinguettò tutta la sera di zoccoli e di strenne. Rosetta non osava parlare. Gli occhi del marito erano intenti su di lei, e dopo la piccola scherma di parole sostenuta colla cognata per l'affare della pezzuola, la povera sposa era sempre impaurita.
Non aveva nulla di grave da rimproverarsi. Tra lei e Gaudenzio non esisteva nessuna intimità. Ma sentiva di volergli bene piú che non dovesse; si conosceva debole accanto a lui; aveva capita la sua intenzione di regalarle lo spillo, e non aveva il coraggio di respingerlo. E tutto codesto la turbava, e la faceva tremare dinanzi al marito come una colpevole.
Ed il marito s'era fatto piú cupo. Il suo sguardo era pieno di sospetti e di misteri.
Prima delle dieci gli uomini si alzarono per uscire.
- Dunque lo zoccolo? Lo metterete fuori? - disse Gaudenzio senza rivolgersi particolarmente a Rosetta perché si sentiva vigilato da Pietro.
- Sí - disse Lucia con entusiasmo.
- Sí - disse Nanna fingendo la stessa animazione.
Rosetta non disse nulla. Gaudenzio non poteva decidersi ad uscire. Pietro s'avviò pel primo; ma si fermò sull'uscio nell'oscurità. Gaudenzio, che lo credette nel cortile profittò del momento per accostarsi a Rosetta dondolandosi sui fianchi e canticchiando:
Va là va là Pepin...
- L'avete a mettere fuori anche voi lo zoccolo - sussurrò. E s'avviò per uscire riprendendo la sconcia canzone.
Nanna che era accanto alla porta udí un sospiro represso, e vide Pietro che s'allontanava soltanto in quel momento, affrettandosi prima che Gaudenzio giungesse alla porta.
- Bene - pensò. - Sospetta già qualche cosa. Mi sarà piú facile aprirgli gli occhi - e gli tenne dietro collo sguardo, e lo vide che se ne andava con passo lento, a capo chino, in atto di profondo scoraggiamento.
In quel momento tutto il passato di quel fratello, timido, amoroso e buono, le passò nella mente come una visione. La sua ammirazione infantile per lei, la spontaneità con cui s'era offerto d'andare nelle risaie per aiutarla a guadagnarsi l'argento, le cure che le aveva prestate nella sua malattia lontana da casa, l'offerta generosa di rifarle il letto nuziale co' suoi risparmi. E provò una fitta al cuore pensando al dolore che si disponeva a recargli. Ma tutto codesto passò in un lampo. Il tempo che Gaudenzio impiegò a traversare la stalla. Rosetta usciva anch'essa. Senza interrompere la sua canzone, quando furono nel buio della porta, Gaudenzio allungò un braccio, prese Rosetta per la vita e la strinse forte, gridando a squarciagola:
Te gh'et la donna bella
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Poi se ne andò cantando sempre, senza avvedersi di Nanna che era celata nell'oscurità.
Quell'abbraccio fece dileguare nel cuore geloso della fanciulla tutta la pietà pel fratello.
- Non sono io che gli faccio del male - diceva tra sé. - È questa scostumata di bellezza che si è tirata in casa. Sarà il dolore di un minuto; come strappare un dente. E poi quando l'avrà rimandata ai suoi parenti vivrà tranquillo con noi, e non avrà piú dispiaceri, ed io non avrò piú umiliazioni. Infine quello che faccio, lo faccio pel suo bene.
Ed uscí dall'ombra, e si diresse verso la cucina. Rosetta si voltò al rumore degli zoccoli, vide che Nanna era dietro a lei, e capí che aveva assistito a quella scena di cui era ancora tutta agitata.

In cucina Rosetta, impaziente di ritirarsi nella sua stanza, prese la lucerna che era sulla tavola. Nanna le si accostò per accendere la sua. La luce le rischiarò tutte e due in volto. Nanna fissò la cognata negli occhi; questa li abbassò. Si sentiva scrutata fin in fondo al cuore. Arrossí vivamente e salí in fretta nella sua camera. Ma Lucia la seguí gridando:
- Dammi lo zoccolo.
- No, lascia.
- Sí, me lo devi dare. Sai pure che Gaudenzio ha raccomandato di metterlo tutte e tre. Via, sii buona, dammelo.
E la piccina corse alla cassa, ne tolse uno zoccolo da festa rosso a fiori gialli, e fuggí tenendo in alto la sua conquista col braccio disteso.
- Quella ragazza è innamorata - pensava Rosetta. - Si figura che Gaudenzio le voglia bene; ed egli fa la corte a me che sono maritata. Oh santo Dio! E nell'ottava di Natale bisognerà andare a confessarsi. Cosa ho da fare io? Non me lo posso cacciare via dal cuore, cosí come una mosca. Io non ci ho colpa. Non ho fatto nulla per volergli bene. È venuto da sé. Oh, se Pietro fosse un altro uomo! - Intanto la bimba proseguiva allegramente la sua raccolta. Scese, entrò nella stanza di Nanna, prese lo zoccolo nero lucido; poi aperse il fagotto che le teneva luogo di valigia, cavò fuori il suo zoccoletto verde, piccino piccino, e corse in cucina a schierarli sulla finestra.
- Guarda, Nanna, come stanno bene. Ci batte sopra la luna. Si distinguono perfettamente. Il Bambino non può sbagliare.
- Bene - disse Nanna. - Ora va a coricarti, se vuoi avere la strenna. Il Bambino non vuol essere veduto.
- Síí! Il Bambino! È un bambino grande, quello... - rispose la fanciulletta con malizia; e si ritirò ridendo nella camera di Nanna, e si cacciò in letto, e fu ben presto rapita in sogni deliziosi di strenne, di fiori d'argento, d'amori, di nozze.

Nanna rimase sola, e s'affrettò a porre le mani in pasta per la torta del Natale. Era agitata, convulsa. Le sanguinava ancora il cuore ogni volta che si ricordava quel gomitolo, ed il modo indegno con cui s'era cercato d'illuderla per farsi beffe di lei, in omaggio alla cognata. E lo ricordava sempre.
- A questo modo non si va avanti - pensava. E ripeteva in sé stessa molte considerazioni sull'onore della famiglia, sulla pace del fratello; e si forzava di persuadersi che la cognata fosse una grande colpevole, per rinfrancarsi nei suoi propositi vendicativi, e per vincere un vago sgomento che l'assaliva all'idea della catastrofe che stava per suscitare.
Quella torta dovette riescire soffice come una spugna, grazie all'energia febbrile con cui Nanna maneggiò la pasta, stirandola, battendola, ravvoltolandola in tutti i sensi.
Finalmente suonarono le undici e mezza:
- A momenti sarà qui - pensò Nanna. - Porterà la sua strenna prima della messa, per dar tempo a Rosetta di pigliarla avanti che torni Pietro. Ma non la piglierà. Ci sarò io prima di lei a raccogliere il fiore. E la bellezza dovrà spiegare a suo marito da che parte viene.
Ed intanto stese la torta rapidamente, l'arrotondò, v'impresse col dito tante piccole fossette, la spolverò di zuccaro; poi si lavò le mani, e si pose in ascolto dietro la finestra del forno.

Gaudenzio era già entrato nella siepe. Nanna lo seguí coll'occhio fino alla finestra accanto, ed il suo cuore balzava come quando era stata presa dal tifo.
Questa volta non si affrettò ad aprir l'uscio e guizzare in cucina. Sapeva già cosa potrebbe trovare, e non voleva respingere nulla. Dal canto suo Gaudenzio, dopo aver deposto qualche cosa negli zoccoli, non ebbe premura di allontanarsi. Voleva vedere se gli respingerebbero il dono come l'altra volta. Si pose nell'ombra presso il muro tra le due finestre, ed aspettò.
Nanna udiva il respiro affannoso del carrettiere traverso le gelosie, e reprimeva con fatica il suo. Quei due cuori battevano collo stesso impeto, nel silenzio della notte, soli, ad un passo l'uno dall'altro; ma fra i sentimenti che li agitavano c'era un abisso; dall'odio all'amore.
- Se non se ne andasse! - pensò Nanna. Ed un momento vide rovinare tutti i suoi progetti.
Aspettò ancora alcuni minuti. Un tempo infinito per la sua impazienza angosciosa, poi s'udí scoccare il primo segno della messa. Tese l'orecchio, ma il suono della campana le impediva di udire se Gaudenzio si movesse.
- Pure alla messa ci deve andare - pensò. - Pietro lo aspetta, non mancherà.
In quella una figura alta uscí dall'ombra della casa, e s'avviò rapidamente traverso l'orto alla siepe. Nanna aveva indovinato. L'innamorato correva alla messa per non destare sospetti nel marito colla sua assenza. Ella stette a guardare quel portamento baldanzoso, quel cappello sull'orecchio, finché la grande ombra ebbe varcata la siepe. Poi si nascose il volto fra le mani, e rimase a lungo assorta ne' suoi pensieri d'odio, di vendetta.
Suonò l'ultimo segno della messa.
- Che Natale, mio Dio! - mormorò Nanna. - Ho mai avuto tanto veleno nel cuore. Che cosa ho fatto per essere disprezzata, avvilita, come sono? Ma è venuta la mia volta. Li avvilirò anche loro e resterò io la padrona di casa.
La campana tacque e s'udí un passo lento avanzarsi verso il cortile dalla parte del viale.
Nanna balzò in cucina, nell'idea di impadronirsi dello zoccolo di Rosetta, e portarlo nella sua stanza, per presentarlo poi la mattina alla cognata dinanzi al marito, e dirle:
- Ecco la strenna che ho trovato nel tuo zoccolo, chi ce l'ha posta?
Si alzò sulla punta dei piedi aggrappandosi al davanzale della finestra, e guardò. Il suo zoccolo e quello della bimba erano pieni di chicchi; ne uscivano le carte frastagliate. Questa volta l'avevano trattata bene anche lei. Non s'era voluto irritarla. Nello zoccolo rosso e giallo di Rosetta, c'era ancora il famoso fiore in filigrana.
Nanna alzò la mano per pigliarlo, ma in quella l'uscio della cucina venne aperto, ed entrò Pietro.
Rimase confuso al vedere la sorella là accanto alla finestra.
Anche Nanna fu turbata sulle prime. Non si aspettava quella venuta improvvisa, e non era preparata a fare sul momento la sua terribile rivelazione.
Esitò un minuto; poi il suo cattivo genio le suggerí questo pensiero perfido:
- È il Signore che lo manda perché io gli apra gli occhi. - E disse forte:
- Stavo guardando gli zoccoli...
Gli occhi di Pietro esprimevano una paurosa ansietà. Fece un passo verso la finestra, ma non osò andare innanzi. Si vergognava, colla sorella invidiosa, della galanteria che voleva fare alla moglie. Nella sua timidezza morbosa, sentí il bisogno di scusarsi.
- Ho portato lo spillo per quella donna, che ne ha tanta voglia - disse senza guardare la sorella, e mettendo sulla tavola un involtino leggero. Il piú difficile era detto.
Nanna si fece pallida di rabbia; ma Pietro senza darle tempo di parlare continuò a scusare quella gentilezza coniugale:
- Sono sempre troppo asciutto con lei! Le metto soggezione, e non so farmi voler bene... Dacché questo fiore le fa piacere... Non mi è poi costato tanto.
E continuava ad attorcigliare la carta dell'involto intorno al gambo del fiore, ed a tenerci intenti gli occhi, che non osava alzare per timore di scontrare quelli di Nanna.
Era ansioso di mettere il fiore nello zoccolo e di assicurarsi se Gaudenzio non l'aveva prevenuto. E tuttavia, intimidito dalla presenza della sorella, rimaneva là seduto sulla panca presso la tavola. Neppure quel dubbio orrendo che aveva nel cuore poteva fargli vincere la debolezza della sua natura fiacca.
- Ecco com'è amata quella sguaiata! - pensava Nanna. - È lí annientato per lei. Piú maltratta gli uomini, e piú l'adorano. Io non sono piú nulla dacché è entrata in casa. Babbo, mamma, fratello, amanti, sono tutti per lei. Ah! Se potessi schiacciarla!
E nell'esasperazione del suo cuore invidioso attinse il coraggio feroce di dire a quel povero uomo:
- Sei giunto tardi; ce n'è già un altro fiore.
Un grido disperato, straziante, uscí dal petto di Pietro, e finí in un singulto che lo scosse tutto.
Si coperse il volto colle mani, e singhiozzò disperatamente:
- Ah! Lo sapevo che sono di troppo a questo mondo! - Ed era tutto tremante e convulso, mentre stringeva qualche cosa nella tasca del farsetto. Poi si alzò, e si avviò verso l'uscio.
Nanna fu atterrita. In quel momento soltanto vide tutta l'enormità dell'azione che stava per commettere, lo scioglimento orribile che potrebbe avere. Ella aveva pensato soltanto a quanto desiderava lei. Ma ora vedeva che un marito innamorato e tradito non si limita a rimandare la moglie, ed a vivere tranquillamente co' parenti. È una parte della sua vita che si stacca da lui. I parenti non sono nulla dinanzi a tanto dolore.
Le si affacciò agli occhi una scena di sangue di cui s'era parlato a lungo pochi mesi prima. Un marito geloso del proprio fratello l'aveva ucciso, poi aveva uccisa la moglie.
Pietro nella sua profonda umiltà non avrebbe cercato di punire nessuno. Ma avrebbe ucciso sé stesso. Nanna lo indovinò dalla sua disperazione; e tutte le passioni ignobili che l'avevano esaltata si dileguarono dinanzi a quella paura.
Tutto questo le passò come un lampo nella mente e nel cuore e, prima che avesse tempo di fare un atto o di dir nulla, una parola di Pietro la confermò nel suo pauroso sospetto. Egli si voltò nell'atto di aprir l'uscio e le disse:
- Nanna, abbi cura dei nostri poveri vecchi!
- Pietro, dove vai? Cosa pensi? - gridò Nanna correndo a lui.
- Eh! A nulla; va là - disse Pietro respingendola; e poi sussurrò: - È meglio finirla che vivere a questo modo.
Nanna ebbe bisogno in quel momento di tutta la forza del suo carattere concentrato ed energico. Capí che le suppliche non avrebbero giovato a nulla su quella natura selvatica. Bisognava distruggere il sospetto geloso ch'ella stessa aveva suscitato con tanta perfidia. Non c'era altro mezzo per combattere la risoluzione di Pietro. Fece violenza all'angoscia che aveva di dentro, e si pose a ridere sguaiatamente.
- Ah grullo! Ci sei cascato! Ora lo so che sei geloso. Ah grullo! Ah! Ah! Ah!
Pietro si fermò a guardarla colla bocca aperta e gli occhi sbarrati dallo stupore. L'eccitazione nervosa di Nanna era ben dissimulata dal ridere convulso. Un raggio di speranza gli rischiarò il volto di tanta espressione di conforto, che Nanna se ne sentí incoraggiata e prese a sghignazzare piú forte.
- Ah grullo di uomo! Geloso dopo pochi mesi di matrimonio! Ah! Ah! Ah!
- Ebbene, se sono geloso di chi è la colpa? - disse Pietro tutto confuso. - Sei stata tu a venirmi a dire delle sciocchezze, di Gaudenzio, e di quella donna...
- Se lo dico che ci sei cascato, e che sei un grullo! Non l'hai capito che facevo apposta per farti ammattire? E tu subito a farti scorgere, a far il geloso. Stupido, va'! Dammi qui il fiore che lo metta nello zoccolo della tua donna.
Pietro sporse il fiore, esitante, quasi inebetito tra la speranza ed il timore. Ma appena l'ebbe dato gli tornò il dubbio angoscioso, ed afferrando Nanna pel braccio le domandò a bassa voce:
- Ma l'altro? Hai detto che ce n'è un altro. In che zoccolo l'hanno posto? - E fissandola negli occhi continuò: - Non può essere nel tuo, Nanna.
Quest'ultima parola era crudele. Nanna ne risentí una fitta al cuore. Ma aveva veduto troppo davvicino l'orrore del male. Represse l'impeto del suo orgoglio offeso, e rispose con uno sforzo di generosità, eroico sotto la sua forma volgare e grottesca:
- L'altro è nello zoccolo di Lucia. Ce l'ha posto Gaudenzio; che è innamorato di lei, e si confida con Rosetta. E la ragazza pure è cotta di lui. Anche questo non l'avevi capito? Che ci hai la cateratta agli occhi? Ah! Povero sciocco!
A quelle parole i nervi di Pietro, tanto lungamente eccitati, si allentarono; abbandonò il braccio di Nanna, ricadde a sedere, e gettando sulla tavola un coltello affilato che teneva nella tasca del farsetto, disse con voce cupa:
- Hai giocato un brutto gioco, guarda. Mi sarei ammazzato!
E scoppiò in un pianto convulso.
Nanna a quella vista, al pensiero ch'era stata sul punto di uccidere il fratello, fu presa da un brivido che la scoteva tutta; e per nascondere la propria agitazione andò ad aprire la finestra per mettere il fiore di Pietro nello zoccolo di Rosetta.
Pietro la guardava con un resto di dubbio. Non poteva credere a tanta gioia.
- Perché tremi a quel modo? - le domandò.
- Se credi che dia gusto sentir a parlare d'ammazzarsi, e vedere dei coltelli... - E rabbrividí ancora.
- Giura che quel fiore è nello zoccolo di Lucia; giuralo! - gridò Pietro con impeto.
Nanna aveva già la mano sullo zoccolo di Rosetta per deporvi il secondo fiore; afferrò rapidamente il primo, lo pose nello zoccoletto della bimba, e poi disse colla coscienza sicura:
- Lo giuro. Vieni a vedere.
Pietro non rispose altro. Sospirò con soddisfazione, chiuse lentamente il coltello, e lo pose nel cassetto della tavola; poi rimase immobile coi pugni alle tempia guardando fissamente la tavola. Pensava forse tutte le angoscie sofferte; era ancora abbattuto, ma era calmo. Nella rettitudine del suo cuore non poteva sospettare che la sorella giurasse il falso; e dopo quel giuramento non dubitava piú. Considerava la cosa sotto un aspetto diverso. Dacché Gaudenzio era innamorato di Lucia, tutte le sue confidenze a Rosetta si spiegavano da sé. Le parlava della bimba e del suo amore.

Rosetta, dalla finestra della sua stanza che dava anch'essa sull'orto, aveva veduto giungere e ripartire il bel Gaudenzio. Aveva aspettato trepidamente che suonasse l'ultimo segno della messa per esser sicura che tutti gli uomini fossero fuori. Nanna a quell'ora doveva aver finito di preparare la torta, ed essersi coricata.
Era il momento buono per scendere a togliere lo spillo dallo zoccolo.
Il rimorso e la paura le torturavano il cuore.
- Vorrei che non l'avesse portato - pensava. - Non avrò che il fastidio di nasconderlo. E poi? Avrò un'obbligazione con Gaudenzio. Cosa pretenderà in compenso? Ah! Quel demonio di uomo è tanto bello, e sa tanto fare; non gli si può dire di no. Oh Signor Iddio benedetto! Come andrà a finire? Io voglio essere una brava donna. Mi piace di ridere; ma non voglio fare del male. Pietro non lo merita. È un po' selvatico; ma mi vuol bene, ed è buono come il pane, poveretto.
Ed intanto scendeva pian piano, passando scalza, con quel freddo, dinanzi alla camera dei vecchi.
Nell'aprire l'uscio della cucina rimase sorpresa di trovarci il lume acceso. Vide il marito e la cognata, e si fermò esitante non osando entrare.
Nanna comprese che, se non l'aiutava, quella comparsa avrebbe ridestato i sospetti del fratello.
- Oh! Qui c'è Rosetta - disse forzandosi di apparire tranquilla - Ti sta sul cuore, eh, la strenna del Bambino?
- Oh no... - rispose Rosetta affrettandosi alla finestra, senza osare di alzare gli occhi. - So bene che non mi porterà nulla. Voglio soltanto ritirare il mio zoccolo dalla finestra. Temo che l'umido della notte lo guasti. Sta per nevicare.
Pietro, che aveva gli occhi gonfi dal pianto, andò sull'uscio dicendo:
- Non mi pare che voglia nevicare. E stette a guardare il cielo nell'oscurità per nascondere la sua commozione.
Intanto Rosetta prese il suo zoccolo, e sentendoci dentro il fiore, allungò la mano per gettarlo a terra di fuori. Ma Nanna le tirò dentro rapidamente il braccio e le sussurrò:
- Non lo gettare. È lui che ce l'ha posto. Ringrazialo. - E la spinse verso Pietro.
Rosetta guardò la cognata, la vide commossa e rimase atterrita. Che sarebbe di lei? Che sarebbe del fiore di quell'altro?
Intanto Pietro rientrava. Nanna spinse di nuovo la cognata verso di lui, e disse:
- Ne vuoi sentire una buona, Rosetta? Questo povero grullo, grande e grosso com'è, aveva paura di Gaudenzio. Era geloso.
- Ma che! Geloso! Non è vero - disse Pietro tutto confuso.
Quanto a Rosetta, non capiva ancora. S'era fatta pallida; credeva che la cognata le preparasse una perfidia. Ma Nanna ripigliò:
- Non istar a negarlo. Forse che non t'ho visto piangere? E questo l'avevi comperato per mandar cipolle? - E pigliato il coltello nella tavola, lo teneva alzato dinanzi a Rosetta, che rabbrividiva tutta a quella vista. Poi rivolgendosi a lei continuava:
- Figurati! Egli credeva che Gaudenzio l'avesse con te. Come se non ci fossero altre donne che la sua a questo mondo, aveva paura che gliela mangiassero.
- Oh! Io non penso a Gaudenzio - disse Rosa che cominciava a comprendere d'aver nella cognata un appoggio.
- Síí! Vaglielo a dire. Ho dovuto raccontargli tutto; che Gaudenzio è innamorato della bimba, che te lo confida, che ha messo il fiore d'argento nel suo zoccoletto verde; tutto, se ho voluto che mi credesse. Ed ora si vergogna; ma non sarà tranquillo, guarda, finché non glieli fai vedere sposati. Io lo conosco.
Pietro era sugli spilli per la vergogna.
- Vuoi finirla? - disse con mala grazia. - Io non ci penso neanche.
Rosetta, troppo agitata per poter parlare, saltò al collo del marito e lo baciò con trasporto, malgrado i suoi sforzi per respingerla. Si sentiva salvata.
- Sí, sí - gli disse con uno slancio di cuore. - Lucia è innamorata, e debbono sposarsi. - E soggiunse con tutta l'espansione che le era naturale:
- Ne sono tanto contenta! È come se mi facessi sposa io stessa un'altra volta. E voi, uomo, siete contento? - E lo abbracciò e poi abbracciò Nanna esclamando:
- Avremo sponsali in famiglia; saremo tutti felici. - E le strinse la mano sussurrandole all'orecchio:
- Grazie, Nanna. Mi hai proprio fatto da sorella.
Era cosí sollevata dal sentirsi sfuggita ad un pericolo, che non dubitava del consenso di Gaudenzio, non dubitava di nulla, si sentiva riconciliata con sé stessa ed era felice.
Nanna lasciò soli gli sposi ed uscí nel cortile. Dopo tanta concitazione provava il bisogno di piangere, e pianse a lungo in silenzio. Un profondo pentimento le era entrato nell'anima. Dinanzi alla disperazione di Pietro, alla riconoscenza sincera di Rosetta, era tornata buona, e sentiva orrore de' suoi sentimenti malevoli; e diceva:
- Povera giovane: non ha che diciotto anni infine. Dovevo avvertirla prima, e mi avrebbe ascoltata. Ma avevo il demonio in cuore. Se gli avessi dato retta, che Natale d'inferno si sarebbe fatto in casa! Ma il Signore mi ha toccato il cuore. Quella campana di Natale mi rimescolava tutta laggiú nel forno...
E nondimeno tremava pensando all'avvenire. Ora, nell'impressione del primo momento, sentiva tutta la dolcezza d'aver fatto del bene, ed era soddisfatta. Ma poi? Quell'entusiasmo cesserebbe. Le cose prenderebbero il loro corso abituale. Gaudenzio sposerebbe Lucia, o cesserebbe di frequentare la casa. Piú probabilmente la sposerebbe, perché Lucia s'era fatta fresca come una rosa dacché era alla cascina; era giovane, bella, aveva qualche cosuccia, e Gaudenzio era già avanti negli anni; e poi Rosetta troverebbe modo di persuaderlo per la pace di tutti.
Pietro e Rosetta, ravvicinati da quella catastrofe, si amerebbero bene fra loro, e non potrebbero avere per la sorella vecchiotta e zitellona che un affetto secondario. Ella si troverebbe d'impaccio fra loro. I vecchi avevano poco da tirar innanzi. E lei povera Nanna, rimarrebbe ancora sola, ancora isolata, senza nessuno a cui volere tutto il suo bene, e che ne volesse altrettanto a lei. Ed allora, come farebbe a non invidiare quelli che hanno una famiglia e sono felici?
Tornerebbe al male senza volerlo, in causa delle sue circostanze, del suo isolamento. Pensò tutto codesto con angoscia, e pianse, e pregò con fervore:
- Oh Signore Iddio! Datemi una buona inspirazione. È la notte di Natale.

Uscita la sorella, rimasto solo colla sposa, ed incoraggiato dalle espansioni di lei, Pietro le aveva narrato piangendo le sue gelosie, i suoi timori, la sua disperazione, ed il proposito orrendo di uccidersi.
Erano commossi entrambi. Ed in quell'intimità infinita che lega gli sposi, in quelle prime lagrime versate insieme, si sentivano profondamente felici.
Ad un tratto qualcuno bussò con furia all'uscio, e la voce di Pacifico gridò:
- C'è qualcuno alzato?
- Sí, ci sono io. - disse Pietro scostandosi in fretta dalla moglie, e correndo ad aprire.
- Venite con me. Temo vi siano i ladri nella mia stanza, ci vedo un lume, ed ho lassú la bambina.
I due uomini s'affrettarono su per la scala, e Rosetta, che era coraggiosa, li seguí in silenzio.
Pacifico spinse l'uscio, e rimase immobile dallo stupore. Vide una lucerna sulla cassa ai piedi del letto; e Nanna inginocchiata accanto alla culla della bambina.
Pietro si fece rosso come una vampa al vedere la sorella di notte nella camera d'un uomo, e le gridò con mal garbo:
- Nanna, cosa fai qui?
- Sto guardando il mio dono di ceppo, e ne ringrazio il Signore - disse Nanna alzandosi. - Egli s'è ricordato anche di me, sebbene io sia vecchia e brutta; e mi ha mandato questa bambolina; e mi ha dato un cuore di mamma per volerle bene. Non è vero Pacifico, che debbo essere la sua mamma?
Pacifico nell'eccesso della gioia corse a lei colle braccia protese come per abbracciarla. Ma non osò fare quella scena davanti a tutti; e lasciandosi cadere le braccia penzoloni rimase come istupidito a guardarla a bocca aperta
Rosetta fu la sola che comprese tutto. E colla sua espansione spontanea, abbracciò Nanna e le disse:
- Iddio ti benedica, Nanna, per quello che fai a questa bimba, e a questo pover'uomo che ti vuol tanto bene.
- Oh sí, per me vi voglio bene - disse Pacifico.
- Davvero? - domandò Nanna con un lampo di gioia nello sguardo.
- Non lo sapete forse? Non vi ho forse già domandata per moglie? Siete stata voi che non mi avete voluto.
- Ma per la bambina, mi avete domandato.
- Per la bambina, ed anche per me.
- E dicevate che ero vecchiotta e punto bella... - disse Nanna con un po' d'ironia, incapace di sacrificare quel meschino risentimento alla bella parte che stava rappresentando. Appunto forse perché non rappresentava una parte, e nella sincerità dell'animo, si mostrava qual era, una donna con le sue debolezze nel bene come nel male.
- Ebbene - rispose Pacifico senza curarsi di disdire quelle parole per cortesia, - a me piacevate cosí. Di Vecchiotte e punto belle se ne trovano tante. Ma avete ben veduto s'io ne ho cercata un'altra. Sarei stato sempre solo, guardate. - E curvandosi per non essere udito soggiunse:
- È da quando ci trovammo in risaia che vi voglio bene.
Rosetta capí che avevano bisogno di restar un momento soli, e dando un urto col gomito al marito, gli fece segno di uscire con lei sul balcone.
Allora Nanna, con un'espressione di civetteria, che dissimulava male l'ansietà passionata di scoprire quanta parte d'amore le fosse ancora dato sperare da quello sposo, gli disse:

- Mi volevate bene, e ne avete sposata un'altra?
- L'ho sposata, perché ho dovuto sposarla, Nanna. Ora posso dirvelo, dacché lei è morta e voi sarete presto la mia donna. Quella poveretta, requie per l'anima sua, s'era trovata con mio fratello in una di quelle risaie del Piemonte dove giovani e ragazze lavorano appaiati alla trebbiatrice. E neanche i riguardi dell'onestà ci avevano in quella fattoria. Uomini e donne dormivano sullo stesso fienile. E, capite. Quei due ragazzi si volevano bene... Basta; dopo i lavori a mio fratello toccò d'andare soldato. Aveva preso le febbri in risaia e partí che non era ben guarito. Un po' di cruccio, un po' di male vite, che so io, si pigliò un tifo che lo mandò all'altro mondo in pochi giorni. Un pezzo d'uomo!... Basta; quando andai a trovarlo all'ospedale militare. mi disse:
"Quello che mi fa piú rincrescere di morire, è quella povera Caterina. Se il suo babbo lo sa, l'ammazza, o me la mette sulla strada".
- E piangeva che era una compassione. Io pensai soltanto a consolarlo e gli risposi:
"Senti, Michele. Siamo sempre stati buoni fratelli; metti il tuo cuore in pace, che alla Caterina ci penso io".
- E capite, Nanna; io avrei voluto sposare voi; ma la promessa fatta ad un moribondo si deve mantenerla. L'ho sposata io quella povera disgraziata, e le ho fatta buona compagnia; di rimorsi non ne ho; ma ho sempre voluto bene a voi.
- Ma allora questa bambina...? Disse Nanna quasi in atto di respingere la culla.
- Non ha piú né babbo né mamma - disse Pacifico in tono supplichevole; - ed io le ho preso a voler bene...
- Ed io pure gliene vorrò, e sarà come se fosse nostra - mormorò Nanna curvandosi verso la bimba addormentata, e baciandola sulla bocchina socchiusa. Poi soggiunse carezzandole i bei ricci biondi:
- E non andrà mai in risaia.

L'indomani era una benedizione vedere tutta quella gente alla mensa di Natale. Rosetta vezzeggiava il suo ispido uomo come se lo avesse sposato allora. I vecchi erano felici di maritare la figliola. Pacifico, lasciamo stare. Era sempre a guardare Nanna colla bocca aperta, e tratto tratto le diceva:
- Dunque sarete la mia massaia? Demonio di ragazza! Se vi siete fatta sospirare! Il letto è pronto; quand'è che comincerete a scodellare la minestra a casa mia? - Ed altre espansioni rustiche in cui metteva tutta l'anima, pover'uomo, come i loro sposi, mie belle lettrici, in un verso sentimentale.
Gaudenzio c'era anche lui; era andato al mattino a dar il buon Natale per sentire cosa ne era stato del fiore d'argento, e Rosetta l'aveva persuaso facilmente. A conti fatti non era una passione di quelle che logorano il cuore, la sua. Aveva un capriccio per quella bella sposa; ma l'idea di sposare quel gioiello di bimba, ed innamorata poi che lo lasciava traspirare da tutti i pori, gli andò a sangue; e fu un affare concluso; tanto piú che Rosetta lo assicurò d'essere stata a sedici anni sottile come un gambo di canape. Tutta quella floridezza le era piovuta intorno dai diciassette ai diciotto. Egli si figurava la sua sposina fra un anno triplicata almeno, ed era contento, e si dondolava più che mai, e si metteva il cappello tanto sull'orecchio che era un prodigio. E Lucia era in estasi dall'ammirazione, saltava di gioia, e trionfava col suo bel fiore d'argento nei cappelli bruni. Ed esclamava contemplando il ciuffo spropositato del suo sposo:
- L'avevo capito da un pezzo io, che parlavate sempre con Rosetta di me, e che mi volevate dare il fiore d'argento. Oh! Se l'avevo capito!
Povero cuore innocente! Non sapeva sotto che tempeste era cresciuto il suo fiore di ceppo.

 
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