| LIBRO OTTAVO
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1 Ho rivisto la tua Pompei dopo molto tempo. Mi ha riportato indietro alla mia giovinezza; mi sembrava di poter ripetere tutte le mie giovanili imprese compiute là, e che fossero recenti. 2 Navigando, Lucilio, ci siamo lasciati alle spalle la vita e come in mare
si allontanano paesi e città,
scrive il nostro Virgilio, così in questa corsa rapidissima del tempo ci siamo lasciati dietro prima la fanciullezza, poi l'adolescenza, poi tra giovinezza e vecchiaia quell'età che confina con entrambe, poi gli anni migliori della vecchiaia; ora in ultimo comincia a mostrarsi quella che è la fine comune di tutti gli uomini. 3 A noi, nella nostra immensa stupidità, appare come uno scoglio: e invece, è un porto: non lo si deve mai evitare, anzi talvolta bisogna cercarlo, e se uno ci arriva nei primi anni della vita, non se ne lamenti, come non si lamenta chi ha portato a termine con rapidità la sua traversata per mare. Uno, lo sai, è trattenuto da venti deboli che si prendono gioco di lui e lo stancano con una bonaccia tenace ed esasperante; un altro, invece, un soffio costante lo trasporta a gran velocità. 4 Pensa che per noi è lo stesso: alcuni la vita li porta molto rapidamente a quella meta, che, anche temporeggiando, dovevano raggiungere, altri li snerva e li fiacca. Non sempre, lo sai, la vita va conservata: il bene non consiste nel vivere, ma nel vivere bene.
Perciò il saggio vivrà non quanto può ma quanto deve. 5 E considererà dove vivere, con chi, in che modo, e quale attività svolgere. Egli bada sempre alla qualità, non alla lunghezza della vita. Se le avversità che gli si presentano sono tante e turbano la sua serenità, si libera e non aspetta di trovarsi alle strette: non appena comincia a sospettare della sorte, considera seriamente se non sia il momento di farla finita. Non ritiene importante cercare la morte o accoglierla, morire prima o poi: non teme la morte come un grave danno: uno stillicidio non causa a nessuno grandi perdite. 6 Non importa morire presto o tardi, ma morire bene o male; morire bene significa sfuggire al pericolo di vivere male. Giudico, perciò vilissime le parole di quel famoso rodiese, che, gettato dal re in una gabbia e nutrito come una fiera, rispose a uno che gli consigliava di non toccare cibo: "Finché c'è vita, c'è speranza". 7 Se anche fosse vero, non ci si deve comprare la vita a qualunque prezzo. Ammettiamo pure che si offrano beni cospicui e sicuri, io non vorrei ottenerli con una vergognosa professione di viltà: dovrei pensare che la fortuna ha pieni poteri su chi è in vita e non che è impotente contro chi sa morire?
8 A volte, tuttavia, il saggio, anche se lo minaccia una morte sicura e sa di essere destinato alla pena capitale, non presterà la mano al suo supplizio: farebbe un piacere a se stesso. Morire per paura della morte è da insensati: il boia viene, aspettalo. Perché vuoi precederlo? Perché ti fai carico della crudeltà altrui? Invidi il tuo carnefice, oppure ne hai compassione? 9 Socrate avrebbe potuto mettere fine alla sua vita col digiuno e morire di fame invece che di veleno; eppure stette in carcere trenta giorni aspettando la morte: non pensava che ogni esito era possibile e che un periodo di tempo tanto lungo consentiva molte speranze; voleva mostrarsi obbediente alle leggi e offrire agli amici la possibilità di trarre profitto dai suoi ultimi giorni. Disprezzare la morte, ma temere il veleno non sarebbe stato l'atteggiamento più insensato? 10 Scribonia, donna austera, era zia materna di Druso Libone, un giovane nobile, ma scriteriato, che nutriva speranze irrealizzabili per chiunque in quell'epoca o per lui stesso in ogni altra. Egli, malato, venne ricondotto dal senato in lettiga; non lo accompagnavano in molti: tutti i congiunti lo avevano piantato in asso senza nessuna compassione: ormai era più un cadavere che un imputato. Cominciò a riflettere se dovesse darsi la morte o aspettarla. Gli disse Scribonia: "Che gioia ti dà sbrigare una faccenda che tocca ad altri?" Non lo persuase: egli si suicidò e a ragione. Se uno è destinato a morire entro tre o quattro giorni ad arbitrio del suo nemico, se vive, sbriga proprio una faccenda d'altri.
11 Quando una forza esterna minaccia la morte, si deve aspettare o prevenirla? Non si può stabilire una regola generale; molte sono le circostanze che possono fare propendere per l'una o per l'altra decisione. Se l'alternativa è una morte fra atroci sofferenze oppure una morte naturale e facile, perché non approfittare di quest'ultima? Come scelgo la nave, se devo andare per mare, e la casa in cui vivere, così sceglierò la morte quando dovrò lasciare questa vita. 12 E poi, una vita più lunga non è necessariamente migliore, ma una morte attesa più a lungo è senz'altro peggiore. In nessuna cosa più che nella morte siamo tenuti ad obbedire alla volontà dell'anima. Esca per quella strada che ha preso di slancio: sia che cerchi una spada o un cappio o un veleno che scorre nelle vene, avanzi decisa e spezzi le catene della sua schiavitù. La vita ognuno di noi deve renderla accettabile anche agli altri, la morte solo a se stesso: quella che riesce gradita è la migliore. 13 È insensato pensare: "Qualcuno dirà che ho agito da vigliacco, qualcuno con troppa sconsideratezza, qualcun altro che c'era un genere di morte più eroico." Vuoi convincerti che si tratta di una decisione in cui non bisogna tenere conto dell'opinione altrui! Bada a una sola cosa: a sottrarti nel modo più rapido al capriccio della sorte; del resto ci sarà sempre qualcuno pronto a criticare il tuo gesto.
14 Troverai anche uomini che hanno fatto professione di saggezza e sostengono che non si debba fare violenza a se stessi; per loro il suicidio è un delitto: bisogna aspettare il termine fissato dalla natura. Non si accorgono che in questo modo si precludono la via della libertà? Averci dato un solo ingresso alla vita, ma diverse vie di uscita è quanto di meglio abbia stabilito la legge divina. 15 Dovrei aspettare la crudeltà di una malattia o di un uomo, quando posso invece sottrarmi ai tormenti e stroncare le avversità? Ecco l'unico motivo per cui non possiamo lamentarci della vita: non trattiene nessuno. La condizione dell'uomo poggia su buone basi: nessuno è infelice se non per sua colpa. Ti piace vivere? Vivi; se no, puoi tornare da dove sei venuto. 16 Contro il mal di testa sei spesso ricorso a un salasso; si apre una vena per diminuire la pressione del sangue. Non è necessario squarciarsi il petto con una vasta ferita: è sufficiente un bisturi ad aprire la via a quella famosa grande libertà: la serenità dipende da un forellino. Cos'è, allora, che ci rende indolenti e inetti? Prima o poi dovremo lasciare questa dimora, ma nessuno di noi lo pensa. Ci comportiamo come inquilini di vecchia data che l'abitudine e l'attaccamento al posto trattiene anche in mezzo ai disagi. 17 Vuoi essere indipendente dal corpo? Abitalo come se stessi per trasferirti. Tienilo presente: questa convivenza verrà a mancare, prima o poi: sarai più forte di fronte alla necessità di andartene. Ma se uno non ha limiti in tutti i suoi desideri come potrà venirgli in mente il pensiero della propria fine? 18 Non c'è cosa su cui si debba meditare come sulla morte; per altre evenienze ci si esercita forse inutilmente. Lo spirito si è preparato alla povertà: e invece, siamo rimasti ricchi. Ci siamo armati per disprezzare il dolore: e invece, il nostro corpo si è mantenuto fortunatamente integro e sano e non ha mai richiesto che mettessimo alla prova questa virtù. Ci siamo preparati a sopportare da forti il rimpianto di cari perduti; e invece, il destino ha tenuto in vita tutti quelli che amavamo. 19 La meditazione della morte è l'unica che un giorno dovrà essere messa in pratica. Non pensare che solo i grandi uomini abbiano avuto la forza di spezzare le catene della schiavitù umana; Catone strappò con le sue mani l'anima che non era riuscito a gittar fuori con la spada; non credere che possa farlo lui solo: uomini di infima condizione sociale si sono messi in salvo con straordinario impeto e, non potendo morire a loro agio e nemmeno scegliere il mezzo che volevano per darsi la morte, hanno afferrato quello che capitava sotto mano e con la loro violenza hanno tramutato in armi oggetti di per sé innocui. 20 Non molto tempo fa, durante i combattimenti tra gladiatori e bestie feroci, uno dei Germani, mentre si preparava per gli spettacoli del mattino, si appartò per evacuare gli intestini. Era l'unico momento in cui gli fosse concesso stare solo senza essere sorvegliato: lì c'era un bastone con attaccata una spugna per pulire gli escrementi: se lo cacciò in gola e morì soffocato. Uno sfregio alla morte. Proprio così, in maniera immonda e indecente: fare gli schizzinosi davanti alla morte è la cosa più stupida. 21 Che uomo forte, degno di poter scegliere il proprio destino! Con quanta fermezza avrebbe usato la spada, con quanto coraggio si sarebbe gettato negli abissi del mare o in un burrone. Era privo di ogni mezzo, eppure trovò il modo e l'arma per uccidersi; la mancanza di volontà è il solo ostacolo alla morte: egli ce lo dimostra. Ognuno giudichi come crede l'azione di quest'uomo indomito, ma sia chiaro: alla schiavitù più pulita è preferibile la morte più sozza.
22 Visto che ho cominciato con esempi sordidi, continuerò così: esigeremo di più da noi stessi, vedendo che la morte può essere disprezzata anche dagli uomini più disprezzati. Catone, Scipione e altri, i cui nomi sono abitualmente oggetto di ammirazione, li giudichiamo inimitabili: ma io ti dimostrerò che esempi di questa virtù tra i gladiatori ce ne sono quanti tra i capi della guerra civile. 23 Una mattina, poco tempo fa, un gladiatore mentre veniva trasportato sotto scorta allo spettacolo, come se gli ciondolasse la testa per il sonno, la piegò fino a infilarla tra i raggi di una ruota e rimase fermo al suo posto finché questa girando non gli spezzò l'osso del collo; con lo stesso mezzo che lo portava al supplizio vi si sottrasse. 24 Se uno vuole spezzare le catene e fuggire, non ci sono ostacoli: la natura ci custodisce in un carcere aperto. Quando le circostanze lo permettono, si cerchi una via di uscita agevole; se poi uno ha a portata di mano più possibilità di affrancarsi, faccia la sua scelta e consideri il modo migliore di liberarsi. Mancano le occasioni? Allora afferri la prima che gli capita come se fosse la migliore, anche se è strana e insolita. A chi non manca il coraggio non mancherà una strada ingegnosa verso la morte. 25 Non vedi che anche gli schiavi più umili, quando li pungola la sofferenza, prendono coraggio ed eludono anche la più stretta sorveglianza? L'uomo che non solo decide di morire, ma trova anche il modo di farlo, è grande. Ti ho promesso più esempi dello stesso genere. 26 Durante il secondo spettacolo di naumachia un barbaro si cacciò in gola tutta quanta la lancia che impugnava per combattere gli avversari. "Ma perché, perché?" disse, "non sfuggo subito a ogni tormento, a ogni umiliazione? Ho in mano un'arma, perché aspetto la morte?" Questo spettacolo fu tanto più bello quanto è più onorevole che gli uomini imparino a morire e non a uccidere. 27 E allora? Persino degli sciagurati, dei delinquenti hanno questo coraggio: e non lo avrà chi a questa evenienza è preparato da una lunga meditazione e dalla ragione, maestra di vita? Essa ci insegna che gli accessi alla morte sono numerosi, ma il punto di arrivo è lo stesso; non importa da dove cominci una cosa che arriva senz'altro. 28 La ragione stessa invita a morire, se è consentito, come ci piace, altrimenti come possiamo, e ad afferrare qualunque cosa càpiti per darci la morte. È vergognoso vivere di rapina, morire di rapina, invece, è bellissimo. Stammi bene.
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1 Sovente mi chiedi consiglio su singoli problemi, dimenticando che ci divide un largo tratto di mare. Ma l'efficacia di un consiglio, in gran parte, consiste nell'essere tempestivo e così, inevitabilmente, il mio parere su certi argomenti ti arriva quando ormai sarebbe preferibile la decisione opposta. I consigli devono aderire alla realtà e la nostra si evolve, anzi precipita: un consiglio, quindi, deve maturare nell'arco di un giorno; anzi, anche così è troppo tardi: deve nascere, come si dice, su due piedi. Ti preciso come ci si arriva. 2 Se vuoi sapere volta per volta che cosa evitare o che cosa ricercare, guarda al sommo bene, il fine supremo di tutta la tua vita. Ogni nostra azione vi si deve accordare: se uno non ha già disposto la propria vita nel suo complesso, non potrà deciderne i particolari. Nessuno, per quanto abbia pronti i colori, può fare un quadro somigliante, se non sa già che cosa vuol dipingere. Noi tutti decidiamo su singoli episodi della nostra vita, non sulla sua totalità e questo è il nostro errore. 3 L'arciere, quando scaglia una freccia, deve sapere qual è il bersaglio e allora soltanto dirigere e regolare il colpo con la mano: i nostri consigli non fanno centro perché non hanno un bersaglio preciso; se uno non sa a quale porto dirigersi, non gli va bene nessun vento. Viviamo a caso e, perciò il caso gioca un ruolo determinante nella nostra esistenza. 4 A certi càpita addirittura di ignorare che posseggono certe nozioni; come spesso andiamo in cerca delle persone che ci sono a fianco, allo stesso modo per lo più ignoriamo che il traguardo del sommo bene è lì davanti a noi. Non occorrono molte parole o lunghe perifrasi per circoscrivere il concetto di sommo bene: si può per così dire, indicarlo con un dito senza spezzettarlo in tanti frammenti. A che serve frazionarlo in particelle, quando puoi dire: "Il sommo bene è l'onestà" e, cosa ancor più straordinaria: "L'unico bene è l'onestà, gli altri sono beni falsi e fittizi." 5 Convincitene e ama appassionatamente la virtù (amarla sarebbe troppo poco): comunque la pensino gli altri, tutto ciò che la virtù toccherà, sarà per te prospero e felice. E la tortura, se sei più tranquillo del tuo carnefice, e l'infermità, se non maledirai la sorte, se non cederai alla malattia, insomma tutto quello che per gli altri rappresenta un male, si mitigherà e si muterà in bene, se ti porrai al di sopra di esso. Ti sia chiaro: l'unico bene è l'onestà e tutte le disgrazie, se la virtù in qualche modo le abbellisce, saranno giustamente chiamate beni. 6 Molti ritengono che promettiamo più di quanto consente la condizione umana, e non a torto; difatti guardano al corpo. Si volgano all'anima: misureranno l'uomo in base al divino.
Mira a cose più alte, mio ottimo Lucilio, e abbandona questi giochetti infantili dei filosofi che riducono a sillabe una disciplina stupenda e, insegnando minuzie, scoraggiano e deprimono lo spirito: diventerai simile a chi queste cose le ha scoperte e non a chi le insegna in modo che la filosofia risulti non grande, ma difficile. 7 Socrate, che riconduce tutta la filosofia alla morale e sostiene che la massima saggezza consiste nel distinguere il bene dal male, dice: "Se godo di un po' di credito presso di te, segui le orme di quei grandi uomini e sarai felice; lascia pure che qualcuno ti giudichi uno sciocco. Ti insulti e ti offenda chi vuole: non soffrirai se ti sarà compagna la virtù. Se vuoi essere felice," sostiene, "se vuoi veramente essere uomo di solida moralità, lascia che qualcuno provi disprezzo per te." Nessuno arriverà a questi risultati senza aver prima lui stesso disprezzato ogni cosa, senza aver posto tutti i beni sullo stesso piano. Non esiste bene senza rettitudine e la rettitudine è identica in tutti i beni.
8 "Davvero? Non c'è differenza se Catone diventa pretore o no? Se perde o vince a Farsalo? Non poter essere sconfitto nonostante la sconfitta del suo partito era per lui un bene pari a tornarsene da trionfatore in patria e ristabilire la pace?" Direi di sì. La virtù che vince la cattiva sorte e quella che regola la buona è la stessa; e la virtù non può essere più grande o più piccola. Ha sempre la stessa statura. 9 "Ma Gneo Pompeo perderà l'esercito; ma il più bell'ornamento dello stato, il patriziato, e la prima linea del partito pompeiano, il senato in armi, saranno sconfitti in una sola battaglia e le rovine di un così vasto impero si disperderanno per tutto il mondo: una parte cadrà in Egitto, una in Africa, una in Spagna. A quell'infelice repubblica non toccherà neanche questo: di crollare tutta in una volta." 10 Càpiti pure di tutto: non riesca utile a Giuba nel suo regno la conoscenza del territorio, e nemmeno il valore fermo di un popolo in difesa del suo re; venga a mancare anche la fedeltà degli Uticensi stroncata dalle avversità, e la fortuna, che ha sempre accompagnato il nome di Scipione, lo abbandoni in Africa. Già da un pezzo era stato provveduto che Catone non subisse nessun danno. 11 "Ma tuttavia è stato battuto." Metti in conto anche questo tra gli insuccessi di Catone: sopporterà con la stessa forza d'animo l'aver perso oggi la vittoria, ieri la pretura. Il giorno della sua sconfitta elettorale lo passò giocando a palla; e leggendo la notte in cui doveva morire. Non fece differenza tra perdere la pretura e perdere la vita; era persuaso di dover sopportare con coraggio tutte le avversità.
12 E perché non avrebbe dovuto sopportare serenamente, da forte, il rivolgimento dello stato? Che cosa si sottrae al pericolo di cambiamenti? Non la terra, non il cielo, non l'intero contesto dell'universo, benché sia regolato da dio; non manterrà sempre lo stesso ordine: ma verrà un giorno che ne trasformerà il corso presente. 13 Tutti gli esseri procedono secondo tempi precisi: devono nascere, crescere, morire. I corpi celesti che vedi correre sopra di noi e la terra su cui siamo stati messi e poggiamo come se fosse solidissima, si consumeranno e finiranno; ogni cosa ha la sua vecchiaia. A intervalli che non si corrispondono la natura conduce tutti gli esseri allo stesso punto: ciò che esiste non esisterà più; ma non è destinato a finire: semplicemente si disgregherà. 14 Disgregarsi per noi significa morire; consideriamo solo le cose che abbiamo davanti agli occhi, la nostra mente ottusa e soggetta al corpo non guarda più in là. Ma sopporteremmo con maggior fermezza la morte nostra e dei nostri cari, se sperassimo che, come tutto il resto, la vita e la morte si avvicendano e la materia composta si dissolve e dissolta si ricompone: in quest'opera si svolge l'eterna attività di dio che tutto ordina. 15 E dunque, come M. Catone, riandando al passato, diremo: "È condannato a morte tutto il genere umano, sia presente che futuro; tutte le città che detengono il potere in qualche parte del mondo e quelle che sono lo splendido ornamento di imperi altrui, ci si chiederà un giorno dove si trovavano, e spariranno ciascuna con diversa fine: alcune le distruggeranno le guerre, altre le consumerà l'inerzia e una pace mutatasi in ozio, e la dissolutezza, fatale alle grandi potenze. Un'improvvisa inondazione sommergerà tutte queste fertili pianure o il suolo, sprofondando, le inghiottirà di colpo in una voragine. Perché allora dovrei sdegnarmi o dolermi se precedo di poco il destino comune? 16 Un'anima grande obbedisca a dio e si sottometta senza esitare alle norme della legge universale: o sarà avviata a un'esistenza migliore per vivere una vita più splendida e serena nel mondo divino o almeno sarà immune da ogni molestia, se si riunirà alla natura e ritornerà al tutto. La nobile vita di M. Catone non è un bene più grande della sua nobile morte: la virtù è sempre uguale a se stessa. Socrate diceva che virtù e verità coincidono. La verità non cresce, e nemmeno la virtù: ha tutte le sue parti, è completa.
17 Non c'è, dunque, da stupirsi che i beni siano uguali, sia quelli che bisogna cercare di proposito, sia quelli che ci portano le circostanze. Se ammetterai una disparità tra i beni, e subire da forti la tortura lo giudicherai un bene minore, finirai anche per calcolarlo tra i mali e definirai infelice Socrate in carcere e infelice Catone che riaprì le sue ferite con più coraggio di quello con cui se le era inferte, e più sventurato di tutti Regolo, che pagò il prezzo di un giuramento rispettato anche nei confronti dei nemici. Ma nessuno, neppure l'individuo meno virile, ha osato affermare questo; non dicono che lui sia stato felice, ma neppure che sia stato infelice. 18 I filosofi della antica Accademia ammettono che uno può essere felice anche tra i supplizi, ma non in maniera completa, totale; una tesi assolutamente inaccettabile: se uno non è felice, non possiede il sommo bene. Il sommo bene è al culmine della scala dei valori, purché in esso sia insita la virtù, e non la indeboliscano le avversità e rimanga intatta anche quando il corpo è fatto a pezzi: e tale rimane. Mi riferisco a quella virtù coraggiosa ed eccelsa, che è spronata da qualunque avversità. 19 È la virtù a trasmetterci e a infonderci questo coraggio: spesso lo hanno i giovani di temperamento generoso, colpiti dalla bellezza di una nobile azione al punto da disprezzare tutto ciò che è dovuto al caso; la saggezza è in grado di convincerci che esiste un solo bene e cioè la virtù e che non si può né tenderla, né allentarla, come non si può piegare la riga con cui si controlla se una linea è retta. Qualunque modifica apporti deformi la linea retta. 20 Della virtù possiamo dire lo stesso: anch'essa è retta e non ammette storture: può certo, diventare più rigida, ma ‹non› tendersi maggiormente. È giudice di tutto, ma non ha giudici. E se non può diventare più diritta di quanto è, neppure le azioni che ne derivano conoscono gradi differenziati di dirittura; devono necessariamente corrisponderle e, dunque, sono uguali.
21 "E allora?" ribatti, "starsene a banchetto ed essere torturati è lo stesso?" Ti stupisci? Di questo dovresti stupirti di più: stare a banchetto è un male, essere sottoposti a tortura è un bene, se lì prevale un atteggiamento vergognoso e qui uno nobile. Non sono le occasioni, ma la virtù a rendere le azioni buone o malvagie; dovunque si mostri, tutto diventa della stessa misura e valore. 22 A questo punto, uno che giudica l'anima di tutti gli altri in base alla sua vorrebbe cavarmi gli occhi perché sostengo che, per chi giudica con onestà, sono pari i beni di chi celebra il trionfo e di chi precede il carro trionfale come prigioniero, ma con animo invitto. Gente come quell'individuo non ritiene possibili azioni che non è in grado di compiere: esprime un giudizio sulla virtù in base alla propria debolezza. 23 Perché ti stupisci se venir bruciati, feriti, uccisi, gettati in catene può essere gradito, anzi addirittura può piacere? Per chi ama il lusso, la frugalità è una pena, per il pigro la fatica è un supplizio, chi è abituato alle mollezze compatisce l'uomo attivo, per l'indolente applicarsi è un tormento. Allo stesso modo ci sembrano gravose e intollerabili quelle azioni che nessuno di noi è in grado di compiere e dimentichiamo per quanta gente è un tormento non avere vino o alzarsi all'alba. Non sono azioni in sé gravose, siamo noi fragili e senza nerbo. 24 Bisogna giudicare le grandi cose con animo grande; altrimenti attribuiremo ad esse il difetto che invece è in noi. Così se guardiamo un pezzo di legno perfettamente diritto, immerso nell'acqua, ci sembra curvo e spezzato. Non ha importanza che cosa guardi, ma come guardi: la nostra mente si ottenebra nello scrutare la verità. 25 Prendi un giovane incorrotto e di intelligenza vivace: dirà che giudica più felice chi sostiene a testa alta tutto il peso delle avversità, chi si erge al di sopra della fortuna. Non c'è niente di strano a non essere scossi quando tutto è tranquillo: ma ti deve meravigliare se uno si solleva quando tutti sono proni, se sta saldo in piedi quando tutti giacciono a terra. 26 Qual è il male nei tormenti e in quelle che definiamo avversità? Questo, a mio parere: lo spirito si lascia abbattere, si piega e soccombe. A un saggio, però questo non potrà mai capitare: rimane diritto sotto qualsiasi peso. Niente lo può diminuire; nessuno dei patimenti che deve subire gli riesce sgradito. Non si lamenta se gli piomba addosso tutto quello che può piombare addosso a un uomo. È consapevole delle sue forze; sa di essere nato per portare un peso. 27 Non faccio del saggio un'eccezione rispetto agli altri uomini, non gli nego il dolore, come se fosse una roccia priva di sensibilità. So bene che egli è formato di due parti; una è irrazionale: sente i tormenti, il fuoco, soffre; l'altra razionale: è salda nelle sue convinzioni, intrepida e indomabile. In questa sta il sommo bene dell'uomo. Finché non raggiunge la sua pienezza, la mente oscilla incerta, ma quando il sommo bene è perfetto, per essa c'è una stabilità incrollabile. 28 Perciò quando uno comincia ad avanzare verso la vetta e pratica la virtù, anche se si avvicina al sommo bene, finché non ne entra in possesso, farà talvolta qualche passo indietro e la sua volontà di arrivare potrà in parte allentarsi: non ha ancòra superato i tratti difficili e si trova su un terreno scivoloso. Ma l'uomo felice che ha raggiunto la piena virtù è tanto più soddisfatto di sé quanto più duramente è stato messo alla prova; quello che gli altri temono, se è il prezzo dovuto per un'azione onorevole, non solo lo sopporta, ma lo abbraccia e preferisce di gran lunga sentirsi dire: "Sei grande", invece che: "Sei fortunato".
29 Vengo ora alla questione su cui aspetti il mio parere. Perché la nostra virtù non sembri una dote soprannaturale, aggiungo che anche il saggio è soggetto ad aver paura, a soffrire, a impallidire; sono tutte sensazioni fisiche. Quando, allora, sono reali disgrazie, veri mali? Evidentemente quando mortificano l'anima e la portano a dichiararsi schiava e le fanno sentire disgusto di sé. 30 Il saggio vince la fortuna con la virtù, ma molti che si professano saggi sono spesso atterriti da minacce del tutto trascurabili. In questo consiste il nostro errore: nell'esigere lo stesso comportamento dal saggio e dal neofita. La condotta che lodo, vorrei tenerla, ma non ne sono ancòra persuaso e, se anche ne fossi persuaso, non sarei ancòra pronto ed esercitato al punto da affrontare ogni evenienza. 31 Certi colori la lana li assume con un solo bagno, altri, invece, li assorbe solo dopo essere stata a mollo e fatta bollire più volte; così ci sono insegnamenti che il cervello incamera sùbito, appena li riceve. La saggezza, invece, se non penetra in profondità e non sedimenta a lungo, e colora, ma non impregna, l'anima, non mantiene nessuna delle sue promesse. 32 Questo concetto si può anche esprimere in breve con pochissime parole: la virtù è l'unico bene, non esiste nessun bene senza la virtù e la virtù risiede nella parte migliore di noi, quella razionale. Che cos'è, dunque, questa virtù? Una vera e salda capacità di giudizio; ne provengono gli impulsi della mente ed essa darà chiarezza ad ogni immagine che suscita un impulso. 33 Giudicare come beni e uguali tra loro tutti quelli che sono in rapporto con la virtù sarà conseguente a questa capacità di giudizio. I beni fisici sono beni per il corpo, ma non sono tali in senso lato; avranno in sé un valore materiale, ma non spirituale. Ci sarà tra loro una grande differenza: alcuni saranno più piccoli, altri più grandi. 34 Dobbiamo ammettere che anche fra i seguaci della saggezza ci sono grandi differenze: uno ha fatto progressi tali da levare gli occhi contro la sorte; ma non resiste e abbassa lo sguardo accecato dall'eccessivo splendore; un altro è avanzato tanto che può fronteggiarla, se non è già arrivato alla vetta ed è pieno di fiducia in se stesso. 35 È inevitabile che gli esseri imperfetti cadano, avanzino, scivolino indietro, soccombano. Ma scivoleranno, se non persevereranno nello sforzo di andare avanti; se allenteranno l'impegno e la tenacia dei loro propositi, dovranno arretrare. Chi demorde, rinuncia ai progressi fatti.
36 Insistiamo e perseveriamo, dunque; non siamo nemmeno a mezza strada, ma i progressi in gran parte consistono nella volontà di progredire. Di questo sono conscio: voglio e voglio con tutto me stesso. Anche tu, lo vedo, provi questi impulsi, uno straordinario slancio verso le mete più belle. Affrettiamoci: solo a questa condizione la vita sarà un beneficio; altrimenti è solo una perdita di tempo e per giunta spregevole, per chi vive in mezzo alle miserie. Comportiamoci in modo che il tempo sia tutto nostro; ma perché lo sia, dobbiamo prima cominciare a essere padroni di noi stessi. 37 Quando ci avverrà di disprezzare la buona e la cattiva sorte, di sedare tutte le passioni riducendole in nostro dominio, di esclamare: "Ho vinto"? Chi? Mi chiederai. Non certo i Persiani, e nemmeno i lontanissimi Medi o le genti bellicose che abitano oltre i Dai, ma l'avarizia, l'ambizione, il timore della morte: anche i grandi conquistatori ne sono stati vinti. Stammi bene.
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1 Mi interroghi su un problema che mi era di per sé chiaro, perché lo conoscevo a fondo; ma è tanto che non ci ritorno sopra, perciò non mi è facile ricordarlo. Capita che le pagine dei libri si attacchino tra loro per un prolungato disuso: mi accorgo che a me è capitata la stessa cosa: la mente va messa a punto e tutte le cognizioni che vi si sono depositate vanno ripetutamente passate in rassegna per essere pronte ogni volta che occorre usarle. Dunque, tralasciamo per ora l'argomento: richiede molto lavoro e molta attenzione. Lo riprenderò in mano non appena potrò fermarmi per un certo tempo nello stesso posto. 2 Di talune questioni si può scrivere anche in carrozza, altre richiedono un divano, tranquillità e solitudine. E tuttavia, anche in queste giornate in cui sono totalmente assorbito da mille impegni, devo fare qualcosa. Si susseguono sempre nuove occupazioni: noi le seminiamo e perciò da una ne nascono molte. Poi ci concediamo una proroga: "Quando avrò concluso questa faccenda, mi applicherò con tutto me stesso", oppure: "Se avrò sistemato questa faccenda fastidiosa, mi dedicherò allo studio". 3 Alla filosofia non devi dedicarti quando hai tempo libero, ma aver tempo libero per dedicarti alla filosofia; dobbiamo tralasciare tutto il resto e applicarci ad essa: anche se la vita va dalla fanciullezza alla vecchiaia più avanzata, il tempo che le dedichiamo non è mai abbastanza. Non cambia molto se la filosofia la trascuri del tutto o ne interrompi lo studio; non rimane al punto in cui hai interrotto, ma, come una corda che tesa si rompe, ritorna al punto di partenza poiché è venuta a mancare la continuità. Non bisogna cedere agli impegni; non sbrigarli, liberatene. Non c'è un periodo poco adatto a uno studio proficuo; eppure c'è gente che non vi si applica, mentre lo richiederebbero proprio le cose in cui è immersa. 4 "Ma qualche ostacolo salta sempre fuori." Certamente non per un individuo costantemente contento e pronto in ogni sua attività: la contentezza viene meno se uno non ha raggiunto la perfezione, ma la gioia del saggio è costante, non c'è causa, non c'è rovescio di fortuna che la interrompa; egli è sereno sempre e dovunque. Non dipende da altri, non aspetta il favore della sorte o degli uomini. La sua felicità è interiore; potrebbe venir meno se provenisse dal di fuori: e invece gli nasce dentro. 5 A volte interviene qualche fattore esterno che gli ricorda la sua mortalità, ma ha scarso peso e lo tocca solo superficialmente; è sfiorato, insomma, da qualche fastidio, ma il sommo bene è radicato in lui. Allo stesso modo certe malattie sono superficiali, come un'eruzione cutanea o una piccola ulcera su un fisico sano e robusto: il male non ha radici profonde. 6 Tra il saggio e il neofita c'è la stessa differenza che tra un uomo sano e uno che esca da una lunga e grave malattia: a costui un attacco più leggero sembra già salute. Ma quest'ultimo, se non fa attenzione, subito si aggrava e ha una ricaduta, il saggio, invece, non può avere ricadute e neppure ammalarsi ancora. La salute del corpo è momentanea: il medico, anche se la restituisce, non può garantirla e spesso viene chiamato al capezzale di quella stessa persona che lo aveva fatto venire in precedenza: lo spirito, invece, guarisce una volta per tutte. 7 Ecco come puoi capire se è sano: se basta a se stesso, se confida in se stesso, se si rende conto che tutti i desideri degli uomini, tutti i benefici concessi e richiesti non contano per avere la felicità. Quello a cui può aggiungersi qualcosa è imperfetto; quello a cui può venire a mancare qualcosa non è eterno: chi vuole godere di una gioia perpetua gioisca del suo. Tutti i beni su cui la gente getta avidamente l'occhio vanno e vengono: la fortuna non concede il diritto di proprietà su niente. Ma quando li regola e li contempera la ragione, anche questi beni fortuiti possono dare gioia; è la ragione a conferire valore anche ai beni che provengono dall'esterno: un uso smodato finisce per essere spiacevole. 8 Attalo usava di solito questo paragone: "Hai mai visto un cane azzannare con le fauci spalancate i pezzi di pane o di carne gettati dal padrone? Divora sùbito tutto intero quello che riesce ad afferrare e se ne sta sempre a bocca aperta sperando in un successivo boccone. A noi capita lo stesso: stiamo lì in attesa, e ogni bene che ci getta la fortuna lo buttiamo giù subito senza gustarlo, attenti e ansiosi di afferrarne un altro." Al saggio questo non capita: è sazio; anche se dalla fortuna gli viene qualche dono, lo prende e lo mette da parte con calma; gode di una gioia grandissima, continua, tutta sua. 9 C'è qualcuno che ha buona volontà, fa progressi, ma è ancòra molto lontano dalla cima: costui attraversa alternativamente momenti di depressione e di esaltazione, e ora si innalza fino al cielo, ora precipita a terra. Per gli uomini ignoranti e rozzi non c'è fine alla loro caduta: precipitano nel famoso caos epicureo, un vuoto senza confini. 10 C'è poi una terza categoria: quelli che si accostano alla saggezza; non l'hanno ancora raggiunta, ci sono però davanti e la tengono, per così dire, sotto tiro: costoro non si turbano, e neppure si lasciano andare; non sono ancora approdati, ma sono ormai in porto. 11 C'è, dunque, una grande differenza tra gli uomini che sono arrivati alla vetta della saggezza e quelli che stanno in basso; anche chi è a mezza strada è trascinato dalla corrente e corre un serio pericolo di ritornare a una situazione peggiore; è per questo che non dobbiamo dar spazio alle nostre occupazioni. Chiudiamole fuori: una volta dentro, altre ne verranno al loro posto. Stronchiamole sul nascere: meglio non farle cominciare, che doverle eliminare. Stammi bene.
73
1 Per me sbaglia chi pensa che i veri filosofi siano arroganti e indocili e disprezzino i magistrati o i sovrani o chi amministra lo stato. Al contrario non c'è nessuno più riconoscente di loro verso gli uomini politici, e giustamente: questi dànno di più proprio ai filosofi, ai quali permettono di vivere una vita tranquilla e ritirata. 2 Per i filosofi la pace pubblica è determinante al loro proposito di vivere virtuosamente, di conseguenza venerano come un padre chi assicura questo bene, certo molto più di quanto facciano quegli uomini turbolenti e sempre a mezzo, che devono molto ai sovrani, ma attribuiscono loro anche molte colpe: nemmeno la liberalità più generosa può saziare le loro voglie che crescono a mano a mano che vengono soddisfatte. Se uno pensa ai benefici che deve ricevere, ha già dimenticato quelli ricevuti: il male peggiore dell'avidità è l'ingratitudine. 3 Inoltre, non il numero delle persone che supera, ma gli individui da cui è superato interessano al politico, e per lui vedere molti dietro di sé è piacevole, ma non quanto è penoso vedere qualcuno davanti a sé. Ogni tipo di ambizione ha questo grave difetto: non guarda indietro. Instabile non è soltanto l'ambizione, ma anche ogni forma di avidità, perché ricomincia dove dovrebbe finire. 4 Ma l'uomo sincero e onesto che ha lasciato il senato, il foro e ogni carica pubblica per dedicarsi in solitudine a questioni più importanti, ama quelli che gli permettono di farlo tranquillamente, è il solo a rendere una testimonianza spontanea e si considera debitore di chi nemmeno lo sa. Egli venera e rispetta costoro sotto la cui tutela può dedicarsi alla filosofia, come venera e rispetta i suoi maestri, grazie ai quali è uscito dall'intrico in cui era.
5 "Ma il re protegge anche gli altri con le sue forze". Nessuno lo nega. E tuttavia come tra le persone che hanno navigato con mare calmo, si considera più obbligato a Nettuno chi ha trasportato per mare prodotti più preziosi e in maggiore quantità, e ai voti fatti adempie con più slancio il mercante che il passeggero, e tra gli stessi mercanti si mostra grato con più larghezza chi trasportava profumi, porpora e altri oggetti di valore, di quello che aveva riempito la nave di merce di scarsissimo pregio per fare zavorra; così il beneficio di questa pace, che pure riguarda tutti, tocca maggiormente coloro che ne fanno buon uso. 6 Ci sono molti cittadini i quali hanno più da fare in pace che in guerra: o pensi forse che abbiano un identico obbligo di riconoscenza per la pace gli individui che la spendono nell'ubriachezza o nel sesso o in altri vizi che dovrebbero essere stroncati persino con la guerra? A meno che tu non giudichi il saggio tanto ingiusto da ritenere di non essere personalmente debitore per beni che divide con altri. Io devo moltissimo al sole e alla luna, eppure non sorgono per me solo; sono personalmente obbligato al succedersi delle stagioni e a dio che le regola, sebbene non siano stati fissati affatto *** in mio onore. 7 Gli uomini, nella loro stupida avarizia, distinguono il possesso e la proprietà e non giudicano propri i beni pubblici; ma il saggio invece giudica suo soprattutto quello che possiede in comune con l'umanità intera. Questi beni non sarebbero di tutti, se ai singoli individui non ne spettasse una parte: una cosa che è in comune anche in minima parte rende soci.
8 Per di più, i veri grandi beni non sono divisi in maniera che al singolo tocchi una piccola quantità: pervengono a ciascuno globalmente. Di una elargizione ognuno prende quanto è stato stabilito a testa; un banchetto e una distribuzione pubblica di carne e qualsiasi altro bene tangibile vengono divisi in parti: ma i beni indivisibili, la pace e la libertà, appartengono a tutti e ai singoli nella loro interezza. 9 Il saggio pensa pertanto per opera di chi gli è possibile usufruire con vantaggio di questi beni, per opera di chi la situazione dello Stato è tale da non chiamarlo alle armi, o a fare i turni di guardia, o a difendere le mura e a pagare i molteplici tributi di guerra ed è grato nei confronti di chi lo governa. La filosofia insegna soprattutto a sentirsi debitori per i benefici ricevuti e a ripagarli; a volte l'ammettere il proprio debito è già un pagamento. 10 Ammetterà, dunque, di dovere molto all'uomo che con il suo saggio governo gli permetta di godere di un ritiro fecondo, di disporre del suo tempo e di vivere un'esistenza tranquilla, non turbata da occupazioni pubbliche.
O Melibeo, un dio mi ha concesso questo ozio; certo, per me egli sarà sempre un dio.
11 Se si deve molto a chi rende possibili quegli ozi che portano questo come massimo dono:
egli, come vedi, ha permesso che i miei buoi pascolassero liberi e che io suonassi sull'agreste zampogna le mie melodie preferite,
quanto dobbiamo apprezzare questa vita ritirata che si conduce tra gli dèi, che ci rende dèi?
12 Certo, Lucilio, ti chiamo in cielo per la via più rapida. Sestio diceva spesso che Giove non è più potente di un uomo virtuoso. Giove può fare agli uomini più doni, ma tra due individui onesti non è migliore il più ricco, come tra due timonieri ugualmente esperti non puoi definire migliore chi ha l'imbarcazione più bella e più grande. 13 In che cosa Giove è superiore a un uomo buono? È buono più a lungo, ma il saggio non si ritiene menomato perché la sua virtù è circoscritta in un arco di tempo più breve. Tra due saggi chi muore più vecchio non è più felice dell'altro la cui vita virtuosa si è conclusa in un numero inferiore di anni, così dio non supera in felicità il saggio, anche se lo supera nella durata del tempo; la virtù non si misura in base alla sua durata. 14 Giove è signore dell'universo, ma ne ha dato ad altri il possesso: l'uso che egli può farne è solo questo: concederne l'uso a tutti; il saggio guarda con serenità e con disprezzo, come Giove, i beni posseduti dagli altri, ma è più degno di ammirazione, perché Giove non può farne uso, mentre il saggio non vuole. 15 Crediamo, perciò a Sestio: ci indica una strada bellissima e grida: "Di qua
si sale alle stelle,
di qua seguendo la frugalità, la temperanza, il coraggio." Gli dèi non sono altezzosi, né invidiosi: accolgono tutti e tendono la mano a chi sale. 16 Ti stupisci che l'uomo salga fino agli dèi? Dio scende in mezzo agli uomini, anzi, più esattamente, scende dentro gli uomini: non esiste saggezza senza dio. Semi divini sono stati sparsi nel corpo dell'uomo e, se a riceverli è un buon coltivatore, si sviluppano simili alla loro origine e crescono uguali all'essere da cui sono derivati. Ma se è un buono a nulla, li fa morire, come fa la terra sterile e paludosa, e poi produce erbacce invece di grano. Stammi bene.
74
1 La tua lettera mi ha fatto piacere, mi ha scosso dal torpore e mi ha anche risvegliato la memoria, ormai pigra e tarda. Perché, Lucilio mio, non dovresti pensare che il mezzo migliore per raggiungere la felicità sia la convinzione che l'unico bene è la virtù? Se uno ritiene che altri siano i beni, cade in balìa della sorte e si sottomette all'arbitrio altrui: solo chi racchiude ogni bene nella virtù prova una felicità tutta interiore. 2 Uno è addolorato per la perdita dei figli, un altro si preoccupa perché sono malati, un terzo si affligge perché sono disonesti e si sono coperti di vergogna; Tizio lo vedrai soffrire per amore della donna di un altro, Caio per amore della sua; non mancherà chi si tormenta per un insuccesso elettorale; o chi, invece, è angustiato da una carica pubblica. 3 Ma la massa più numerosa di infelici è quella tormentata dall'attesa della morte che incombe da ogni lato: non c'è parte da cui non possa arrivare. Perciò come soldati che attraversano un territorio nemico, devono guardarsi intorno qua e là e voltare la testa a ogni rumore; se uno non scaccia questa intima paura, vive col batticuore. 4 Troverai uomini cacciati in esilio e spogliati di ogni bene; troverai, ed è il genere di povertà più terribile, individui poveri nella loro ricchezza; incontrerai naufraghi o gente che è passata per un'esperienza analoga: il furore o l'invidia popolare, arma funesta contro i migliori, li ha inaspettatamente travolti, come tempesta che si scatena quando il cielo è sereno e rassicurante, o come fulmine improvviso che, là dove colpisce, fa tremare anche i dintorni. Se uno si trova troppo vicino al fulmine rimane attonito come chi è stato colpito, così nelle disgrazie provocate da un atto di violenza uno solo subisce il danno, gli altri sono preda della paura, e si angustiano al pari della vittima per la possibilità di subire la stessa sorte. 5 I mali improvvisi che toccano agli altri preoccupano tutti. Gli uccelli sono spaventati anche dal sibilo di una fionda vuota: nello stesso modo ci agitiamo noi, non soltanto per il colpo, ma per il rumore. Uno non può essere felice se si abbandona a questi timori infondati. È felice solo chi non ha paura; si vive male tra i sospetti. 6 Se uno si attacca troppo ai beni fortuiti, si crea smisurati e insormontabili motivi di turbamento: una sola è la strada per chi vuole mettersi al sicuro: disprezzare i beni esteriori e appagarsi della virtù. Se pensiamo che ci sia qualcosa di meglio della virtù o un bene al di là di essa, finiremo per aprire l'animo ai beni che la sorte distribuisce e aspetteremo ansiosi i suoi doni. 7 Immagina ora che la fortuna organizzi dei giochi e sulla gente ad essi convenuta riversi onori, ricchezze, favori; una parte di questi donativi si riduce in pezzi tra le mani di quanti se li disputano, un'altra viene spartita con soci malfidati, un'altra si risolve in un gran danno per chi se l'era vista piombare addosso e l'aveva afferrata. Ci sono dei beni che cadono su chi si cura d'altro, dei beni afferrati con troppa foga vanno perduti e sfuggono di mano proprio nel momento in cui si tenta di afferrarli: nessuno, però anche se è riuscito a impadronirsene, gioisce a lungo del suo bottino. Per questo gli uomini più assennati, appena vedono comparire dei piccoli doni, fuggono dal teatro sapendo che quei beni di poco valore costano molto. Nessuno viene alle mani con chi si allontana, nessuno colpisce chi va via: la lotta si ingaggia intorno al bottino. 8 Lo stesso accade per i beni che la fortuna ci getta dall'alto: noi miseri ci agitiamo, ci affanniamo, desidereremmo avere molte mani, guardiamo ora da una parte, ora dall'altra; quei doni che accendono i nostri desideri ci sembra che la sorte tardi troppo a mandarli: tutti li aspettano, ma arriveranno a pochi. 9 Vorremmo afferrarli già mentre cadono; siamo contenti se ne agguantiamo qualcuno e se altri rimangono delusi nella vana speranza di catturarli; un magro bottino lo paghiamo con gravi fastidi, oppure rimaniamo [...] delusi. Allontaniamoci da questi giochi e facciamo largo ai predatori; guardino questi beni sospesi su di loro e loro stessi stiano ancora più in sospeso.
10 Se uno vuole essere felice, si convinca che l'unico bene è la virtù; se pensa che ce ne sia qualche altro, prima di tutto giudica male la provvidenza, perché agli uomini onesti capitano molte disgrazie e perché tutti i beni che essa ci ha concesso sono insignificanti e di breve durata, se paragonati all'età dell'universo. 11 Conseguenza di questi lamenti è che non manifestiamo gratitudine per i benefici divini: deploriamo che non ci capitino sempre, che siano scarsi, incerti e caduchi. Ne deriva che non vogliamo vivere, né morire: odiamo la vita, temiamo la morte. Ogni nostro disegno è incerto e non siamo mai pienamente felici. Il motivo? Non siamo arrivati a quel bene immenso e insuperabile dove la nostra volontà necessariamente si arresta: oltre la vetta non c'è niente. 12 Chiedi perché la virtù non provi nessun bisogno? Gode di quello che ha, non desidera quello che le manca; per essa è grande quanto le basta. Abbandona questo criterio e verranno a cadere il sentimento religioso, la lealtà: chi vuole mantenere l'uno e l'altra deve sopportare molti dei cosiddetti mali, rinunciare a molte cose di cui si compiace come se fossero beni. 13 Scompare la forza d'animo, che deve mettere se stessa alla prova; scompare la magnanimità, che non può emergere se non disprezza come cose di poco conto tutti quei beni che la massa desidera e tiene nella massima considerazione; scompaiono la gratitudine e i rapporti di gratitudine, se temiamo la fatica, se pensiamo che ci sia qualcosa di più prezioso della lealtà, se non miriamo al meglio.
14 Ma lasciamo perdere; o questi cosiddetti beni non sono tali, o l'uomo è più fortunato di dio, poiché dio non può usufruire di quei piaceri a noi cari; non la lussuria, né i lauti pranzi, né le ricchezze, niente di quello che alletta gli uomini e li trascina con promesse di vili piaceri lo riguarda. Quindi, o è verosimile che a dio manchino dei beni, o il fatto stesso che manchino a dio è la prova che non sono beni. 15 E poi, molti beni presunti toccano più numerosi agli animali che all'uomo. Le bestie si nutrono con più avidità, si stancano meno nell'accoppiamento; hanno forze maggiori e più uniformi: ne consegue che sono molto più felici dell'uomo. Vivono senza malvagità, senza inganni; godono di più dei piaceri e con più facilità, senza alcun pudore o timore di pentimento. 16 Considera, perciò se si può definire un bene una cosa in cui dio è superato dall'uomo e l'uomo dagli animali. Il sommo bene è racchiuso nella nostra anima: perde il suo valore se passa dalla parte migliore alla parte peggiore di noi e si trasferisce ai sensi, che sono più pronti negli animali. Non dobbiamo riporre nella carne la nostra massima felicità: i veri beni li dà la ragione, e sono solidi ed eterni, non possono venir meno e neppure diminuire e decrescere. 17 Gli altri sono falsi beni e con quelli veri hanno in comune solo il nome, ma non hanno le caratteristiche del bene: chiamiamoli, dunque, comodità, e, per usare il nostro linguaggio, "cose preferibili". Ma rendiamoci conto che sono nostri schiavi e non una parte di noi: teniamoceli pure, ma ricordiamo che sono degli elementi esterni; anche se ce li teniamo, dobbiamo considerarli tra le cose inferiori e senza valore di cui nessuno deve inorgoglirsi. L'uomo più sciocco è quello che si compiace di ciò che non è opera sua. 18 Ci tocchino pure in sorte tutti questi beni, ma non ci stiano attaccati, sicché, se ce li strappano, si distacchino senza alcuno strazio per noi. Serviamocene senza vantarci e usiamoli con moderazione, come se li avessimo provvisoriamente in prestito. Se uno li possiede senza raziocinio, non riesce a conservarli a lungo; la buona fortuna, se non ha una regola, opprime se stessa. Se confida in beni troppo fugaci, presto ne è abbandonata e ammesso che non ne sia abbandonata, ne riceve danno. Pochi hanno potuto perdere senza traumi la loro prosperità: gli altri cadono insieme a quei beni che li avevano fatti emergere e proprio ciò che li aveva innalzati, li schiaccia. 19 Comportiamoci, perciò con saggezza per imporre ad essi misura e moderazione: se uno è sfrenato, in poco tempo manda in rovina le sue ricchezze: gli eccessi non hanno mai vita lunga, se la ragione moderatrice non fa da freno. La fine di molte città ti mostrerà proprio questo: i loro fastosi imperi sono caduti all'apice dello splendore e l'intemperanza ha mandato in rovina tutte le conquiste del valore. Dobbiamo premunirci contro queste evenienze. Nessun muro è inespugnabile per la fortuna: corazziamoci interiormente; se l'anima è al sicuro, possiamo essere colpiti, non catturati. 20 Qual è il sistema? Non sdegnarsi qualunque cosa accada e sapere che quegli stessi eventi che apparentemente ci danneggiano, servono alla conservazione del tutto e fanno parte di quelle cause che conducono a compimento il cammino e la funzione del cosmo; l'uomo deve accettare i voleri di dio; guardare con ammirazione se stesso e le proprie imprese: è invincibile, domina il male con la ragione, la forza più grande, vince il caso, il dolore, l'ingiustizia. 21 Ama la ragione! L'amore per essa ti fortificherà contro le più gravi disgrazie. L'amore per i proprî cuccioli spinge le fiere contro le armi dei cacciatori, la loro ferocia e la furia istintiva le rende indomabili; spesso il desiderio di gloria porta l'animo dei giovani a disprezzare ferro e fuoco; l'apparenza o l'ombra della virtù trascina alcuni a una morte volontaria: quanto la ragione è più forte e salda di tutti questi istinti, tanto maggiore è l'impeto con cui sfiderà paure e pericoli.
22 "Non concludete niente," ribattono, "sostenendo che l'unico bene è la virtù: questo baluardo non può mettervi al sicuro e sottrarvi alla sorte. Considerate beni i figli devoti, la patria governata con giustizia, i genitori virtuosi. Se li minaccia un pericolo, non potete starvene tranquilli a guardare: l'assedio della patria, la morte dei figli, la schiavitù dei genitori vi sconvolgerà."
23 Ecco che cosa si è soliti rispondere in nostra difesa contro queste obiezioni; ti dirò poi quello che, secondo me, si può aggiungere. Diversa è la posizione di quei beni che, quando sono strappati, vengono sostituiti da una disgrazia: per esempio una buona salute si altera e ci si ammala; la vista si spegne e diventiamo ciechi; se ci spezziamo le gambe non solo non possiamo più correre, ma non possiamo addirittura più muoverci. I beni elencati prima non sono soggetti a questo rischio. Perché? Se perdo un amico sicuro, non devo sopportarne al suo posto uno in malafede, se ho sepolto dei figli virtuosi non è detto che debba sostituirli con figli empî. 24 In questo caso, poi, non sono morti gli amici o i figli, ma i loro corpi. Il bene muore solo quando si trasforma in male: e questo la natura non può permetterlo perché ogni virtù e l'operato tutto della virtù non sono soggetti a corruzione. E anche se sono morti amici o figli buoni quali il padre se li augurava, c'è una cosa che ne riempirà il vuoto. "Che cosa?" mi chiedi. La virtù che li aveva resi buoni. 25 Essa copre tutto lo spazio, occupa l'anima intera, elimina ogni desiderio, basta da sola; costituisce la forza e l'origine di tutti i beni. Che importanza possono avere la deviazione e la dispersione di un corso di acqua, se la fonte da cui defluiva è intatta? Quando i figli sono vivi, non dirai che la vita è più giusta che se li hai perduti, o che è più regolata o più saggia o più onesta; quindi, nemmeno che è migliore. Farsi un amico non rende più saggi, né più stolti perderlo; quindi, nemmeno più felici o più infelici. Finché la virtù è salva, qualunque cosa ti sia stata sottratta, non ne risentirai.
26 "Ma come? Se uno è circondato da una folla di amici e di figli non è più felice?" Perché dovrebbe esserlo? Il sommo bene non si riduce, non si accresce; rimane tale e quale, qualunque corso segua la fortuna. Può toccargli in sorte una lunga vecchiaia, può perire prima di invecchiare, il sommo bene ha sempre un'identica dimensione, la differenza di età non conta. 27 Traccia un cerchio più grande e uno più piccolo, cambia lo spazio, non la forma. Anche se uno rimane disegnato per tanto tempo e l'altro lo cancelli subito e sparpagli la polvere su cui era tracciato, entrambi hanno avuto la stessa forma. La rettitudine non si valuta a grandezza, a quantità, a tempo; non si può né allungare, né accorciare. Abbrevia una vita onesta da cento anni a quanto vuoi, riducila a un solo giorno: continua a essere onesta. 28 La virtù si diffonde su ampi spazi, governa regni, città, province, detta leggi, favorisce amicizie, ripartisce doveri tra genitori e figli; ma è anche racchiusa negli stretti confini della povertà, dell'esilio, dei lutti; e tuttavia non è minore se viene spostata da un rango più elevato a uno più basso, dalla condizione regale a quella di privato cittadino, da un ampio ambito pubblico all'angustia di una casa o di un cantuccio. 29 È ugualmente grande, anche se si ritira in se stessa isolata da ogni parte: possiede sempre un animo forte e fiero, una saggezza perfetta, un incrollabile senso della giustizia. E dunque, è ugualmente felice; la felicità ha un'unica sede: lo spirito, stabile, grande, sereno, ma non può realizzarsi senza la conoscenza delle questioni umane e divine.
30 Ed ecco ora la mia risposta, come ti avevo preannunciato. Il saggio non si addolora per la perdita dei figli o degli amici; sopporta la loro morte con lo stesso spirito con cui aspetta la sua; non teme questa, di quella non si duole. La virtù è fatta di armonia: tutte le opere del saggio sono a essa conformi e consone. Questa, però viene a mancare se lo spirito, che deve mantenersi al di sopra di tutto, si lascia sopraffare dai lutti o dal rimpianto. Tutte le ansie, le preoccupazioni, l'inerzia operativa sono contrarie alla virtù; la virtù è serena, libera, imperturbabile, pronta al combattimento. 31 "E come? Il saggio non si turberà mai? Non sbiancherà in viso, non avrà l'espressione sconvolta, non rabbrividirà? Non avrà nessun'altra di quelle manifestazioni originate da un inconsulto impulso naturale e non dai comandi della ragione?" Certo; ma sarà sempre convinto che non si tratti di un male e che di fronte a esso una mente sana non debba soccombere. 32 Farà quanto deve con coraggio e prontezza. Uno potrebbe dire che è tipico dello sciocco agire senza energia e contro voglia, spingere il corpo in una direzione, l'animo in un'altra ed essere lacerato tra impulsi completamente opposti. Infatti lo sciocco è disprezzato per quegli stessi motivi per cui si esalta e si pavoneggia e non compie volentieri neppure quelle azioni di cui si gloria. Se poi teme un male, si tormenta nell'attesa, come se fosse già arrivato, e tutto quello che teme di soffrire, lo soffre già per paura. 33 Quando uno si ammala ci sono sintomi che precedono la malattia - indolenza e mancanza di forza, sfinimento non motivato da fatica, sbadigli, tremito per tutto il corpo - allo stesso modo un animo debole è sconvolto dai mali molto prima di esserne assalito, se li immagina e si abbatte anzitempo. Ma non è da pazzi angustiarsi per il futuro e non risparmiarsi i tormenti, anzi chiamare e tirarsi addosso le disgrazie? Se non si possono evitare, la cosa migliore è rinviarle. 34 Vuoi essere certo che nessuno deve tormentarsi per il futuro? Se uno sa che passerà dei guai tra cinquant'anni, non si preoccupa, a meno che non salti il tempo intermedio e non si immedesimi in quelle preoccupazioni che verranno dopo tanti anni: così capita che disgrazie vecchie e dimenticate rattristino gli spiriti proclivi alla malinconia e che cercano motivi di afflizione. Sia quanto è successo in passato, sia quanto dovrà succedere in futuro è lontano da noi: non sentiamo né l'uno né l'altro. Il dolore può venirci solo da quello che sentiamo. Stammi bene.
LIBRO NONO
75
1 Ti lamenti perché ti invio lettere scritte con minore ricercatezza. Ma con ricercatezza si esprime solo chi vuole essere manierato. Io voglio, invece, che le mie lettere siano quali sarebbero le mie parole se sedessimo o passeggiassimo insieme: semplici e chiare; non voglio che abbiano niente di artificioso o di falso. 2 Se fosse possibile, preferirei mostrarti più che esprimerti i miei sentimenti. Anche se discutessi, non batterei i piedi e nemmeno agiterei le mani o alzerei la voce, ma lascerei tutti questi artifici agli oratori, accontentandomi di esternarti i miei sentimenti senza fronzoli o sciatterie. 3 Un'unica cosa vorrei mostrarti chiaramente: che sento in me tutto quello che dico e non solo lo sento, ma lo amo. Gli uomini baciano l'amante in modo diverso che i figli, ma anche in questo abbraccio così puro e misurato l'affetto è abbastanza evidente. Non voglio, perbacco, che si usi un linguaggio arido e scarno per argomenti tanto importanti: la filosofia non rinunzia all'elaborazione formale; non conviene, però sprecare fatica per le parole. 4 Il nostro principale proposito deve essere di dire quello che sentiamo e di sentire quello che diciamo; vita e parole devono essere coerenti. Mantiene il suo impegno chi è sempre lo stesso a parole e a fatti. Vedremo le sue qualità e la sua grandezza: è il medesimo. 5 Le nostre parole non devono essere piacevoli, ma utili. E tuttavia, se l'eloquenza scaturisce senza sforzo, facile o spontanea, ben venga e tratti argomenti di grande rilievo: ma evidenzi la sostanza, non se stessa. Le altre arti riguardano interamente la mente, qui è in gioco la salvezza dell'anima. 6 L'ammalato non cerca un medico eloquente, ma se gli capita un uomo che possa guarirlo e che nello stesso tempo parli forbitamente delle cure necessarie, ne sarà contento. Non c'è, tuttavia, motivo di rallegrarsi per aver incontrato un medico tanto eloquente; è come se un esperto pilota fosse anche bello. 7 Perché solletichi le mie orecchie? Perché le blandisci? Ben altro è in gioco: devo essere cauterizzato, operato, messo a dieta. Questo è il tuo compito: devi curare una malattia di vecchia data, grave, diffusa; hai da fare quanto un medico in una epidemia. Ti preoccupi delle parole? Rallegrati se riesci a fare quello che devi. Quando imparerai tante cose? Quando fisserai le nozioni che hai appreso in modo da non dimenticarle più? Quando le metterai in pratica? Non basta, come le altre, ricordarle a memoria: bisogna sperimentarle in concreto; non è felice chi le conosce, ma chi le applica.
8 "Ma come? Al di sotto del saggio non ci sono altri stadi? Subito dopo la saggezza c'è l'abisso?" Credo di no; chi sta progredendo è ancora nel numero degli stolti, ma c'è già un notevole distacco. E anche tra quegli stessi che stanno progredendo ci sono grandi differenze: certi li dividono in tre gruppi.
9 Primo: quelli che non possiedono ancora la saggezza, ma le sono ormai arrivati vicino; nondimeno anche ciò che è vicino è fuori. Chi sono? Quegli uomini che si sono liberati da tutte le passioni e i vizi e hanno imparato i concetti necessari, ma non hanno messo alla prova il loro impegno. Non hanno ancora dimestichezza col bene che hanno raggiunto e tuttavia non possono più cadere negli errori da cui sono fuggiti; sono ormai arrivati a un punto da dove non possono cadere all'indietro, ma questo non lo hanno ancora chiaro: ricordo di averlo scritto in una lettera: "Non sanno di sapere." Usufruiscono del loro bene, ma non ne sono ancora sicuri. 10 Alcuni comprendono in questa classe di neofiti, di cui si è detto, quegli uomini che sono ormai sfuggiti alle malattie dell'anima, ma non alle passioni, e stanno ancora su un terreno malcerto, perché solo chi si è scrollato di dosso la malvagità non corre più nessun pericolo; ma se l'è scrollata di dosso solo chi in cambio ha conquistato la saggezza. 11 Ho già parlato spesso della differenza tra passioni e malattie dello spirito. Ma voglio ricordartela anche adesso: malattie sono i vizi radicati e tenaci come l'avarizia o l'ambizione; hanno avviluppato strettamente l'anima e sono diventati mali permanenti. Per farla breve: malattia è il pervicace proposito al male, come ricercare con accanimento beni trascurabili; o, se preferisci, concludiamo così: aspirare troppo a beni che vanno ricercati con moderazione o tralasciati del tutto, oppure apprezzare molto beni di scarso o di nessun valore. 12 Le passioni, invece, sono i moti dell'anima riprovevoli, improvvisi e violenti, che, ripetuti e trascurati, provocano la malattia; facciamo un esempio: il catarro, quando è un'affezione momentanea ed episodica, porta la tosse, ma se è cronico e di vecchia data fa venire la tisi. Perciò chi ha fatto molti progressi è ormai fuori dal pericolo di malattie, ma nonostante sia vicino alla perfezione avverte ancora le passioni.
13 Al secondo gruppo appartengono quegli uomini che si sono liberati dai mali peggiori dell'anima e dalle passioni, ma non al punto da essere sicuri della conquistata serenità: possono, difatti, ripiombare nei medesimi vizi.
14 Il terzo gruppo si è liberato di molti gravi vizi, ma non di tutti. È sfuggito all'avarizia, ma è ancora soggetto all'ira; non è più preda della lussuria, ma lo è ancora dell'ambizione; non ha desideri sfrenati, ma ha ancora molte paure, e nella paura di fronte a certe evenienze è abbastanza fermo, di fronte ad altre cede: disprezza la morte, teme il dolore.
15 Facciamo qualche riflessione su questo punto: ci va già bene se apparteniamo all'ultimo gruppo. Il secondo possiamo raggiungerlo, se abbiamo una buona predisposizione naturale e attraverso un'assidua e grande applicazione allo studio; ma non dobbiamo disprezzare nemmeno il terzo gruppo. Pensa a quanti mali vedi intorno a te; guarda quanti esempi di ogni delitto, quanto si diffonda giorno dopo giorno la malvagità, quali colpe si commettano nella sfera pubblica e privata: capirai che è già un buon risultato se non siamo tra i peggiori. 16 "Ma io spero," mi dici, "di poter far parte anche del gruppo superiore." Più che prometterlo, io lo desidererei: siamo assaliti da ogni parte, aspiriamo alla virtù assediati dai vizi. Mi vergogno a dirlo: curiamo la virtù nei ritagli di tempo. Ma che grande premio ci aspetta se riusciamo a farla finita con le nostre occupazioni e con i mali più incalliti. 17 Non ci colpiranno cupidigia e terrore; senza i turbamenti della paura e la corruzione dei piaceri non avremo più timore della morte e neppure degli dèi; ci renderemo conto che la morte non è un male e che gli dèi non ci fanno del male. Quello che nuoce è debole quanto colui a cui nuoce: gli esseri migliori non hanno forza nociva. 18 Se un giorno riusciremo ad arrivare da questa feccia in quel mondo sublime ed eccelso, ci aspettano la serenità e, dissipati tutti gli inganni, una libertà incondizionata. Cos'è questa libertà? Non temere gli uomini e nemmeno gli dèi: non concepire desideri turpi o sfrenati, avere un grandissimo dominio di se stessi; appartenersi è un bene inestimabile. Stammi bene.
76
1 Minacci di non essermi più amico, se non ti informerò di tutto quello che faccio giornalmente. Guarda come sono schietto con te: ti confiderò anche questo. Vado a sentire un filosofo; già da cinque giorni frequento la sua scuola e lo ascolto parlare alle due del pomeriggio. "È proprio l'età giusta!" osservi. E perché non dovrebbe essere quella giusta? È da stupidi non voler imparare solo perché per tanto tempo non lo si è fatto. 2 "E allora? Dovrei fare come i bellimbusti e i giovanotti?" Mi va bene se è l'unica cosa sconveniente alla mia vecchiaia: questo tipo di scuola ammette uomini di ogni età. "E noi invecchiamo per seguire i giovani?" Sono vecchio, eppure andrò a teatro, al circo, assisterò a tutti gli spettacoli di gladiatori e dovrei arrossire perché vado a scuola da un filosofo? 3 Devi imparare finché non sai; anzi, a credere al proverbio, finché vivi. Il che torna perfettamente con quanto segue: finché hai vita devi imparare a vivere. Tuttavia anch'io insegno qualcosa lì. Che cosa? Che anche un vecchio deve imparare. 4 Ogni volta che entro a scuola mi vergogno del genere umano. Per andare a casa di Metronatte si deve, come sai, oltrepassare il teatro dei Napoletani. È strapieno e vi si giudica con grande attenzione chi sia un buon flautista; anche il trombettiere greco e l'araldo richiamano molta gente: ma in quella scuola dove si ricerca l'uomo virtuoso e si impara a diventare virtuosi, ci sono pochissime persone, e i più ritengono che costoro non hanno niente di buono da fare; li definiscono inetti e fannulloni. Tocchi anche a me questo scherno: gli insulti degli ignoranti bisogna ascoltarli senza scomporsi e se uno aspira alla virtù deve disprezzare il disprezzo stesso.
5 Vai avanti, Lucilio, e affrettati, perché non ti accada come a me, di imparare da vecchio; anzi affrettati ancora di più perché hai intrapreso studi che potresti a stento concludere da vecchio. "Quanti progressi farò?" mi chiedi. Proporzionati ai tuoi sforzi. 6 Che aspetti? A nessuno capita di diventare saggio per caso. Il denaro arriverà spontaneamente; una carica sarà offerta, favori e crediti ti verranno forse messi davanti: ma la virtù non può capitarti per caso. E neppure la si può apprendere con poca fatica o scarso impegno; ma vale la pena darsi da fare per conquistare tutti i beni in una sola volta. L'unico bene è l'onestà: negli altri apprezzati dalla massa non troverai niente di vero, niente di sicuro. 7 Secondo te, nella mia lettera precedente non ho trattato il problema esaurientemente e ho dedicato più spazio alle lodi che alla dimostrazione; ti ripeterò allora in breve perché sostengo che la virtù sia l'unico bene.
8 Ogni cosa vale per il bene che ha in sé: la fertilità e il sapore del vino dà pregio alla vite, la velocità al cervo; dei cavalli da tiro, che sono utilizzati solo per il trasporto di carichi, si chiede se hanno la schiena forte; la principale qualità di un cane è il fiuto, se deve scovare le fiere, la velocità se deve inseguirle, il coraggio, se deve assalirle e azzannarle; ognuno deve raggiungere la perfezione in quello per cui nasce, per cui viene valutato. 9 E nell'uomo qual è la caratteristica migliore? La ragione: grazie a essa è superiore agli animali e di poco inferiore agli dèi. Quindi la ragione perfetta è un suo bene peculiare; le altre qualità le ha in comune con gli animali e le piante. È forte: lo è anche il leone. È bello: anche il pavone. È veloce: anche il cavallo. Senza dire che in tutte queste qualità è superato; io non cerco la sua qualità migliore, ma quella sua propria. Ha un corpo: anche gli alberi. Ha slanci e movimenti volontari: li hanno anche le bestie, anche i vermi. Ha la voce: ma i cani ce l'hanno tanto più forte, le aquile più acuta, i tori più profonda, gli usignoli più dolce e agile. 10 Qual è la qualità peculiare dell'uomo? La ragione: se questa è onesta e perfetta, dà all'uomo una felicità completa. Quindi se ogni cosa, quando ha portato a perfezione il suo bene, è lodevole e raggiunge il suo fine naturale, e il bene proprio dell'uomo è la ragione, se egli lo ha portato a perfezione, è lodevole e ha toccato il suo fine naturale. La ragione perfetta si chiama virtù e coincide con l'onestà. 11 Pertanto è l'unico bene nell'uomo, poiché è l'unico bene proprio dell'uomo: noi non stiamo cercando che cosa sia il bene, ma quale sia il bene proprio dell'uomo. Se esso consiste solo nella ragione, questa sarà l'unico suo bene, ma va confrontato con tutti gli altri. Se uno è malvagio, verrà, a mio parere, giudicato negativamente; se è buono, positivamente. Quindi, nell'uomo, primo e solo bene è quello per cui egli riceve approvazione e disapprovazione.
12 Tu non dubiti che questo sia un bene, dubiti che sia il solo bene. Se uno ha tutti gli altri beni, salute, ricchezza, antenati famosi, una massa di clienti, ma è chiaramente un malvagio, lo disprezzerai; così se uno non ha alcuno dei beni suddetti, è privo di denaro, di clienti, di nobiltà e di una sfilza di avi e bisavoli, ma è palesemente virtuoso, lo apprezzerai. Quindi è questo l'unico bene dell'uomo: chi lo possiede, anche se gli mancano gli altri beni, merita apprezzamento; chi non lo possiede, è disapprovato e disprezzato, benché di tutti gli altri beni ne abbia in abbondanza. 13 Identica la condizione dell'uomo e quella delle cose: non si definisce buona la nave dipinta con colori preziosi o quella col rostro d'oro o d'argento o che ha il dio protettore scolpito in avorio o che è carica di tesori o ricchezze degne di un re, ma quella stabile e sicura, compatta in modo che non entri acqua, solida e resistente alla furia del mare, docile al timone, veloce e non soggetta alla violenza del vento; 14 non definirai buona una spada se ha il cinturino d'oro o il fodero tempestato di gemme, ma se ha la lama dal taglio affilato e una punta in grado di trapassare ogni difesa; non si richiede che una riga sia bella, ma che sia perfettamente diritta: ogni oggetto è apprezzato in virtù dell'uso per cui è fatto e che gli è proprio. 15 Dunque, anche in un uomo non importa quanta terra abbia, quanto frutto ricavi dai suoi capitali, quanta gente gli renda omaggio, se dorme in un letto prezioso, se beve in una coppa scintillante, ma la sua onestà. Ed è onesto se la sua ragione è libera, giusta e realizzata in armonia con l'inclinazione della sua natura. 16 Questa si chiama virtù, questa è l'onestà ed è l'unico bene dell'uomo. Solo la ragione può rendere perfetto l'uomo, solo la ragione, quindi, può renderlo perfettamente felice e questo è l'unico bene che da solo rende felici. Noi definiamo beni anche quelli che scaturiscono e nascono dalla virtù, cioè tutte le sue opere; perciò la virtù è l'unico bene, poiché non esiste bene senza di lei. 17 Se ogni bene risiede nell'anima, tutto ciò che la rafforza, la innalza, l'accresce, è un bene; ma è la virtù a rendere più forte, più eccelsa, più grande l'anima. Gli altri beni che accendono i nostri desideri, avviliscono l'anima, la abbattono e apparentemente la elevano, in realtà la gonfiano e la ingannano con false apparenze. Quindi l'unico bene è quello che rende migliore l'anima. 18 Ogni azione dell'intera nostra esistenza è regolata dalla considerazione del bene e del male; su di essi si basa la norma dell'agire e del non agire. Ecco qual è: l'uomo virtuoso farà quello che ritiene onesto anche se gli costerà fatica, anche se lo danneggerà o sarà rischioso; non compirà, invece, un'azione indegna, anche se gli procurerà denaro o piacere o potenza: niente lo distoglierà dal bene, niente lo indurrà al male. 19 Quindi, se perseguirà sempre l'onestà, eviterà sempre la disonestà e in ogni azione della sua vita terrà presente questi due principî, non c'è altro bene che l'onestà, non c'è altro male che la disonestà; se solo la virtù è incorrotta e sola rimane sempre uguale a se stessa, la virtù è l'unico bene e non può succedere che non sia un bene. Non corre il pericolo di cambiare: lo stolto può salire con fatica alla saggezza, il saggio non può ripiombare nella stoltezza.
20 Ho già detto, se te ne ricordi, che molti obbedendo a uno slancio inconsulto si sono messi sotto i piedi tutto quello che la massa desidera o teme: abbiamo trovato uomini che hanno rinunciato alla ricchezza, che hanno messo la mano nel fuoco, che hanno continuato a sorridere anche sotto tortura, che non hanno versato una sola lacrima al funerale dei figli, che hanno affrontato coraggiosamente la morte; amore, ira, ambizione li hanno portati a sfidare i pericoli. Se arriva a tanto una momentanea risolutezza, prodotta da un qualche stimolo, quanto più potrà compiere la virtù: la sua forza non dipende da un impulso improvviso, ma è sempre uguale a se stessa e duratura. 21 Ne consegue che quanto viene disprezzato spesso da gente temeraria e sempre dai saggi, non è né bene, né male. La virtù è, quindi, l'unico bene e avanza superba tra la buona e la cattiva sorte, disprezzandole entrambe.
22 Se, invece, ti convincerai che c'è qualche altro bene oltre l'onestà, vacilleranno tutte le virtù; non potrà mantenersene nessuna, se prenderà in considerazione altro fuori di sé. Se è così, questa affermazione contrasta con la ragione da cui scaturiscono le virtù, e con la verità, che non esiste senza la ragione; ma qualunque opinione sia in contrasto con la verità, è falsa. 23 Devi ammettere che un uomo virtuoso ha una grandissima venerazione per gli dèi. Sopporterà perciò con animo sereno tutto quello che gli accade; sa che è accaduto per la legge divina che muove l'universo. Se è così, per lui l'unico bene sarà l'onestà; essa comprende l'obbedienza agli dèi, non adirarsi per gli imprevisti, non deplorare la propria sorte, ma accogliere con rassegnazione il destino e fare quello che comanda. 24 Se c'è qualche altro bene oltre all'onestà, ci perseguiterà la bramosia di vivere, la bramosia dei beni che corredano la vita, tutti desideri insopportabili, senza limiti e incerti. Il solo bene è dunque l'onestà che ha una misura.
25 Come ho già detto, la vita degli uomini sarebbe più felice di quella degli dèi, se fossero veri beni quelli di cui gli dèi non godono, come il denaro, gli onori. Aggiungi ora che, se pure le anime sopravvivono alla morte del corpo, le aspetta una condizione più felice di quando si trovano nel corpo. Se, però, sono beni veri quelli di cui godiamo per mezzo del corpo, una volta persi, la condizione dell'anima sarebbe peggiore; ma è impossibile credere che le anime chiuse e oppresse nei corpi siano più felici che libere e proiettate nell'universo. 26 Avevo anche detto che se sono veri beni quelli che toccano tanto agli uomini quanto agli animali, anche gli animali vivrebbero una vita felice; e questo non è assolutamente possibile. Per la virtù bisogna sopportare tutto, ma ciò non sarebbe necessario se ci fosse qualche altro bene oltre la virtù.
Ho riassunto ed esposto in breve questi concetti sebbene li abbia trattati più ampiamente in precedenza. 27 Ma tu non potrai mai condividere un'opinione come questa, se non elevi il tuo spirito e non ti domandi se saresti pronto a offrire non solo con rassegnazione, ma anche volentieri, la testa, nel caso che le circostanze richiedano di morire per la patria e di pagare con la vita la salvezza di tutti i cittadini. Se la risposta è sì, non esiste nessun altro bene, perché tu rinunci a tutto per ottenerlo. Guarda quanta forza ha la virtù: morirai per la patria, anche se dovrai farlo subito, non appena ti renderai conto che è tuo dovere. 28 A volte da una nobilissima azione deriva una gioia grande anche se breve; per quanto il frutto dell'impresa non tocchi a chi muore e sia strappato alla vita, tuttavia, fa piacere pensare all'azione che si compirà, e l'uomo forte e giusto, se considera il prezzo del suo sacrificio, cioè la libertà della patria e la salvezza di tutti quegli uomini per i quali si immola, prova una straordinaria gioia e gode del pericolo che affronta. 29 Ma anche l'uomo che è privato della gioia data da quel supremo nobilissimo gesto, correrà senza esitare verso la morte, contento di agire secondo giustizia e dovere. Opponigli ancora altri argomenti per dissuaderlo; digli: "Al tuo gesto seguirà un immediato oblio e l'ingratitudine dei cittadini". Ti risponderà: "Tutto questo non riguarda la mia impresa, la considero per se stessa; sono convinto che sia onesta e perciò vado dovunque mi conduca e mi chiami".
30 Questo, dunque, è l'unico bene e lo avverte non soltanto l'animo perfetto, ma anche l'animo generoso e di indole buona: gli altri beni sono futili e instabili. Perciò il loro possesso non dà serenità; anche se la fortuna propizia li ha concentrati in un solo individuo, pesano su chi li possiede, lo opprimono sempre, a volte lo ingannano. 31 Nessuno di questi dignitari che vedi è felice, non più di quanto lo siano gli attori ai quali il copione assegna lo scettro e il manto sulla scena: in presenza del pubblico avanzano fieri e alti sui coturni, ma appena escono, se li tolgono e ritornano alla loro statura. Non è grande nessuno di quegli uomini che le ricchezze e gli onori mettono in una condizione privilegiata. E perché, allora, sembra grande? Perché lo misuri insieme al piedistallo. Un nano, anche se sta su un monte, non è alto; un gigante mantiene la sua altezza anche in un fosso. 32 Fatalmente commettiamo questo errore: non stimiamo nessuno per quello che è: gli aggiungiamo anche tutti gli orpelli. Ma se vuoi fare una valutazione esatta di un uomo e sapere com'è veramente, esaminalo spoglio di tutto; deponga il patrimonio, deponga le cariche e gli altri inganni della fortuna, si spogli anche del corpo: guarda alla qualità e alla grandezza della sua anima, se è grande per beni propri o estranei. 33 Stimalo felice, se vede balenare lame davanti ai suoi occhi e non li abbassa né gli importa di rendere l'anima dalla bocca o dalla gola; se minacce di tortura gli vengono dalla sventura o dalla violenza di un potente, se è condannato al carcere o all'esilio o è messo di fronte a circostanze che riempiono di vano terrore l'animo degli uomini e non trema, ma esclama:
o vergine, nessuna pena mi giunge nuova o inaspettata; tutto ho previsto, tutto ho considerato nell'animo mio.
"Tu oggi mi annunci queste disgrazie: io le ho sempre annunciate a me stesso e come uomo mi sono preparato al destino umano." 34 Non è duro il colpo inferto da una disgrazia prevista. Ma se uno è sciocco e si affida alla sorte, ogni avvenimento gli sembra nuovo e inaspettato; per gli ignoranti gran parte del male è rappresentato dalla novità. Sappi questo: le disgrazie che sembravano loro intollerabili, le sopportano con più coraggio quando ci hanno fatto l'abitudine. 35 Perciò il saggio si abitua ai mali futuri e, mentre per gli altri diventano sopportabili dopo una lunga sofferenza, egli li rende tali con una lunga meditazione. Certe volte sentiamo dire da un ignorante: "Questo me lo aspettavo"; il saggio si aspetta tutto; qualunque cosa gli capiti, dice: "Me l'aspettavo." Stammi bene.
77
1 Oggi sono comparse improvvisamente le navi alessandrine, che di solito precedono la flotta e ne preannunciano l'arrivo: si chiamano "navi staffetta". In Campania le vedono arrivare volentieri: tutta la popolazione di Pozzuoli si accalca sul molo e anche in mezzo a tante navi riconosce quelle alessandrine dal tipo di vele: solo a esse è consentito spiegare la vela di gabbia che tutte le navi alzano in alto mare. 2 Non c'è niente che favorisca la velocità della nave quanto la parte alta della velatura; è da qui che la nave riceve la spinta maggiore. Perciò quando il vento cresce ed è più forte del dovuto, l'antenna viene abbassata: in basso il soffio ha meno forza. Quando arrivano in prossimità di Capri e del promontorio da cui
Pallade su una cima tempestosa guarda dall'alto,
le altre navi devono ridurre la velatura: la vela di gabbia è il segno distintivo delle navi alessandrine.
3 Mentre tutti si precipitavano alla spiaggia, ho tratto un enorme piacere dalla mia pigrizia: dovevo ricevere lettere dai miei amministratori e non mi affrettavo per conoscere la situazione dei miei affari laggiù e che notizie mi portassero: già da tempo per me non ci sono né perdite né guadagni. Avrei dovuto pensarla così anche se non fossi vecchio e quindi ancor più adesso: per quanto poco io abbia, sono provviste superiori al cammino che mi rimane, soprattutto perché ho imboccato una via che non è necessario percorrere fino in fondo. 4 Un viaggio è incompiuto se ci si ferma a mezza strada o prima del punto stabilito; la vita non è incompiuta, se è virtuosa. Dovunque la concludi, se la concludi bene, è completa. Spesso poi bisogna farla finita con coraggio per cause che non sono tra le più importanti: del resto non sono importantissimi neppure i motivi che ci tengono in vita.
5 Tullio Marcellino, che tu conoscevi molto bene, un ragazzo tranquillo e invecchiato di colpo, colpito da una malattia non inguaribile, ma lunga e fastidiosa e che esigeva molte cure, cominciò a pensare al suicidio. Riunì intorno a sé numerosi amici. Ognuno, o perché era vile, gli consigliava quello che avrebbe fatto egli stesso, o perché era compiacente e adulatore, gli dava il consiglio che supponeva a lui più gradito. 6 Uno stoico mio amico, una personalità fuori dal comune e, per lodarlo con parole degne di lui, un individuo forte e coraggioso, gli rivolse, a mio parere, le parole più opportune: "Mio caro Marcellino, non tormentarti," gli disse, "come se dovessi prendere una decisione fondamentale; vivere non è poi una gran cosa: tutti i tuoi schiavi, tutte le bestie vivono: l'importante è morire con dignità, saggezza e coraggio. Pensa da quanto tempo fai sempre le stesse cose: mangi, dormi, fai l'amore. È un circolo vizioso. Desiderare la morte non è solo un segno di saggezza o di coraggio o di infelicità, ma anche di nausea." 7 Marcellino non aveva bisogno di uno che lo convincesse, ma di uno che lo aiutasse. I servi si rifiutavano di obbedire. Lo stoico intanto li tranquillizzò e mostrò che la servitù si sarebbe trovata in pericolo se fossero nati dubbi sul suicidio del padrone; del resto non era un atto esemplare tanto uccidere il padrone, quanto impedirgli di uccidersi. 8 Allo stesso Marcellino ricordò poi, che sarebbe stato un bel gesto offrire alla fine della vita qualcosa alle persone che per tutta la vita lo avevano servito, come, finita la cena, si dividono gli avanzi tra gli schiavi presenti. Marcellino era generoso e liberale, disposto a dare anche del suo; distribuì così piccole somme tra i servi che piangevano e per giunta cercò di consolarli. 9 Non ebbe bisogno di un'arma o di una morte cruenta: non mangiò per tre giorni e comandò che nella stanza da letto mettessero una tenda. Poi fu portata una tinozza: vi giacque a lungo e a poco a poco mentre versavano l'acqua calda, gli vennero meno le forze, come diceva, non senza un suo piacere, il piacere tipico di quel lieve dissolversi ben noto a me che certe volte perdo i sensi.
10 Mi sono dilungato in una narrazione che certo non ti è sgradita; ti renderai ora conto che la morte del tuo amico è stata facile e priva di sofferenza. È vero che si è dato volontariamente la morte, ma se ne è andato dolcemente, quasi scivolando dalla vita. Non ti avrò certo raccontato questo inutilmente; è spesso la necessità a esigere modelli del genere. Molte volte dovremmo morire e non vogliamo, oppure moriamo e non vogliamo. 11 Nessuno è tanto ignorante da non sapere che un giorno o l'altro dovrà morire; eppure, quando si avvicina l'ora, tergiversa, trema, supplica. Secondo te non sarebbe completamente stupido uno che piangesse per non essere vissuto mille anni prima? Altrettanto stupido è uno che piange perché non sarà vivo fra mille anni. È proprio la stessa cosa: in passato non c'eri, non ci sarai in futuro; futuro e passato non ci appartengono. 12 Sei stato scaraventato in questo punto del tempo: allungalo pure; fin dove ti riuscirà di allungarlo? Cosa piangi a fare? Cos'è che vuoi? Fatica sprecata.
Non sperare che per le tue preghiere mutino i disegni divini.
Sono stati sanciti, sono immutabili, li governa una potente ed eterna necessità: andrai là dove vanno tutti gli esseri. Cos'è che ti sembra nuovo? Tu sei nato sotto questa legge; così è stato per tuo padre, tua madre, i tuoi avi, per tutte le generazioni passate e sarà così per quelle future. Una successione ineluttabile, che nessuna forza può infrangere, vincola e trascina ogni cosa. 13 Che folla di uomini destinati a morire verrà dopo di te, che folla si accompagna a te! Saresti più forte, penso, se insieme a te morissero molte migliaia di individui: eppure, nel preciso momento in cui tu esiti a morire, molte migliaia di uomini e di animali in maniere diverse esalano l'ultimo respiro. Ma non pensavi che prima o poi saresti arrivato alla meta del tuo cammino? Ogni viaggio ha una sua fine.
14 Tu credi che ora mi rifarò a esempi di grandi uomini? No, parlerò di ragazzi. È famoso quel ragazzo spartano ancora imberbe che, fatto prigioniero, gridava nel suo dialetto dorico: "Non sarò schiavo mai"; e mantenne fede alle sue parole: quando gli ordinarono il primo lavoro umiliante e servile, (portare un vaso da notte), si fracassò la testa sbattendola contro la parete. 15 La libertà è così vicina: e c'è chi vive schiavo? Preferiresti che tuo figlio morisse così, o che diventasse vecchio nell'inerzia? Perché dunque turbarti, se anche un fanciullo può morire con coraggio? Metti caso che tu non voglia seguire il destino comune: sarai costretto. Riduci in tuo dominio ciò che dipende da altri. Non imiterai il coraggio di un fanciullo per affermare: "No, non sarò un servo"? Infelice, sei schiavo degli uomini, delle cose, della vita; anche la vita, se manca il coraggio di morire, è una schiavitù. 16 Hai davvero buoni motivi per aspettare? Anche i piaceri, che ti bloccano e ti trattengono, li hai esauriti: non ce n'è nessuno nuovo per te; nessuno che non ti disgusti ormai per la troppa sazietà. Conosci il sapore del vino puro, del vino col miele, non c'è differenza se per la tua vescica ne passano cento o mille anfore: sei solo un filtro. Conosci benissimo il gusto delle ostriche e delle triglie: la tua mollezza non ti ha lasciato nulla di ignoto da godere per gli anni a venire. Eppure sono queste le cose da cui ti stacchi a malincuore. 17 C'è dell'altro che ti dispiace se ti viene strappato? Gli amici? Ma sai essere un vero amico? La patria? Ne fai conto tanto da ritardare la cena? Il sole? Ma se potessi, lo spegneresti! C'è qualche tua azione degna della luce? Confessalo: dalla morte non ti trattengono la politica o gli affari o l'amore per la natura: tu lasci malvolentieri un mercato di viveri, in cui non hai lasciato nessun prodotto. 18 Hai paura della morte: eppure come la disprezzi per una mangiata di funghi! Vuoi vivere: ma ne sei capace? Hai paura della morte: perché? Questa esistenza non è morte? Mentre Gaio Cesare passava per la via Latina, uno dei prigionieri, un vecchio con la barba lunga fino al petto, lo supplicò: "Fammi uccidere!" Gli rispose: "Perché, adesso tu vivi?" Ecco la risposta da dare a quegli individui per i quali la morte sarebbe un rimedio: "Hai paura di morire, perché adesso vivi?" 19 "Ma," può rispondere, "io voglio vivere, compio tante nobili azioni; non ho intenzione di venir meno ai doveri dell'esistenza, doveri che adempio con probità e zelo." Perché? Ignori che uno dei doveri della vita è anche morire? Tu non trascuri nessun obbligo; non hai un numero definito di doveri da compiere. 20 Ogni vita è breve; se guardi alla natura delle cose, è breve anche l'esistenza di Nestore e di Sattia, che ha voluto scritto sulla sua tomba di essere vissuta novantanove anni. Vedi: c'è chi si vanta di una lunga vecchiaia; chi l'avrebbe potuta sopportare se fosse arrivata a cent'anni? La vita è come un dramma; non conta quanto è lunga, ma se viene rappresentata bene. Non importa dove finisci. Finisci dove vuoi, basta che tu chiuda bene. Stammi bene.
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1 Ti tormentano continuamente catarro e febbriciattole, inevitabile conseguenza di un catarro cronico e di vecchia data; mi dispiace tanto più perché ci sono passato anch'io per questo genere di malattia: all'inizio non ci feci caso, ero giovane e potevo ancòra sopportare i danni di un male e comportarmi con una certa arroganza nei suoi confronti; poi, dovetti soccombere, e mi ridussi a essere tutto catarro e diventai uno scheletro. 2 Tante volte mi prese la voglia di farla finita: ma mi trattenne la vecchiaia del mio amorevolissimo padre. Pensai non come potevo morire da forte, ma come mio padre non avesse la forza di sopportare la mia scomparsa. Perciò mi imposi di vivere; talvolta anche vivere è un atto di coraggio.
3 Ti dirò che cosa mi diede sollievo; ma prima voglio dirti che quanto mi confortava ebbe per me l'efficacia di una medicina; un conforto onesto diventa una medicina e, se una cosa solleva l'anima, giova anche al corpo. Gli studi furono la mia salvezza. È grazie alla filosofia se mi sono risollevato, se sono guarito; alla filosofia sono debitore della vita, ma questo è il debito più piccolo che ho con lei. 4 Anche gli amici contribuirono molto alla mia guarigione; i loro consigli, le veglie, le conversazioni mi erano di sollievo. Niente, mio ottimo Lucilio, rianima un ammalato e lo sostiene quanto l'affetto degli amici, niente serve tanto a ingannare l'attesa e il timore della morte: non ritenevo di morire, se rimanevano in vita loro. Pensavo, voglio dire, che sarei vissuto non con loro, ma attraverso loro; non mi sembrava di esalare l'anima, ma di trasmetterla. Tutto questo mi diede la volontà di farmi forza e di sopportare ogni tormento; altrimenti è ben triste cosa non avere il coraggio di vivere e aver buttato via il coraggio di morire.
5 Questi sono i farmaci da prendere: il medico ti prescriverà quante passeggiate o quanto moto devi fare; ti raccomanderà di non abbandonarti all'ozio cui si tende quando una malattia costringe all'inattività; di leggere ad alta voce e di esercitare il fiato perché vie respiratorie e polmoni lavorano male; di andare in barca per smuovere le viscere con quel dolce ondeggiare; ti dirà che cosa devi mangiare, quando devi bere vino per darti forza, quando devi astenertene per non provocare e inasprire la tosse. Io ti prescrivo un rimedio adatto non solo a questa malattia, ma a tutta l'esistenza: il disprezzo della morte. Non c'è più nulla di triste, se ci sottraiamo alla paura della morte.
6 In ogni malattia ci sono tre cose gravi: il timore della morte, il dolore fisico, l'interruzione dei piaceri. Della morte si è detto abbastanza, aggiungerò solo questo: è un timore legato non alla malattia, ma alla nostra natura. È successo a tanta gente che una malattia ne allontanasse la morte, e la sensazione di morire fu per loro salutare. Morirai non perché sei ammalato, ma perché vivi. La morte ti attende anche dopo la guarigione; se guarirai, non sarai sfuggito alla morte, ma alla malattia.
7 Torniamo ora ai disagi veri e propri: una malattia provoca forti sofferenze, ma a intervalli che le rendono tollerabili. Un dolore quando è al massimo dell'intensità non dura; nessuno può soffrire intensamente e a lungo: la natura, che ci ama molto, ci ha regolato in modo che il dolore fosse o sopportabile o di breve durata. 8 I dolori più acuti si localizzano nei punti più magri del corpo; i nervi, le giunture e le altre parti più scarne ci fanno soffrire terribilmente quando il male si annida nella loro superficie limitata. Queste parti, però si intorpidiscono presto e l'intensità stessa del dolore le rende insensibili, primo perché lo spirito vitale è impedito nelle sue attività naturali e si deteriora: perde la forza da cui trae vigore e con cui ci stimola; secondo perché gli umori corrotti, quando non hanno più uno sbocco, si neutralizzano da sé e privano di sensibilità quelle parti che hanno riempito in maniera eccessiva. 9 Così la gotta che colpisce mani e piedi e tutti i dolori delle vertebre e dei nervi si calmano quando ottundono le parti che tormentavano; le prime fitte di tutte queste malattie sono lancinanti, poi, se durano, finisce la fase acuta e al dolore subentra l'intorpidimento. Il mal di denti, di occhi, di orecchie è più acuto perché si sviluppa in organi molto piccoli, e lo stesso è, perbacco, per il mal di testa; se, però è troppo violento, provoca delirio e torpore. 10 Perciò un dolore intenso porta questo sollievo: se lo si sente troppo, si finisce necessariamente per non sentirlo più. Ma c'è una cosa che tormenta gli ignoranti nelle sofferenze fisiche: non sono abituati a essere paghi dello spirito; attribuiscono molta importanza al corpo. Perciò l'uomo magnanimo e saggio separa l'anima dal corpo e con la parte migliore di sé, di origine divina, si intrattiene a lungo, con quella corporea lamentosa e fragile, invece, solo lo stretto necessario. 11 "Ma," si obietta, "è fastidioso non godere dei consueti piaceri, astenersi dal cibo, soffrire la sete, la fame." In un primo momento queste privazioni sono gravose, poi il desiderio comincia ad attenuarsi proprio per la spossatezza e l'indebolimento degli organi del desiderio; lo stomaco diventa schifiltoso e all'avidità di cibo subentra la nausea. Anche le voglie si spengono e allora non è duro rinunciare a ciò che non si desidera. 12 Aggiungi che ogni dolore a tratti si placa o, almeno, diminuisce. Inoltre, è possibile prevenirlo e contrastarlo con le medicine; ogni tipo di sofferenza presenta chiari sintomi, specie se ritorna spesso. È, dunque, possibile sopportare la malattia se ne disprezzi le estreme conseguenze.
13 Non renderti più gravosi i tuoi mali, non opprimerti con i lamenti: il dolore è leggero se non lo accresci con la tua suggestione. Se comincerai invece a farti coraggio e a dirti: "Non è niente o almeno è cosa da poco; resistiamo, sta per finire", con questi pensieri lo renderai leggero. Tutto dipende dalla suggestione; e non ne sono soggette soltanto l'ambizione, la lussuria, l'avidità: soffriamo per suggestione. 14 Ognuno è infelice quanto ritiene di esserlo. Ma evitiamo, io la penso così, di lamentarci per i dolori passati dicendo: "A nessuno è mai capitato di peggio. Che sofferenze, che mali ho sopportato! Nessuno pensava che mi sarei ripreso. Quante volte i miei mi hanno pianto, quante volte i medici mi hanno dato per spacciato! Nemmeno sotto tortura si soffre tanto." Anche se questo è vero, ormai è andata: a che serve rivangare i dolori sofferti ed essere infelice ora perché lo sei stato in passato? Tutti ingigantiscono i loro mali e mentono a se stessi! E poi è piacevole che siano finiti quei dolori che è stato duro sopportare: quando il male finisce, è naturale goderne. Due cose, dunque, vanno eliminate: il timore di un nuovo male e il ricordo di quello vecchio; l'uno ancora non mi tocca, l'altro non mi tocca più. 15 Proprio quando uno sta male deve dire:
Forse un giorno mi riuscirà gradito anche il ricordo di queste sofferenze.
Combatta con tutto se stesso; se si arrende, sarà sconfitto, ma vincerà se lotterà contro il dolore. E invece, la maggior parte della gente attira su di sé le disgrazie a cui dovrebbe opporsi. Il male che ti incalza, che ti sovrasta, che non ti dà tregua, se cercherai di sottrarti, ti inseguirà e ti piomberà addosso più pesantemente; se rimarrai saldo e opporrai resistenza, riuscirai a respingerlo. 16 Quanti colpi prendono gli atleti sulla faccia, su tutto il corpo! E tuttavia sopportano ogni sofferenza per desiderio di gloria, non solo durante i combattimenti, ma anche quando si preparano ai combattimenti: l'allenamento stesso è già sofferenza. Vinciamo anche noi ogni male: il premio non è una corona o una palma o un banditore che impone il silenzio per proclamare il nostro nome, ma la virtù e la fermezza d'animo e la pace conquistata in ogni altro campo, se vinciamo una volta un combattimento con la fortuna. 17 "Sento un dolore lancinante." E allora? Non lo senti, se ti comporti come una donnetta? Il nemico è più pericoloso per chi fugge; allo stesso modo una disgrazia dovuta al caso preme di più su chi si arrende e volge le spalle. "Ma è lancinante." E come? Siamo forti solo per portare pesi leggeri? Preferisci una malattia lunga oppure breve e violenta? Se è lunga ha degli intervalli, lascia un po' di respiro, concede molto tempo e necessariamente, come comincia, finisce; una malattia breve e violenta presenta due alternative: o si estingue o estingue. Che differenza c'è se vengo meno io o la malattia? In entrambi i casi finisce la sofferenza.
18 Gioverà anche volgere lo spirito ad altri pensieri e staccarsi dal dolore. Ripensa ai tuoi atti di onestà e di coraggio; considerane gli elementi positivi; ricorda le imprese che più hai ammirato; richiama allora alla memoria tutti gli uomini più forti che hanno sconfitto il dolore: quello che ha continuato a leggere un libro mentre si faceva operare di varici, quello che non ha smesso di sorridere mentre i suoi carnefici, rabbiosi proprio per questo, provavano su di lui tutti gli strumenti della loro crudeltà. Quel dolore che il riso è riuscito a vincere, non lo vincerà la ragione? 19 Ora puoi descrivere quello che vuoi, il catarro e la virulenza di una tosse continua che ti fa vomitare anche le viscere, la febbre che ti brucia il petto, la sete, gli arti storpiati dalla deformazione delle articolazioni: sono, però, peggiori il fuoco, il cavalletto, le piastre roventi, tutto quello che viene cacciato dentro le ferite tumefatte per riaprirle e tormentarle più in profondità. Eppure c'è chi tra queste torture non si è lasciato sfuggire un lamento. Ma questo è poco: non ha implorato. È poco: non ha risposto. È poco: ha riso, e di cuore. Vuoi allora ridertela del dolore dopo questi esempi?
20 "Ma," si dice, "la malattia non mi permette di far niente, mi ha distolto da tutte le mie occupazioni." La malattia colpisce il corpo, non lo spirito. Può impedire i piedi del corridore, impacciare le mani del sarto o del fabbro: ma se tu abitualmente ti servi dello spirito, potrai dare consigli e insegnare, ascoltare e imparare, domandare e ricordare. E dunque? Secondo te non fai niente, se, pur essendo infermo, mantieni un comportamento equilibrato? Dimostrerai che un male si può vincere o almeno sopportare. 21 Credimi, anche in un lettuccio c'è posto per la virtù. Prova di un animo ardente, che la paura non riesce a domare, non possono darla solo le armi e le battaglie: l'uomo forte si rivela anche sotto le coperte. Hai qualcosa da fare: combattere valorosamente contro la malattia. Se non c'è cosa a cui potrà costringerti o indurti, darai un esempio insigne. Che straordinaria occasione di gloria ci sarebbe, se gli uomini ci osservassero quando siamo ammalati! Ma tu osservati e lodati da te.
22 Ci sono, poi, due generi di piaceri. La malattia impedisce i piaceri fisici, ma non li elimina; anzi, a ben guardare, li stimola. Se uno ha sete, bere gli piace di più; il cibo è più gradito a chi ha fame; tutto quello che si riceve dopo un periodo di astinenza, si prende con maggiore avidità. Ma i piaceri dell'animo che sono più grandi e più sicuri, nessun medico li nega all'ammalato. Chi tende a essi e li conosce bene, disprezza tutti gli allettamenti dei sensi. 23 "Povero malato!" E perché? Perché non può sciogliere la neve nel vino? Perché non può mantenere fresca la sua bevanda, preparata in una capace coppa, aggiungendovi pezzi di ghiaccio? Perché non gli vengono aperte proprio sulla tavola le ostriche del lago Lucrino? Perché mentre cena non c'è intorno a lui un trambusto di cuochi che insieme alle pietanze portano i fornelli? Ormai la dissolutezza ha escogitato anche questo: per evitare che i cibi diventino tiepidi, che il palato ormai indurito li senta poco caldi, la cucina fa da scorta alla cena. 24 "Povero malato!" Mangerà quanto può digerire: non gli si metterà di fronte un cinghiale, bandito poi dalla mensa come carne poco pregiata, non si ammucchieranno sul piatto da portata petti di uccello (vederli interi darebbe il voltastomaco). Che c'è di male? Mangerai come un malato, anzi una buona volta come una persona sana.
25 Ma tutti questi disagi li sopporteremo volentieri, brodini, acqua calda e tutte quelle altre cose che sembrano intollerabili agli schifiltosi snervati dai piaceri e malati più nell'anima che nel corpo: basta non avere più orrore della morte. E non ne avremo più, se conosceremo i confini del bene e del male; allora soltanto non avremo disgusto della vita, né timore della morte. 26 Non può avere nausea della vita uno che esamini tante questioni, diverse, grandi, divine: chi vive pigramente nell'ozio arriva di solito a odiare la vita. Se uno scruta la natura, la verità non gli verrà mai a nausea: solo le cose false saziano fino al disgusto. 27 E poi, se la morte arriva e lo chiama, anche se è prematura, anche se tronca la sua vita a metà, egli ha già raccolto i frutti di una lunghissima esistenza. Conosce gran parte della natura; sa che la virtù non cresce col passare del tempo: solo a quegli uomini che misurano la vita in base a piaceri vani e perciò senza limiti, ogni vita sembra necessariamente breve.
28 Rinfrancati con questi pensieri e intanto leggi attentamente le mie lettere. Verrà finalmente un tempo in cui ritorneremo a vivere insieme; per quanto breve sia, il saperlo usare lo renderà lungo. Dice Posidonio: "Un solo giorno di un uomo colto è più esteso di una lunghissima esistenza di un uomo ignorante." 29 Intanto tieni ben ferma questa regola: non soccombere ai casi avversi, non fidarsi di quelli propizi, avere presenti gli arbìtrî della sorte, come se dovesse attuare tutto quanto è in suo potere. Ogni evento che si è aspettato a lungo, giunge più sopportabile. Stammi bene.
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